Capitolo quattordici
Mentre Joseph andava verso Cloud Fen, Nikki fornì una versione diluita del suo rapporto al commissario. Aveva deciso di non soffermarsi sull’ipotesi che Martin Durham fosse stato mandato al creatore di proposito. A Rick Bainbridge non serviva molto per toglierle il caso, e qualunque sua insinuazione di omicidio sarebbe stata bollata come prodotto dell’“eccessiva vicinanza emotiva”. Così, si concentrò il più possibile sulla morte di Chris Forbes.
«Signore, abbiamo un uomo benvoluto, anche se fortemente impressionabile, non ritardato, ma senza dubbio neanche molto sveglio, ucciso da un assassino ben addestrato. E per il momento non abbiamo scoperto nulla che indichi un movente per l’omicidio».
Il commissario rifletté un momento, poi disse: «Be’, pare che frequentasse i pub e le sale da biliardo, forse ha sentito qualcosa che non doveva e l’assassino non si fidava che avrebbe tenuto la bocca chiusa».
«Possibile, signore. Ne sapremo di più quando avremo un identikit del tipo che stava frequentando. Se quest’uomo misterioso fosse l’assassino, sembrerebbe che Chris sia stato scelto apposta e preparato, anche se per cosa non riesco a immaginarlo».
«Omicidi così professionali sono molto rari, Nikki. È il tipo di cosa che vedi nelle zone di guerra, non a Greenborough». L’uomo contrasse il volto coriaceo in una maschera di preoccupazione. «Per curiosità, Joseph che cosa ne pensa?».
Nikki prese in prestito una delle espressioni neutre del sergente, e rispose: «Più o meno come lei, signore. Perché?»
«Semplice curiosità».
Il passato di Joseph non era di dominio pubblico, e malgrado il commissario ne fosse informato non sapeva che anche Nikki lo conosceva, e in quel momento lei voleva che continuasse a ignorarlo.
«E a che punto siamo con il tuo caso di suicidio, Martin Durham?», proseguì il commissario.
«Il rapporto tossicologico ha sollevato qualche preoccupazione relativa ai farmaci che aveva in circolo. Joseph è andato a parlarne con il suo medico. E non si è scoperto nulla sull’effrazione di Knot Cottage».
«Oh be’, tienimi aggiornato». Lui sospirò e scosse la testa. «E a proposito di suicidi, tutto questo ha messo fine al lavoro che stavate facendo per me, vero? Le statistiche sulle morti non naturali?». Si rabbuiò in volto. «Non ci crederesti mai, abbiamo un omicidio in stile esecuzione sul nostro territorio e continuano a chiedermi dati inutili e maledetti rapporti. È folle».
«Non abbiamo smesso di lavorarci, signore. Faremo del nostro meglio per portarle qualcosa». Di colpo, Nikki provò pena per lui. Rick era stato un poliziotto fantastico, ma piano piano aveva finito per odiare tutto ciò che la promozione aveva portato con sé. C’erano momenti in cui sapeva che avrebbe preferito essere di nuovo sulle strade invece che occuparsi di grafici e iniziative, e fare giochi di prestigio con i budget. «Non si preoccupi, signore. Joseph è un mago con le statistiche, se c’è qualche anomalia sono certa che la noterà».
«L’omicidio ha la precedenza, Nikki. Lo so. Ma se riusciste a dedicargli un’oretta ogni tanto, ve ne sarò grato».
Nikki uscì dal suo ufficio e scese nella mensa alla ricerca di uno spuntino e una bevanda calda. Si sentiva molto confusa. Joseph la preoccupava tantissimo e non aveva nessuno con cui parlarne.
Si portò il pranzo in ufficio e scartò senza grande entusiasmo un sandwich dall’aria poco appetitosa. A meno che Joseph non le stesse nascondendo qualcosa riguardo a Billy Sweet, non riusciva a immaginare perché di colpo un pazzo avrebbe dovuto decidere di saltare fuori dal suo passato e cominciare a pedinarlo.
Masticò lentamente e si chiese se fosse il caso di provare a rintracciarlo in qualche modo. Non che sapesse da che parte cominciare. Joseph aveva detto che era andato a lavorare per una forza di sicurezza privata, il che suggeriva fosse diventato un soldato mercenario e che seguire le sue tracce sarebbe stato molto difficile. Probabilmente impossibile.
Bevve un sorso. Proprio non credeva che Joseph le avesse taciuto qualcosa. Sembrava confuso quanto lei riguardo a tutto quello che stava accadendo. E se aveva visto giusto e si trattava davvero di Sweet, perché uccidere un uomo vulnerabile come Chris Forbes? Nikki prese una penna e appuntò qualche risposta su un pezzo di carta.
1. L’ipotesi del commissario, CF è stato zittito perché sapeva qualcosa.
2. L’assassino è pazzo, non ha bisogno di un motivo.
3. Voleva fare pratica, CF non era il suo bersaglio principale.
4. Scambio di identità.
5. CF avrebbe potuto essere chiunque, è stato ucciso solo per attirare l’attenzione di Joseph.
Nikki cerchiò la numero cinque. Poi aggiunse: “Per mandare Joseph in paranoia”. Lo sottolineò con tratti pesanti. A prescindere da quanto odiasse il pensiero, Joseph sembrava davvero la chiave. E se fosse stato così, per quanto ancora avrebbe potuto tenerlo segreto?
Finì il boccone, gettò il resto nella spazzatura e si alzò. Aveva bisogno di un volto riconoscibile per il nuovo “amico” di Chris Forbes, e ne aveva bisogno prima che Joseph finisse nella merda.
Joseph lasciò la strada principale con la Ford e tornò indietro lungo una stretta stradina che portava a una piccola riserva naturale della zona umida. Sapeva che avrebbe dovuto far ritorno alla centrale, ma si sentiva schiacciato dall’impellente bisogno di allontanarsi dal cancan di quell’indagine. Voleva qualche minuto da solo, per pensare. E mentre usciva da Cloud Fen, gli era tornato in mente il giorno in cui Nikki Galena gli aveva detto che andava alla marina per “riordinare i pensieri”.
Dopo circa ottocento metri si fermò in un’area di sosta circondata quasi del tutto da alberi e cespugli. Un cartello battuto dal vento lo informò che il parcheggio era gratuito, anche se la responsabilità dei veicoli restava dei proprietari. Giusto, pensò. Isolato e a chilometri di distanza da tutto. Il luogo perfetto per un po’ di vandalismo.
Chiuse a chiave l’auto e pregò di ritrovarla nelle stesse condizioni in cui la lasciava, con tanto di lettore CD e tutte le ruote, poi seguì il sentiero che si addentrava tra gli alberi e saliva fino alla riva alta del fiume.
Alla sua sinistra c’erano le lagune, pozze d’acqua poco profonda frequentate da uccelli acquatici e trampolieri, e alla sua destra il fiume si snodava per chilometri tra le paludi, fino a sfociare nell’estuario. Non era la famosa marina di Nikki, ma avrebbe dovuto accontentarsi.
Guardò da una parte e dall’altra, poi scelse le lagune e, non vedendo nessuno, s’incamminò lungo il sentiero in direzione di uno dei fatiscenti rifugi per studiare gli uccelli.
Gli scalini erano traballanti e la porta non era messa molto meglio. Si aprì con un cigolio così forte da spaventare ogni uccello della costa orientale. Dentro c’era uno strano odore di legno marcito dal sale e un sentore di muffa piuttosto sgradevole. Joseph aprì lo sportello di osservazione, agganciò l’anta e si sedette sulla panca di legno per guardare fuori.
All’inizio vide soltanto carici, canne e le acque scure e oleose delle lagune, ma dopo un po’ si accorse di essere circondato da movimento. Minuscoli uccellini si aggrappavano alle canne, facendo echeggiare sulle pozze i loro canti aspri e ripetitivi. Un airone stava apparentemente immobile nell’acqua bassa, e sentiva il canto di un’allodola alzarsi e abbassarsi di continuo sopra la sua testa.
Sapeva di non avere molto tempo, ma ora come ora aveva bisogno di quello. Un luogo di solitudine; un posto dove mettere in ordine i pensieri. Inspirò a fondo, trattenne il fiato e poi permise alla mente di tornare su quanto era appena accaduto all’ambulatorio di Cloud Fen.
Com’era prevedibile, la dottoressa Latimer era stata furiosa. Non aveva mai prescritto alcun genere di antidepressivo a Martin Durham, e negava in modo categorico di sapere alcunché degli altri due tipi di compresse che assumeva. Aveva fissato la foto delle semplici scatoline bianche con stupore assoluto, e preteso di sapere da dove provenissero. Dopodiché era passata a incolpare Joseph e la sua squadra di non aver confrontato la cartella clinica di Martin con i farmaci rinvenuti in casa sua. Ci era voluto un po’ per calmarla e, in ogni caso, alla fine Joseph se n’era andato sentendosi a disagio. Le possibilità erano due: o Martin aveva due dottori, o si era procurato i farmaci per vie illegali, il che stonava con il tipo di persona descritta dalla sorella e dall’ispettore. Joseph si era appuntato mentalmente di chiamare la clinica oncologica che eseguiva i controlli annuali su Martin, forse lì avrebbero potuto fare un po’ di luce sul suo cocktail di medicinali.
Stiracchiò la schiena dolorante e guardò un chiurlo sondare con il lungo becco ricurvo la riva dell’acqua in cerca di cibo. Martin Durham non era neanche l’unico problema. C’era l’altra questione, quella a cui non sopportava quasi di pensare. La possibilità che il povero, fiducioso Chris Forbes fosse morto a causa sua.
Si mordicchiò un’unghia scheggiata e cercò di calmare il tumulto interiore. Imprecò tra sé. Non era giusto, davvero. Fino al momento in cui aveva visto quell’orribile volto scrutarlo attraverso il parabrezza, le cose erano andate bene. Davvero bene. Era venuto a patti con sé stesso. Aveva accettato che non poteva cancellare gli orrori del passato, ma neanche permettere che gli distruggessero il presente o il futuro. Si era lasciato alle spalle l’amarezza del divorzio, e aveva cominciato a fare una sorta di pace con sua figlia. Aveva accettato un nuovo lavoro con un capo che aveva imparato a rispettare, ed era sopravvissuto a un’aggressione. Sì, le cose stavano andando bene. Finché il brutto muso di Billy Sweet non era comparso e aveva infettato tutto.
Joseph abbassò lo sguardo e si vide delle incisioni profonde nei palmi delle mani. Aveva stretto così forte i pugni che le unghie gli avevano quasi tagliato la pelle.
Come poteva cambiare tutto così in fretta? Come…?
Lo squillo del suo cellulare spezzò il silenzio e, per un secondo, gli fece martellare il cuore. Aprì l’apparecchio aspettandosi di vedere il nome del capo, ma con sua sorpresa era Bryony.
Lo fissò, senza però rispondere. A parte il lavoro, in quel momento lei era l’unica cosa bella della sua vita, e aveva paura di lasciarsi coinvolgere. Se Sweet ce l’aveva con lui, non ci sarebbe stato modo migliore per colpirlo che prendendosela con la sua ragazza. Perciò per il bene di Bryony avrebbe dovuto tenersi lontano.
La musichetta metallica sembrò andare avanti all’infinito, ma alla fine cessò, e il silenzio nella piccola capanna si fece quasi assordante. Sweet stava avvelenando anche le sue speranze e i suoi sogni.
Rimise il telefono in tasca, poi chiuse lo sportello. Doveva tornare indietro.
Stranamente l’auto era ancora lì, e tutta intera. «Grazie», mormorò lui al suo angelo custode invisibile, e aprì la portiera. Nel farlo sentì il bip del telefono che gli comunicava l’arrivo di un messaggio.
“È proprio una giornata di merda. Bere qualcosa aiuterebbe. Il tuo GROSSO CASO lo permette? Chiamami. Bry”.
Joseph fissò il messaggio, le dita sospese sul tasto di risposta. Se non l’avesse contattata, Bryony non avrebbe aspettato all’infinito. E se si fosse sbagliato su tutto? Forse era davvero qualche cattivo del suo passato che aveva deciso di incastrarlo. Si sentiva ancora un po’ scosso dal trauma recente, quindi forse stava lasciando che la sua immaginazione ingigantisse le cose in maniera sproporzionata. Rinunciando a Bryony, rischiava di rovinarsi l’occasione di un po’ di felicità nella vita.
Fissando il cellulare, si sentì come Don Camillo che parlava a Gesù, soppesando le sue opzioni terrene contro la sua coscienza morale. Con un sospiro, chiuse il telefono e spinse la chiave nell’accensione. Gesù vinceva. Il rischio era troppo grande.
La stanza delle indagini brulicava di agenti del Dipartimento di Investigazione Criminale. Una serie di fotografie, date, orari, luoghi e nomi erano sparsi sulla grossa lavagna trasparente dedicata al caso. La maggior parte del materiale non gli creava problemi, ma la foto del freddo omicidio di Chris Forbes lo faceva rabbrividire ogni volta che la guardava.
Dave Harris lo salutò con un cenno.
«Qualche novità, Dave?», chiese lui, sedendosi alla scrivania.
«Ancora no, sergente. Mi ha appena chiamato Cat, dice che non hanno fortuna. Ha detto di non aver mai sentito usare tanto spesso le parole “nella media”, “anonimo” e “ordinario”».
«E presumo indossasse sempre un cappello o un cappuccio».
«Esatto. Il che rende quasi impossibile fare una descrizione».
«Il capo è qui, Dave?»
«Nel suo ufficio, a fumare di rabbia. Penso sperasse che a questo punto avremmo potuto far girare almeno un’identificazione elettronica». Fece una smorfia. «Spero che lei abbia qualche buona notizia, se ha intenzione di entrare disarmato».
«Per fortuna devo prima fare qualche telefonata». Joseph accedette al computer ed esaminò il file di Martin Durham fino a trovare il nome della sua clinica oncologica. Appuntò il numero e sollevò la cornetta del telefono.
«Reparto oncologia. Buon pomeriggio. Come posso aiutarla?».
La voce sembrava troppo giovane per non appartenere a una bambina delle girl scout, ma Joseph si identificò e chiese di essere messo in contatto con chiunque fosse il responsabile. Dopo un po’, gli passarono una ragazza abbastanza adulta da essere una guida. Lui spiegò in fretta la situazione, poi le diede il numero della centrale di polizia e le chiese di chiamare per confermare le sue credenziali.
Ci vollero solo cinque minuti perché il suo telefono squillasse.
«Sarò felice di aiutarla, sergente Easter, ma temo che non abbiamo nessun paziente con quel nome».
«Ma ho qui le copie dei rapporti inviati alla dottoressa Helen Latimer di Cloud Fen. Ora, capisco che preferiate non discuterne per telefono, ma…».
«Mi dispiace, sergente, non è quello. Ho fatto un controllo approfondito nella nostra banca dati. Non abbiamo mai curato nessuno con quel nome. E prima che lo chieda, ho controllato anche le altre varianti ortografiche».
Joseph la ringraziò e mise lentamente giù la cornetta. Che cosa gli aveva detto Helen Latimer, nel loro primo colloquio? «Ricevevo aggiornamenti regolari dalla sua clinica oncologica».
Accigliato, riprese il telefono e compose il numero della dottoressa. «Sì, è importante». Il suo tono non lasciava spazio di manovra, e poco dopo sentì la voce della dottoressa. La donna era chiaramente irritata per l’interruzione.
«Mi spiace, ma è urgente», sbottò lui. «Devo sapere se ricorda di aver mai chiamato di persona la clinica oncologica di Martin Durham».
Lei rimase un po’ in silenzio, poi con voce molto più mansueta disse: «Ora che mi ci fa pensare, non ne ho mai avuto bisogno. Mi hanno sempre contattato loro, per telefono o tramite e-mail». Fece una pausa. «Che cosa sta succedendo, sergente Easter?»
«Vorrei saperlo, dottoressa. Lo vorrei davvero». La ringraziò e riattaccò. Cattivo umore o meno, era ora di vedere l’ispettore.
«Mai sentito nominare! Dev’esserci qualche errore».
«L’amministratrice è stata categorica. Penso che dovremo davvero scoprire molte più cose sul conto del suo vicino, non crede?», disse Joseph.
Nikki sentì tendersi i muscoli del collo. Sembrava che le sue paure su Martin stessero per concretizzarsi.
Per un po’ non disse nulla, mentre i suoi pensieri vorticavano follemente, poi abbassò lo sguardo sulla montagna di scartoffie sulla sua scrivania. «Nemmeno questo ci sarà d’aiuto». Picchiettò il dito sui fascicoli. «Ricordi le statistiche di morti improvvise su cui stavamo lavorando?». Gli fece un sorriso storto. «Va tutto bene, non sto trascurando l’indagine sull’omicidio. È solo che stanno ancora assillando il commissario per quei dati maledetti, e avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse mentre aspettavo il ritorno di Cat e dei suoi». Sfilò due rapporti e glieli porse. «Li stavo mettendo un po’ in ordine, e ho visto un nome familiare. Quando ho guardato più a fondo, ho cominciato a sentirmi irrequieta. Dai un’occhiata e dimmi cosa ne pensi».
Si appoggiò allo schienale e lo osservò mentre studiava i documenti. Non era lo stesso Joseph che era arrivato a Greenborough. Quell’uomo era stato calmo, sicuro di sé e del tutto controllato. Quello che le sedeva di fronte adesso appariva teso e preoccupato. La sua mente sembrava impegnata di continuo in qualche disputa, e se non l’avesse conosciuto troppo bene avrebbe detto che era spaventato.
Dopo un po’ lui alzò lo sguardo. «Capisco cosa intende, signora. Ma altri due casi di suicidio in persone molto stabili e all’apparenza felici non significano molto, no?».
Nikki scrollò le spalle. «Quelli sono solo riassunti sintetici, senza autopsie o altri rapporti. Penso che dovremmo dare un’occhiata. Sul momento hanno causato entrambi un certo scalpore, me lo ricordo». Si sfregò gli occhi. «Odio pensare che potremmo esserci lasciati sfuggire qualcosa, e che stessero accadendo cose brutte a brave persone».
Riprese il foglio, lo fissò e cercò di recuperare quello che poteva dalla memoria. «Amelia Reed. Cinquantunenne. Una specie di eroina locale, nel senso che soccorreva e si prendeva cura degli animali randagi e maltrattati. È annegata nella vasca da bagno. Nessun precedente di malattia mentale. Ci si era chiesti se fosse stato suicidio o morte accidentale. C’erano anche altri interrogativi, ma non ricordo quali fossero. So che si è giunti a un verdetto di non luogo a procedere».
Joseph annuì pensieroso. «E l’altro?»
«Paul Cousins, cinquantaduenne. L’hanno visto correre verso i binari come se avesse avuto tutti i demoni dell’inferno alle calcagna, solo che non sono stati i demoni a raggiungerlo, ma il treno delle 9:45 proveniente da Peterborough. Il giorno precedente era nato il suo primo nipotino».
«Correva come se avesse qualcosa alle calcagna», disse Joseph pensieroso. «Lo scenario è piuttosto simile a quello di Martin, no? E sono casi recenti?»
«Degli ultimi dodici mesi».
«Forse dovrei chiedere che ci diano i rapporti completi, in caso ci siano altri elementi che potrebbero collegarli». Joseph si massaggiò il mento con forza. «Anche se, a dire il vero, penso che rischiamo di sprecare tempo prezioso».
«Forse, ma questo va comunque fatto». Nikki picchiettò il dito sulle statistiche. «Non ho intenzione di lasciare il commissario nella merda». Espirò con forza. «E so che c’è un assassino violento in circolazione e che dobbiamo prenderlo. Ma anche nella morte di Martin c’è qualcosa che non torna, e se qualcuno sta spingendo al suicidio persone innocenti, quest’altro assassino è altrettanto terribile e pericoloso».
«Forse dovremmo passarlo a un’altra squadra», disse Joseph dubbioso.
«E quale caso vorresti cedere, Joseph?». Nikki lo guardò con fermezza. «Uno sembra legato a te, e l’altro a me».
Lui la fissò dritto negli occhi, ma non rispose.
«Non è facile, eh? E anche se non ti chiederei mai di spiegare il tuo passato a un’altra squadra, sento il dovere nei confronti di Martin di scoprire chi gli ha fatto questo». Si alzò in piedi di scatto e cominciò a camminare per l’ufficio. «Vedi, penso che senza volerlo potrei avergli fatto un torto, è questo».
«Forse non dovrei chiederlo…». Joseph inclinò un po’ la testa di lato. «E so che era abbastanza vecchio da essere praticamente suo padre, ma tra voi c’è mai stato qualcosa di più che una semplice relazione tra vicini?».
Qualche tempo prima Nikki non avrebbe esitato a sbatterlo fuori dall’ufficio, ma adesso si limitò a scuotere la testa e gli porse la foto che ritraeva lei, Martin e Hannah. «No, mai. Ma penso che potrei aver ignorato i segnali».
Lui fissò la foto. «Che Martin teneva a lei?»
«Mmm. Penso che fossi così presa dalla mia vita, dai miei problemi, che non me ne sono accorta. Oltre al fatto che, come hai sottolineato con tanta delicatezza, era molto più vecchio di me. Non ho mai neanche preso in considerazione la possibilità».
«E sta basando le sue supposizioni soltanto su questo?». Joseph le restituì la foto.
«No. C’è un’altra cosa». Nikki inspirò a fondo e fissò l’immagine. «Sai quanto tempo mia figlia ha passato in ospedale, no? Be’, qualcuno le mandava regolarmente un mazzetto di fresie. Stesso giorno, ogni settimana, senza eccezione. Oggi, per la prima volta da più di un anno, non ci sono stati fiori».
«E pensa che fosse Martin a mandarli?»
«E chi, altrimenti? Non era certo il padre di mia figlia», disse lei con amarezza. «Quel bastardo è venuto a trovarla una volta, poi mi ha telefonato dicendo che era tutto troppo traumatico ed è tornato negli Stati Uniti. Non lo vediamo da allora».
«Ha cercato di scoprire chi li mandava?»
«Oh, sì. Ma chiunque fosse usava un fioraio in città e pagava in contanti spingendo una busta sotto la porta. Niente nome e niente biglietto».
«È senz’altro strano, ma sembra il genere di mistero che resterà insoluto».
«Probabilmente sì. Ormai non posso certo chiederglielo, no?»
«Quindi che cosa facciamo con le due indagini?»
«Ci destreggiamo fra entrambe. Il commissario ci ha fornito parecchi rinforzi per l’indagine sull’omicidio di Chris Forbes, quindi propongo di delegare quanto più lavoro sul campo possibile, e nel frattempo noi continueremo a scoprire tutto quello che possiamo su Martin e su questi altri suicidi sospetti. E dobbiamo risentire sua sorella. Sono sicurissima che sappia qualcosa che l’ultima volta non era pronta a dirci».
Joseph annuì, e Nikki vide nei suoi occhi un barlume di sollievo. Non che pensasse che sarebbe durato a lungo. Se anche il loro assassino non fosse stato Sweet, stava facendo un ottimo lavoro e restava non identificato, lasciando Joseph in un permanente stato di agitazione. Il che non aiutava nessuno.
«Se può essere d’aiuto, questa sera resterò qui e cercherò di macinare qualche numero per il commissario. Prima di questo casino, mi era venuto in mente un modo per ottenere una visione globale migliore, incrociare le forze. Vedere che criterio usano e come ottengono i loro dati».
Nikki odiava dover accettare, poiché Joseph sembrava così esausto, ma aveva la sensazione che non si sarebbe riposato nemmeno se fosse tornato a casa. Aveva troppi pensieri per la testa. «Se puoi, un paio d’ore sarebbero fantastiche». Si lasciò ricadere sulla sedia. «Mi fermerò anch’io, e ordinerò del cinese, se sei d’accordo».
«Per me va bene, signora. Stasera la signora Blakely minacciava polpettone in scatola, e non sono troppo sicuro di reggerlo».
«Mmm, non sembra proprio il tuo genere, Joseph».
Lui le lanciò un piccolo sorriso. «Oh, con il polpettone in generale non ho problemi, ma mi è caduto l’occhio sulla data di scadenza della lattina. È quella a preoccuparmi».
«Ah, capito. Vada per il cinese, allora».