29. Fine dell'anno
Il paese sarebbe stato noioso senza di lei e il suo desiderio di vivere una vita in qualche modo diversa. Era stanca di quella che aveva condotto fino a quel momento. Anche se era quasi sempre riuscita a tener vivo il suo entusiasmo, gli incontri fatti non erano stati felici. Aveva avuto una breve relazione con un antropologo invitato a insegnare al college per una settimana, che l'aveva conosciuta il primo giorno. Non ne parlò a Bowman, al quale era fedele in un modo più profondo, anche perché la relazione era durata solo dal lunedì al venerdì. Se ne era già pentita. Una sera Bowman andò a prenderla a casa e notò casualmente un libro che l'antropologo aveva scritto e le aveva regalato. Mentre lei stava finendo di vestirsi, si era interrogato sulla dedica volgare, ma quando lei arrivò richiuse il libro e non disse niente.
Lei andava a New York tutte le volte che poteva e si faceva ospitare da Nadine, la sua amica francese, e ascoltava i racconti delle sue disavventure amorose. Robert Motherwell le aveva chiesto di diventare la sua amante, ma lei aveva insistito perché si sposassero e così non era successo niente. In realtà, un marito ce l'aveva già, ma stava aspettando il divorzio.
«Quello è stato l'errore più grande della mia vita, de toute ma vie» disse con il suo leggero accento. «Se avessi accettato, starei peggio di come sto adesso? Avrei almeno i ricordi di una storia d'amore, i souvenirs. Ora invece non ho né marito né ricordi. » Aveva cinquantadue anni, ma si comportava come se fosse più giovane.
« Da ragazza ero così ingenua » disse. « Stenteresti a crederlo. Quando mi sono sposata avevo diciannove anni. A quel tempo non sapevo niente, assolutamente niente. » Quando suo marito non era pronto per fare l'amore, disse, lei non ne capiva il perché.
«Da ragazzina inesperta quale ero, credevo che fosse sempre duro. » Rise della propria ingenuità. «Poi ho imparato qual è la cosa più importante. » « Sì? » chiese Katherine. « E qual è? » «Vuoi davvero saperlo? » «Sì. Dimmelo.» «Non dare mai agli uomini il meglio di te» rispose Nadine. «Poi se lo aspettano sempre. » «Sì, è esattamente l'errore che faccio io. » «Non puoi mai rilassarti» disse Nadine. «Naturalmente, a volte non puoi farne a meno, ma non è una buona cosa. » Katherine riferì quella conversazione a Bowman mentre mangiavano ostriche, bevendo qualcosa. Si fidava di lui. Parlare con lui le piaceva molto.
« Hai mai pensato di scrivere? » gli chiese.
«No. Un editor deve fare l'opposto. Deve essere disponibile nei confronti della scrittura degli altri. Non è la stessa cosa. So scrivere. All'inizio volevo fare il giornalista. Posso scrivere le quarte di copertina, ma niente di veramente brillante. Per scrivere qualcosa di brillante bisogna dimenticare come scrivono gli altri. » « Hai degli autori preferiti? » «Cosa intendi?» «Tra quelli con cui hai lavorato. » Dopo un istante lui rispose: « Sì ».
« Chi? » «Be', la scrittrice che stimo di più abita in Francia. Vive lì da anni. La vedo molto raramente, ma sempre con grande piacere. Come si suol dire, è sublime. » «Dev'essere straordinaria» riuscì a dire Katherine.
«Sì. Dedita al lavoro e straordinaria.» « Come si chiama? » «Raymonde Garris. » Katherine aveva già sentito quel nome. Le piaceva tantissimo. Doveva essere il nome di una donna dal fascino indescrivibile. Sarebbe stato bello conoscerla. Conoscere uno qualsiasi di quegli autori. Poi una sera a cena c'era Harold Brodkey, che aveva scritto quel lungo racconto sugli orgasmi. Harold Brodkey! Non vedeva l'ora di raccontarlo a Claire.
O di raccontarle di essere stata alla Frick Collection.
Indossava un nuovo paio di scarpe rosse che le andavano troppo strette. Per concedersi un po' di sollievo era andata in bagno e se le era tolte.
«Ti è piaciuta?» chiese lui mentre stavano per uscire dal museo.
«Sì. Veramente fantastica» rispose lei. «Si imparano così tante cose. » « Che cosa vuoi dire? » «Non saprei. Si impara cosa indossare quando si posa per un ritratto. O come tenere in braccio un cane. » Lui la guardò con disapprovazione.
« Lo sai che non capisco niente di arte » disse lei. « Solo quello che mi racconti tu. » Non lo diceva con ironia. Le piaceva l'autorità maschile, soprattutto quella di Bowman.
« Nadine sarà molto sorpresa quando le racconterò che siamo stati alla Frick. Pensa che io vada per bar a mostrare le cosce. » Uscirono insieme nella luce del tramonto. Lei lo teneva a braccetto. Il cielo era di un blu intenso, carico di pioggia, era già sceso quasi completamente il buio, ma le nuvole erano ancora luminose. Le finestre degli edifici sulla Quinta Avenue e sull'altro lato del parco erano tutte accese.
Verso la fine dell'autunno, un venerdì sera, lo incontrò al bar dell'Algonquin Hotel che Bowman frequentava volentieri. Il bar si trovava dietro la reception, era una saletta simile a quella di un club, e spesso a quell'ora era affollato. Sembrava che nell'albergo ci fosse una grande festa, con le persone che si riversavano dagli ascensori e dalle camere, ma il bar era un rifugio tranquillo, nonostante fosse pieno di gente. C'erano molti uomini in giacca e cravatta. Lei aveva appena letto L'amante di Marguerite Duras e continuava a parlarne.
«Mio Dio, la descrizione della ragazza non ti ha impressionato tantissimo? Sul traghetto con un vestito di seta color seppia. Era lei, Marguerite Dura. » «Durai» la corresse Bowman.
«Durai? Si dice così? » « Sì. » «Pensavo che in francese la s finale non si pronunciasse» disse lei con un tono lamentoso.
Lui non riuscì a non commuoversi della sua ingenuità.
«Bowman? » chiamò qualcuno dietro di loro. « Sei tu? » Si sentì una forte risata.
«Santo cielo! » esclamò Bowman.
« Scusi, signore, lei non è Phil Bowman? » Era Kimmel, allampanato, sorridente, un po' invecchiato e con la pancetta. Bowman provò una strana sensazione di calore.
«Vedi, te l'avevo detto» disse Kimmel rivolgendosi alla donna bionda che era con lui.
«Che cosa ci fai qui? » chiese Bowman.
Kimmel scoppiò in un'altra fragorosa risata e si piegò in due dal ridere dondolando le braccia.
«Kimmel, che diavolo ci fai qui?» chiese ancora Bowman. « Non posso crederci. » «Lei chi è?» disse Kimmel ignorandolo. «È tua figlia? Io e tuo padre siamo stati in Marina insieme. » Si girò verso la bionda. «Donna, voglio presentarti un mio vecchio amico, Phil Bowman, e sua figlia... scusami, non ho capito il tuo nome» disse con un sorriso adulatorio.
« Katherine. Non sono sua figlia. » « Lo so bene » rispose Kimmel.
«Io mi chiamo Donna» disse la sua compagna presentandosi.
Aveva un viso attraente e sembrava un po' troppo grassa per avere gambe così esili.
«Che cosa fai a New York? Dove abiti? » chiese Bowman.
«Siamo qui per un breve viaggio di affari» rispose Kimmel. «Abitiamo a Fort Lauderdale. Prima vivevamo a Tampa, poi ci siamo trasferiti. » « A Tampa c'è il mio ex marito » disse Donna.
«Racconta un po' con chi eri sposata» disse Kimmel.
«Oh, a loro non interessa. » « Sì che gli interessa. Era sposata con un conte. » «Avevo ventotto anni, sai?» disse lei rivolgendosi a Katherine. «Non ero mai stata sposata, e a Boca Raton ho incontrato questo tipo alto con la Porsche. Era tedesco e aveva un sacco di soldi. Abbiamo cominciato a vederci e ho pensato, perché no? Mio padre mi ha praticamente diseredata. Io sono andato fin laggiù per ammazzarli, disse, e tu ne sposi uno. Dopo le nozze si è scoperto che non aveva un soldo, era sua madre quella ricca. Lei con me parlava solo in tedesco. Ho cercato di imparare il tedesco, sai?, ma era troppo difficile. Lui era un tipo gentile, però il matrimonio è durato appena due anni. » «E voi due vi siete incontrati in quel periodo? » chiese Bowman.
« No, non subito. » «Per un po' Donna è stata molto vicina al governatore» disse Kimmel.
« Cosa dici? » disse lei.
« Che ne è stato di Vicky? » chiese Bowman.
« Vicky? » « A San Diego. » «Sai, l'ho rivista» rispose Kimmel. «Era ovvio che non potesse funzionare. Lei era troppo borghese per me. »
« Borghese? » «E suo padre era un assassino. » Si girò verso Katherine. « Non so se tuo padre ti ha raccontato di quando faceva il gradasso nel Pacifico, durante la guerra. Ci preparavamo a invadere Okinawa. Tutti scrivevano lettere di addio, ma il servizio postale era interrotto. Erano tutti disperati. Il responsabile disse: Sottotenente Bowman! La nave è nelle sue mani. Vada a prendere la posta! Non c'è stato bisogno di aggiungere altro. Come in Un messaggio per Garda. » « Un messaggio per chi? » chiese Donna.
Kimmel rise.
«Fattelo spiegare da lui.» Si fece di nuovo serio e disse: «Dimmi, Phil, di che cosa ti occupi adesso? » «Lavoro in una casa editrice. » «Avrei scommesso che saresti finito a comandare la flotta. Sai, non sei cambiato. A parte l'aspetto.» «È vero» chiese Donna «che questo qui è stato scaraventato fuori dalla nave? » « Eravamo in tre » disse Kimmel. « Un record. » « Scaraventato non è la parola giusta » disse Bowman.
« Quella maledetta nave stava per saltare in aria. » «Be', siamo riusciti a riportarla in porto. Brownell e io. » «Brownell! » gridò Kimmel.
Guardò l'orologio.
«Ehi, dobbiamo sbrigarci. Abbiamo i biglietti per uno spettacolo. » «Che cosa andate a vedere? » domandò Katherine. ' «Che cosa andiamo a vedere? » chiese lui a Donna.
«Evita.» , « Ecco fatto. È stato bello incontrarvi. » Si salutarono stringendosi la mano e quando furono vicini alla porta Kimmel gli lanciò ancora un blando arrivederci. Donna lo imitò.
Un attimo dopo erano spariti. Il passato era ritornato così all'improvviso. Era come se ora fosse lì ai suoi piedi, quel passato dimenticato. Bowman si sentiva stranamente più leggero.
«Chi era? » chiese Katherine.
«Era il Cammello» rispose Bowman.
Non riuscì a trattenere un sorriso.
«Chi?» «Bruce Kimmel. Il mio compagno di cabina, sulla nave. Tutto l'equipaggio lo chiamava Cammello. Camminava come un cammello. » «Sei stato in Marina» disse lei. «Non lo sapevo. Durante la guerra. » « Sì. Eravamo insieme. » «E com'era?» «È difficile da spiegare. Avevo persino pensato di rimanere in Marina. » «Mi piaceva sentirvi parlare, tu e Cammello. Siete stati insieme per molto tempo? » « Sì, per un bel pezzo. Poi, mentre eravamo sotto attacco in mezzo all'oceano, è saltato giù dalla nave. È stata l'ultima volta che l'ho visto. » «Fino a questa sera? Davvero incredibile. » Nadine era molto ansiosa di conoscere Bowman, finalmente. Katherine sarebbe venuta in città qualche giorno prima di Natale per andare con lui a una festa, che si augurava diventasse qualcosa di più. Tutto sembrava indicare che sarebbe stato così. Lui non usciva con nessun'altra, ne era certa, e Natale era come il martedì grasso, alle feste poteva accadere qualsiasi cosa. Le feste di Natale non erano come le altre, erano più allegre e più affettuose.
Le previsioni del tempo davano neve per quel giorno e questo rendeva tutto ancora più bello. Forse dopo la festa non sarebbe riuscita ad andare da Nadine. Il mattino seguente avrebbe indossato l'accappatoio di lui e insieme avrebbero osservato la città imbiancata dalla finestra.
Con la neve in arrivo, li avevano lasciati uscire prima dal lavoro. Lei si affrettò verso casa. Aveva già cominciato a nevicare. Non avrebbe mai immaginato che la neve potesse interferire con i suoi piani. Deborah entrò per informarla che sulle strade ne erano già scesi cinque o sei centimetri, avevano già annunciato che l'autobus in partenza alle quattro avrebbe subito un ritardo. Un'ora più tardi Katherine fu costretta a telefonare per dire che non ce l'avrebbe fatta a raggiungere Manhattan.
« Oddio » gridò, « è una cosa terribile. » « Ma è solo una festa » disse Bowman ignaro di tutto quello che significava per lei. «Non è così grave. » «Sì, invece» piagnucolò lei.
Era sconvolta. Inconsolabile.
Quella sera a New York nevicò intensamente, stava per arrivare una forte tempesta. Alcuni ospiti erano in ritardo, altri avevano deciso di rinunciare alla festa, molti erano già arrivati. I cappotti e gli stivali delle donne erano impilati nella camera da letto. Un pianoforte suonava. Il servizio degli autobus era stato sospeso, diceva qualcuno. La stanza era zeppa di persone che parlavano e ridevano. Sul lungo ripiano comunicante con la cucina erano allineati vassoi pieni di cibo. Un intero prosciutto glassato era già stato tagliato e mangiato. Alla televisione due annunciatori, un uomo e una donna, seguivano l'avanzata della tempesta, ma il rumore della stanza soffocava le loro voci. Fuori, la neve che cadeva sempre più fitta trasmetteva una strana sensazione di irrealtà. Era quasi impossibile vedere al di là della strada. Oltre i bianchi sipari mossi dal vento si scorgevano solo le luci degli appartamenti più vicini.
Bowman era in piedi vicino alla finestra. Era ipnotizzato dal ricordo di Natali passati. Pensava all'inverno di guerra, in mare, lontano da casa, con la radio delle Forze Armate che suonavano i canti natalizi, Astro del ciel, e tutti che pensavano ai propri cari lontani. Con la sua nostalgia profonda e i suoi aneliti senza speranza, era stato il Natale più romantico della sua vita.
Alle sue spalle, anche un'altra persona osservava in silenzio la neve oltre la finestra. Era Ann Hennessy, un'ex assistente di Baum che ora lavorava in un'agenzia pubblicitaria.
« La neve a Natale » osservò Bowman.
«È magnifico, vero?» « Quando si era bambini, vuoi dire. » « No, sempre. » In cucina stavano ridendo. Un attore inglese era appena arrivato dal teatro dove recitava, indossava un cappotto con il collo di pelliccia. Il padrone di casa era andato a dargli il benvenuto e a salutare gli ospiti spaventati all'idea di non riuscire a tornare a casa.
«Credo sia il caso che anch'io me ne vada prima che il tempo peggiori» decise Bowman.
«Sì, anch'io vado» disse lei.
«Dove vai? Spero di riuscire a trovare un taxi. Ti do un passaggio. » « No, grazie » disse lei. « Prendo la metropolitana. » « Oh, non te lo consiglio, stanotte. » «La prendo sempre. » «Potrebbero esserci dei ritardi. » « La stazione è solo a un isolato da casa mia » disse lei come per rassicurarlo.
Andò a salutare i padroni di casa. Bowman la osservò mentre prendeva il cappotto, sfilava da una manica la sciarpa di seta colorata e se l'avvolgeva con destrezza intorno al collo. Poi infilò i capelli sotto il berretto di lana. Si diresse verso la porta alzando il bavero del cappotto. Lui si avvicinò alla finestra sperando di vederla uscire dall'edificio ma, evidentemente, nella sua corsa solitaria verso casa si era tenuta vicino al muro.
In realtà, non era una solitaria. Per alcuni anni aveva avuto una relazione con un medico che aveva smesso di praticare. Era un uomo brillante - non sarebbe mai stata attratta da un uomo poco intelligente - ma instabile, con grandi sbalzi di umore. Nei suoi accessi di rabbia la assaliva e poi la implorava di perdonarlo. Ne era uscita emotivamente stremata. Era una ragazza cattolica del Queens, una studentessa eccellente, molto timida ma con la sicurezza di chi procede per la sua strada senza badare all'opinione altrui. Era stato lo stress causato dalla relazione con il medico a farle abbandonare il lavoro di assistente di Baum. Non aveva spiegato le ragioni della sua decisione. Si era limitata a dire che era al di sopra delle sue possibilità e Baum, che la conosceva bene, lo aveva accettato insieme al fatto che evidentemente aveva una vita privata difficile.
Bowman non sapeva niente di tutto ciò. Provò per Ann uno strano sentimento di affinità, forse per via dell'occasione romantica o di una grazia che notò in lei per la prima volta. Era contento di non averla accompagnata a casa e di non averla neppure vista uscire dall'edificio. La neve continuava a cadere, qualcuno lo stava chiamando.