9. Dopo il ballo
Molti degli ospiti erano già arrivati e altri, come lui, stavano salendo. Il biglietto di invito era sbrigativo: do una festa in costume, diceva Wiberg, perché non vieni? Bowman salì le scale insieme a Giunone, con una maschera bianca e dorata, e a un vichingo d'argento con magnifiche corna sull'elmo. La porta del grandioso appartamento era aperta e all'interno li aspettava una folla venuta da un altro pianeta: un crociato con una grande croce bianca e rossa sulla tunica; uomini primitivi vestiti di verde, con lunghe parrucche di paglia; alcune persone in abito da sera con le maschere nere; e Elena di Troia con una tunica color lavanda e le spalline incrociate alla greca sopra la schiena molto nuda. Bowman, che solo all'ultimo momento aveva deciso di travestirsi, indossava una giacca da ussaro rossa e verde con gli alamari sopra un normale paio di pantaloni. Wiberg, secondo l'idea di esotico tipicamente inglese, era vestito da pascià. Un'orchestra composta da sei elementi suonava sul pianerottolo.
Muoversi tra la folla era difficile. A giudicare dalle conversazioni, gli invitati non appartenevano al mondo letterario. C'erano membri delle ambasciate ed esponenti dell'alta società o dell'ambiente del cinema, e persone solite svolgere i loro affari di notte, c'era una donna che infilava la lingua nella bocca di un uomo e un'altra - Bowman la vide solo una volta - vestita da cameriera, con pantaloncini cortissimi e le gambe fasciate da calze color acciaio, che si muoveva tra i diversi gruppi come un'ape tra i fiori di trifoglio. Wiberg parlò con lui solo di sfuggita. Bowman non conosceva nessuno. Partì la musica. Accanto all'orchestra c'erano due angeli, in piedi, che fumavano. A mezzanotte i camerieri in giacca bianca iniziarono a servire la cena, ostriche e arrosto freddo, tartine e pasticcini. Alcune donne indossavano magnifici abiti di seta. Mentre un'anziana signora con il naso lungo come un dito indice mangiava avidamente, l'uomo che era con lei si soffiò il naso in un tovagliolo di lino, da vero gentiluomo. C'era anche una prostituta d'alto bordo, ma solo chi lo sapeva avrebbe potuto riconoscerla, era venuta nonostante il suo nome fosse stato cancellato dalla lista degli invitati e per provocazione aveva fatto pompini a cinque ospiti di seguito, in una delle camere da letto.
Ora che aveva esaurito le scenette gustose e gli angoli in cui fermarsi, Bowman stava guardando la collezione di fotografie incorniciate in argento massiccio disposte su un tavolo, ritratti di persone eleganti, da sole o in coppia, in piedi davanti alle loro case o in giardino, alcune con dedica. Una voce femminile dietro di lui disse: «A Bernard piacciono i titoli nobiliari».
«Sì, stavo proprio guardando. » «Gli piacciono i titoli nobiliari e le persone che li portano. » La donna indossava un pigiama palazzo di seta nera con un fazzoletto da pirata e orecchini d'oro a cerchio adatti al costume. Si sarebbe detto che fosse il suo modo abituale di vestirsi, più che un travestimento. Anche lei aveva il naso lungo, ma era molto bella. Bowman venne colto da un improvviso nervosismo e dall'inconfondibile sensazione di essere sul punto di dire qualcosa di stupido.
«Sei dell'ambasciata? » chiese lei.
«L'ambasciata?» «L'ambasciata americana.» «Oh, no. Assolutamente. Lavoro in una casa editrice. » «Con Bernard? » Come faceva a conoscerlo? si domandò lui. Ma era ovvio, quasi tutte le persone che si trovavano lì lo conoscevano.
«No, lavoro in una casa editrice americana, Braden and
Baum. Sai» confessò, «sei la prima persona con cui parlo, questa sera. » Vicino a loro c'era un cameriere.
«Bevi qualcosa? » chiese lui.
«No, grazie. Ho già bevuto troppo» rispose lei. I suoi occhi e una certa esitazione nei movimenti gli fecero capire che era la verità.
«Sei qui con qualcuno? » si trovò a chiederle.
«Sì, con mio marito.» «Tuo marito.» «Così dicono. Come hai detto che ti chiami? » Lei si chiamava Enid Armour.
«La signora... la signora Armour» disse lui.
«Perché lo sottolinei? » «Non era questa la mia intenzione. » «Non importa. Ti fermi a Londra per un po'? » «No.» «Sarà per un'altra volta, allora» disse lei.
«Me lo auguro.» Lei sembrava aver perso l'interesse, ma prima di allontanarsi gli strinse con forza la mano, come per consolarlo. Non la vide più tra la folla, sebbene ci fossero ancora alcuni ospiti eccellenti. Probabilmente era andata via. Trovò il nome del marito in una lista degli invitati appoggiata su un tavolo vicino alla porta di ingresso. Intorno alle tre del mattino c'erano personaggi fantastici, un uomo vestito da gufo con le piume fatte di strisce di tessuto e una donna con il cilindro e la calzamaglia nera che, sdraiati su un divano, forse dormivano o forse avevano perso conoscenza. Passò loro accanto con la sua giacca da ussaro come un personaggio solitario sopravvissuto alla storia.
Alloggiava in un albergo vicino a Queen's Gate, in una stanza disadorna. Rimase sdraiato sul letto a chiedersi se si sarebbe ricordata di lui. Era stata una serata stupenda. Erano quasi le quattro del mattino ed era stanco. Cadde in un sonno profondo dal quale si risvegliò quando il sole era già alto e penetrava attraverso la finestra riempiendo tutta la stanza. Gli edifici al di là della strada erano inondati di luce.
E.G. Armour era nell'elenco del telefono. Diviso tra desiderio e incertezza, Bowman cercò di racimolare il coraggio di chiamare. Era un'iniziativa azzardata, ne era consapevole, e mentre si vestiva oscillò tra il sì e il no una decina di volte. Avrebbe risposto lei al telefono? Alla fine prese in mano il ricevitore. Sentì che squillava, ma non sapeva dove. Dopo parecchi squilli una voce maschile disse: «Pronto? » «La signora Armour, per favore. » Era sicuro che quell'uomo sentisse il battito del suo cuore.
«Sì, chi parla? » «Philip Bowman. » Il ricevitore fu appoggiato, Bowman sentì chiamare il nome di lei. Il suo nervosismo aumentò.
«Pronto » disse una voce fredda.
«Enid?» «Sì? » «Uhm, sono Philip Bowman.» Iniziò a ricordarle chi era, dove si erano conosciuti.
«Sì, certo» lo interruppe lei come se fosse scontato.
Bowman le chiese se voleva pranzare con lui, perché se non lo avesse fatto non se lo sarebbe mai perdonato.
Ci fu una pausa di silenzio.
«Oggi? » domandò lei.
«Sì. » «Be', dopo l'una, però. Prima non posso. » «Va bene. Dove ci vediamo? » Lei suggerì San Frediano, in Fulham Road, non lontano da casa sua. Fu lì che Bowman, che era arrivato al ristorante prima di lei, la vide entrare e camminare tra i tavoli. Indossava un pullover grigio e una specie di giacca di pelle e sembrava una donna inavvicinabile, poi finalmente lo vide. Lui si alzò in piedi un po' goffamente.
Enid sorrise.
«Ciao» disse.
«Ciao » rispose lui.
All'improvviso la sua virilità sembrò risvegliarsi, come se fino a quel momento fosse rimasta nascosta dietro le quinte in attesa di entrare in scena.
«Avevo paura di chiamarti» disse.
«Davvero?» «È stato un gesto sovrumano. » «Perché?» Lui non rispose.
«Sei poi riuscito a parlare con qualcun altro ieri sera? » «Solo con te » disse.
«Non ci credo.» «È vero.» «Non ti si direbbe tanto riservato. » «Non lo sono. Semplicemente, non ho trovato nessuno con cui parlare. » «Sì, con tutti quei sultani e quelle Cleopatre.» «È stata una serata fantastica.» «Penso di sì» disse lei. «Raccontami di te. » «Probabilmente non sono molto diverso da come mi vedi. Ho trentaquattro anni. E, come avrai capito, sono un po' impaurito.» «Sei sposato? » chiese lei con noncuranza.
«Sì. » «Anch'io.» «Lo so. Ho parlato con tuo marito, credo. » «Sì, era lui. Sta partendo per la Scozia. Non andiamo molto d'accordo. Ho il sospetto che i termini del nostro matrimonio non mi fossero chiari, all'inizio. » «Quali sono? » «Che lui sarebbe stato costantemente in cerca di un'altra donna e che io avrei tentato di impedirglielo. È noioso. Tu sei in buoni rapporti con tua moglie? » «Fino un certo punto. »
«Quale punto?» «Non mi riferivo a un punto specifico. Intendevo dire, entro certi limiti. » «Non credo sia possibile conoscere davvero qualcuno. » Venne fuori che era nata a Cape Town, sui gradini dell'ospedale, il posto più lontano in cui sua madre era riuscita ad arrivare quella notte, perché faceva sempre fatica ad andarsene dalle feste. Però si considerava inglese; i suoi si erano trasferiti a Londra quando lei era piccola. Anche se non lo dava a vedere, era segnata da un dolore. Non era consapevole della sua bellezza. Suo marito, in effetti, aveva un'altra, una donna che forse avrebbe ereditato un po' di soldi, ma non era pronto per il divorzio. In ogni caso, Wiberg le aveva suggerito di non divorziare, non aveva un reddito e le conveniva rimanere dov'era, aveva detto. Si riferiva a uno stile di vita gradevole, socialmente elevato e molto decorativo, dal suo punto di vista.
«Che cosa ne pensi di Wiberg? » «È un uomo eccezionale» rispose lei. «Conosce tutti. È stato molto gentile con me. » «In che modo?» «Oh, in molti modi. Mi lascia vestire da pirata, per esempio. » «Ieri sera, vuoi dire. » «Ehm.» Gli sorrise. Bowman non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, il modo in cui muoveva la bocca quando parlava, il suo gesticolare leggero e incurante, il suo profumo. Sembrava parlare una lingua diversa, a lui del tutto estranea.
«Immagino tu sia attorniata da sciami di uomini. » «Non è sempre piacevole » rispose lei. « Vuoi sapere che cosa mi è capitato? Una cosa davvero terrificante. » Nei pressi di Northampton aveva avuto un incidente d'auto. Un po' scossa, era andata in un alberghetto della zona dove aveva cenato e bevuto un bicchiere di vino davanti al camino. Aveva preso una camera e quella notte, mentre si preparava ad andare a letto, aveva sentito due uomini parlare a bassa voce davanti alla sua porta. Stavano cercando di entrare nella sua camera. La maniglia della porta si muoveva. «Andate via! » aveva gridato. Nella camera non c'era il telefono, e forse loro lo sapevano. Attraverso la porta, le avevano detto di voler soltanto parlare con lei.
«Questa sera no. Sono molto stanca» aveva risposto. «Domani. » La maniglia della porta si era mossa di nuovo, la stavano forzando. Volevano solo parlare, l'avevano rassicurata, sapevano che l'indomani sarebbe partita.
Dopo un po' era sceso il silenzio. Lei era rimasta in ascolto accanto alla porta, poi, piena di paura, l'aveva socchiusa leggermente, e non vedendo nessuno aveva preso le sue cose ed era scappata. Aveva guidato come una pazza e dormito in automobile, vicino ad alcune case in costruzione.
«Be', sei una donna fortunata» disse Bowman. Le prese una mano, era affusolata. «Fammi vedere» disse. «Questa è la linea della vita » proseguì sfiorandole il palmo con un dito. « Indica che vivrai molto a lungo, oltre gli ottant'anni, direi. » «Non posso dire di augurarmelo.» «Be', magari cambi idea. Qui vedo dei figli. Hai figli? » «No, non ancora. » «Ne vedo due o tre. Qui la linea si spezza un po', è difficile capire che cosa significhi esattamente. » Rimase seduto tenendole la mano, che si chiuse affettuosamente intorno alla sua per un istante. Lei sorrise.
«Mi fai un favore? » disse. « Quando avremo finito di mangiare, ti va di rimanere con me ancora qualche minuto? Ho visto un vestito che mi piace tantissimo in un negozio a pochi passi da qui. Se lo provo, mi dici se mi sta bene? » Nel negozio piccolo ma alla moda provò non uno ma due vestiti, uscendo da dietro la tenda e girandosi leggermente prima su un fianco e poi sull'altro. La spallina bianca del reggiseno che infilò sotto il bordo del vestito come un ripensamento sembrava un segno di purezza. Quando lo salutò, lui si sentì come alla fine di uno spettacolo. Come uscire da teatro e trovarsi di nuovo in strada. Mentre camminava si fermò diverse volte a osservare il proprio riflesso nelle vetrine, come se volesse prendere le misure di se stesso. Si sentiva padrone della città, non la città vittoriana con i suoi interni di legno scuro e gli ingressi di marmo candido, gli alti autobus rossi che ti passavano accanto ondeggiando e un'infinità di porte e vetrine, ma di un'altra città, visibile eppure mai immaginata.
Lei accettò il suo invito a cena, ma era in ritardo, e dopo venti minuti in cui si sentì sempre più in vista, lì in piedi davanti al bar, Bowman decise che non sarebbe arrivata. Forse era a causa del marito o perché aveva cambiato idea ma, qualsiasi cosa fosse, lui ne era escluso. Si sentiva insignificante, persino banale, poi all'improvviso tutto cambiò.
«Scusa per il ritardo» disse lei. «Perdonami. È molto che aspetti? » «No, non importa. » I minuti della sua infelicità erano improvvisamente svaniti.
«Ero al telefono con mio marito, abbiamo litigato come al solito » disse lei.
«Per che cosa avete litigato? » «Oh, per i soldi, e il resto. » Indossava un tailleur e una camicia bianca. Dal suo aspetto la si sarebbe detta immune da qualsiasi difficoltà. Quando si sedettero, lei prese posto sulla panca contro il muro e lui sulla sedia di fronte, così poteva guardarla quanto voleva e apprezzare l'eleganza che sprigionava a beneficio di entrambi.
Mentre cenavano, lui chiese: « Ti sei mai innamorata perdutamente? » «Innamorata perdutamente? Mi sono innamorata, sì, certo. » «Intendo davvero perdutamente. In un modo che è impossibile dimenticare. » «È buffo che tu me lo chieda. » Si era innamorata perdutamente da ragazza, disse.
«Quanti anni avevi? » «Diciotto.» Era stata l'esperienza più straordinaria della sua vita. Le sembrava di essere sotto incantesimo, disse. Era successo a Siena, da studentessa, era lì con un gruppo di ragazzi e ragazze e non era del tutto consapevole dell'intensità di... C'era una ruota panoramica con la quale si saliva molto in alto e che a volte si fermava, e quella sera, lassù in cima al mondo, il ragazzo seduto vicino a lei le sussurrò appassionatamente all'orecchio le parole più emozionanti e impossibili. E lei si innamorò. Non c'era mai più stato niente di simile a quella notte, disse.
Mai più niente di simile. Bowman era scoraggiato. Perché lo aveva detto?
«Sai com'è» disse lei. «È una sensazione incredibile.» Si riferiva al passato, ma non solo... non ne era sicuro. La sua presenza era fresca, incontaminata.
«E incredibile, sì, lo so. » Appena lei ebbe chiuso la porta del suo appartamento lui la abbracciò e la baciò con passione, bisbigliandole contro la guancia parole incomprensibili.
«Che cosa hai detto? » gli chiese.
Lui non lo ripetè. Le stava aprendo il gancetto sul collo della camicia e lei non lo fermò. In camera da letto Enid si sfilò la gonna dai piedi. Rimase un attimo con le braccia incrociate sul petto, poi si tolse il resto. Una creatura gloriosa. In piedi davanti a lui, nuda nell'oscurità, c'era l'Inghilterra. Si capiva che si sentiva sola, era pronta per essere amata. Lui non era mai stato altrettanto sicuro di sé. Le baciò le spalle nude, poi le mani, le dita affusolate.
Si sdraiò sotto di lui. Lui si tratteneva ma lei gli fece capire che non era necessario. Non parlarono, lui aveva paura di parlare. Appoggiò la punta del cazzo su di lei ed entrò quasi senza sforzo, solo il glande, poi si fermò. Era padrone della propria vita. Raccolse le forze e lentamente la penetrò, affondando come una nave, strappandole un gridolino, il verso di una lepre, quando le fu dentro completamente.
Dopo, lei rimase sotto di lui e infine gli scivolò accanto.
«Mio Dio » disse.
«Che cosa? » «Sono bagnatissima. » Allungò una mano sul comodino e si accese una sigaretta.
«Fumi?» «Ogni tanto.» Gli occhi di lui si erano abituati al buio. Si inginocchiò sul letto per assaporarla. Non era più un preliminare all'atto sessuale. Non era esausto. La osservò fumare. Dopo un po' fecero di nuovo l'amore. La tirò sopra di sé tenendola per i polsi, come un lenzuolo stracciato. Enid cominciò a gemere, e di nuovo lui venne troppo presto, ma lei si lasciò ricadere su di lui. Siccome il lenzuolo era bagnato si spostarono su un lato del letto e si addormentarono, lui sdraiato accanto a lei come un bambino, totalmente appagato. Era diverso dal matrimonio, non era autorizzato, e tuttavia accadeva proprio grazie al matrimonio. Suo marito era in Scozia. Aveva dato un tacito consenso.
Al mattino lei stava ancora dormendo, le labbra socchiuse, come una bambina in estate, con i capelli corti e la schiena nuda. Si domandò se fosse il caso di svegliarla con una carezza, ma lei si svegliò da sola, forse aveva avvertito il suo sguardo, e allungò le gambe sotto il lenzuolo. Lui la fece girare sulla pancia come se gli appartenesse, come se avessero concordato che così era.
Bowman si sedette nella vasca da bagno, una vasca dura e grande come quelle degli alberghi sul mare, mentre l'acqua scendeva scrosciando. Il suo sguardo cadde su un paio di mutandine bianche stese ad asciugare sul portasciugamani. Sui ripiani e sul davanzale della finestra c'erano barattoli e bottigliette, lozioni e creme da donna. Li fissò, la mente alla deriva, mentre l'acqua calda saliva. Quando l'acqua gli coprì le spalle si lasciò scivolare in una specie di nirvana che non era basato sull'affrancamento dal desiderio bensì sulla sua realizzazione. Era nel centro della città, nel centro di Londra, sarebbe stata sua per sempre.
Con indosso una vestaglia chiara che le arrivava alle ginocchia, Enid versò il tè tenendo la mano sul coperchio della teiera. Era ancora presto. Lui si stava abbottonando la camicia.
«Mi sento come Stanley Ketchel. » «Chi è?» «Era un pugile. Ne hanno parlato tutti i giornali. Stanley Ketchel, il campione dei pesi medi, ieri mattina è stato ucciso da un colpo d'arma da fuoco sparato dal marito della donna alla quale stava preparando la colazione. » «Bello. L'hai scritto tu?» «No, è un famoso incipit. Mi piacciono gli incipit, sono importanti. Anche il nostro lo era. Difficile da dimenticare. Pensavo... Non so a che cosa pensavo, ma sicuramente conteneva la parola 'impossibile'.» «Mi pare che i fatti ti abbiano smentito. » «Sì. » Rimasero seduti in silenzio per un momento.
«A dire il vero, domani devo partire. » «Domani? » chiese lei. «Quando tornerai? » «Non lo so. Non ne sono sicuro. Dipende dal mio lavoro.» Aggiunse: «Spero che non ti dimenticherai di me».
«Puoi starne certo. » Bowman custodì quelle parole nella sua mente e tornò molto spesso ad accarezzarle, insieme a immagini di lei nitide come fotografie. Avrebbe voluto chiederle una foto ma si trattenne. Gliene avrebbe fatta una lui la volta successiva e l'avrebbe conservata in ufficio tra le pagine di un libro senza scriverci niente, né il nome né la data. Se qualcuno l'avesse trovata per caso e gli avesse chiesto: «Chi è?», gliel'avrebbe tolta dalle mani senza una parola.