27. Perdono

 

 

Atterrarono di mattina presto e dal momento in cui scesero dall'aereo le sembrò che anche l'aria fosse diversa, ma forse era soltanto un'impressione. Avendo solo bagagli a mano non dovettero mettersi in coda e i doganieri fecero loro pigramente cenno di passare. Nel grande atrio degli arrivi, mentre lui cambiava un po' di soldi, Anet notò quasi con sorpresa che tutti i quotidiani erano in francese. Uscirono e trovarono un taxi.

Parigi, la leggendaria Parigi, la stavano raggiungendo alle otto del mattino su un'autostrada che si riempiva progressivamente di traffico. Non si preoccuparono di parlare. Rimasero appoggiati allo schienale del sedile posteriore come avevano fatto la prima notte. Lui aveva l'abito un po' sgualcito, il colletto della camicia sbottonato. Guardava fuori dal finestrino come un attore dopo lo spettacolo. Lei era allo stesso tempo un po' provata dal volo ed eccitata. Di tanto in tanto si scambiavano una parola o due.

Dopo un po' iniziò ad apparire il profilo delle case della banlieue, dapprima isolate e distanti le une dalle altre, poi raggruppate in isolati sempre più grandi, con i bar e qualche negozio. Si avvicinarono al centro città a passo d'uomo tra lunghe file di automobili, poi sui viali presero velocità. Arrivarono a un albergo in me Monsieur le Prince nel quartiere dell'Odèon. Su un lato della place c'era il ristorante dove lui aveva conosciuto Jean Cocteau, durante il suo primo viaggio a Parigi. Sull'altro lato c'era il boulevard con tutto il suo fermento.

La loro camera era a un piano alto e si affacciava su un grande spazio chiuso, il cortile di una scuola. Oltre i tetti, sul lato   opposto del cortile, c'erano altri tetti e camini e una miriade di stradine che in parte riconosceva. Rimasero in piedi davanti alla porta-finestra, protetta all'esterno da una ringhiera di ferro.

« Ti sembra familiare? » «Oh, no. Avevo cinque anni, quando sono stata qui.» «Sei stanca? Hai fame?» «Ho un po' di fame. » « Comincia a prepararti. Ti porto a fare colazione in un posto magnifico. » In una grande brasserie sul boulevard du Montparnasse, semideserta a quell'ora del mattino, insieme al caffè ordinarono succo d'arancia, croissant, burro, marmellata e quel pane che si trova solo in Francia. Poi si incamminarono verso Saint-Sulpice, percorsero alcune stradine, rue du Sabot, rue du Dra-gon, dove i negozi si aprivano uno dopo l'altro come fiori, e arrivarono al famoso Deux Magots, di cui lei però non aveva mai sentito parlare. Era una bellissima giornata. Si sedettero a bere un caffè e poi proseguirono camminando lungo stretti marciapiedi con le colonnine di ferro, spalla a spalla con studenti e anziane signore, fino al fiume, per vedere Notre-Dame. Le aveva mostrato soltanto una parte di quello che conosceva.

Quella sera andarono a cena da Bofinger, una specie di palazzo sempre affollato: la grande cupola sopra la sala centrale era un trionfo di luce, di rumore e di immensi vasi di fiori. Non c'erano tavoli liberi. Le persone, sedute a gruppi di due, tre, cinque, parlavano e mangiavano. Era un colpo d'occhio sorprendente.

«Io ordino una porzione grande òìfruits de mer» le disse. « Ti piacciono le ostriche? » «Sì. Forse» rispose lei.

Portarono un largo vassoio coperto di ghiaccio tritato con sopra alcune file di ostriche lucenti e gamberi, cozze e piccoli crostacei neri simili a lumache. I limoni tagliati a metà erano coperti da fazzolettini di garza, e c'era del burro e del pane scuro a fette sottili. Lui ordinò una bottiglia di Montrachet.

 

Lei assaggiò un'ostrica.

«Devi mangiarne due o tre per riuscire a capire se ti piacciono. » Le mostrò come fare. Prima, una spruzzatina di limone.

La seconda ostrica le piacque di più. Lui le mangiava più velocemente di lei, ne aveva già prese quattro o cinque. Una donna con i capelli biondo scuro seduta al tavolo vicino si sporse verso di loro.

« Scusate, come si chiama il piatto che state mangiando? » Per rispondere, Bowman dovette mostrarle il menu. Lei disse qualcosa all'altro commensale, poi si girò di nuovo verso di loro.

«Lo prendo anch'io» disse.

Dopo un po' la donna tornò a rivolgersi a loro. In un tono più familiare.

« Abitate a Parigi? » chiese.

« Siamo qui per pochi giorni. » «Anche noi» disse la donna.

Aveva il rossetto scuro. Era di Dusseldorf, spiegò.

«Leilavora? » chiese ad Anet.

«Scusi?» « Lavora? » « No. » «Io lavoro in un albergo. Sono la direttrice. » « Come mai siete qui? » « Siamo venuti a vedere Parigi » rispose lei. « Se vi capita di venire a Dusseldorf, potete alloggiare nel mio albergo. Tutti e due. » «È un bell'albergo? » chiese Bowman.

«Molto bello. Che vino state bevendo? » domandò lei.

Chiamò il cameriere.

«Porti un'altra bottiglia al loro tavolo» disse. «La metta sul mio conto. » Poco dopo diede loro il suo biglietto da visita. Era chiaramente per Anet.

 

Dopo che lei e il suo compagno se ne furono andati, loro bevvero la seconda bottiglia. C'erano ancora persone in piedi in attesa di un tavolo. Il rumore delle conversazioni e delle stoviglie non diminuì mai.

In taxi si accarezzarono a vicenda le mani. La città era luminosa e immensa. Percorsero viali con i negozi illuminati. In camera lui la abbracciò. Le sussurrò qualcosa e la baciò. Lasciò correre le mani lungo la sua schiena. Lei aveva vent'anni. L'aveva conosciuta quando era ancora più giovane, una ragazzina, alla sua festa di compleanno, quando lei e le sue amiche correvano al sole in maglietta e mutande sulla riva del laghetto e si spruzzavano l'un e l'altra gridando: faccia di merda! Si era sorpreso per quel linguaggio. La sollevò per posarla sul letto.

Questa volta fecero l'amore con piena consapevolezza. Lui appoggiò con forza le mani ai lati del suo corpo e si sollevò sulle braccia. La sentì gemere come una donna, ma non aveva finito. Si fermò per un momento e cominciò di nuovo. Continuarono a lungo. Lei era esausta.

«Non ce la faccio più» implorò.

Al mattino la camera era inondata di luce. Lui si alzò e accostò le tende, ma da uno spiraglio un raggio di sole filtrò all'interno attraversando il letto. Lui allontanò le coperte e lasciò che la striscia di sole le illuminasse il bacino. I peli del pube brillavano. Era ancora addormentata ma dopo un minuto o due, forse a causa dell'aria più fredda o forse percependo la propria nudità, si girò. Lui si chinò e le baciò il fondoschiena. Non era completamente sveglia. Le aprì le gambe e si inginocchiò nel mezzo. Non era mai stato tanto sicuro di sé, tanto tranquillo. Questa volta le entrò dentro con facilità. Il mattino con la sua calma. Rimase immobile, in attesa, a immaginare senza fretta tutto quello che sarebbe accaduto. Glielo comunicò. Senza muoversi, come se fosse proibito. Dopo un tempo che sembrò lunghissimo cominciò, dapprima lentamente, poi con l'infinita pazienza che a poco a poco veniva meno. Teneva la testa piegata come se stesse pensando. La fine era ancora molto lontana,  

Lontana, lontana. La striscia di sole si era spostata verso i piedi del letto. Pensò di potersi trattenere ancora, ma sentì che l'orgasmo stava salendo. Aveva una mano appoggiata sul suo corpo per evitare che si muovesse e le ginocchia premute contro le sue gambe. Le flebili grida dei bambini nel cortile della scuola. Santo cielo !

Dopo, lei fece il bagno. L'acqua era piacevole e calda. Si legò i capelli ed entrò nella vasca, prima le gambe e poi il resto del corpo. Era a Parigi con lui, in un albergo. Quello che stava succedendo era scandaloso, pensò. Si stupì di come fosse accaduto. Ma era anche perfettamente naturale, sebbene non sapesse spiegarsi il perché. Lavò via la fatica del viaggio, le tracce dell'amore, tutto, e tornò a sentirsi fresca per la nuova giornata. Dal letto lui percepiva quei suoni gradevoli. Era di nuovo la persona che era sempre stato, a Londra, in Spagna, sdraiato tranquillamente, e sazio, per così dire, di quanto aveva ottenuto.

«Mi piace questo albergo» disse lei uscendo dal bagno.

La Parigi che le mostrò era una Parigi di panorami e di strade, la vista del giardino delle Tuileries, verso place des Vosges, rue Jacob e rue des Francs-Bourgeois, i grandi viali con i negozi di lusso - il prezzo del paradiso -, la Parigi dei piaceri comuni e la Parigi dell'insolenza, la Parigi che dà per scontato che si sappia qualcosa o che non si sappia assolutamente niente. La Parigi che le mostrò era una città di memorie sensuali, che brillava nel buio.

Le giornate di Parigi. Evitarono i musei e il quartiere degli studenti, boulevard Saint-Michel e le folle indaffarate, ma la portò a vedere, in un palazzo di rue de Thorigny interamente dedicato a lui, i quadri e le incisioni - alcuni grotteschi, ma altri sublimi - che Picasso aveva fatto a Marie-Thérèse Walter durante la loro relazione, negli anni Venti e Trenta. Alcuni erano stati eseguiti in un unico, ispirato pomeriggio, o in pochissimi giorni. All'inizio della loro relazione lei si era dimostrata docile   e innocente, e Picasso le aveva insegnato a fare l'amore come piaceva a lui. Amava ritrarla in una posa pensierosa, oppure mentre dormiva, e quelle incisioni erano più belle di qualsiasi incarnazione, meritavano di essere venerate. In loro presenza le cose assumevano la loro vera importanza, rappresentavano la vita come doveva essere vissuta.

Nonostante Picasso l'avesse resa un'icona, lei non era interessata all'arte né ai gruppi a cui lui apparteneva, e alla fine lui le preferì un'altra.

Anet ripensava all'incontro che avevano avuto con una persona che a Philip piaceva molto, un editore, Christian qualcosa, un uomo imponente che aveva i capelli bianchi e si faceva fare la manicure. L'appuntamento era nel bar di un albergo non lontano dal suo ufficio, dove lui andava ogni pomeriggio dopo il lavoro a bere e a conversare, seduto in una delle poltrone di pelle. Le aveva dato l'impressione di un uomo forte, che profumava di sapone e di acqua di colonia. Riempiva la poltrona. Era simile a un grande animale sacro, un toro ingrassato, capace a malapena di muoversi nel box della stalla, ma bellissimo. Con loro fu cordiale, e parlò di Gide, di Malraux e di altri che lei non aveva mai sentito nominare.

«Mademoiselle, lei è una scrittrice? » le chiese.

« No » rispose lei.

«Le conviene fare attenzione a questo tizio» disse indicando Philip. «Lo sa, vero? » « Sì, lo so » disse lei.

Alludeva alla stessa cosa alla quale pensavano tutti e questo la imbarazzava un po', ma solo in alcuni casi. Nelle strade e nei ristoranti non si sentiva in imbarazzo, solo nei negozi.

Mentre tornavano verso l'albergo fecero una sosta, e lei ne approfittò per scrivere delle cartoline. La veranda del ristorante era separata dal marciapiede da pareti di vetro.

« A chi stai scrivendo? »  

Scriveva alla sua coinquilina - non la conosci - e a Sophie.

«Ah, ancora Sophie.» «È in gamba. Ti piacerebbe. » « Ne scrivi una anche a tua madre? » « Stai scherzando? Lei pensa che io sia occupata con un colloquio di lavoro. » Si interruppe e senza alzare lo sguardo dalla cartolina che stava scrivendo disse: «Sai, dovresti proprio dirmelo. Sei arrabbiato con lei? Sei riuscito a perdonarla? » « Ci sto provando » rispose lui.

Mentre erano lì seduti, lui fumava una sigaretta, una sigaretta francese. Sembrava più spessa delle solite sigarette. Se la portò alla bocca in modo un po' goffo, secondo lei, inspirò leggermente ed espirò lasciando che il filo di fumo azzurrognolo gli salisse lungo la faccia.

«Il fumo ti dà fastidio? » « No, ha un buon profumo. » « Non hai mai fumato, vero? » « No, a meno che per fumare si intenda un po' di erba. » « Una volta alle donne non era concesso. » «Vuoi dire che non glielo permettevano? » «Glielo permettevano, ma era considerato sconveniente. Le donne non fumavano mai in pubblico. » «E quando? Nel medioevo? » « No, prima della guerra. » «Quale guerra?» «La guerra mondiale. La prima. » «Non ti credo.» « È la verità. » « Incredibile » disse lei. « Fammi fare un tiro. » Prese la sigaretta, aspirò brevemente e tossì. Gliela restituì.

«Ecco.» «È forte, vero? » disse lui.

«Troppo forte.» Stavano andando a cena da Flo.

« Flow? » chiese lei. « Che cos'è? »  

Si trovava in fondo a una viuzza buia nella quale non ti saresti mai aspettato di trovare un ristorante. Finalmente ci arrivarono.

«Oh» esclamò lei quando vide l'insegna, «è questo. Flo. » « Infatti, la w non c'è » disse lui.

Il loro tavolo era troppo vicino alla cucina, ma fu una buona cena. Alla fine assistettero a una rissa. Ci fu un forte rumore di piatti rotti, poi videro una donna con un cappotto nero che gridava e colpiva il direttore. Lui cercava di spingerla fuori. Alla fine ci riuscì e mentre la donna era in strada a imprecare un cameriere le portò la sua borsetta. Lei gridò ancora qualcosa contro il direttore, che s'inchinò leggermente. Buonanotte, signora, le disse. A demain, disse.

Anet non aveva idea di dove si trovasse Flo. Era da qualche parte a Parigi. Non parlava francese, e la sua percezione della città si limitava ad alcuni viali senza inizio né fine, ad alcune fermate della metropolitana, ad alcune insegne - Taittinger, La Coupole - e alle vie che avevano attirato maggiormente la sua attenzione. Niente di tutto ciò formava un insieme organizzato, soprattutto di notte e dopo che aveva bevuto. Tornarono in albergo in taxi, i negozi scorrevano illuminati come sempre. Le sembrarono familiari, in un certo senso.

«Dove siamo?» chiese.

«Non riesco a leggere i cartelli. Forse in boulevard de Sebastopol. » «E dov'è?» «È un grande viale. Porta diritto al boulevard Saint-Michel. » Non lo avrebbe mai fatto, pensò. Da sola non lo avrebbe mai fatto. Le sembrò di nuovo tutto magnifico e così naturale. Se ne sarebbe ricordata a lungo. Probabilmente, volendo, poteva frequentarlo per qualche mese. Aveva già avuto alcuni ragazzi, almeno due, ma era stato diverso. Erano davvero molto giovani. Hai preso i preservativi? - al dispensario li distribuivano gratuitamente, però a volte li esaurivano. Ciascuno ne prendeva   una manciata, ma poi di solito finivano molto in fretta. Vide qualcosa di familiare e cercò di capire dove si trovassero. Stavano attraversando la Senna. Svoltarono in un'altra strada. Sopra gli edifici la cima della torre Eiffel, illuminata magnificamente, fluttuava nel buio.

In camera si sdraiò sul letto vestita e si lasciò spogliare. Lui la accarezzò a lungo e lei gli fece capire con chiarezza che era sua. Lui percorse la fessura del clitoride con la lingua. La girò, le appoggiò le mani sulle spalle e poi le fece scorrere lungo il suo corpo come se fosse il collo di un'oca. Quando finalmente entrò dentro di lei era come se parlasse. Pensava a Christine. Perdono. Voleva che durasse a lungo. Quando sentiva di andare troppo veloce, rallentava e ricominciava. Sentì che lei diceva qualcosa tra le lenzuola. La teneva sollevata per il bacino. Ah, ah, ah. Le pareti erano sul punto di crollare. La città si disintegrava come una stella morente.

«Mio Dio» disse lui dopo. « Anet. » Lei era distesa tra le sue braccia.

« Sei magnifica. » L'ora tarda. La completezza assoluta. Era stato fortunato, pensò. Dopo due o tre giorni, probabilmente, lei avrebbe cominciato a stancarsi di quella trama. All'improvviso si sarebbe resa conto di quanto era vecchio, di quanto le mancavano i suoi amici. Tuttavia sarebbe rimasto parte della sua vita. E anche della vita di sua madre. Le accarezzò i capelli. Lei scivolò in un sonno tranquillo.

Anet dormì fino alle nove. La camera era silenziosa. Lui era sceso a leggere il giornale, e lei si era girata dall'altra parte e aveva continuato a dormire. Quando uscì dal bagno notò un foglietto di carta appoggiato sul letto dal lato in cui dormiva lui. Lo prese e mentre lo leggeva si sentì esplodere il cuore. Si infilò velocemente i vestiti per scendere alla reception. L'ascensore era occupato. Non poteva aspettare, scese di corsa le scale.

«Ha visto monsieur Bowman?» chiese all'impiegato.

«Oh, sì. È partito.»  

« Partito per dove? » « Non lo so. Ha chiamato un taxi. » «Quando è successo?» «Un'ora fa. Forse di più. » Non sapeva che cosa fare. Non poteva crederci. Le era sfuggito qualcosa. Tornò in camera e si sedette sul letto con una sensazione terrificante. Si guardò intorno e vide che le cose di Bowman non c'erano più. Andò a vedere nel bagno. Anche lì non c'era più niente di suo. Fu colta da una sensazione di terrore. Era sola. Non aveva soldi. Prese di nuovo in mano il biglietto e lo lesse. Parto. Adesso non ho tempo di spiegarti. E stato molto piacevole. Era firmato con un'iniziale, P. Questa volta scoppiò a piangere. Si lasciò cadere sul letto senza rialzarsi.

Lui era andato in un autonoleggio e si era fatto dare una macchina, più grande di quella che voleva, ma non ce n'erano altre, e lo aspettava un lungo viaggio. Era uscito da Parigi da Porte d'Orléans e si era diretto a sud verso Chartres e poi verso città dove non era mai stato. Era una giornata soleggiata e limpida. Aveva la vaga intenzione di arrivare fino a Biarritz, con le sue due spiagge spiegate come grandi ali e le onde dell'oceano che si rompevano formando lunghe strisce bianche. C'era poco traffico. Si era svegliato presto e aveva raccolto le sue cose in silenzio. Lei dormiva, un braccio sotto il cuscino, una gamba nuda sopra il lenzuolo. La sua freschezza, anche dopo. Lui aveva perdonato sua madre. Vieni a prendere tua figlia, pensò. Si era fermato sulla porta e l'aveva guardata per l'ultima volta. Mentre aspettava il taxi, aveva pagato il conto. Non si era soffermato a immaginare che cosa avrebbe fatto lei.