13. Il paradiso terrestre
Nella casetta bianca di Piermont, insieme alla moglie e a Leon, Eddins conduceva la vita di un re filosofo. L'arredamento era ancora un po' spartano, due vecchie poltrone di vimini con i cuscini accanto al divano e un tappeto orientale liso. C'erano libri, comodini di bambù nella camera da letto e un'atmosfera armoniosa. Non mancava niente. Nella cucina, che fungeva anche da sala da pranzo, c'era il tavolo al quale mangiavano e dove Eddins spesso si sedeva a leggere con la sigaretta che bruciava nel bocchino di ambra e la sensazione della casa intorno, quasi sulle sue spalle, come se, mentre Leon e la moglie dormivano al piano di sopra, lui fosse Atlante, che sosteneva tutto.
Si vestivano in modo informale anche per andare in paese, Eddins avrebbe potuto essere scambiato per un imbianchino, diceva, lo stile del luogo sembrava richiederlo. Indossava un cappotto, la sciarpa, la giacca di un completo, pantaloni da ginnastica e un cappello di feltro, invece per andare in città si vestiva bene. Ci andava in auto, generalmente da solo, e ogni volta che attraversava il George Washington Bridge lo skyline meraviglioso della città lo esaltava. La notte, guidando più liberamente nel traffico sempre meno intenso via via che si allontanava dalla città, arrivava a casa ancora un po' carico dell'energia di Manhattan.
A lungo furono considerati una giovane coppia invidiabile, una coppia che non era schiava delle abitudini né dei rapporti famigliari, persino senza storia, e quando alle feste parlavano con qualcuno, lei, di nascosto, stringeva a lui il pollice. La sera se ne stavano sdraiati a letto ad ascoltare i cigolii della scala e a guardare la televisione, senza preoccuparsi quasi mai di dire a Leon di spegnere la luce. Le sere sul grande fiume silenzioso. Le sere in cui piovigginava. In inverno scricchiolava tutta la casa, e in estate sembrava di essere a Bombay. La presenza di Leon non consentiva più di sedersi nudi in giardino come facevano William Blake e sua moglie, ma lei aveva appeso sulla testiera del letto un piccolo cartello con la scritta Umda, un re o capo egizio, e Eddins dormiva soltanto con i pantaloni del pigiama.
A Piermont e a Grand View, il paese vicino, si erano fatti alcuni amici. Da Sbordone's una sera conobbero un pittore dall'aria vagamente addolorata che si chiamava Stanley Palm, assomigliava a Dante nel dipinto in cui incontra Beatrice per la prima volta e abitava sul fiume, in una casa di cemento con un piccolo studio su un lato. Era separato dalla moglie, Marian. Erano stati sposati per dodici anni e avevano una figlia di nove anni che si chiamava Erica. Erica Palm, pensò Eddins tra sé. Gli piaceva il suono di quel nome. Erica e Leon. Era un fatto insolito ma molto moderno, i genitori di entrambi erano divorziati o quantomeno non vivevano più insieme. Nel caso di Palm, era accaduto perché la moglie si era scoraggiata e aveva smesso di credere che lui potesse cambiare: non aveva futuro. Non aveva né una galleria a New York, né una reputazione. Insegnava tre giorni alla settimana nel dipartimento di arte del City College e passava il resto del tempo nel suo studio a dipingere quadri che a volte erano tutti di un solo colore.
Sebbene non avesse abbandonato del tutto le speranze, Palm non aveva molta fortuna con le donne. Non aveva fortuna soprattutto nei bar. In città si fermò a bere qualcosa e rivolgendosi a una donna che sembrava senza accompagnatore si avventurò a chiedere: « Sei qui da sola? » Bastava un'occhiata per capire che tipo fosse Palm.
«No. Il mio amico è andato a prendermi da bere» rispose lei.
Non vedendo nessuno, alla fine Palm domandò: «Da dove vieni? » « Dalla Luna » rispose lei con freddezza.
«Ah. Io da Saturno. » «Non stento a crederlo. » Era separato da più di un anno. Confessò a Eddins che faticava a raccapezzarsi. C'erano pittori di successo che non valevano più di lui. C'erano persone per cui tutto sembrava facile. Una sera, d'impulso, chiamò Marian.
«Ciao, piccola. » «Stanley? » «Sì ! » rispose in tono un po' minaccioso. « Sono Stanley. » «Per un attimo non ti ho riconosciuto. Hai una voce strana. » «Davvero?» «Hai bevuto? » «No, sono sobrio. Che cosa stai facendo?» chiese con più disinvoltura.
«Che cosa vuoi sapere di preciso? » «Perché non vieni qui? » «Venire lì?» Lui decise di insistere, adeguandosi allo spirito dei tempi.
«Ho voglia di scoparti » disse piuttosto velocemente.
«Santo cielo » disse lei.
«Dico sul serio.» Lei cambiò argomento, certa che lui avesse bevuto, o ascoltato qualcosa.
«Che cosa hai combinato in questo periodo? » gli chiese.
«Niente. Ho pensato a noi. Perché non sei un po' più comprensiva? » «Sono stata comprensiva. » «Mi sento molto solo.» «Non è solitudine.» «E come la chiameresti? » «Non posso venire. » «Perché no? Perché non vuoi essere buona? »
«Sono stata buona. Moltissime volte. » «In questo momento non mi aiuta » disse lui.
«Ti passerà. » Parlò con lui ancora un po'. Alla fine gli chiese se si sentiva meglio.
«No » rispose lui.
Un giorno, nella sala comunale dove era andato a portare alcuni inviti per una mostra alla quale partecipava, vide una ragazza con i capelli scuri e un maglione aderente che gli sembrò un tipo cordiale. Si chiamava Judy, era più giovane di lui ma parlarono per un po' e lei fu colpita dal fatto che fosse un pittore. Non aveva mai incontrato un pittore, disse. Gli diede un passaggio in automobile verso Piermont e mentre guidava, come se fosse in trance, lui allungò una mano e gliela infilò sotto la giacca di pelle come una rock star. Lei non obiettò e divenne la sua ragazza. Dopo un po' che stavano insieme lui le parlò del progetto di aprire un ristorante, come ce n'erano a New York, frequentati da pittori e musicisti. Sarebbe stato un ristorante italiano, e aveva già il nome: Sironi's, in onore di un pittore che ammirava.
«Sironi's?» «Sì!» Judy era entusiasta. Lo avrebbe aiutato in tutto, disse, e sarebbero diventati soci. Palm vedeva il suo sogno diventare realtà, uno di quei sogni che difficilmente si dimenticano. Sironi's sarebbe stato in paese, da qualche parte, ma forse anche lungo la 9W andava bene. Judy preferiva il paese, non le piaceva l'idea di essere lontana da tutto, soprattutto la sera tardi.
«Perché vuoi aprirlo lassù? » chiese.
«Be', affittano un vecchio posto proprio vicino a una curva. Anche a Marian non piaceva l'idea. » «Che cosa c'entra Marian?» domandò Judy.
Stanley sapeva che non sarebbero andati d'accordo e il fatto che Judy passasse la notte da lui lo metteva a disagio. Le aveva chiesto di parcheggiare l'auto sulla strada, un po' lontano da casa.
«Che cosa c'è di male? Hai paura che qualcuno mi veda? » «Non è per questo. È per Erica» rispose lui.
«Marian non lo sa che hai una fidanzata? E in ogni caso, che cosa gliene importa? » «Marian non c'entra niente e quello che pensa non ha nessuna importanza. Non me ne frega niente di quello che pensa. » «Sì, invece » disse Judy.
In realtà, a Stanley importava. Telefonava spesso alla moglie, e a volte capitava che lei lo chiamasse quando c'era Judy. Era palese con chi stava parlando in quei casi. Comunque lui era un artista, riteneva fosse suo diritto non doversi adeguare a comportamenti o modi di pensare borghesi. Chiese a Marian di scrivere una lettera in cui dichiarava che era libero di frequentare chiunque gli piacesse e di fare l'amore con chiunque gli piacesse, però lei si rifiutò di aggiungere in qualsiasi luogo e in qualsiasi modo gli piacesse.
Judy lesse la lettera e scoppiò a piangere.
«Perché piangi? » «Mio Dio!» «Perché? » «Hai bisogno del suo permesso.» Un incidente che non aveva nessuna relazione con il Sironi's mise fine al progetto, malgrado gli schizzi colorati della facciata e della zona bar fatti da Stanley. Il sindaco in carica da anni, un uomo sposato con molti parenti che abitavano nel paese, aveva una relazione con una cassiera della Tappan Zee Bank, e una notte erano stati sorpresi a scambiarsi effusioni sulla sua automobile da un poliziotto zelante che aveva puntato la torcia contro il finestrino. All'inizio la cassiera aveva sostenuto di essere stata violentata, poi ci aveva ripensato, e il sindaco aveva invano cercato di spiegare come stavano le cose al poliziotto, che sfortunatamente era il capo della polizia. I tentativi del sindaco di convincerlo a non stilare un verbale furono inutili, il caso generò un clima di ostilità che divise il paese in due blocchi contrapposti, con la moglie del sindaco schierata dalla parte della polizia, e condusse alla paralisi amministrativa. La concessione dei permessi per il Sironi's fu rimandata a tempo indeterminato.
Un giorno, a Manhattan, Eddins pranzò al Century Club, in una sala elegante piena di ritratti e di libri, con un agente letterario di successo, Charles Delovet, un uomo ben vestito che zoppicava leggermente a causa, si diceva, di un incidente sugli sci. Una delle sue scarpe aveva il tacco rinforzato, ma non si notava. Delovet era un uomo raffinato che piaceva alle donne. Aveva alcuni clienti importanti, Noél Coward, si mormorava, e uno yacht a Westport su cui in estate organizzava delle feste. Nel suo ufficio c'era un portacenere di ceramica che veniva dalle Folies Bergère, con le lunghe gambe di una ballerina in rilievo e sul bordo la scritta: Plaire aux femmes, ga coùte cher, le donne costano. Un tempo era stato editor e gli scrittori gli piacevano, li amava, in realtà. Aveva incontrato raramente uno scrittore che non gli piacesse o che non possedesse alcune delle qualità che apprezzava. C'erano tuttavia delle eccezioni. Odiava i plagiari.
«Penelope Gilliatt. Kosinski» disse. «Che imbroglioni.» Quando lavorava in casa editrice, precisò, comprava i libri. Ora che era un agente li vendeva. Era molto più facile che decidere se comprare o no e, soprattutto, dopo che si era venduto un libro non si avevano altre responsabilità. Era l'editore a farsi carico di tutto, e se il libro vendeva bene, andavi bene anche tu. Se invece non era così, c'erano sempre altri manoscritti, nel mondo. Inoltre, disse, avevi l'opportunità di osservare la crescita e i progressi di uno scrittore, si stabiliva una relazione.
Una delle innovazioni di Delovet era stata di rendere noto che tutti i dattiloscritti presentati sarebbero stati letti, nessuno escluso. Chiedeva un compenso. Aveva un gruppo di lettori che si occupavano di leggere e poi di scrivere le ragioni del rifiuto. Non abbastanza forte dal punto divista narrativo... Migliorando la definizione dei personaggi potrebbe trovare un editore... Alcune parti del testo ci sono piaciute molto... Non è esattamente il nostro genere... 'Fanculo il vostro genere! aveva risposto uno scrittore risentito.
Aveva avuto anche l'idea di mettere i libri all'asta anziché presentarli a un editore alla volta e aspettare la risposta, com'era la prassi. All'inizio gli editori si rifiutarono di partecipare alle aste ma a poco a poco ruppero le fila e accettarono di rilanciare le offerte se il libro prometteva bene o se l'autore era già famoso.
Quel giorno, a pranzo, la conversazione si svolse in tono cordiale e affettuoso. Furono il profumo dei soldi che emanava da Delovet, la giacca doppiopetto e la cravatta che sembrava essere stata annodata per la prima volta. Eddins scoprì di esserne attratto.
«Dimmi, Neil, quanto prendi? Com'è lo stipendio? » Ah! pensò Eddins. Aggiunse alla cifra un paio di migliaia di dollari e la comunicò senza esitazione. Delovet fece un gesto come per dire che era troppo poco. Potresti guadagnare di più, suggerì.
«Devo considerarla un'offerta? » chiese Eddins.
«Naturalmente » rispose Delovet.
Si accordarono all'istante su uno stipendio più alto.
Robert Baum sapeva che gli editor erano sempre pronti ad accettare uno stipendio o una posizione migliore. Contava sulla reputazione della casa editrice per compensare la differenza. Conosceva Delovet di persona e gli era giunta voce che alcuni degli scrittori che rappresentava non ricevevano i diritti d'autore dovuti, soprattutto per le vendite all'estero, più difficili da controllare. Di Delovet disse succintamente: «È un furfante».
Eddins andò dal barbiere e si comprò un impermeabile nuovo per l'autunno alla British American House. Intravedeva uno stile di vita che gli si confaceva. All'inizio si dedicò soprattutto a consolidare rapporti già esistenti, gli vennero affidati i clienti meno importanti, tra cui un paio di scrittori del Sud, uno dei quali aveva esordito come predicatore in Missouri, ed era dotato, secondo Eddins, di un talento naturale.
Teneva i contatti per corrispondenza. Eddins scriveva le lettere a macchina oppure le dettava a una segretaria e informava gli scrittori che il loro racconto era stato rifiutato, a volte includendo alcune parole di incoraggiamento di un editor. Avrebbero potuto provare con «Harper's», o con «The Atlantic», suggeriva. Cercava di consolarli. Si affezionava agli scrittori, in particolare agli alcolisti o a quelli che avevano il suo accento. L'ex predicatore aveva scritto un racconto molto commovente che parlava di una donna sposata, magra e ossuta, che abitava in una fattoria e di una scrofa cieca, ma nessuno sembrava interessato. Flannery O'Connor aveva esaurito tutte le possibilità di pubblicare racconti ambientati nel Sud, commentò risentito lo scrittore.
Eddins li comprendeva bene. Non gli riusciva difficile immaginare l'accento strascicato delle loro voci. Sulle buste che inviavano c'era la scritta: zona rurale, esente da bollo. Oltre all'ex predicatore, c'era uno scrittore che abitava in aperta campagna insieme all'anziano padre. Eddins sentiva di deluderli. Dovevi fare quello che ti era richiesto, era la regola. Se ci si aspettava che a cinque anni tu andassi nei campi a lavorare, ci andavi e probabilmente ti trovavi bene. Se ti chiamavano nell'esercito per servire la nazione, ci andavi ma probabilmente non ti sarebbe stato di alcun aiuto, come era accaduto a suo padre e ai soldati prima di lui, che dopo la resa avevano camminato per centinaia di miglia prima di arrivare a casa a cercare di rifarsi una vita.
Un giorno Eddins arrivò al punto di suggerire a Delovet di spedire un piccolo acconto ai due scrittori, come si faceva a volte, e persino di dare loro uno stipendio mensile, ma l'idea non fu accolta. Lo yacht a Westport non aveva il motore, si scoprì, comunque Eddins lo venne a sapere molto dopo. Nel frattempo imparava caratteristiche e dettagli del lavoro dell'agente letterario. Dena veniva in città per dare un'occhiata in giro, come diceva lei, e per cenare, e un paio di volte nel fine settimana si fermarono a dormire tutti e tre in un grande albergo un po' decrepito all'inizio della Quinta Avenue.
Festeggiarono il Capodanno a Piermont, da Sbordone's, con Stanley e la sua fidanzata. La cameriera aveva male alle gambe e alla fine della serata era talmente stanca che si sedette al tavolo con loro. Il mattino del primo gennaio era silenzioso e soleggiato e Eddins si svegliò presto, felice di trovarsi nel proprio letto. Dena dormiva dolcemente, con un'espressione innocente e pacifica che non le aveva mai visto. Si sentiva esausto ma allo stesso tempo giovane, pieno di desiderio. Abbassò un po' le coperte e la accarezzò accompagnandola nel risveglio, le posò una mano sull'incavo della schiena e poi più in basso. La sua reazione lo spinse a proseguire. Leon era già sveglio, al piano di sotto, e diedero il benvenuto alla nuova alba stando attenti a non fare rumore. Poi rimasero mezzo addormentati stretti in un abbraccio. L'anno nuovo. Il 1969.