31. Senza fine

 

 

Le aveva chiesto, più o meno impulsivamente, se voleva andare a cena con lui, Kenneth Wells e sua moglie, che non aveva mai conosciuto. Erano in città per qualche giorno per parlare del libro che Kenneth stava scrivendo e per rompere la noia della vita in campagna. Sembrava l'occasione giusta.

«Li conosci? » chiese Bowman. «Credo che potrebbero piacerti. » Non era riuscito a nascondere a Ann che da un po' di tempo provava attrazione per lei, anche se non sapeva in che misura. Però non desiderava avere una relazione, una storia. Lavoravano troppo a stretto contatto. Sarebbe stato sconveniente. D'altra parte, si rese conto, eccola lì, con i suoi tacchi e i suoi modi gentili, a permettergli di pensare a lei.

Quella sera Ann arrivò al ristorante con un paio di pantaloni neri e una camicia bianca pieghettata e Wells si alzò come un alunno ubbidiente.

«Mi piacciono i tuoi libri» gli disse.

Michele Wells stava bevendo un bicchiere di vino. Wells aveva ordinato un old fashioned.

«Che cos'è? » chiese Ann.

Lui glielo descrisse brevemente.

« Mio padre lo beveva sempre » spiegò.

«Ne prendo uno anch'io. » « Lo bevi, allora? » le chiese lui con un certo piacere.

« No, è la prima volta. » «Non lo sentivo dire da un po' di tempo» disse Wells. «In realtà, quando morì, mio padre stava bevendo uno scotch. Aveva   avuto un attacco di cuore e una sera chiese da bere. Voleva uno scotch con un po' d'acqua e pregò l'infermiera di tenergli compagnia. Sorseggiarono le loro bevande e parlarono un po' e quando ebbe finito di bere mio padre le disse di versargli il bicchiere della staffa. Lei glielo versò, lui bevve, e morì. » Wells era stimolato dalla presenza di un'altra donna. I capelli grigi pettinati all'indietro e gli occhiali gli davano un'aria tedesca. A parte guardare la televisione, a Chatham non c'era molto da fare, la sera.

Avevano visto Ritorno a Brideshead, disse Michele. «L'attore che interpreta Sebastian è bravissimo. » Wells fece un commento volgare.

« Non avevamo deciso che sarebbe stata una serata all'insegna del mente sana in corpo sano? » disse lei.

« Sì. E vero » ammise lui.

In verità, in privato, il linguaggio osceno le piaceva, soprattutto quando aveva un sapore letterario o storico. A volte lui chiamava la sua fica «concessione francese» e da lì proseguiva. Si era innamorato di sua moglie prima di averla vista, disse. Aveva notato un paio di gambe che spuntavano sotto le lenzuola stese ad asciugare nel cortile della casa accanto.

« Non si può mai dire dove ti portino le gambe » disse Michele. « Subito dopo siamo partiti per il Messico. » Quando il cameriere portò il menu, Wells si tolse gli occhiali per esaminarlo più attentamente. Poi fece una serie di domande sui piatti e sul modo in cui erano preparati senza preoccuparsi del tempo che passava. I suoi modi avevano qualcosa di domestico che gli consentiva di prendere tempo.

«Preferite vino bianco o rosso? » chiese Bowman.

Decisero per il rosso.

« Qual è il miglior vino rosso che avete? » «L'amarone» rispose il cameriere.

« Ce ne porti una bottiglia. » «È un ottimo vino» disse Wells. «Viene dal Veneto, forse la regione italiana più raffinata. Venezia è stata per secoli la città   più importante del mondo. Quando Londra era lurida e disordinata, Venezia era una regina. Shakespeare ha ambientato lì quattro delle sue tragedie, Otello, Il mercante, Romeo e Giulietta...» «Romeo e Giulietta» disse Ann «non era a Verona? » «Be', è lì vicino» rispose Wells.

Quando portarono il cibo, concentrò tutta la sua attenzione su quello che aveva nel piatto. Mangiava come un lupo e parlava con la bocca piena.

«Non sono mai stata a Venezia» disse Ann.

«Davvero?» «Davvero, non ci sono mai stata. » «Il periodo migliore è gennaio. Non c'è ressa. E non dimenticare di portare una torcia per vedere i quadri. Sono tutti in chiese male illuminate. Se metti una moneta si accende una luce, ma dura non più di quindici secondi. La luce te la devi portare tu. Inoltre, non scegliere un albergo alla Giudecca. È troppo lontana da tutto. Se ci vai, fammelo sapere, e ti dirò che cosa vedere. Il cimitero è la cosa più bella, la tomba di Djagilev. » Ann sembrava affascinata da ogni sua parola.

«La tomba di Djagilev non è affatto la cosa più bella» disse Bowman.

«Be', quasi. Facciamo un gioco io e te, qual è la cosa più bella di Parigi, di Roma, di Amsterdam? Chi vince riceve un premio. » « Qual è il premio? » Il premio era Ann Hennessy, pensò Wells tra sé, ma non era ancora abbastanza ubriaco per dirlo.

Fu una cena molto cordiale. L'amarone contribuì moltissimo e ne ordinarono un'altra bottiglia. Ann era luminosa. Catalizzò l'intera serata. Bowman non aveva mai notato la delicatezza delle sue mani. Capì che era stata l'amante di Baum, anche se aveva il pregio di saper sviare i sospetti. Bastava guardarla per essere certi che erano stati amanti. Più tardi, quando uscirono tutti nella strada buia e indugiarono nei saluti, lei congiunse   le mani davanti al petto come una bambina, e lui la vide con occhi diversi e si ricredette: aveva perso qualcosa, la vitalità. Fece segno a un taxi di fermarsi e lei salì prima di lui senza dire una parola.

« Che serata piacevole » disse lui quando furono sul taxi.

Lei non rispose.

« Tu eri magnifica. » «Davvero?» « Sì. » Dopo un po' lei iniziò a cercare le chiavi nella borsa.

Abitava in Jane Street. L'edificio, senza custode, aveva un paio di porte a vetri chiuse a chiave.

«Vuoi salire? » gli chiese lei inaspettatamente.

« Sì. Per qualche minuto. » L'appartamento era al terzo piano, e salirono a piedi. L'ascensore era fuori servizio. Quando entrarono Ann accese le luci e si tolse il cappotto.

«Vuoi bere qualcosa? » chiese. «Non ho granché. Un po' di scotch, credo. » «D'accordo. Solo un goccio. » Lei andò a prendere la bottiglia e un bicchiere, non ne portò uno per sé. Gli versò da bere e si sedette quasi al capo opposto del divano. Era un po' ubriaca, ma i pantaloni e la camicia pieghettata le restituivano un fascino semplice. Lo guardava. Voleva parlargli. Avrebbe voluto dirgli alcune cose, ma non lo fece. Rimase seduta in silenzio. Bowman era in imbarazzo, e tanto per fare qualcosa le si avvicinò e con calma la baciò. Sembrava che le piacesse.

«È meglio che vada a casa» disse lui.

«No, non andare» rispose lei. «Potresti...» Si interruppe. « Non andare via. » Si chinò e si sfilò le scarpe. L'istinto le suggeriva di non abbracciarlo. Non si sarebbe sentita a proprio agio. Si alzò e si diresse velocemente verso la camera da letto. Lui pensò che   andasse a sdraiarsi e sprofondasse nel sonno. Dopo qualche minuto invece si affacciò sulla soglia. «Verresti a sdraiarti vicino a me? » Alla stazione di Hunters Point, dove di solito nei venerdì di primavera e di autunno prendeva il primo treno, si avviò verso il punto del marciapiede in cui si sarebbero fermate le carrozze di coda. Erano le quattro e un quarto e sul binario c'erano ancora poche persone. Un anziano signore con l'abito di lino, il fazzoletto nel taschino, la camicia azzurra e la cravatta, leggeva la pagina piegata di qualcosa con l'aiuto di una lente d'ingrandimento, forse era un vedovo che abitava da solo o forse non era mai stato sposato, ma come era possibile che un uomo di quell'età non fosse mai stato sposato? Sarebbe sceso a Southampton come probabilmente aveva fatto per molti anni. Si sarebbe incamminato nel buio della sera.

Il treno era arrivato. Una folla di passeggeri scendeva dalla scalinata. Bowman salì a bordo e prese posto vicino al finestrino. Andare in campagna lo consolava. Aveva davanti a sé un intero fine settimana. I bigliettai con i loro rigidi berretti blu guardarono gli orologi. Finalmente, con un leggero sobbalzo, il treno si mosse.

Lesse per un po' e poi chiuse il libro. I quartieri commerciali e i magazzini erano ormai lontani. Agli incroci c'era il traffico della sera, file di automobili con i fanali accesi. I viali erano affollati. Il treno superò case, alberi, luoghi sconosciuti, terrapieni e stagni misteriosi. Li aveva visti molte volte. Non ne sapeva niente.

Aveva lasciato Tivoli l'anno prima - il professore era tornato dall'Europa - e in fondo si era trattato solo di un intermezzo. Aveva promesso a Katherine che si sarebbero visti a New York, ma la sua vita aveva preso una direzione diversa. Affittò una casa non lontana da quella che anni prima aveva affittato a Wain-scott. Gli pareva che la sua vita precedente stesse per essergli   restituita. Ann Hennessy lo andò a trovare durante un fine settimana. Lo strano imbarazzo iniziale si dissipò durante la cena.

«In casa ho una bottiglia di amarone» annunciò lui.

« Sì, l'ho notata. » «Davvero? E cos'altro hai notato? » «Pochissimo. Ero troppo emozionata.» «Be', l'amarone ti calmerà.» «Ne dubito.» In ogni caso, li aiutò a portare la conversazione su Venezia.

« Mi piacerebbe molto andare a Venezia » disse lei.

« Esiste una magnifica guida della città - credo sia fuori catalogo - scritta da un certo Hugh Honour. Uno storico. È una delle migliori guide che io abbia mai letto. Forse ne ho una copia. Il suo compagno si chiama John Fleming. Sono soprannominati Onore e Gloria. Sono entrambi inglesi, naturalmente.

«Il termine gay non mi piace» proseguì. «Loro due sono troppo importanti per essere chiamati gay. Forse in privato usano quel termine per definire se stessi. Gli imperatori romani non erano gay. Nuotavano nudi nelle piscine insieme a ragazzini educati al piacere, però chiamarli gay suona strano. Depravati, intossicati di piacere, pederasti, ma non gay. Toglie dignità alla perversione. » « Non avevo pensato agli imperatori romani. » «Be', pensa a Kavafis, allora. Non sembra appropriato definirlo gay. O a John Maynard Keynes. È troppo colloquiale. Kavafis era un pervertito. Credo si definisse così lui stesso. Gay non sembra la parola giusta. Però alcune pratiche sono tipicamente gay. Le conosci? » chiese senza mezzi termini.

« Credo di sì » rispose lei. « Non ne sono sicura. » « Non voleva essere un suggerimento » disse lui.

«D'accordo.» Sebbene lei rimanesse in attesa, lui non continuò.

Fu il primo di molti fine settimana. Divennero una coppia non ufficiale. Solo ai ricevimenti e durante i fine settimana, però, perché al lavoro non traspariva niente, lì preferivano tenerlo   nascosto. Godevano del piacere di stare insieme senza viverne gli inconvenienti. Lei dormiva con una semplice camicia da notte bianca, che lui le sollevava gentilmente lungo i fianchi lasciandole scoperte solo le gambe, oppure che lei stessa arrotolava e si sfilava dalla testa. La sua pelle nuda era fresca. Teneva un braccio lungo il corpo, con la mano aperta. Lui appoggiava il membro sul suo palmo sottile.

A giugno l'acqua era ancora troppo fredda per fare il bagno. Quando finalmente trovava il coraggio di buttarsi, un secondo dopo rimpiangeva di averlo fatto. Ma le giornate erano lunghe e belle. Le spiagge erano ancora deserte. A volte, a causa delle nuvole, il sole illuminava solo una parte del mare, che diventava quasi bianca, mentre il resto dell'acqua rimaneva blu scuro o grigia.

All'inizio di luglio l'acqua si scaldò. Andavano a nuotare al mattino presto. Nel parcheggio un furgone bianco aperto su un lato vendeva caffè e panini con le uova fritte e, più tardi, bibite fredde. Alcuni ragazzi già bighellonavano in giro e camminavano a piedi nudi sull'asfalto. A quell'ora la spiaggia era deserta e si distendeva a perdita d'occhio in entrambe le direzioni. Ann indossava un costume da bagno rosso scuro. Le sue braccia e le sue gambe avevano perso il pallore della città.

La temperatura dell'acqua era perfetta. Nuotarono insieme per quindici o venti minuti e poi uscirono dall'acqua per sdraiarsi al sole. C'era un po' di vento, la giornata sarebbe stata calda. Rimasero sdraiati con le teste vicine. Lei aprì gli occhi per un attimo, lo guardò e li chiuse di nuovo. Poi entrambi si misero a sedere. Il sole cominciava a bruciargli le spalle. Erano arrivate altre persone, qualcuno si era portato ombrelloni e sedie.

«Vuoi fare un altro bagno? » chiese Bowman, in piedi.

«D'accordo» rispose lei.

Entrarono senza esitare. Quando l'acqua gli arrivò alla vita, lui si tuffò proteggendo la testa con le braccia allungate. Il mare   era di un verde polveroso, pulito e vellutato e quasi immobile. Questa volta non nuotarono insieme ma si allontanarono dalla riva in direzioni diverse. Lui andò verso est, con un ritmo delle bracciate sempre più deciso. Il mare scivolava intorno, accanto e sotto al suo corpo, in un modo che apparteneva a lui solo. Le teste di altri nuotatori solitari apparivano in lontananza. Avrebbe potuto nuotare a lungo, si sentiva in forze. Quando immergeva la testa riusciva a vedere il fondale, liscio e ondulato. Percorse una grande distanza, poi si girò e puntò verso la riva. Sebbene cominciasse a sentirsi stanco, avrebbe voluto continuare a nuotare a lungo in quel mare, per tutto il giorno. Alla fine uscì dall'acqua, esausto ma felice. Non lontano da lui, un gruppo di bambini di dieci o dodici anni correva nell'acqua formando una lunga fila irregolare, le femmine con le femmine e i maschi con i maschi, le loro facce e le loro grida erano piene di gioia. Si diresse verso Ann, che era uscita dall'acqua prima di lui e sedeva con il costume rosso scuro bagnato, l'aveva riconosciuta da lontano.

Con un sentimento di trionfo - inspiegabile - rimase in piedi ad asciugarsi davanti a lei. Quasi le undici. Il sole era pesantissimo, come un'incudine. Camminarono insieme verso il punto dove avevano posteggiato l'automobile, lontano dalla strada. Ora che sedeva accanto a lui, le gambe di Ann sembravano più abbronzate. Aveva le guance bruciate dal sole. Quanto a lui, era completamente felice. Non voleva niente di più. La presenza di lei era miracolosa. Era il tipo di trentenne dei romanzi e delle commedie che per qualche ragione, per una serie di circostanze o per un gioco della sorte, non aveva mai trovato un uomo. Desiderabile e generosa, era passata tra le maglie della rete, era un frutto caduto sul terreno. Non gli aveva mai parlato del loro futuro. Non aveva mai usato, se non in attimi di grande entusiasmo, la parola «amore». Quel giorno però, in piedi davanti a lei dopo essere uscito dall'acqua, lui l'aveva quasi pronunciata, si era quasi inginocchiato davanti a lei a pronunciarla, le   aveva quasi detto quanto amore provava per lei. Le aveva quasi chiesto: mi vuoi sposare? Era il momento giusto, lo sapeva.

Non era sicuro di se stesso, né di lei. Era troppo vecchio per sposarsi. Non voleva un compromesso tardivo, sentimentale. Aveva troppa esperienza per caderci. Era già stato sposato una volta, con tutto il cuore, ed era stato un errore. A Londra si era innamorato pazzamente di una donna, ma chissà perché il loro amore si era spento. Come per caso, una notte, durante l'incontro più romantico della sua vita aveva conosciuto una donna da cui era stato tradito. Credeva nell'amore - ci aveva creduto tutta la vita - ma probabilmente era troppo tardi. Forse avrebbero potuto continuare così per sempre, come nei romanzi. Anna, aveva cominciato a chiamarla così, Anna, vieni qui per favore. Siediti vicino a me.

Wells si era sposato con ancora meno certezze. Aveva visto le gambe di una donna nel cortile accanto al suo e le aveva parlato. Erano fuggiti insieme e la moglie aveva adeguato la propria vita alla sua. Forse si trattava proprio di questo, organizzarsi la vita. Forse avrebbero viaggiato. Aveva sempre desiderato andare in Brasile, nel posto dove Elizabeth Bishop aveva vissuto con Lota Soares, la sua compagna brasiliana, dove i due fiumi, uno blu e uno marrone, si univano come lei aveva descritto. Aveva sempre voluto tornare sul Pacifico, teatro dell'unica parte coraggiosa della sua vita, e attraversarlo in tutta la sua vastità, costeggiando luoghi importanti dai nomi dimenticati, Ulithi, Majuro, Palau, visitando magari alcune tombe, quella di Robert Louis Stevenson o di Gauguin, a dieci giorni di nave da Tahiti. Arrivare in nave fino in Giappone. Avrebbero organizzato insieme le tappe del viaggio e dormito in piccoli alberghi.

Lei era andata a trovare i suoi genitori. Era ottobre, e lui era solo. Quella notte le nuvole avevano un colore blu scuro, un blu come si vede raramente e che copre la luna nascosta, e lui   pensava, come gli accadeva spesso, alle notti passate in mare o in attesa di imbarcarsi.

Era contento di essere solo. Si era preparato qualcosa per cena e poi si era seduto a leggere con un bicchiere a portata di mano, proprio come accadeva nel piccolo salotto della Decima Strada, quando Vivian andava a dormire e lui rimaneva seduto a leggere. Il tempo era senza limiti, mattine, notti, tutta la vita davanti.

Gli capitava spesso di pensare alla morte, ma di solito era per un moto di compassione verso un animale o un pesce, per l'erba che moriva in autunno o per le farfalle aggrappate all'erba bambagia che si nutrivano prima del grande volo mortale. Erano in qualche modo consapevoli della forza eroica che richiedeva il viaggio? Pensava alla morte, ma non era mai stato capace di immaginarla, di immaginare che cosa significasse non esserci più mentre tutto il resto continuava a esistere. L'idea di passare da questo mondo a un altro, il prossimo, era troppo irreale per essere credibile. O l'idea che l'anima risorgesse misteriosamente per unirsi all'infinito regno di Dio. Là si sarebbero trovate di nuovo tutte le persone che si erano conosciute e anche tutte quelle che non si erano mai conosciute, gli incalcolabili morti il cui numero continuava a crescere senza però mai raggiungere l'infinito. Gli unici assenti sarebbero stati quelli convinti che dopo non c'era niente, come aveva detto sua madre. Il tempo non sarebbe più esistito - il tempo sarebbe passato in un'ora, come accade nell'attimo in cui ci si addormenta. Ci sarebbe stata soltanto gioia.

Sarebbe accaduto quello che credevi dovesse accadere, aveva detto Beatrice. Lei sarebbe andata in un posto bellissimo. A Rochester, aveva detto scherzando. Lui l'aveva sempre vista come un fiume scuro, con lunghe file di persone che aspettavano il traghettatore, con la rassegnazione e la pazienza che l'eternità richiede, spogliate di tutto tranne che di un unico, ultimo oggetto, un anello, una fotografia, o una lettera che rappresentava ciò che avevano di più caro e che si lasciavano indietro per sempre   e in qualche modo speravano, poiché era così piccolo, di poter portare con sé. Lui aveva una lettera di quel tipo, di Enid. I giorni che ho passato con te sono stati i più belli della mia vita...

E se invece non ci fosse stato nessun fiume, ma soltanto code senza fine di persone sconosciute, persone assolutamente senza speranza, come in guerra? Sarebbe stato costretto a unirsi a loro, ad aspettare per sempre. Poi si chiese, come spesso faceva, quanto gli rimanesse da vivere. Era sicuro solo di una cosa, quello che gli sarebbe accaduto era identico a ciò che era accaduto a tutti coloro che avevano vissuto. Sarebbe andato dove erano andati tutti e - era difficile da credere - avrebbe portato con sé tutto ciò che conosceva, la guerra, il signor Kin-drigen e il maggiordomo che versava il caffè, i primi giorni a Londra, il pranzo con Christine, il suo corpo splendido come un'entità separata, i nomi, le case, il mare, tutto ciò che conosceva e tutto ciò che non aveva mai conosciuto ma che comunque c'era, le cose del suo tempo, tutti gli anni, i transatlantici con il loro invincibile fascino pronti a salpare, la banda che suonava mentre si allontanavano dal porto, la distesa di acqua verde che diventava sempre più ampia, il Matsonia che lasciava Honolulu, il Bremen che partiva, VAquitania, Vile de France, e la flotta di piccole navi che li seguivano. La prima voce che aveva mai sentito, quella di sua madre, era al di là della memoria, eppure la beatitudine che provava quando da piccolo le stava vicino, quella sì, la ricordava. Riusciva a ricordare i primi compagni di classe, i nomi di ciascuno di loro, le aule, gli insegnanti, i particolari della sua camera, a casa - la vita che era impossibile da calcolare, la vita che gli era stata offerta e che aveva posseduto.

Quel pomeriggio aveva tolto le erbacce in giardino e si era chinato per osservare le sue gambe che, sotto i calzoncini da tennis, sembravano quelle di un vecchio. Non avrebbe dovuto, rifletté, andare in giro per la casa con pantaloni simili quando c'era Ann, e forse nemmeno con il kimono di cotone che gli arrivava appena alle ginocchia, e nemmeno in canottiera. Doveva   prestare attenzione a quel genere di cose. Era sempre uscito e tornato a casa in giacca e pantaloni. O con il gessato di Tripler & Co., blu notte a righe sottili.

Era il vestito che indossava al funerale di sua zia a Summit. Ci era andato insieme a Ann, le aveva chiesto lui di accompagnarlo. La cerimonia era fissata per le dieci del mattino. Era stata breve, ed erano ripartiti subito dopo. Ci erano andati con il primo treno. Mentre attraversavano le paludi nella prima luce azzurrognola, New York, in lontananza, sembrava una città straniera, un luogo in cui si sarebbe potuto vivere ed essere felici. Lui le aveva parlato di zia Dorothy, la sorella di sua madre, e di Frank, il suo magnifico marito. Le descrisse il loro ristorante, Fiori, con gli interni in stoffa rossa e le coppie che si fermavano a cena tornando a casa dal lavoro e quelle che arrivavano più tardi, sperando di non essere viste. Non esisteva più da molti anni, ma quel mattino gli sembrò molto reale, come se potessero raggiungerlo in automobile per cena e sedersi a bere qualcosa ascoltando il Rigoletto in attesa che la cameriera servisse le bistecche, un po' bruciate e con sopra un cucchiaino di burro fuso. Desiderò portarla lì per la prima volta.

La sua mente si spostò altrove, alla grande città funebre con i suoi palazzi e i suoi canali silenziosi, e i leoni che ne erano i temuti emblemi.

«Sai» disse, «stavo pensando a Venezia. Non sono sicuro che Wells avesse ragione circa il periodo migliore in cui andarci. A gennaio fa un freddo tremendo. Ho l'impressione che sarebbe meglio andarci prima. Che cosa importa se c'è un po' di gente? Potrei chiedergli un consiglio per gli alberghi. » « Dici davvero? » « Sì. Andiamoci a novembre. Ci piacerà moltissimo. »