Capitolo
ventiquattro
Nikki prese in mano la sua fotografia con
Martin e Hannah e le diede un bacio delicato. «Non ho creduto
neanche per un attimo che tu avessi potuto gettarti da quella torre
di tua spontanea volontà, amico mio, e di certo non davanti a quei
bambini».
Sentì un’ondata di ottimismo. Come Joseph
aveva detto, non sarebbe stato semplice, ma erano sulla buona
strada per ripulire il nome del suo vecchio amico dallo stigma del
suicidio.
Poi pensò a Joseph. Mentre rimetteva a posto
la cornetta, aveva sentito la sua frustrazione propagarsi
attraverso l’etere. Anche lei aveva rischiato di essere sospesa in
più di un’occasione. Aveva navigato troppo controvento e
infastidito un bel po’ di pezzi grossi, ma in qualche modo era
sempre riuscita a tenersi la posizione. Il che rendeva ancora più
difficile accettare che stesse accadendo a Joseph. Se avessero
punito lei, se lo sarebbe meritato. In passato aveva compiuto
azioni discutibili, barato, usato la prepotenza e violato le regole
pur di sbattere dentro gli spacciatori. Joseph al contrario era
sempre stato un agente modello, onesto, pieno di integrità e fibra
morale, eppure era il suo distintivo
che si trovava riposto nello schedario del commissario accanto a
mezza bottiglia di whisky.
Nikki scosse la testa. Non era giusto, ma
almeno grazie alla sua assenza forzata erano più vicini a fare
chiarezza su quell’insabbiamento sinistro e quelle spietate
uccisioni di persone innocenti.
Rivolse un lungo sguardo alla vecchia foto,
poi la rimise a posto sulla scrivania. Nel farlo, notò il pezzetto
di carta su cui aveva scritto l’indirizzo di Bryony Barton. Lo
prese e lo fissò. Joseph era sembrato soddisfatto del messaggio, ma
era stata davvero lei a spedirlo? Proveniva dal suo numero, ma
avrebbe potuto scriverlo chiunque. Nikki fissò il proprio
cellulare. Quante volte l’aveva lasciato incustodito sulla
scrivania?
Permettendosi di dimenticare Martin Durham per
la prima volta da giorni, tornò a guardare l’indirizzo. Al posto di
Joseph, sapendo che c’era un assassino in circolazione, non si
sarebbe mai accontentata di un messaggio. Nel modo più assoluto. E
Bryony risultava irraggiungibile da un po’, ormai. Forse troppo,
per essere tranquilli.
Nikki spinse indietro la sedia e si guardò
intorno nel suo piccolo ufficio. Qualcosa non andava. Con uno
sbuffo determinato, prese una guida del telefono dal cassetto.
Joseph le aveva detto che Bryony lavorava nel laboratorio per la
Sicurezza alimentare, e il numero doveva essere sull’elenco. Fece
scorrere un dito lungo la pagina, poi si fermò con un grugnito
soddisfatto.
Compose il numero e rimase in attesa.
«Mi spiace, ma oggi la signorina Barton si è
data malata. Se riguarda un campione da analizzare, posso passarle
il tecnico che si occupa del suo carico lavorativo».
Nikki fece una pausa, poi disse: «No, niente
del genere. Sono l’ispettore Galena, del CID di Greenborough, e ho bisogno di parlare con
il responsabile».
«Le passo il direttore del laboratorio».
Ci fu un lasso di tempo riempito da ticchettii
e una mescolanza di musichette metalliche, poi una voce profonda
disse: «Simon Lewis, come posso aiutarla?».
Nikki si presentò e disse che doveva mettersi
in contatto con Bryony Barton per una questione di una certa
importanza. Com’era naturale l’uomo si mostrò esitante, così gli
diede il numero della centrale e qualche minuto dopo lui tornò in
linea.
«A quanto ho capito il suo cellulare è guasto,
quindi se è possibile dovrei verificare con lei il suo indirizzo di
casa». Nikki lesse il numero civico che aveva, e Lewis le confermò
che era corretto.
«Non sono sicuro che il suo cellulare sia
guasto, però. Sono certo che quando ha chiamato per darsi malata il
numero sul display fosse il suo». L’uomo fece una pausa, poi
aggiunse: «Anche se a parlare è stato il suo amico».
Nikki sentì una scossa di allarme.
«Amico?»
«Sì, un uomo. Ma non mi piace essere
indiscreto. So pochissimo della sua vita privata, quindi ho dato
per scontato che fosse un partner».
Con la bocca secca, lei chiese: «Da quanto
tempo Bryony lavora per voi?»
«Ormai più o meno diciotto mesi, direi».
«Ed è popolare?»
«Molto. È una grande risorsa per la nostra
piccola squadra». Lewis fece una breve risatina. «Anche se sono
sicuro che non resterà qui a lungo. È troppo qualificata per
sprecare la vita a fare controlli di laboratorio su kebab
sospetti».
«In che senso qualificata?», chiese sospettosa
Nikki.
«È una scienziata biomedica, ispettore.
Specializzata in farmacocinetica».
«È una cosa complicata quanto sembra?»
«Direi proprio di sì, e Bryony è
straordinaria».
«E che cosa ci fa lì con voi?»
«Non è nulla di insolito, ispettore. Quando ci
sono ragazzini con il dottorato che riforniscono gli scaffali dei
supermercati, questo può essere considerato un buon lavoro. E lei
qui è molto felice».
Nikki lo ringraziò, ma prima di mettere giù
aggiunse: «Scusi la domanda, ma vi sta dando una mano a organizzare
un evento di beneficenza di qualche tipo?»
«La caccia al tesoro? Oh, sì, è per il
Butterfly Hospice. Vorrebbe fare una donazione?», chiese
speranzoso.
Un’immagine del suo padre malato le balenò
nella mente. «Certo. Segni venti sterline».
Qualcosa era terribilmente sbagliato. Lo
sentiva con la stessa chiarezza di quando un musicista stonava una
nota. Un suono metallico e stridulo, come una cacofonia di bugie.
Nikki aveva un sistema di allarme installato nella testa. Un sesto
senso per le storture.
E in quel momento la stava assordando. Era
quasi certa che Bryony nascondesse qualcosa, ma di qualunque cosa
si trattasse, poteva essere in grave pericolo.
Saltò in piedi e aprì la porta dell’ufficio.
«Yvonne! Svelta, prendi un paio di agenti e vai al 176 di Blackfen
Road. Chiamami appena arrivi e fammi sapere se Bryony Barton è lì
sana e salva, okay?».
La risposta giunse dieci minuti dopo.
«Non ci apre nessuno, signora. Il vicino dice
che non la vede da ieri mattina». Yvonne sembrava preoccupata.
«Dobbiamo entrare con la forza?».
Nikki pensò alle conseguenze nel caso in cui
si fosse sbagliata. «Sì. Fatelo subito».
Qualche istante dopo sentì diversi schianti,
poi un rumore di passi affrettati.
«La casa è vuota, signora», disse Yvonne. «Non
ci sono segni di colluttazione, ma faremo un controllo accurato e
riferiremo tra qualche minuto». La comunicazione s’interruppe e
Nikki dovette aspettare per quella che parve un’eternità prima che
Yvonne la richiamasse.
«Non c’è nulla che indichi qualche intenzione
di fuga, signora. Il portatile è ancora in standby, Sky+ è
impostato per registrare una lezione della Open University e nel
frigo ci sono cibo e latte fresco. E, cosa importante, gli abiti
sono ancora tutti appesi nell’armadio».
«C’è un’agenda o un calendario? Dobbiamo
sapere se aveva in programma qualche incontro».
«Nulla, signora. Ci avevo già pensato».
Nikki la ringraziò e le chiese di tornare in
fretta in centrale, e di portare il computer con sé. Sembrava che
Bryony avesse avuto tutta l’intenzione di tornare a casa, ma
qualcosa o qualcuno gliel’aveva impedito.
«Ha l’aria di averne bisogno, capo». Cat
Cullen le mise davanti una tazza di caffè.
«Hai proprio ragione». Nikki si massaggiò la
fronte.
Cat si appollaiò sul bordo della scrivania.
«Cosa la preoccupa?»
«Bryony Barton», borbottò lei. «Dovrebbe
essere al lavoro. E invece no. Al laboratorio credono che sia a
casa malata. Non è neanche lì. Nessuno è riuscito a contattarla per
parlarle di persona da ieri. Tutte le sue cose sono a casa. Perciò
non si è data alla fuga. In più…», fissò Cat, a disagio, «questa
mattina uno sconosciuto di sesso maschile ha chiamato il suo
ufficio usando il suo cellulare. E
questo mi inquieta davvero molto».
«Quindi dove diavolo è?»
«Vorrei saperlo, e stranamente pare che
l’ultima a vederla sia stata io».
«La preoccupa il suo legame con Joseph, e il
legame di Joseph con l’assassino
psicotico, vero?»
«Abbiamo perso le tracce di quella donna da
circa ventiquattro ore». Nikki rabbrividì. «È davvero
troppo».
«Joseph lo sa?»
«No. Ha ricevuto un suo messaggio
rassicurante, ma non sono così convinta che sia stata lei a mandarlo».
«Non dovremmo dirglielo?», chiese Cat.
«Joseph sta vivendo un momento molto buio,
Cat. Dovremo metterlo al corrente, certo, ma non riesco neanche a
immaginare come reagirà. Non solo…».
Prima che potesse continuare, il telefono
sulla scrivania squillò.
«Signora? Sono il sergente Conway. Due dei
miei agenti hanno appena risposto a una segnalazione per il 3 di
Granary Close, vicino Fishguard Avenue. La chiamata riguardava un
sospetto di furto, ma hanno rinvenuto il corpo di un maschio
IC12».
Nikki s’irrigidì. Non
adesso. «Per favore, non dirmi che ha capelli biondi e occhi
azzurri…».
«Temo di sì, signora. Abbiamo informato la
scientifica e sta già arrivando, ma vuole esserci anche lei?»
«Puoi scommetterci!». Nikki sbatté giù il
telefono. «Cat! Con me!».
«Oh cielo», sussurrò Cat, chiudendosi la
cerniera della tuta protettiva. «Non avevo idea che a Greenborough
ci fossero così tanti uomini con zazzere bionde e occhi
azzurri».
Il morto sembrava una parodia perversa di
Chris Forbes, anche se il suo sangue imbeveva una morbida moquette
color crema, non erbacce e calcinacci sporchi. Aveva le mani legate
dietro la schiena e lo squarcio della ferita sulla sua gola
cominciava a essere orribilmente familiare. Nikki lanciò
un’occhiata al professor Rory Wilkinson. «Non devo chiedere se è lo
stesso modus operandi, vero?»
«Sembrerebbe di sì, anche se questo qui deve
aver opposto resistenza. Il volto è coperto di lividi, e…». Rory
aveva un’espressione stranamente seria. «Non lo so, sono qui solo
da pochi minuti, ma…».
«Hai delle riserve?». Lei guardò i capelli
biondo grano del morto. «Perché?».
Lui si alzò e fissò il corpo dall’alto. «Non
proprio riserve». Le rivolse un sorriso stanco. «Ho imparato a non
dare nulla per scontato finché non ho concluso gli
accertamenti».
Nikki annuì lentamente. Era un commento
legittimo, ma aveva la netta sensazione che il professore non fosse
a suo agio. «Uno dei miei uomini dice che questa volta abbiamo un
documento d’identità».
«È vero. E forse è questa la cosa strana». Lui
indicò con il mento un solido tavolo di legno dall’aria costosa.
«Là sopra ci sono carte di credito e un pass di sicurezza valido,
anche se non so a cosa dia l’accesso. Il tuo uomo dice che c’è
anche un’agendina tascabile. Sono sicuro che sarai felice di
frugarci dentro».
«È un bel cambiamento, questo è sicuro»,
commentò Nikki. «Il che mi porta a chiedermi se è stato disturbato
ed è scappato in fretta. Agli altri aveva tolto con cura tutti i
documenti d’identità».
«Quello, oppure vuole farci sapere chi è
questa vittima», aggiunse Cat pensierosa.
«Possibile». Lei si guardò intorno. «O forse
sta perdendo il suo tocco. L’ultimo attacco è stato sventato,
adesso ha lasciato un riconoscimento sulla vittima. Sembra che stia
diventando negligente o distratto». Tornò a guardare il medico
legale. «Nessun’altra prova evidente?»
«Una cosa. L’uomo è pulito e indossa abiti ben
tenuti, ma in bagno i tuoi agenti hanno trovato una pila di vestiti
sporchi, e con questo intendo completamente lerci». Il professore
alzò gli occhi al cielo. «Ma a parte questo ancora niente, e dubito
che troveremo altro. I nostri poveri colleghi della scientifica si
stanno strappando i capelli per la mancanza di prove fisiche o
biologiche. Sono sicuri che il lavoro di pulizia sia stato fatto
dallo stesso professionista». Si guardò intorno. «E questo
appartamento non era in ogni caso una catapecchia, no?». Indicò un
dipinto appeso sopra un caminetto di acciaio inossidabile dall’aria
futurista. «Continuo a guardare quel paesaggio ripetendomi che è
una riproduzione, che non potrebbe mai essere un vero Milton
Avery». Sgranò gli occhi. «Non ha senso che ci sia un Avery appeso,
senza protezioni, in un raffinato appartamentino di Greenborough.
Ma diavolo, continuo a guardarlo lo stesso».
«Milton Avery?», chiese Cat, fissando
sospettosa lo strano dipinto.
«Mia cara ragazza, lo chiavano il Matisse
americano, e non troppo tempo fa a New York una delle sue opere è
stata battuta all’asta di Christie’s per la bella somma di oltre
novecentomila dollari».
«Allora è una riproduzione», disse Nikki in
tono piatto. «Questo tizio non è certo Rockefeller».
«Be’, non valgono tutti somme del genere,
ovvio. Potrebbe essere un’eredità di famiglia, o un
investimento».
«E forse l’ha presa su eBay per novantanove
centesimi con spedizione gratuita, ma direi che questo non aiuta la
nostra indagine». Attenta a non toccare nulla, Nikki raggiunse il
tavolo e guardò il tesserino di sicurezza. «Kurt Michael Carson.
Sei proprio la copia sputata di William Sweet, deceduto, eh?»,
bisbigliò. A giudicare dalla fototessera, non c’erano dubbi che
appartenesse all’uomo assassinato. «Imbusto l’agenda e me la porto
via, poi ti lasceremo al tuo ammirevole lavoro, Rory».
«Fai pure. E io ti farò avere il rapporto
preliminare con la mia solita rapidità ed efficienza».
«Non mi aspetterei nulla di meno». Voltandosi
per uscire, Nikki gli lanciò un sorriso quasi affettuoso. «E se la
prossima settimana troverò quello strano quadro appeso alla parete
dell’obitorio, sappi che ne riconoscerò la provenienza».
Cat fece uno sbadiglio e si stiracchiò. «Penso
di aver esaurito tutte le piste, signora».
«Allora fammi un riassunto». Anche Nikki si
sgranchì la schiena dolorante.
«Kurt Michael Carson. Nato nel Regno Unito,
madre olandese, padre inglese. Trentasettenne. Single. Lavora
all’estero e la sua compagnia possiede la proprietà in cui è stato
ucciso, l’appartamento di Granary Close. Sembra avere un bel conto
in banca e nessun debito insoluto. Lavorava per una ditta di
esportazioni chiamata Carel Flora Bloemenexport. Esportano fiori e
piante esotiche dall’Olanda. Li ho chiamati e ho parlato con il suo
capo. L’uomo era ovviamente sconvolto ma ha chiesto di tenerlo
informato, perché vorrebbe venire qui per rappresentare l’azienda
al funerale».
«Spero gli avrai detto che potrebbe volerci
ancora del tempo?»
«Sì. Oh, e Carson lavorava lì da quattro anni.
Era una specie di massimo rappresentante, credo».
«E da quanto stava in quell’appartamento?»,
chiese Nikki.
«Questo non sono ancora riuscita a
confermarlo. Il proprietario dell’appartamento di sopra dice che lo
vedevano di rado. Si assentava per lunghi periodi e non si sono mai
parlati a parte qualche saluto distratto». Cat sbadigliò di nuovo.
«Sembra che il suo unico problema nella vita fosse che somigliava
molto a Billy Sweet».
«D’accordo, be’, domani dovremo uscire e
cercare qualcuno che lo conosceva. Quanto ci scommetti che, come
per magia, nelle ultime settimane si è trovato un nuovo migliore
amico?». Nikki guardò Cat e vide che aveva gli occhi segnati da
linee scure. «E adesso, a casa. Dormi un po’».
«Ma che si fa con Bryony Barton, capo? Non
sappiamo ancora dove diavolo sia».
«Guarda, è ancora possibile che io mi stia
allarmando troppo. Magari ha un altro uomo. È una donna stupenda,
potrebbe essere rintanata da qualche parte a bere champagne e farsi
sbavare addosso da qualche bel fusto, mentre noi corriamo in giro
alla cieca per cercarla».
«Lo crede davvero?».
Scrollò le spalle. «No. Ma non so più a cosa
credo. Nessuno di noi la conosce bene, no?». Fece un respiro
profondo. «Anche se stranamente penso che tenga sul serio a Joseph.
Farò controllare a qualcuno le telecamere a circuito chiuso.
Vediamo dov’è andata ieri dopo essere uscita di qui, poi io andrò a
dare un’occhiata a Linda Kowalski e tu,
agente, farai come dico e per oggi getterai la spugna. Hai l’aria
esausta, e mi servi fresca come una rosa, d’accordo?».
Cat alzò le mani in segno di resa. «Grazie,
capo. Ma tornerò di buon’ora, lo prometto».
Nikki la guardò uscire, poi prese il telefono
e chiamò Joseph. Non aveva intenzione di parlargli delle sue
preoccupazioni per Bryony, e non era neanche sicura che fosse il
caso di metterlo al corrente dell’ultimo omicidio. Forse gli
avrebbe detto solo a che ora pensava di tornare, per poi
raccontargli tutto a casa davanti a un bicchiere di vino.