Capitolo
quattordici
Mentre Joseph andava verso Cloud Fen, Nikki
fornì una versione diluita del suo rapporto al commissario. Aveva
deciso di non soffermarsi sull’ipotesi che Martin Durham fosse
stato mandato al creatore di proposito. A Rick Bainbridge non
serviva molto per toglierle il caso, e qualunque sua insinuazione
di omicidio sarebbe stata bollata come prodotto dell’“eccessiva
vicinanza emotiva”. Così, si concentrò il più possibile sulla morte
di Chris Forbes.
«Signore, abbiamo un uomo benvoluto, anche se
fortemente impressionabile, non ritardato, ma senza dubbio neanche
molto sveglio, ucciso da un assassino ben addestrato. E per il
momento non abbiamo scoperto nulla che indichi un movente per
l’omicidio».
Il commissario rifletté un momento, poi disse:
«Be’, pare che frequentasse i pub e le sale da biliardo, forse ha
sentito qualcosa che non doveva e l’assassino non si fidava che
avrebbe tenuto la bocca chiusa».
«Possibile, signore. Ne sapremo di più quando
avremo un identikit del tipo che stava frequentando. Se quest’uomo
misterioso fosse l’assassino, sembrerebbe che Chris sia stato
scelto apposta e preparato, anche se per cosa non riesco a
immaginarlo».
«Omicidi così professionali sono molto rari,
Nikki. È il tipo di cosa che vedi nelle zone di guerra, non a
Greenborough». L’uomo contrasse il volto coriaceo in una maschera
di preoccupazione. «Per curiosità, Joseph che cosa ne
pensa?».
Nikki prese in prestito una delle espressioni
neutre del sergente, e rispose: «Più o meno come lei, signore.
Perché?»
«Semplice curiosità».
Il passato di Joseph non era di dominio
pubblico, e malgrado il commissario ne fosse informato non sapeva
che anche Nikki lo conosceva, e in quel momento lei voleva che
continuasse a ignorarlo.
«E a che punto siamo con il tuo caso di
suicidio, Martin Durham?», proseguì il commissario.
«Il rapporto tossicologico ha sollevato
qualche preoccupazione relativa ai farmaci che aveva in circolo.
Joseph è andato a parlarne con il suo medico. E non si è scoperto
nulla sull’effrazione di Knot Cottage».
«Oh be’, tienimi aggiornato». Lui sospirò e
scosse la testa. «E a proposito di suicidi, tutto questo ha messo
fine al lavoro che stavate facendo per me, vero? Le statistiche
sulle morti non naturali?». Si rabbuiò in volto. «Non ci crederesti
mai, abbiamo un omicidio in stile esecuzione sul nostro territorio
e continuano a chiedermi dati inutili e maledetti rapporti. È
folle».
«Non abbiamo smesso di lavorarci, signore.
Faremo del nostro meglio per portarle qualcosa». Di colpo, Nikki
provò pena per lui. Rick era stato un poliziotto fantastico, ma
piano piano aveva finito per odiare tutto ciò che la promozione
aveva portato con sé. C’erano momenti in cui sapeva che avrebbe
preferito essere di nuovo sulle strade invece che occuparsi di
grafici e iniziative, e fare giochi di prestigio con i budget. «Non
si preoccupi, signore. Joseph è un mago con le statistiche, se c’è
qualche anomalia sono certa che la noterà».
«L’omicidio ha la precedenza, Nikki. Lo so. Ma
se riusciste a dedicargli un’oretta ogni tanto, ve ne sarò
grato».
Nikki uscì dal suo ufficio e scese nella mensa
alla ricerca di uno spuntino e una bevanda calda. Si sentiva molto
confusa. Joseph la preoccupava tantissimo e non aveva nessuno con
cui parlarne.
Si portò il pranzo in ufficio e scartò senza
grande entusiasmo un sandwich dall’aria poco appetitosa. A meno che
Joseph non le stesse nascondendo qualcosa riguardo a Billy Sweet,
non riusciva a immaginare perché di colpo un pazzo avrebbe dovuto
decidere di saltare fuori dal suo passato e cominciare a
pedinarlo.
Masticò lentamente e si chiese se fosse il
caso di provare a rintracciarlo in qualche modo. Non che sapesse da
che parte cominciare. Joseph aveva detto che era andato a lavorare
per una forza di sicurezza privata, il che suggeriva fosse
diventato un soldato mercenario e che seguire le sue tracce sarebbe
stato molto difficile. Probabilmente impossibile.
Bevve un sorso. Proprio non credeva che Joseph
le avesse taciuto qualcosa. Sembrava confuso quanto lei riguardo a
tutto quello che stava accadendo. E se aveva visto giusto e si
trattava davvero di Sweet, perché uccidere un uomo vulnerabile come
Chris Forbes? Nikki prese una penna e appuntò qualche risposta su
un pezzo di carta.
1. L’ipotesi del commissario, CF è stato zittito perché sapeva qualcosa.
2. L’assassino è pazzo, non ha bisogno di un
motivo.
3. Voleva fare pratica, CF non era il suo bersaglio principale.
4. Scambio di identità.
5. CF avrebbe
potuto essere chiunque, è stato ucciso solo per attirare
l’attenzione di Joseph.
Nikki cerchiò la numero cinque. Poi aggiunse:
“Per mandare Joseph in paranoia”. Lo sottolineò con tratti pesanti.
A prescindere da quanto odiasse il pensiero, Joseph sembrava
davvero la chiave. E se fosse stato così, per quanto ancora avrebbe
potuto tenerlo segreto?
Finì il boccone, gettò il resto nella
spazzatura e si alzò. Aveva bisogno di un volto riconoscibile per
il nuovo “amico” di Chris Forbes, e ne aveva bisogno prima che
Joseph finisse nella merda.
Joseph lasciò la strada principale con la Ford
e tornò indietro lungo una stretta stradina che portava a una
piccola riserva naturale della zona umida. Sapeva che avrebbe
dovuto far ritorno alla centrale, ma si sentiva schiacciato
dall’impellente bisogno di allontanarsi dal cancan di
quell’indagine. Voleva qualche minuto da solo, per pensare. E
mentre usciva da Cloud Fen, gli era tornato in mente il giorno in
cui Nikki Galena gli aveva detto che andava alla marina per
“riordinare i pensieri”.
Dopo circa ottocento metri si fermò in un’area
di sosta circondata quasi del tutto da alberi e cespugli. Un
cartello battuto dal vento lo informò che il parcheggio era
gratuito, anche se la responsabilità dei veicoli restava dei
proprietari. Giusto, pensò.
Isolato e a chilometri di distanza da tutto.
Il luogo perfetto per un po’ di vandalismo.
Chiuse a chiave l’auto e pregò di ritrovarla
nelle stesse condizioni in cui la lasciava, con tanto di lettore
CD e tutte le ruote, poi seguì il
sentiero che si addentrava tra gli alberi e saliva fino alla riva
alta del fiume.
Alla sua sinistra c’erano le lagune, pozze
d’acqua poco profonda frequentate da uccelli acquatici e
trampolieri, e alla sua destra il fiume si snodava per chilometri
tra le paludi, fino a sfociare nell’estuario. Non era la famosa
marina di Nikki, ma avrebbe dovuto accontentarsi.
Guardò da una parte e dall’altra, poi scelse
le lagune e, non vedendo nessuno, s’incamminò lungo il sentiero in
direzione di uno dei fatiscenti rifugi per studiare gli
uccelli.
Gli scalini erano traballanti e la porta non
era messa molto meglio. Si aprì con un cigolio così forte da
spaventare ogni uccello della costa orientale. Dentro c’era uno
strano odore di legno marcito dal sale e un sentore di muffa
piuttosto sgradevole. Joseph aprì lo sportello di osservazione,
agganciò l’anta e si sedette sulla panca di legno per guardare
fuori.
All’inizio vide soltanto carici, canne e le
acque scure e oleose delle lagune, ma dopo un po’ si accorse di
essere circondato da movimento. Minuscoli uccellini si aggrappavano
alle canne, facendo echeggiare sulle pozze i loro canti aspri e
ripetitivi. Un airone stava apparentemente immobile nell’acqua
bassa, e sentiva il canto di un’allodola alzarsi e abbassarsi di
continuo sopra la sua testa.
Sapeva di non avere molto tempo, ma ora come
ora aveva bisogno di quello. Un luogo di solitudine; un posto dove
mettere in ordine i pensieri. Inspirò a fondo, trattenne il fiato e
poi permise alla mente di tornare su quanto era appena accaduto
all’ambulatorio di Cloud Fen.
Com’era prevedibile, la dottoressa Latimer era
stata furiosa. Non aveva mai prescritto alcun genere di
antidepressivo a Martin Durham, e negava in modo categorico di
sapere alcunché degli altri due tipi di compresse che assumeva.
Aveva fissato la foto delle semplici scatoline bianche con stupore
assoluto, e preteso di sapere da dove provenissero. Dopodiché era
passata a incolpare Joseph e la sua squadra di non aver confrontato
la cartella clinica di Martin con i farmaci rinvenuti in casa sua.
Ci era voluto un po’ per calmarla e, in ogni caso, alla fine Joseph
se n’era andato sentendosi a disagio. Le possibilità erano due: o
Martin aveva due dottori, o si era procurato i farmaci per vie
illegali, il che stonava con il tipo di persona descritta dalla
sorella e dall’ispettore. Joseph si era appuntato mentalmente di
chiamare la clinica oncologica che eseguiva i controlli annuali su
Martin, forse lì avrebbero potuto fare un po’ di luce sul suo
cocktail di medicinali.
Stiracchiò la schiena dolorante e guardò un
chiurlo sondare con il lungo becco ricurvo la riva dell’acqua in
cerca di cibo. Martin Durham non era neanche l’unico problema.
C’era l’altra questione, quella a cui non sopportava quasi di
pensare. La possibilità che il povero, fiducioso Chris Forbes fosse
morto a causa sua.
Si mordicchiò un’unghia scheggiata e cercò di
calmare il tumulto interiore. Imprecò tra sé. Non era giusto,
davvero. Fino al momento in cui aveva visto quell’orribile volto
scrutarlo attraverso il parabrezza, le cose erano andate bene.
Davvero bene. Era venuto a patti con sé stesso. Aveva accettato che
non poteva cancellare gli orrori del passato, ma neanche permettere
che gli distruggessero il presente o il futuro. Si era lasciato
alle spalle l’amarezza del divorzio, e aveva cominciato a fare una
sorta di pace con sua figlia. Aveva accettato un nuovo lavoro con
un capo che aveva imparato a rispettare, ed era sopravvissuto a
un’aggressione. Sì, le cose stavano andando bene. Finché il brutto
muso di Billy Sweet non era comparso e aveva infettato tutto.
Joseph abbassò lo sguardo e si vide delle
incisioni profonde nei palmi delle mani. Aveva stretto così forte i
pugni che le unghie gli avevano quasi tagliato la pelle.
Come poteva cambiare tutto così in fretta?
Come…?
Lo squillo del suo cellulare spezzò il
silenzio e, per un secondo, gli fece martellare il cuore. Aprì
l’apparecchio aspettandosi di vedere il nome del capo, ma con sua
sorpresa era Bryony.
Lo fissò, senza però rispondere. A parte il
lavoro, in quel momento lei era l’unica cosa bella della sua vita,
e aveva paura di lasciarsi coinvolgere. Se Sweet ce l’aveva con
lui, non ci sarebbe stato modo migliore per colpirlo che
prendendosela con la sua ragazza. Perciò per il bene di Bryony
avrebbe dovuto tenersi lontano.
La musichetta metallica sembrò andare avanti
all’infinito, ma alla fine cessò, e il silenzio nella piccola
capanna si fece quasi assordante. Sweet stava avvelenando anche le
sue speranze e i suoi sogni.
Rimise il telefono in tasca, poi chiuse lo
sportello. Doveva tornare indietro.
Stranamente l’auto era ancora lì, e tutta
intera. «Grazie», mormorò lui al suo angelo custode invisibile, e
aprì la portiera. Nel farlo sentì il bip del telefono che gli
comunicava l’arrivo di un messaggio.
“È proprio una giornata di merda. Bere
qualcosa aiuterebbe. Il tuo GROSSO
CASO lo permette? Chiamami. Bry”.
Joseph fissò il messaggio, le dita sospese sul
tasto di risposta. Se non l’avesse contattata, Bryony non avrebbe
aspettato all’infinito. E se si fosse sbagliato su tutto? Forse era
davvero qualche cattivo del suo passato
che aveva deciso di incastrarlo. Si sentiva ancora un po’ scosso
dal trauma recente, quindi forse stava lasciando che la sua
immaginazione ingigantisse le cose in maniera sproporzionata.
Rinunciando a Bryony, rischiava di rovinarsi l’occasione di un po’
di felicità nella vita.
Fissando il cellulare, si sentì come Don
Camillo che parlava a Gesù, soppesando le sue opzioni terrene
contro la sua coscienza morale. Con un sospiro, chiuse il telefono
e spinse la chiave nell’accensione. Gesù vinceva. Il rischio era
troppo grande.
La stanza delle indagini brulicava di agenti
del Dipartimento di Investigazione Criminale. Una serie di
fotografie, date, orari, luoghi e nomi erano sparsi sulla grossa
lavagna trasparente dedicata al caso. La maggior parte del
materiale non gli creava problemi, ma la foto del freddo omicidio
di Chris Forbes lo faceva rabbrividire ogni volta che la
guardava.
Dave Harris lo salutò con un cenno.
«Qualche novità, Dave?», chiese lui, sedendosi
alla scrivania.
«Ancora no, sergente. Mi ha appena chiamato
Cat, dice che non hanno fortuna. Ha detto di non aver mai sentito
usare tanto spesso le parole “nella media”, “anonimo” e
“ordinario”».
«E presumo indossasse sempre un cappello o un
cappuccio».
«Esatto. Il che rende quasi impossibile fare
una descrizione».
«Il capo è qui, Dave?»
«Nel suo ufficio, a fumare di rabbia. Penso
sperasse che a questo punto avremmo potuto far girare almeno
un’identificazione elettronica». Fece una smorfia. «Spero che lei
abbia qualche buona notizia, se ha intenzione di entrare
disarmato».
«Per fortuna devo prima fare qualche
telefonata». Joseph accedette al computer ed esaminò il file di
Martin Durham fino a trovare il nome della sua clinica oncologica.
Appuntò il numero e sollevò la cornetta del telefono.
«Reparto oncologia. Buon pomeriggio. Come
posso aiutarla?».
La voce sembrava troppo giovane per non
appartenere a una bambina delle girl scout, ma Joseph si identificò
e chiese di essere messo in contatto con chiunque fosse il
responsabile. Dopo un po’, gli passarono una ragazza abbastanza
adulta da essere una guida. Lui spiegò in fretta la situazione, poi
le diede il numero della centrale di polizia e le chiese di
chiamare per confermare le sue credenziali.
Ci vollero solo cinque minuti perché il suo
telefono squillasse.
«Sarò felice di aiutarla, sergente Easter, ma
temo che non abbiamo nessun paziente con quel nome».
«Ma ho qui le copie dei rapporti inviati alla
dottoressa Helen Latimer di Cloud Fen. Ora, capisco che preferiate
non discuterne per telefono, ma…».
«Mi dispiace, sergente, non è quello. Ho fatto
un controllo approfondito nella nostra banca dati. Non abbiamo mai
curato nessuno con quel nome. E prima che lo chieda, ho controllato
anche le altre varianti ortografiche».
Joseph la ringraziò e mise lentamente giù la
cornetta. Che cosa gli aveva detto Helen Latimer, nel loro primo
colloquio? «Ricevevo aggiornamenti regolari dalla sua clinica
oncologica».
Accigliato, riprese il telefono e compose il
numero della dottoressa. «Sì, è
importante». Il suo tono non lasciava spazio di manovra, e poco
dopo sentì la voce della dottoressa. La donna era chiaramente
irritata per l’interruzione.
«Mi spiace, ma è urgente», sbottò lui. «Devo
sapere se ricorda di aver mai chiamato di persona la clinica
oncologica di Martin Durham».
Lei rimase un po’ in silenzio, poi con voce
molto più mansueta disse: «Ora che mi ci fa pensare, non ne ho mai
avuto bisogno. Mi hanno sempre contattato loro, per telefono o
tramite e-mail». Fece una pausa. «Che cosa sta succedendo, sergente
Easter?»
«Vorrei saperlo, dottoressa. Lo vorrei
davvero». La ringraziò e riattaccò. Cattivo umore o meno, era ora
di vedere l’ispettore.
«Mai sentito nominare! Dev’esserci qualche
errore».
«L’amministratrice è stata categorica. Penso
che dovremo davvero scoprire molte più cose sul conto del suo
vicino, non crede?», disse Joseph.
Nikki sentì tendersi i muscoli del collo.
Sembrava che le sue paure su Martin stessero per
concretizzarsi.
Per un po’ non disse nulla, mentre i suoi
pensieri vorticavano follemente, poi abbassò lo sguardo sulla
montagna di scartoffie sulla sua scrivania. «Nemmeno questo ci sarà
d’aiuto». Picchiettò il dito sui fascicoli. «Ricordi le statistiche
di morti improvvise su cui stavamo lavorando?». Gli fece un sorriso
storto. «Va tutto bene, non sto trascurando l’indagine
sull’omicidio. È solo che stanno ancora assillando il commissario
per quei dati maledetti, e avevo bisogno di qualcosa che mi
distraesse mentre aspettavo il ritorno di Cat e dei suoi». Sfilò
due rapporti e glieli porse. «Li stavo mettendo un po’ in ordine, e
ho visto un nome familiare. Quando ho guardato più a fondo, ho
cominciato a sentirmi irrequieta. Dai un’occhiata e dimmi cosa ne
pensi».
Si appoggiò allo schienale e lo osservò mentre
studiava i documenti. Non era lo stesso Joseph che era arrivato a
Greenborough. Quell’uomo era stato calmo, sicuro di sé e del tutto
controllato. Quello che le sedeva di fronte adesso appariva teso e
preoccupato. La sua mente sembrava impegnata di continuo in qualche
disputa, e se non l’avesse conosciuto troppo bene avrebbe detto che
era spaventato.
Dopo un po’ lui alzò lo sguardo. «Capisco cosa
intende, signora. Ma altri due casi di suicidio in persone molto
stabili e all’apparenza felici non significano molto, no?».
Nikki scrollò le spalle. «Quelli sono solo
riassunti sintetici, senza autopsie o altri rapporti. Penso che
dovremmo dare un’occhiata. Sul momento hanno causato entrambi un
certo scalpore, me lo ricordo». Si sfregò gli occhi. «Odio pensare
che potremmo esserci lasciati sfuggire qualcosa, e che stessero
accadendo cose brutte a brave persone».
Riprese il foglio, lo fissò e cercò di
recuperare quello che poteva dalla memoria. «Amelia Reed.
Cinquantunenne. Una specie di eroina locale, nel senso che
soccorreva e si prendeva cura degli animali randagi e maltrattati.
È annegata nella vasca da bagno. Nessun precedente di malattia
mentale. Ci si era chiesti se fosse stato suicidio o morte
accidentale. C’erano anche altri interrogativi, ma non ricordo
quali fossero. So che si è giunti a un verdetto di non luogo a
procedere».
Joseph annuì pensieroso. «E l’altro?»
«Paul Cousins, cinquantaduenne. L’hanno visto
correre verso i binari come se avesse avuto tutti i demoni
dell’inferno alle calcagna, solo che non sono stati i demoni a
raggiungerlo, ma il treno delle 9:45 proveniente da Peterborough.
Il giorno precedente era nato il suo primo nipotino».
«Correva come se avesse qualcosa alle
calcagna», disse Joseph pensieroso. «Lo scenario è piuttosto simile
a quello di Martin, no? E sono casi recenti?»
«Degli ultimi dodici mesi».
«Forse dovrei chiedere che ci diano i rapporti
completi, in caso ci siano altri elementi che potrebbero
collegarli». Joseph si massaggiò il mento con forza. «Anche se, a
dire il vero, penso che rischiamo di sprecare tempo
prezioso».
«Forse, ma questo va comunque fatto». Nikki
picchiettò il dito sulle statistiche. «Non ho intenzione di
lasciare il commissario nella merda». Espirò con forza. «E
so che c’è un assassino violento in
circolazione e che dobbiamo prenderlo.
Ma anche nella morte di Martin c’è qualcosa che non torna, e se
qualcuno sta spingendo al suicidio persone innocenti, quest’altro
assassino è altrettanto terribile e pericoloso».
«Forse dovremmo passarlo a un’altra squadra»,
disse Joseph dubbioso.
«E quale caso vorresti cedere, Joseph?». Nikki
lo guardò con fermezza. «Uno sembra legato a te, e l’altro a
me».
Lui la fissò dritto negli occhi, ma non
rispose.
«Non è facile, eh? E anche se non ti chiederei
mai di spiegare il tuo passato a un’altra squadra, sento il dovere
nei confronti di Martin di scoprire chi gli ha fatto questo». Si
alzò in piedi di scatto e cominciò a camminare per l’ufficio.
«Vedi, penso che senza volerlo potrei avergli fatto un torto, è
questo».
«Forse non dovrei chiederlo…». Joseph inclinò
un po’ la testa di lato. «E so che era abbastanza vecchio da essere
praticamente suo padre, ma tra voi c’è mai stato qualcosa di più
che una semplice relazione tra vicini?».
Qualche tempo prima Nikki non avrebbe esitato
a sbatterlo fuori dall’ufficio, ma adesso si limitò a scuotere la
testa e gli porse la foto che ritraeva lei, Martin e Hannah. «No,
mai. Ma penso che potrei aver ignorato i segnali».
Lui fissò la foto. «Che Martin teneva a
lei?»
«Mmm. Penso che fossi così presa dalla mia
vita, dai miei problemi, che non me ne sono accorta. Oltre al fatto
che, come hai sottolineato con tanta delicatezza, era molto più
vecchio di me. Non ho mai neanche preso in considerazione la
possibilità».
«E sta basando le sue supposizioni soltanto su
questo?». Joseph le restituì la foto.
«No. C’è un’altra cosa». Nikki inspirò a fondo
e fissò l’immagine. «Sai quanto tempo mia figlia ha passato in
ospedale, no? Be’, qualcuno le mandava regolarmente un mazzetto di
fresie. Stesso giorno, ogni settimana, senza eccezione. Oggi, per
la prima volta da più di un anno, non ci sono stati fiori».
«E pensa che fosse Martin a mandarli?»
«E chi, altrimenti? Non era certo il padre di
mia figlia», disse lei con amarezza. «Quel bastardo è venuto a
trovarla una volta, poi mi ha telefonato dicendo che era tutto
troppo traumatico ed è tornato negli Stati Uniti. Non lo vediamo da
allora».
«Ha cercato di scoprire chi li mandava?»
«Oh, sì. Ma chiunque fosse usava un fioraio in
città e pagava in contanti spingendo una busta sotto la porta.
Niente nome e niente biglietto».
«È senz’altro strano, ma sembra il genere di
mistero che resterà insoluto».
«Probabilmente sì. Ormai non posso certo
chiederglielo, no?»
«Quindi che cosa facciamo con le due
indagini?»
«Ci destreggiamo fra entrambe. Il commissario
ci ha fornito parecchi rinforzi per l’indagine sull’omicidio di
Chris Forbes, quindi propongo di delegare quanto più lavoro sul
campo possibile, e nel frattempo noi continueremo a scoprire tutto
quello che possiamo su Martin e su questi altri suicidi sospetti. E
dobbiamo risentire sua sorella. Sono
sicurissima che sappia qualcosa che l’ultima volta non era pronta a
dirci».
Joseph annuì, e Nikki vide nei suoi occhi un
barlume di sollievo. Non che pensasse che sarebbe durato a lungo.
Se anche il loro assassino non fosse stato Sweet, stava facendo un
ottimo lavoro e restava non identificato, lasciando Joseph in un
permanente stato di agitazione. Il che non aiutava nessuno.
«Se può essere d’aiuto, questa sera resterò
qui e cercherò di macinare qualche numero per il commissario. Prima
di questo casino, mi era venuto in mente un modo per ottenere una
visione globale migliore, incrociare le forze. Vedere che criterio
usano e come ottengono i loro dati».
Nikki odiava dover accettare, poiché Joseph
sembrava così esausto, ma aveva la sensazione che non si sarebbe
riposato nemmeno se fosse tornato a casa. Aveva troppi pensieri per
la testa. «Se puoi, un paio d’ore sarebbero fantastiche». Si lasciò
ricadere sulla sedia. «Mi fermerò anch’io, e ordinerò del cinese,
se sei d’accordo».
«Per me va bene, signora. Stasera la signora
Blakely minacciava polpettone in scatola, e non sono troppo sicuro
di reggerlo».
«Mmm, non sembra proprio il tuo genere,
Joseph».
Lui le lanciò un piccolo sorriso. «Oh, con il
polpettone in generale non ho problemi, ma mi è caduto l’occhio
sulla data di scadenza della lattina. È quella a
preoccuparmi».
«Ah, capito. Vada per il cinese,
allora».