Capitolo
ventitré
Nikki doveva essere uscita molto presto,
perché quando Joseph riemerse verso le sei e mezza trovò un breve
messaggio appoggiato al tostapane. Diceva solo che il suo capo non
aveva dimenticato la promessa di mandargli un aiuto. Sarebbe
arrivato qualcuno appena fosse riuscita a organizzare la cosa, se
tutto andava bene poco dopo le nove.
Lui si fece la doccia e si vestì, poi mangiò
con scarso entusiasmo un paio di fette di pane tostato con
marmellata d’arance. Accanto al piatto aveva un blocco per gli
appunti formato A4. Se stava per
arrivare un aiuto, non poteva permettersi di perdere tempo. Doveva
suddividere le indagini tra quelle che potevano essere portate
avanti da un civile, in quel caso lui stesso, e quelle per le
quali, per ottenere risposte, sarebbe stato necessario un
distintivo ufficiale.
Bevve un sorso dalla tazza di tè e cominciò a
raccogliere le idee in una sembianza di ordine. Cosa per nulla
facile quando riusciva a pensare solo a una donna bruna dal volto
delicato; una donna che non rispondeva al telefono.
Sciacquò il piatto e rimpianse ardentemente di
aver impedito a Bryony di chiamarlo. Darle il suo numero non
avrebbe fatto male a nessuno. Lei non l’avrebbe certo tempestato di
telefonate. Sì, gliel’avrebbe lasciato in segreteria, così avrebbe
evitato di preoccuparsi a morte ogni volta che trovava il suo
cellulare spento. Joseph registrò in fretta il secondo messaggio,
poi aprì il taccuino e cominciò a scrivere.
In cima alla sua lista c’era David Kowalski.
Per prima cosa dovevano accertare che fosse lo stesso uomo che era
stato amico di Martin. E se sì, per quale motivo si trovava in
ospedale, e se fosse in condizioni di parlare con loro.
Subito sotto scrisse: “Cold Cure Unit”. In
qualche modo dovevano scoprire se in origine fosse stata gestita da
una compagnia farmaceutica, e poi vedere se fosse ancora
operativa.
Sotto ancora appuntò: “Reparto oncologico”.
Quello sì che lo disturbava. Joseph posò con cura la penna sul
taccuino e, sperando di trovare qualcuno a quell’ora, andò a
cercare il numero.
L’amministratrice non era ancora arrivata, ma
il receptionist sembrava entusiasta di aiutare. «C’è una sola altra
possibilità, sergente». Aveva un forte accento dell’Inghilterra
nordorientale. «Non tutti i pazienti privati sono elencati nei
nostri registri. La segretaria del dottor Muller, per esempio,
segnava gli appuntamenti dei suoi in un’agenda separata».
Joseph sentì un barlume di speranza. «Potrei
parlare con il dottor Muller o con la sua segretaria?»
«Mi dispiace, il dottore è andato via sei mesi
fa. È tornato in Europa, credo, anche se non saprei dire
dove».
Il barlume si affievolì e si spense. Joseph
ringraziò il receptionist e riattaccò; riconosceva un vicolo cieco
quando lo imboccava.
Sospirò, e scoprì che la sua concentrazione
stava lasciando l’importante foglio di lavoro per tornare al
telefono poggiato sul tavolo a una vicinanza dolorosa dalla sua
mano destra. A quell’ora Bryony avrebbe dovuto aver già controllato
i messaggi, e una parte di lui si era aspettata una telefonata.
Sperò che fosse tutto a posto. Forse il pericolo l’aveva
spaventata. Sarebbe stato troppo per chiunque, figurarsi in una
relazione così nuova. Lei non sembrava il tipo da ripensamenti, ma
un assassino che pedinava il fidanzato poteva mettere in fuga la
più tosta delle amazzoni.
Fissò l’orologio. Se non avesse promesso a
Nikki di fare tutto il possibile per scoprire che cosa era accaduto
a Martin, sarebbe passato a casa di Bryony per parlarle prima che
andasse al lavoro. In quella situazione, al massimo poteva chiamare
il suo ufficio. Era probabile che quelle premure fossero stupide e
iperprotettive, ma con Billy Sweet ancora in circolazione il
silenzio di Bryony gli stava mettendo ansia. Voleva solo un paio di
parole per sapere che era al sicuro.
Quasi a farlo apposta il suo cellulare emise
una melodia forte, metallica e dissonante, e lui lo afferrò con il
cuore in gola.
«Joseph? Sembri strano. C’è qualcosa che non
va?».
Sentì un tonfo al cuore. «Nikki, eh, no, tutto
a posto. Devo solo cambiare la suoneria del telefono nuovo, ti fa
prendere un infarto quando squilla».
«Oh, giusto. Be’, volevo solo dirti che sta
arrivando Niall Farrow. Avrei preferito mandarti Yvonne, che ha più
esperienza, ma è anche più brava a svicolare domande sulle attività
del suo partner, quindi ti tocca Niall, okay?»
«Fantastico. Appena arriva ci mettiamo sotto.
Lì come va?»
«Peggio che in un parcheggio della Tesco alla
vigilia di Natale. È un manicomio. Ieri sera hai saputo
qualcos’altro da Elizabeth?»
«Forse. Verifico e ti faccio sapere cosa
scopro, ma mi stavo chiedendo…».
«Non sono sicura che il tuo tono di voce mi
piaccia, Joseph. Non mi dirai che vuoi altro aiuto?»
«Non proprio aiuto, solo un piccolo
favore».
«Sarebbe a dire?»
«Bryony. Non sono ancora riuscito a trovarla
al telefono. Eravamo d’accordo che ci saremmo sentiti ieri sera ma
non mi ha risposto. Stessa cosa questa mattina».
Ci fu silenzio, e Joseph si chiese che cosa
avrebbe detto Nikki. Quando infine parlò, sentì che aveva un tono
preoccupato. «E cosa stai pensando, di preciso?»
«Non ne sono sicuro. Forse sto andando nel
panico senza motivo, ma lui l’ha vista. Billy Sweet. Giù al fiume.
E sa che anche lei ha visto lui, il che potrebbe metterla in grave
pericolo, no?».
Altro silenzio. Questa volta più lungo.
«Joseph». Nikki sembrava tesa.
«Che c’è?». Lui si accigliò al telefono.
«Nikki, è successo qualcosa?»
«Non quello che pensi, Joseph, quindi non
saltare a conclusioni, ma potrebbe esserci un buon motivo se Bryony
non ha risposto alle tue chiamate».
Il suo disagio crebbe. «Cioè?»
«Oh merda! Non sono sicura che dovrei dirtelo,
ma che diavolo, devi saperlo. Però non saltarmi alla gola,
d’accordo?».
Un misto di rabbia e preoccupazione cominciò a
dargli alla testa. «Santo cielo, dimmelo e basta!».
«Ieri ho parlato con Bryony, Joseph. Avevo
bisogno che mi desse una descrizione un po’ più precisa del tuo
stalker».
La confusione smussò la rabbia crescente. «Ma
te l’ho detto, dice di aver visto solo una figura in ombra
scavalcare il muro e saltare giù sul sentiero».
«Mi serviva la sua versione, non la tua,
capisci?».
Joseph deglutì. «Sì, credo, ma che cosa ha
detto?»
«Che non ha visto niente, o nessuno».
«No! No, ti sbagli!». Lui alzò la voce quasi
in un grido. «Ha detto…».
«So quello che ha
detto a te, ma ti aveva visto così sconvolto e voleva darti qualche
sorta di sostegno. Ha mentito, Joseph. Per il tuo bene. Pensava di
aiutarti».
«E tu lo sapevi? Perché diavolo non me l’hai
detto ieri sera, allora?». Sapeva che non avrebbe mai dovuto
parlare in quel modo a Nikki, ma la rabbia gli faceva pulsare la
testa con intensità bruciante.
«Perché voleva dirtelo di persona. Mi ha fatto
promettere di non parlartene. E ho pensato che fosse giusto». La
voce di Nikki si era ammorbidita. «E credevo che l’avrebbe fatto,
Joseph. Tiene a te, ne sono sicura, e ho pensato che meritasse la
possibilità di spiegarsi».
«Be’, a quanto pare ci ha ripensato», borbottò
lui. «Probabilmente ha cambiato idea su tutto, e mi ha mollato. Non
ha ancora solo trovato il coraggio di dirmelo».
«Non correre troppo, sergente!», sbraitò
Nikki, la voce di nuovo normale. «Non sappiamo nulla di sicuro, e
te l’ho detto solo perché pensavo potesse aiutarti. Riflettici! Se
Bryony non ha visto il tuo assassino, neanche lui ha visto lei.
Quindi le possibilità che se la prenda con lei sono trascurabili,
no?».
Joseph sentiva girare la testa. «Penso di sì,
ma…».
«Senti, dammi il suo indirizzo. Manderò
qualcuno a bussarle alla porta. A che ora esce per il
lavoro?».
Lui controllò l’orologio. «Tra una quindicina
di minuti».
«Accidenti! Oh, se può farti felice ci andrò
io stessa, sarà più rapido che cercare di organizzarmi con qualcun
altro».
Sentì il cigolare della sua sedia mentre
saltava in piedi. Le diede l’indirizzo, poi disse: «Grazie».
«Sì, e mi devi un grosso favore, Joseph
Easter. Ti chiamo quando arrivo lì».
Joseph fissò il telefono. Le sue speranze
erano state distrutte. Ancora una volta, era l’unico testimone.
Nessun altro aveva mai visto quel bastardo assassino di Sweet, a
parte le sue vittime, che avevano avuto il dubbio piacere di
vedersi fissare da quegli occhi morti. Rabbrividì. Il pensiero che
Billy Sweet fosse l’ultima cosa che vedevi era terrificante.
Rimise il telefono sul tavolo, poi lanciò
quasi un grido di shock quando riprese a squillare. Lo afferrò, ma
vide che era un messaggio e non una chiamata.
“Joseph. Scusa x le kiamate xse. Ho il cell
rotto. Risolvo e ti kiamo stasera. Anke tu mi manki. A presto.
Bryony xx”.
Il respiro gli si fermò in gola. Grazie a Dio!
Salvò il messaggio e poi premette il tasto di chiamata. Merda!
Aveva appena sguinzagliato Nikki in un’impresa inutile! Selezionò
il suo nome, e sentì squillare una volta sola prima che lei
rispondesse.
«Spero sia importante!».
«Signora! Sono io! Non c’è più bisogno! L’ho
appena sentita!».
«Ti va bene che sono arrivata solo fino
all’auto! È tutto a posto?»
«Mi ha mandato un messaggio, dice che non le
funziona il telefono. Sembra stia bene».
«E questo ti basta?»
«Sì, sono sicuro che sia tutto in regola».
Sospirò di sollievo. «Grazie lo stesso, Nikki. Ti devo comunque un
favore».
«Puoi dirlo forte, raggio di sole! Adesso
concentra quella testolina confusa sulla morte di Martin Durham,
d’accordo?»
«Ricevuto! Passo e chiudo».
Niall arrivò dieci minuti dopo, mise la chiave
dell’auto dentro al cappello e lo posò sul tavolo della
cucina.
«Prima di metterci al lavoro, sergente, la
squadra mi ha chiesto di dirle quanto ci dispiace, e che siamo
tutti dalla sua parte. Il commissario capo ha qualche rotella fuori
posto per metterla in panchina così». Lasciandosi cadere su una
delle vecchie sedie di pino, Niall gli lanciò un sorriso
fanciullesco. «Quindi, se posso darle una mano con qualcosa, basta
dirlo».
Joseph preparò dell’altro tè, e nel mentre
informò con cura il giovane agente di tutto ciò che sapeva sul
conto di Martin Durham e dei “suicidi” sospetti.
«Fiù», fischiò Niall. «Questa storia manda
proprio una brutta vibrazione, eh?». Si grattò la testa. «Quello
che posso dirle è che secondo la scientifica non si può recuperare
nient’altro da Knot Cottage. L’intruso era un professionista
altamente qualificato, e non ha lasciato nessun indizio utile a
identificarlo. E mi spiace, ma il capo ha chiesto di dirle che il
DNA prelevato durante la colluttazione
non ha dato riscontri sul nostro database».
«Dannazione! Ci facevamo affidamento».
«È più o meno quello che ha detto l’ispettore,
solo che la sua versione era più colorita».
Joseph scrollò le spalle. «D’accordo,
spostiamoci nello studio e vediamo che cosa riusciamo a scoprire su
David Kowalski. Tu chiama l’ospedale, io cercò di contattare sua
sorella».
Linda Kowalski sembrò nervosa quando rispose
al telefono. «Ogni volta che squilla temo siano cattive notizie»,
spiegò.
Joseph le illustrò con cura il motivo della
sua chiamata, poi aspettò che lei rispondesse che non aveva idea di
cosa stesse parlando. Invece, dopo una breve pausa, disse solo:
«Dobbiamo parlare, sergente, e il prima possibile».
Lui inspirò bruscamente. «Dove e
quando?»
«Tra poco uscirò per andare in ospedale, ma
dobbiamo parlare in privato. Conosce il campo da gioco accanto
all’ospedale? Sarò in una Ford Ka rossa. L’aspetterò nel
parcheggio».
Joseph mise giù il telefono e guardò Niall.
«Che cosa hai scoperto?»
«David è in condizioni critiche. Impossibile
parlargli». Fece una smorfia. «Non promette bene, temo».
«Allora dipende tutto da sua sorella». Lui si
alzò in piedi. «Andiamo al parcheggio accanto all’ospedale, e
potrebbe essere meglio usare auto separate. Ti seguo».
Linda Kowalski aveva i capelli grigi e
l’aspetto di una donna che aveva trascorso buona parte della vita
esposta alle intemperie. Fece un sorriso debole a Joseph e lui
pregò che l’uniforme di Niall e il fatto che si trovavano in
un’auto della polizia delle Fens la dissuadesse dal chiedergli di
vedere il distintivo. «Perché David è in ospedale?», domandò in
tono delicato.
«Ha avuto una reazione allergica alle
medicine». Lei lo fissò quasi con rabbia. «Anche se non capisco per
quale motivo. Prendeva le stesse da anni».
Joseph espirò bruscamente. «Ed erano il
risultato di esperimenti medici fatti in gioventù?».
Lei annuì, cupa. «Partecipavo anch’io; tutti
giovani e infervorati nel fare la nostra parte. Ma io mi sono
tirata indietro presto, e Davey, appassionato ancora oggi, ha
continuato per anni».
«Mi spiace doverglielo dire, ma abbiamo motivo
di credere che le medicine di suo fratello siano state
adulterate».
Linda gli afferrò il polso di colpo. «Anche
io!».
«Quanto sa di quello che è accaduto?», chiese
Joseph in tono pressante.
«Praticamente tutto. E anche se David ha
giurato di non parlarne, io non l’ho fatto».
Joseph si girò per guardare in faccia Niall.
«Devi portare la signorina Kowalski in centrale. Direttamente
dall’ispettore Galena, capito?»
«Non prima di aver visto mio fratello»,
precisò lei con fermezza.
«Potrebbe essere in serio pericolo, Linda.
Devo portarla in un posto sicuro».
«Va bene. Dopo che avrò visto David».
«Chiamo un’altra squadra, sergente»,
intervenne Niall. «Noi resteremo con la signorina Kowalski, poi
loro potranno fare la guardia a suo fratello mentre io porto lei in
commissariato».
«Sì, fallo».
Mentre Niall comunicava via radio, Joseph
guardò con attenzione Linda Kowalski. «Su cos’era l’ultimo
esperimento? Non si trattava di cure per il raffreddore,
vero?»
«Pochissimi esperimenti riguardavano quello».
Lei fece uno sbuffo disgustato. «Più che altro erano per cure
contro i reumatismi, esperimenti con l’oro o sulfasalazina.
L’ultimo però…», abbassò la voce in un sussurro, «riguardava droghe
usate per interrogare i prigionieri, o meglio, be’, spie straniere
o traditori. Stiamo parlando della Guerra fredda, sergente».
«Quindi c’entra il ministero della
Difesa?»
«No, non penso. Era una grossa corporazione
farmaceutica. Ci dissero che era britannica e noi credevamo davvero
di aiutare il nostro Paese, ma adesso non ne sono più così
sicura».
«E quella droga cos’era? Un siero della
verità?»
«No, un particolare tipo di allucinogeno. Non
faceva dire la verità al consumatore, alterava la sua percezione
della realtà, quindi cose che di solito sarebbero state di estrema
importanza non significavano più nulla».
Joseph rabbrividì. «E David sapeva che cosa
stava sperimentando?»
«Oh sì, lo sapevano tutti. Il gruppo aveva una
fede assoluta negli esperimenti. Si consideravano dei
pionieri».
Joseph pensò a Martin, Amelia e Paul, e
quell’inganno terribile gli diede la nausea.
«Che cosa accadde, dunque?»
«Firmarono delle rinunce. Erano ben pagati, e
quando la droga si rivelò un errore devastante si videro offrire un
grosso risarcimento e cure mediche private per il resto della loro
vita. Dopodiché firmarono volontariamente altre clausole legali in
cui si impegnavano a non parlare mai degli esperimenti e di tutte
le cose o persone coinvolte. E perché non farlo? Credevano che i
dottori fossero dalla parte giusta».
«E sono stati seguiti sul serio?»
«Assolutamente. E con grande attenzione. Cure,
controlli regolari e persino referenti personali molto qualificati
pronti ad aiutare per qualunque problema».
«Potrebbe mettermi in contatto con qualcuno di
loro?», chiese Joseph in fretta.
Il volto della donna si oscurò. «Strano, eh?
Di colpo, i loro numeri sono irraggiungibili».
Joseph imprecò tra sé, poi mormorò: «Quindi
che cosa è andato storto?».
Linda scosse la testa. «Davvero non lo so.
Dopo tanti anni di sostegno, perché abbandonarli adesso?».
Non “abbandono”,
pensò Joseph, questa è
“terminazione”.
«C’è solo una cosa». Linda lo fissò. «Più o
meno un anno fa, una donna è venuta a ficcare il naso e fare
domande. David era sicuro che fosse una giornalista. Non le ha
detto nulla e ha comunicato la cosa al suo referente. Era quasi
certo di essere l’unico membro del gruppo che fosse riuscita a
rintracciare, ma Amelia è morta poco tempo dopo». Scrollò le
spalle. «Potrebbe non entrarci nulla con la giornalista,
ma…».
Joseph si lanciò in congetture. Una
giornalista che aveva fiutato una pista? Impossibile ucciderla,
avrebbe attirato troppa attenzione, perciò bisognava limitare i
danni. Sbarazzarsi in modo discreto dei “leali pionieri”, cosicché
non ci fosse più nulla da scoprire.
«L’altra squadra sta arrivando, sergente. Da
qui in avanti ci pensiamo noi». Niall si mise il cappello. «Sarà al
sicuro con me. Non la lascerò neanche per un istante, signorina
Kowalski».
«Prenditi cura di lei, agente». Joseph si
voltò verso Linda. «E potrebbe assecondarmi? La prego, non mangi né
beva nulla finché non sarà al sicuro alla centrale di polizia.
Niente in assoluto, chiaro?».
Linda annuì, e mentre scendeva dall’auto
Joseph seppe che aveva capito benissimo il sottinteso della sua
richiesta. Guardò i due veicoli partire, poi tornò di corsa alla
sua Ford e chiamò Nikki.
«Quindi è quasi un dato di fatto che siano
stati assassinati, giusto, Joseph?». Nella voce del capo c’era un
tremito. «Devo davvero ringraziarti, e lo farebbe anche
Martin».
«Non c’è di che, Nikki, ma presumo che d’ora
in avanti sarà ancora più difficile trovare i responsabili. Se mai
lo faremo». Sospirò. «Comunque, se riesci a ricambiare il favore
con Billy Sweet te ne sarò eternamente grato».
«Ti porterò delle risposte, Joseph. Toglierò
questo assassino dalle strade, te lo prometto».
«Lo so. E a prescindere da quanto sia doloroso
per me, Nikki, dovrai fare quello che è necessario, lo sai,
vero?».
Quasi non sentì la sua risposta. Era poco più
che un bisbiglio. «Lo farò, Joseph, qualunque cosa sia».
Mentre guidava di nuovo verso Cloud Fen, lui
pregò che dicesse sul serio.