20. La casa sul piccolo lago

 

 

Tutto era ancora immerso nel sonno, in attesa del tocco della bacchetta magica. Lungo la strada c'erano delle fattorie, alcune circondate dai campi, e una di queste, vecchia e bianca, era stata trasformata in una pensione. Potevi affittare una camera per una settimana oppure per l'intera stagione e lasciar vagare lo sguardo oltre la finestra sui campi piatti e sconfinati, passeggiare meditando o spingere una bicicletta traballante verso la spiaggia, distante circa un miglio. Più avanti c'era un cimitero tagliato dalla strada come il relitto di una nave e più avanti ancora, sotto gli alberi, una tetra casa di cemento affittata ad alcuni giovani che ogni tanto organizzavano feste all'aperto che duravano dal tramonto a notte fonda, con automobili parcheggiate ovunque e brocche di vino scadente.

In anni passati era stata meta di tanti pittori, per via del costo modico e della luce, una luce chiara, trascendente, che sembrava attraversare il lungo pomeriggio arrivando da molto lontano. Si viveva in maniera informale. Le case intorno erano grandi e nascoste dietro le recinzioni, oppure allineate su lotti a forma di bandiera, e alcune erano molto antiche. L'ondata turistica non era ancora arrivata. Le case costruite sulle dune erano semplici, spesso di proprietà dei contadini.

Quel posto le piaceva, si disse Christine. La campagna era bella, aperta. C'era una luce come non l'aveva mai vista, il vento e l'aria di mare. Tornava malvolentieri in città, e Bowman la raggiungeva durante i lunghi fine settimana. La felicità di lei gli dava il benvenuto. Il suo sorriso raggiante. Per strada i venditori con le cassette di verdura, granturco fresco, pomodori e   lamponi appena raccolti, la riconoscevano. Generalmente scontrosi con i clienti, quando la vedevano alla cassa con le braccia cariche si rilassavano e sorridevano.

Christine aveva deciso di rinnovare la licenza di agente immobiliare ed era andata a trovare Evelyn Hinds, di cui aveva letto il nome sui cartelli Vendesi. La signora Hinds aveva l'ufficio in casa, poco lontano da New Town Lane, una costruzione bianca con un recinto di legno dipinto di bianco e un'insegna scritta con cura.

Evelyn Hinds era rotondetta, con uno sguardo luminoso che coglieva ogni particolare all'istante e la risata pronta. Si sentiva a suo agio con le persone. Il primo marito era morto in un naufragio - così si pensava, nessuno lo aveva più visto - ma si era sposata altre due volte ed era rimasta in buoni rapporti con entrambi gli ex mariti. Christine andò a trovarla indossando pantaloni scuri e una giacca corta di lino.

«Chris, posso chiamarti così?» disse la signora Hinds. «Posso chiederti quanti anni hai? » «Trentaquattro» rispose Christine.

«Trentaquattro. Davvero? Ne dimostri meno.» «Be', è ancora peggio. A volte dico di essere un po' più giovane. » «E abiti da queste parti? » «Sì, adesso abito qui. Ho una figlia di sedici anni. Ho fatto l'agente immobiliare a Manhattan per sette anni. » Non erano stati proprio sette, comunque la signora Hinds non indagò.

«Per chi lavoravi? » «Per Walter Bruno, una piccola agenzia al Village. » «Ti occupavi di vendite o di affitti? » «Soprattutto di vendite. » «Mi piace combinare i clienti e le case. » «Piace anche a me.» «È come farli sposare. Tu sei sposata? »  

«No, sono separata» rispose Christine. «Non cerco un marito. » «Per fortuna.» «Cosa vuoi dire? » «Che le altre non avrebbero più chance» disse la signora Hinds.

Christine le piaceva e la assunse.

Era una piccola agenzia, solo quattro persone. Christine disse a Bowman che era sicura che le sarebbe piaciuto lavorare lì.

«Ho notato il suo nome, in giro» disse lui. «Che tipo è?» «Una persona molto diretta, e c'è un'altra cosa importante. Ora che faccio di nuovo questo lavoro» disse «ti troverò una casa. » Anet, che era tornata da scuola, aveva accompagnato la madre alla stazione ad aspettarlo, e quando Bowman scese dal treno vide la ragazza per la prima volta. Era giovane e fresca e si nascondeva un po' dietro Christine. Le portiere delle automobili sbattevano e i membri delle varie famiglie si chiamavano.

«Abbiamo avuto delle giornate magnifiche» gli raccontò Christine mentre si dirigevano verso la macchina. «Sarà bel tempo per tutto il fine settimana. » «Quando sei arrivata? » chiese lui ad Anet.

Ci teneva che tra loro le cose andassero bene.

«Quando sono arrivata?» chiese lei a Christine.

«Mercoledì. » «È bello averti qui » disse lui.

Si fecero strada nel traffico intorno alla stazione e proseguirono mentre il pomeriggio volgeva ormai al termine, i fanali accesi che fluttuavano davanti a loro come l'invito a una splendida notte di festa.

«Dove potremmo andare?» chiese lui a Christine. «Avete preparato la cena, a casa? » «Qualcosa da mangiare c'è » rispose lei.

«E se andassimo da Billy's? Dai, andiamo. Sei già stata in   qualcuno di questi posti? » chiese ad Anet con un tono che suonava sciocco.

«No » rispose la ragazza.

«Preferirei andare dove siamo stati la prima volta, dai due fratelli» disse Christine.

«Hai ragione. È un'idea migliore. » Mentre salivano i gradini ed entravano, Bowman provò una felicità completa, fisica, data dall'aura che emanavano le due donne. Durante la cena Anet parlò, ma solo con sua madre. In ogni caso, Bowman si divertì. Si sentiva a suo agio. Tornarono a casa immersi in un blu profondo e lussureggiante, superando case illuminate da luci rassicuranti.

Anet non era timida ma si teneva a distanza da lui. Apparteneva alla madre e, sicuramente, al padre. Era fedele a entrambi. ; Farsi accettare non era facile. Bowman intuiva che a renderla \ infelice c'era anche il fatto che lui fosse l'amante di sua madre, una parola che lui non usava mai... c'era una gelosia ancestrale. ; Anet la esprimeva escludendolo, anche quando capitava che stessero seduti con naturalezza, tutti e tre insieme, ad ascoltare ; la musica o a guardare la televisione. A lui non sfuggiva la femminilità dei suoi gesti, così simili a quelli materni. Senza volerlo ; era sempre consapevole della sua presenza in casa, a volte terribilmente consapevole, persino. Gli tornò in mente Jackie Ettin-ger, la mitica ragazza di Summit, tanto tempo prima. Non aveva mai conosciuto Jackie. Tutto faceva credere che non avrebbe conosciuto neppure Anet.

Quando era lontano da lei - durante la settimana - Bowman era in grado di pensare con più calma al ruolo che voleva avere, ; il compagno stabile - non era quella la parola -, l'uomo amato da sua madre, magari in un modo meno sessuale del padre di Anet, anche se ovviamente non era vero, vista l'intensità dei sentimenti che provava per Christine, un'intensità emotiva sempre presente.

Una domenica mattina, quando il caldo del giorno non era ancora iniziato ma la luce brillava lungo la spiaggia e le onde si frangevano formando una linea così luminosa da risultare quasi violenta, sedevano vicino alle dune a leggere con calma le varie sezioni del giornale, prendendo il sole. L'acqua era fredda, c'erano poche persone. Sembrava di essere in Messico, pensò, benché non ci fosse mai stato. La semplicità. Era giugno e l'estate era arrivata. C'era gente ma non ancora le folle. Era una sorta di esilio. Leggevano quello che era capitato nel mondo. Quando il sole fosse stato alle loro spalle sarebbero tornati a casa per il pranzo.

I Murphy ad Antibes dovevano aver condotto una vita simile. Avevano anche una casa da quelle parti, più a est. A Gerard Murphy piaceva nuotare e nuotava tutti i giorni nell'oceano per un miglio. Bowman lo aveva raccontato ma senza destare alcun interesse. Notò che in acqua c'erano alcune persone, tre o quattro. Si alzò e si avviò verso il bagnasciuga. Si sorprese sentendo che l'acqua era più calda del previsto. Gli avvolse le caviglie, quasi volesse tentarlo. Proseguì fino a lasciarsi bagnare le ginocchia.

Tornò verso la palizzata rovinata dalle intemperie vicino alla quale erano sdraiate Christine e Anet.

«L'acqua è calda» disse.

«Lo dici sempre. » «È abbastanza calda. » «Brrr » disse Anet.

«Vieni a vedere. » «Vai, Anet. » «Ho paura delle onde. » «Queste non sono onde, sono ondine. Su, vai, poi vengo anch'io. Philip mi ha quasi fatta annegare l'estate scorsa. » «Come? » «Nelle vere onde. Oggi non sono così alte. Vieni, entriamo. » In un primo momento l'acqua era gelata. Anet si fermò, titubante, ma quando Christine si buttò la figlia la seguì, camminando senza entusiasmo nell'acqua sempre più alta. Il fondo era liscio. Superarono il punto in cui le onde si frangevano e   proseguirono dove l'acqua era più profonda lasciandosi sollevare dalle onde lunghe. Nuotarono senza parlare, sulla superficie dell'acqua spuntavano solo le loro teste, che salivano e scendevano. Il cielo sembrava placare tutti i sentimenti. Nelle settimane precedenti, per ben due volte Anet aveva risposto a un suo consiglio da nulla con la battuta: «Non sei mio padre», e lui aveva accusato il colpo, invece adesso gli sorrideva, con soddisfazione, se non con tenerezza.

« Allora? » le chiese lui.

« Mi è piaciuto moltissimo » rispose.

Uscirono dall'acqua tutti e tre insieme, senza fiato e sorridenti. Anet si incamminò sulla spiaggia qualche passo davanti a loro, agile e veloce, passandosi le dita nei capelli per districarli. Si sedette accanto a Christine, le ginocchia che quasi si toccavano, e si appoggiò a lei tutta contenta.

Si era fatta alcuni amici, tra cui una ragazza molto piena di sé con i capelli biondi e ondulati che si chiamava Sophie. Era figlia di uno psichiatra. Un giorno che pioveva si erano seduti a giocare a Hearts, in quattro. Mentre le carte giravano intorno al tavolo Sophie si era tolta un orecchino e continuava a guardarlo. Quando arrivò il suo turno giocò una carta bassa di picche.

« Hai sbagliato » commentò Bowman per aiutarla.

«Davvero? » disse lei. Si stava esercitando a vivere.

Sul momento non si preoccupò di ritirare dal tavolo la carta mal giocata, poi la riprese quasi di buon grado e ne giocò un'altra. Christine provava ammirazione per il suo autocontrollo e per il rossetto rosso scuro che usava, almeno fino alla sera in cui Anet era andata al cinema con lei ed era tornata a mezzanotte passata. Christine l'aveva aspettata in ansia davanti alla televisione. Finalmente sentì chiudersi la porta della cucina.

«Anet?» chiamò.

« Sì. » «Dove sei stata? È notte fonda. » «Mi dispiace, avrei dovuto chiamarti.» « Dove sei stata? Il film è finito due ore fa. »  

« Non siamo andate al cinema » disse Anet.

Bowman capì che non avrebbe dovuto ascoltare. Andò in cucina, ma riusciva ancora a sentire quello che dicevano.

« Mi hai detto che saresti andata al cinema. » « Sì, lo so. » « Cosa avete fatto? » «Abbiamo camminato.» «Camminato? Dove?» « In strada. » Christine aveva i nervi a fior di pelle per l'attesa, e la voce di Anet tradiva una certa resistenza.

«Hai bevuto?» «Perché me lo chiedi? » « Non ti preoccupare del perché te lo chiedo. Hai bevuto? » Scese il silenzio.

« Hai fumato? Erba? » « Ho bevuto un bicchiere di vino. » «Dove l'hai bevuto? È illegale. » «In Europa non era illegale. » « Qui non siamo in Europa. Dove sei stata? Con chi eri? » « Con alcuni amici di Sophie. » « Con dei ragazzi. » «Sì.» Anet aveva abbassato la voce.

« E chi sono? Come si chiamano? » «Brad.» «Brad. Di cognome? » « Non so il suo cognome. » «Chi era l'altro?» « Non lo so » disse Anet.

« Non conosci i loro nomi. » « Li conosce Sophie » disse Anet.

Aveva cominciato a tremarle la voce.

« Perché piangi? » « Non lo so. »  

«Per quale ragione stai piangendo? » ripetè Christine. «Non lo so!» « Sì che lo sai. » « Non lo so ! » «Anet! » gridò Christine. Era uscita dalla stanza.

Dopo alcuni secondi Christine entrò in cucina. « Ho sentito tutto » disse Bowman. Christine era chiaramente agitata. « È l'incubo peggiore della mia vita » disse. «Mi è sembrata molto sincera. Non ho avuto l'impressione che abbia fatto qualcosa di grave. » «Perché mi fa questo? » «Non ha fatto niente, davvero. È normale che escano con dei ragazzi. «Come fai a saperlo? « Cosa significa come faccio a saperlo? » [      « Tu non hai una figlia. » «No» disse lui.

La porta d'ingresso sbatté. Christine chiuse gli occhi e si passò gli indici sulle palpebre per massaggiarli. «Ho paura di sentire il motore dell'automobile. Per favore, caro, ci andresti tu a convincerla a tornare in casa? Io sono troppo agitata. » Bowman non disse nulla e dopo alcuni istanti uscì nel buio. Quando finalmente la raggiunse era già alla fine del viale d'ingresso. Lo aveva sentito arrivare ma non si era girata. Lui non era sicuro di quello che faceva.

«Anet» disse. «Posso parlarti un minuto? » Aspettò.

« In realtà non ho molto da dire, non sono affari miei » proseguì, «ma sono convinto che la questione sia meno grave di quello che sembra. » Lei pareva non ascoltare.

 

«Forse la prossima volta dovresti chiamarla, dire che va tutto bene e che tarderai un po'. Lo farai? » Lei non rispose. Teneva lo sguardo fisso su qualcosa di bianco che si muoveva sopra le cime scure degli alberi, in lontananza. Continuava a spostarsi, poi sembrò voltarsi e infine sparì. Subito dopo riapparve più in alto.

« È un airone » disse lui.

Mentre lo osservavano, l'airone si diresse verso la massa scura degli alberi, poi si alzò oltre le cime più alte e sparì nel cielo notturno.

«Era un airone? » chiese lei.

«Lo si riconosceva dal collo. » « Non sapevo che volassero di notte. » « Credo di sì. » « Com'era bello, quell'uccello » disse lei.

Lui la guardò per capire se la rima era intenzionale, ma non ci riuscì. Ora non aveva più paura di lei. Senza dire altro, la seguì mentre tornava verso casa.

Un pomeriggio di autunno Christine lo chiamò. La sua voce era piena di eccitazione.

«Philip?» «Sì. Cosa c'è?» «Ho una bellissima notizia. Ho trovato la casa. » «Quale casa?» «Ho trovato la casa perfetta, quella che cercavi. L'ho capito appena l'ho vista. E una vecchia casa, non grandissima, comunque ha quattro camere da letto, è su un laghetto, c'è un laghetto nella proprietà. È di una vecchia coppia che ci abita da trent'anni. Non è ancora ufficiale, ma sono interessati a venderla. » « Come l'hai trovata? » «Me l'ha segnalata Evelyn. Lei sa tutto quello che succede. » «Quanto costa?» « Solo centoventimila dollari. »  

«Soltanto? La compro» disse lui con leggerezza. [     «Aspetta, lascia che te la faccia vedere, questo fine settimana. Devi vederla. » Il laghetto non si scorgeva dalla strada. Era più in basso. C'era un lungo viale d'ingresso sterrato che sembrava finire tra due vecchi alberi. Era un sereno mattino di ottobre. Imboccarono il viale, la casa apparve all'improvviso. Lui non avrebbe mai dimenticato la prima impressione che gli fece, la sensazione di familiarità che provò pur non avendo idea di che cosa lo aspettava. Era una vecchia casa bellissima, una specie di fattoria però 'isolata, vicino al piccolo lago. Entrarono dalla porta della cucina dopo aver attraversato una stretta veranda. La cucina era una grande stanza quadrata con i ripiani a vista e con la dispensa in quello che un tempo doveva essere stato un ripostiglio. La camera da letto padronale si trovava al pianterreno. Sopra c'erano altre tre camerette. La ringhiera della scala, notò, era di abete grezzo, levigato dalle mani. Le assi del pavimento erano larghe e le finestre ampie.

«Hai ragione» disse Bowman. «È una bella casa. » «È splendida, vero? » « Sì, è davvero speciale. » Le pareti e i soffitti erano in buone condizioni. Non avevano né macchie di umidità né crepe. Due delle tre camere da letto più piccole si potevano unire, pensò.

Dalle finestre del piano superiore si vedevano due case abbastanza grandi, oltre lo specchio d'acqua, seminascoste dagli alberi.

«C'è il riscaldamento? » chiese. « Sì. La caldaia è nel seminterrato. » Uscirono e si incamminarono verso il laghetto, poco lontano dalla riva si intravedeva la sagoma di una barca a remi affondata.

«Quanto terreno hai detto che c'è? » «Quello che hai visto. La proprietà arriva fino alla strada. È poco meno di un ettaro. »  

« Centoventi » disse lui.

«Sì. E un ottimo prezzo. » «Be', credo che dovrò comprarla. » « Sono così contenta! Lo sapevo che l'avresti voluta. » «Abitare qui sarà molto bello. Potremmo persino sposarci. » «Sì, potremmo.» « Vuoi dire che accetti la proposta? » « Dovrò divorziare, prima. » «Perché non ci sposiamo prima del tuo divorzio? » « E poi andiamo ad abitare in prigione » disse lei.

« Non mi dispiacerebbe. » Comprò la casa, inclusi alcuni mobili, per centoventimila dollari. La intestò a entrambi, era la casa di campagna ideale, abbastanza grande per ospitare una o due persone ogni tanto, situata in un'ottima posizione e assolutamente indipendente.

La banca di Bridgehampton fece una stima generosa della sua situazione economica e gli accordò un mutuo di sessantacinquemila dollari. Lui ebbe qualche difficoltà a mettere insieme la differenza. Vendette la maggior parte delle azioni che aveva e chiese un prestito di ottomila dollari.

Firmarono il rogito la prima settimana di dicembre e traslocarono quel giorno stesso, portando le due poltrone imbottite che avevano comprato da un antiquario - un rigattiere, in realtà - di Southampton. Erano molto contenti. Quella sera accesero il camino e improvvisarono una cena. Bevvero una bottiglia di vino e mentre ascoltavano della musica ne aprirono una seconda. Una notte da sogno, la loro prima notte in quella casa. A letto, lei si sfilò la camicia da notte dalla testa e la lasciò cadere sul pavimento. Si sdraiò tra le sue braccia, era come la prima notte di nozze. Lui le prese un braccio e premette le labbra nell'incavo in un lungo bacio appassionato.

Poco dopo arrivò il Natale. Anet era andata ad Atene a trovare il padre. La casa non era ancora del tutto arredata, c'erano   solo un divano, alcune poltrone, due tavoli e un letto. Le finestre non avevano né imposte né tende. Sembrava un po' spartana per le vacanze, anche se avessero avuto un albero da addobbare. A Manhattan le strade brulicavano di vita. Era il Natale di New York, con le folle che si affrettavano verso casa all'imbrunire, i capitani dell'Esercito della salvezza che suonavano le loro campane, Saint Patrick, lo spettacolo sublime delle vetrine dei grandi magazzini, regni dell'abbondanza, la gente dall'aria benestante. Si suonava Good King Wenceslas, i baristi indossavano corna di renna: il Natale del mondo occidentale, come a Berlino prima della guerra, nelle foreste verde scuro della Slovacchia, a Parigi, nella Londra di Dickens.

A casa di Baum c'era una festa. Era molto tempo che Bow-man non andava da loro. Quando arrivò con Christine e un uomo in giacca bianca prese i loro cappotti, si ricordò della prima volta che era stato in quell'appartamento insieme a Vivian, con la sua spensierata innocenza giovanile.

«Philip, sono felice di vederti» lo salutò Diana.

«Lei è Christine Vassilaros» disse lui.

«Ciao» disse Diana prendendo le mani di Christine tra le sue. «Prego, entra.» La sala era affollata. Diana dedicò a Christine molte attenzioni, sicuramente aveva già sentito parlare di lei. Quando seppe che aveva una figlia, le chiese: « Quanti anni ha? » « Sedici. » «Dev'essere molto bella» disse Diana con sincerità. «Julian, nostro figlio, studia legge alla Michigan. Si è rifiutato di andare a Harvard. Troppo elitaria. Lo avrei ucciso. » «Vuoi un sigaro? » chiese Baum a Bowman.

«No, grazie.» «Questi sono ottimi. Cubani. Prendine uno, lo fumi dopo. Ho iniziato a fumare sigari. Uno al giorno. Mi piace sedermi e fumarne uno dopo cena. Un sigaro dovrebbe toccarti le labbra esattamente ventidue volte, almeno così mi ha detto qualcuno.

 

Altrimenti, come diceva Cheever, sei uno zotico. In realtà si riferiva a come va tenuto in mano. Ma me ne sono dimenticato. » « Il mio unico rimpianto » disse Diana a Christine « è di non aver avuto altri figli. Ne avrei voluti tre o quattro. » « Quattro sono molti. » «I giorni più felici della mia vita sono stati quando Julian era piccolo. Non esiste niente di paragonabile. Sei fortunata» disse a Christine, «puoi ancora avere figli. Sono l'unica ragione per cui valga la pena vivere, davvero. Ora siamo liberi, più o meno. Possiamo andare in Italia. È bellissimo, ma quando penso all'amore di un bambino... » «Adoro l'Italia» disse Baum. «La gente. Sai, quando telefono al mio socio italiano e risponde la segretaria, o meglio la sua assistente: Roberto! Che gioia sentirti! Dovresti essere a Roma, è una magnifica giornata, splende il sole, dovresti essere qui! Non c'è nessuno come loro. » «Perché la definisci la sua assistente?» chiese Diana. ,  «La sua segretaria, allora. » «Non sono tutti così. Lei cinguetta come un uccellino. Eduardo non le assomiglia affatto. Gli parli e lui ti dice: Ciao, mi sento malissimo, il mondo è un disastro. È l'editore. » Stavano arrivando altri ospiti. Diana andò a salutarli. Baum rimase a parlare con Christine, gli piaceva il suo aspetto. Finita la festa chiese a sua moglie: « Cosa ne pensi della nuova ragazza di Philip?» «È nuova?» «Be', non esattamente, ma di sicuro non è vecchia.» «Infatti, forse è un po' troppo giovane. » « Questo rende più giovane anche lui. » « Sì, così si dice » disse Diana.

Quella primavera Beatrice Bowman morì. Da tempo era debole e confusa. Non riconosceva più suo figlio e quando andava a trovarla lei rimaneva a lungo in silenzio e sembrava rendersi   conto a malapena che lui era seduto vicino e leggeva. Per il mondo che conosceva, per i pochi amici che nel frattempo si erano allontanati, per tutti tranne che per lui e per Dorothy non aveva più alcuna importanza che continuasse a vivere. La sua vita di un tempo, le persone che conosceva, il profondo lago della sua memoria e del suo sapere erano svaniti oppure si erano prosciugati e disgregati. O almeno così le sembrava quando era in grado di pensarci. Non avrebbe voluto continuare a vivere in quel modo, ma non era stata capace di evitarlo. Nonostante fosse così confusa, era ancora molto bella, con i lineamenti gentili. Aveva pronunciato l'ultimo saluto molte volte.

In contrasto con lo stato di ansietà che le era proprio, morì serena. Semplicemente, un mattino non si svegliò. Forse la sera prima aveva intuito qualcosa, una tristezza poco familiare, un calo di energia vitale. Tranne che per il respiro, era impossibile distinguere un tipo di sonno dall'altro.

Non lasciò alcuna istruzione. Bowman accolse il suggerimento di Dorothy e si recarono insieme all'agenzia di pompe funebri per organizzare la cerimonia. Chiesero di lasciare la bara aperta, entrambi volevano vederla per l'ultima volta. Sua madre era distesa nella stanza silenziosa. Le avevano sistemato i capelli e truccato leggermente le labbra e le guance. Lui si chinò e la baciò sulla fronte. Era indecente. Non soltanto la vita, anche altre sue caratteristiche che lui conosceva erano state cancellate.

Lei non gli aveva mai raccontato tutto quello che sapeva, né lui era in grado di ricordare tutti i giorni della sua infanzia e tutte le cose che avevano fatto insieme. Doveva a lei il proprio carattere, o almeno una parte, il resto si era formato da solo, in qualche modo. Pensò, con una sorta di disperazione, alle cose di cui avrebbe voluto parlarle e a quelle di cui avrebbe voluto parlarle ancora una volta. Era stata una giovane donna, a New York, una sposa novella, e in quello sfolgorante mattino d'estate aveva ricevuto la benedizione di un figlio.

Per coincidenza la sua matrigna morì quella stessa primavera.

 

Non l'aveva mai incontrata, né aveva mai conosciuto le altre mogli di suo padre che l'avevano preceduta. Qualcuno gli inviò il ritaglio di un quotidiano di Houston. Si chiamava Vanessa Storrs Bowman, aveva settantatré anni ed era una persona famosa. Mentre studiava la sua fotografia, Bowman proseguì la lettura dell'articolo e scoprì, provando una forte emozione che non potè definire dolore, che suo padre era morto due anni prima. La notizia provocò in lui uno strano strappo temporale, come se la sua vita fosse stata segnata dalla finzione e ora, sebbene in tutti quegli anni non avesse mai visto né saputo niente di suo padre, alcune connessioni essenziali fossero andate definitivamente perdute. Vanessa Storrs Bowman aveva due fratelli, e il padre era stato presidente di una società petrolifera. L'impressione era che il denaro non gli mancasse, che fossero ricchi, persino. Pensò a sua madre e alla ricca parente lontana, una cugina forse, di cui qualcuno gli aveva mostrato il palazzo sulla Quinta Avenue. Era vero o lo aveva visto in sogno, un palazzo di tre o quattro piani in pietra scura, con il tetto verde e le porte di vetro e di ferro? Forse quella casa non esisteva. Aveva sempre sperato di passarci accanto ma non era mai accaduto.