22. Sapore di mare
Christine andava sempre meno in città, eppure lei e Bowman erano come una coppia sposata, di quelle in cui marito e moglie si incontrano nel fine settimana. In campagna Christine si trovava bene, sembrava il tipo di vita adatto a lei. Si era fatta dei nuovi amici, molti dei quali erano diventati anche amici di Bowman, ed era una piacevole compagnia. La vendita della casa le aveva fruttato quasi quattromila dollari di commissione. Si offrì di aiutarlo a pagare il mutuo accollandosi i primi versamenti, visto che in realtà era lei ad abitarci.
Intorno a Thanksgiving andò a Wainscott a vedere una casa in costruzione e incontrò l'impresario edile, che era dentro a tagliare alcune assi. Lui smise di lavorare e spense la sega. Le chiese se poteva mostrarle la casa. La stava costruendo per venderla, disse, e dopo averla venduta probabilmente ne avrebbe costruita oppure ristrutturata un'altra. Dipendeva da come andavano le cose. Fecero il giro della casa. Lei aveva i tacchi alti e nel salire le scale non ancora sistemate dovette fare attenzione. Le case sembravano sempre magnifiche prima del montaggio delle pareti divisorie. Lui aveva un modo di parlare disinvolto e convincente e la invitò a pranzo per uno dei giorni seguenti, per discutere della vendita. La invitò con naturalezza, senza aggiungere altro.
Si chiamava Ken Rochet. Pranzarono in un ristorante di fronte al porto, un po' rumoroso, comunque riuscirono a conversare. Lui era venuto direttamente dal cantiere. Aveva ancora le mani impolverate di segatura. Indossava una polo azzurra. Sembrava a proprio agio nel mondo. Lavorava, leggeva, cucinava e aveva convissuto con alcune donne, cosa di cui in quel momento lei non sapeva niente. Provò nei suoi confronti un'attrazione simile a quella che aveva provato per suo marito, un'attrazione irresistibile, che non chiedeva l'autorizzazione di nessuno. Le piaceva quel tipo di uomo e basta. Era impossibile da descrivere. Forse a sedurla era stato l'azzurro della sua maglietta, sbiadito per gli innumerevoli lavaggi. Sebbene lui fosse più esperto del mercato immobiliare di come le era sembrato al primo incontro, fu comunque in grado di dargli dei consigli. Lui la osservò camminare verso il bagno delle donne e poi tornare al tavolo. Christine indossava un abito di cotone stampato. Lo guardò come se lei fosse un magnifico uccello piumato e lui la volpe.
La sua rudezza le piaceva. Era robusto e giocava come seconda base nella squadra locale di softball. Le cameriere dei bar e dei ristoranti lo conoscevano. Perciò, per evitare di incontrarlo in luoghi dove qualcuno potesse riconoscere la sua automobile, erano finiti in un ristorante che non era mai troppo affollato e si erano seduti a bere e a parlare al banco del bar lasciando le auto parcheggiate una accanto all'altra tra gli alberi. Scese la sera, si fece buio. Lei teneva il palmo della mano appoggiato sulla guancia, le dita affusolate aperte. Lui le raccontò di suo fratello e del terribile incidente che avevano avuto. Il fratello era sul sedile del passeggero. Quando era arrivato in ospedale - erano a Providence - i medici ne avevano decretato la morte cerebrale ma lo avevano tenuto in vita artificialmente per tre giorni. Infine la moglie aveva accettato il fatto che non ci fossero più speranze, ma aveva chiesto che gli prelevassero del liquido seminale perché non avevano figli e lei ne voleva.
« E alla fine cosa è successo? » « Un giorno te lo dirò » rispose lui.
«Dimmelo adesso. » « Hanno usato il mio. Ha usato il mio. » « Allora sei padre. » « Credo di sì, tecnicamente » disse.
«Non è solo una questione tecnica. » Quella prima sera, quando si salutarono, l'automobile di Christine non si mise in moto. Era la vecchia macchina di Bow-man, aveva più di dieci anni.
«Mi vuoi dire come mai guidi una Volvo? » le chiese Rochet.
« Non è mia » rispose lei.
«E di chi è?» «Questa è un'altra storia. Non me lo chiedere adesso. » «È un'automobile da vecchia coppia sposata» disse lui.
«Be', è stata comprata prima. Te ne intendi di macchine? » «Purtroppo sì.» Non era un guasto grave, si era allentato un morsetto della batteria. Lui lo raschiò con la punta di un coltellino e lo richiuse.
«Prova adesso.» L'automobile partì, e lei lo seguì verso l'uscita.
La sua casa aveva una piccola veranda che come quella di Christine non era mai chiusa a chiave. In effetti era una casetta per le vacanze, con due stanze al piano di sopra e due al piano terra. Lui aveva solo mezza bottiglia di vino, e lei gli tenne compagnia bevendo un bicchiere e sentendosi di nuovo come quando aveva diciannove anni.
« Togliti le scarpe, se vuoi » suggerì lui.
Lui si chinò e si tolse le sue. Rimasero seduti a piedi nudi a bere vino al buio. Le baciò la gola, e lei lasciò che le sfilasse la camicia. Fecero l'amore sul divano. Quando lo andò a trovare la volta seguente salirono di sopra. Doveva essere soltanto per dare un'occhiata, ma quando lei arrivò in cima alla scala si voltò verso di lui e lentamente si tolse gli orecchini. Lui le saltò addosso. Di solito si vedevano a casa di lui, ma non sempre. A volte andava da lei percorrendo il viale di accesso a piedi, dopo aver parcheggiato l'automobile sulla strada, per prudenza. Lei lo aspettava. Lui la seguiva in casa. Di chi è? le chiese la prima volta. La casa era piacevolmente anonima. Le pareti avevano bisogno di essere tinteggiate. Dopo che avevano fatto l'amore per ore lei si alzava dal letto con una sete terribile.
Bowman non ne sapeva niente e non sospettò mai. Vedeva se stesso come Eros e considerava Christine sua. Il piacere di possederla impregnava la sua vita, era una realtà semplice e giusta, per quanto incredibile. Adesso che finalmente era entrato a far parte del mondo segreto dei sensi, vedeva cose che non aveva mai visto prima. Un mattino, mentre andava al lavoro, passò davanti a un fiorista e nella penombra in fondo al negozio, tra il fitto fogliame, notò una ragazza con il busto piegato in avanti e, dietro di lei, la sagoma di un uomo che le si avvicinava. La ragazza cambiò leggermente posizione. Stava accadendo davvero, di mattina, si chiese Bowman, mentre il mondo quotidiano scorreva loro accanto? Una donna anziana gli si avvicinò e si fermò accanto a lui a guardare, e proprio in quel momento la scena cambiò. In realtà, la ragazza si era chinata a sistemare dei fiori, e l'uomo le era accanto, non dietro. Forse era stata una premonizione, almeno in parte, ma Bowman non era sensibile alle premonizioni.
La prima notifica lo raggiunse a Chicago, durante un convegno di librai. Era stata intentata una causa contro di lui. Christine rivendicava la piena proprietà della casa. Lui le telefonò immediatamente e lasciò un messaggio. Era pomeriggio inoltrato, lei non richiamò. Riuscì a parlarle soltanto il giorno seguente.
« Cara, che storia è questa? » chiese.
Il tono di Christine era distaccato.
« Ora non posso parlarne » rispose.
«Come sarebbe a dire?» «Semplicemente che non posso. » « Christine, non capisco. Mi devi spiegare. Cosa succede? » Il senso di confusione di Bowman fu improvviso e terrificante.
« Cosa succede? » chiese. « Qual è il problema? »
Lei rimase in silenzio.
« Christine ! » « Sì. » «Dimmi. Cos'è successo?» «Riguarda la casa» disse lei, come se finalmente avesse capito.
« Sì, questo l'ho capito. Ma qual è il problema? » «Non posso parlare. Devo andare.» «Per l'amor del cielo! » gridò lui.
Si sentiva annientato, provava la devastante sensazione di brancolare nel buio. Quando, di ritorno a New York, gli furono comunicati tutti i particolari, insistette perché si vedessero e e parlassero, ma lei non accettò di incontrarlo. Ma io ti amo, ti amavo, pensava lui. Christine era imperturbabile. Era fredda, com'era potuto accadere che il suo amore per lei avesse smesso di essere importante, che fosse ritenuto superfluo? Avrebbe voluto afferrarla per le braccia e scuoterla per farla ritornare in sé.
Christine sosteneva che la casa era sua e che era stata comprata a nome di entrambi solo perché lei non era in grado di ottenere un mutuo dalla banca. Gli faceva causa per aver disatteso l'accordo verbale che avevano stipulato e pretendeva la piena roprietà dell'immobile. L'avvocato di Bowman era di Southampton, un ex alcolista con i capelli argentei. Aveva già discusso cause del genere, disse che lei non aveva praticamente alcuna ossibilità di vincere.
«La legge contro le frodi» gli spiegò, «che risale alla notte dei tempi, dice che il trasferimento di proprietà richiede un contratto scritto. La nostra linea di difesa sarà questa. Ci appelleremo alla mancanza di un contratto del genere. Non esiste niente di scritto, vero? » « Assolutamente niente. » « La signora abita nella casa, adesso? » «Sì.» «Paga un affitto? » «No. Lei è... viviamo insieme.»
«Avete una relazione. » « Non più. » Bowman la rivide per la prima volta al processo. Lei evitò di guardarlo. Il suo avvocato affermò che era la legittima proprietaria della casa e che l'atto di compravendita a nome di Bowman serviva soltanto per agevolarla.
La giuria, che fino ad allora aveva ascoltato distrattamente le dichiarazioni degli avvocati, quando lei si alzò per testimoniare sembrò risvegliarsi. Christine si era vestita con eleganza. Parlò della sua lunga ricerca di un immobile adatto, di come finalmente avesse trovato una piccola casa per sé e per la figlia, e dell'esplicito accordo verbale stipulato con Bowman, che ne attribuiva a lei la piena proprietà. Lei ci abitava e ne pagava il mutuo. Ascoltando le sue menzogne Bowman provò una inesprimibile indignazione. La comunicò al suo avvocato con uno scambio di sguardi, ma l'avvocato rimase imperturbabile.
Alla fine, in ogni caso, si trattava della parola di Christine contro quella di Bowman, e la giuria decise a favore di lei. Le venne riconosciuto il titolo di proprietà. La casa era perduta. Bowman seppe soltanto in seguito che c'era un altro uomo.
Si sentì stupido per non essersene accorto, un idiota, eppure c'era qualcosa di ancora peggiore, la gelosia. Pensare che lei stava con un altro, che un altro la prendesse, che godesse della sua presenza, della sua disponibilità, era devastante. Di colpo gli era crollato il mondo addosso. E pensare che si era sentito superiore agli altri, che aveva creduto di saperne di più, che li aveva persino compatiti. Tra la sua vita e quella degli altri non c'era alcuna relazione... la sua era di una qualità diversa. Se l'era inventata. Aveva costruito un sogno intorno a se stesso, si era buttato con incoscienza di notte, nel mare agitato, come un poeta o un surfista californiano, come un matto. Eppure, c'erano state anche mattine molto reali, mattine in cui il mondo dormiva ancora e lei dormiva al suo fianco. Poteva accarezzarle il braccio, poteva svegliarla, se lo voleva. Quel ricordo lo faceva stare male. Tutti quei ricordi gli facevano male. Un giorno, pensando alle cose che avevano fatto insieme, Christine avrebbe capito che lui era l'unica persona veramente importante della sua vita. Un'idea sentimentale, materiale da romanzo rosa. Lei non si sarebbe mai guardata indietro. Lo sapeva. Lui rappresentava per lei poche brevi pagine. Forse neppure quelle. La odiava, ma che cosa poteva fare?
«Può sembrare strano» si diceva, «ma la desidero ancora. Non posso farci niente. Non ho mai pensato di uccidere qualcuno, eppure in quell'aula di tribunale l'avrei uccisa. Era consapevole fin dall'inizio di quello che stava facendo, non ci potevo credere. » Si sentiva umiliato. Era una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Non riusciva a smettere di tormentarsi. Cercava di pensare a dove aveva sbagliato. Non avrebbe dovuto lasciarla vivere in campagna da sola, darle l'occasione di incontrare quell'uomo. Non avrebbe dovuto fidarsi tanto di lei. Per quanto impossibile, non avrebbe dovuto diventare schiavo del piacere che lei gli dava. Non ne avrebbe mai più incontrata un'altra come Christine, e a Christine non importava niente di lui. Sarebbe stato meglio se non l'avesse mai conosciuta. Ma che senso aveva tutto questo? Il giorno in cui si erano incontrati era stato il più fortunato della sua vita.