Capitolo
ventuno
Nikki arrivò a casa proprio allo scoppio della
tempesta. I venti soffiavano forte dal mare del Nord e battevano
contro la vecchia casa, e lei non poté fare altro che sforzarsi di
restare in piedi mentre si allontanava a fatica dall’auto.
Cadde praticamente dentro e si sbatté la porta
alle spalle, poi fu accolta da un profumino delizioso.
«Avevo detto di non prenderti il disturbo!»,
esclamò, togliendosi il giaccone fradicio.
«Mangia quello che vuoi, il resto andrà nel
congelatore». Joseph le fece un sorriso. «È la mia versione di un
gran buon takeaway!».
«Sai cucinare indiano?», chiese Nikki, non del
tutto convinta che esistesse del cibo che non veniva dal takeaway
Taj.
«Preparare piatti orientali è molto
rilassante, tutte quelle splendide spezie da macinare e
mescolare».
«Sei proprio strano, sai? Di solito la gente
per rilassarsi fa un cruciverba, o gioca a Sudoku; tu macini spezie
e tagli peperoncini». Scosse la testa incredula, e si tolse le
scarpe zuppe d’acqua. «Stasera il tempo là fuori è pazzesco, ma
quando girerà la marea dovrebbe calmarsi».
«Mi sono preso la libertà di prepararti un
bagno. Immaginavo che saresti arrivata fradicia». Lui tornò a
voltarsi verso i fornelli. «Quando avrai finito, la cena dovrebbe
essere pronta».
Nikki salì di sopra, si tolse i vestiti
bagnati e poi s’infilò la vestaglia. Prese un paio di pantaloni e
una maglia morbida di pile dal guardaroba ed entrò nel bagno.
Come Joseph aveva detto, la vasca era pronta,
e vicino ai rubinetti c’era un bicchiere di vino con un biglietto.
Diceva solo: “Rilassati”.
Nikki s’immerse nell’acqua bollente e si trovò
a trattenere le lacrime. Non riusciva a ricordare che qualcuno le
avesse mai riservato una simile attenzione. Di Robert, il suo ex
marito, si potevano dire molte cose ma non che fosse premuroso, e
le sue poche altre fuggevoli avventure erano state proprio così,
fuggevoli. Non c’era tempo per le gentilezze.
Per un attimo, si odiò per aver anche solo
pensato che quell’uomo dolce e affettuoso potesse aver subìto danni
psicologici tali da spingerlo a dare la caccia e uccidere
sistematicamente delle persone.
Bevve un sorso di vino freddo, lo assaporò e
decise che Bryony era una donna fortunata, molto fortunata. Avrebbe
sentito la mancanza di Joseph quando se ne sarebbe andato, e non
solo per le sue doti culinarie. Con lui lì, quel vecchio posto
sembrava davvero una casa.
Rimase a mollo per un po’, riflettendo sui
risultati della giornata, che non erano molti, poi si concesse di
pensare a Martin Durham. Sembrava impossibile che Joseph avesse
fatto un tale passo avanti. Sperò di riuscire a fare lo stesso con
l’assassino di Greenborough.
Nikki si alzò e si avvolse in un morbido
asciugamano spesso prima di uscire dalla vasca.
«Cinque minuti!», sentì gridare dal piano di
sotto.
«Arrivo!», urlò in risposta. Si vestì e,
reggendo con attenzione il bicchiere di vino, corse giù per le
scale.
«Per essere una donna senza appetito, hai
lasciato ben poco per il congelatore», commentò Joseph. «Non vorrei
vederti quando sei davvero affamata!».
«Non è un bello spettacolo, credimi. Ma era
troppo buono per farlo avanzare, grazie». Nikki fece una pausa.
«Dimmi cos’altro hai scoperto sulle nostre morti sospette».
«Molto poco, temo, a parte un tenue
collegamento con il Gordon Peace Memorial Hospital, ma anche
internet non ha grandi informazioni al riguardo».
«Quando hanno costruito il Greenborough
General e li hanno costretti a chiudere c’è stata un’insurrezione.
Marce di protesta e tutto».
«Continuo ad avere l’impressione di sapere
qualcos’altro al riguardo, ma mi sfugge».
Nikki bevve un sorso di vino. «Non posso
aiutarti, temo. Da bambina non ci sono mai dovuta andare, e in
pratica sono cresciuta con il Greenborough General».
«Mi verrà in mente senz’altro. Dunque? Al
lavoro è andata davvero così male, oggi? Sembravi tesissima, quando
ci siamo sentiti».
Lei si appoggiò allo schienale e porse il
bicchiere perché glielo riempisse di nuovo. «Diciamo che non poteva
andare peggio. La vittima numero tre era così in palla per quanto
era quasi accaduto che si è rivelata praticamente inutile. Ha
trascorso del tempo con quel maledetto Snaz, ma ci ha fornito una
descrizione pessima. Poi ci ha implorato di farlo restare in cella,
in caso il suo aggressore lo stesse aspettando per finirlo».
«Scommetto che il sergente di custodia ha
apprezzato l’idea».
«Abbiamo trovato un parente fuori città che è
disposto ad accoglierlo, finché non potrà tornare a casa».
«E chissà quando sarà», borbottò Joseph
cupo.
Per un attimo Nikki provò rabbia, poi fu
invasa dalla tristezza. Nonostante la sua faccia coraggiosa, la
cucina raffinata e il suo impegno nello scoprire che cosa era
accaduto a Martin, Joseph stava soffrendo. Soffriva e aveva paura
per il futuro.
«Sto facendo del mio meglio, Joseph,
davvero».
«Lo so. E non credere che non lo apprezzi»,
disse tristemente lui. Si passò la mano tra i capelli. «È solo che
non mi sono mai sentito così frustrato, così del tutto impotente».
Le lanciò un’occhiataccia. «Be’, in effetti sì, una volta sola, e
aveva sempre a che fare con Billy Sweet. Ha un vero talento per
rovinarmi la vita».
A Nikki quell’umore tetro non piacque, così
decise di cambiare argomento. «Hai parlato con Bryony, oggi?»
«Non ancora». Lui bevve il suo vino e fissò lo
sguardo nel bicchiere. «Prima ci ho provato, ma aveva il telefono
staccato. Presumo fosse impegnata al lavoro. La chiamerò più
tardi».
Nikki sperò che la donna mantenesse l’impegno
e gli dicesse che non aveva visto il suo stalker. Corrugò la
fronte, chiedendosi come Joseph avrebbe preso la notizia. Si stava
aggrappando a quella testimonianza per mantenersi sano. Bevve un
sorso e decise che era meglio non cercare di prevedere le sue
reazioni ma limitarsi a gestirle quando fosse venuto il momento.
«Allora, immagino sia ora di discutere la nostra prossima mossa per
il caso di Martin Durham». Guardò Joseph e alzò il bicchiere. «Ben
fatto, a proposito. Sei stato geniale a notare quella scatola di
medicinali nella foto di Amelia».
«Grazie. Oh, ma devi guardare questa». Joseph
si alzò e uscì dalla stanza, per tornare pochi minuti dopo con una
fotografia.
Nikki la fissò, poi sorrise vedendo un giovane
Martin Durham felice e sorridente. «Ma guardalo, nessuna
preoccupazione al mondo», bisbigliò.
Joseph si chinò sulla sua spalla e indicò il
cartello. «Dev’essere questo che li
lega, Nikki. L’ospedale. Le compresse devono venire da lì».
«Ma l’ospedale non c’è più da un pezzo, quindi
chi le sta spedendo adesso?»
«Sarà la mia prossima linea investigativa.
Devono pur esserci dei documenti, e se riesco a rintracciarli
troverò la fonte». Joseph si morse nervosamente il labbro. «Sempre
che la mia nuova condizione di civile me lo permetta».
Nikki lo fissò. «E se ti mandassi qualche
aiuto? Sotto forma di Niall o Yvonne?».
Lui raddrizzò la schiena. «Lo faresti? Sarebbe
fantastico!».
«Be’, diciamocelo, se non stessimo dando la
caccia al nostro assassino, il caso di Martin sarebbe attivo. Ci
sarebbe un’intera squadra in giro a fare domande, non un solo
agente». Gli sorrise. «Sì, ci penso io. Dobbiamo solo tenere la
bocca chiusa su cosa stanno facendo di preciso, d’accordo?».
Joseph sogghignò. «Be’, sarei l’ultimo a
protestare al riguardo». La sua espressione tornò seria. «Ma per
favore, non esporti troppo per me, Nikki. So quanto stai rischiando
anche solo a lasciarmi proseguire l’indagine, per quanto di
nascosto».
«Oh, non preoccuparti troppo di quello. Sarò
discreta, ma con la mia reputazione certe cose vanno messe in
conto!». Si appoggiò allo schienale della sedia e fissò la
fotografia. «Ce ne sono altre così?».
Joseph scrollò le spalle. «Vado a prendere la
scatola. Alcune potrebbero dire più a te che a me».
Per mezz’ora frugarono tra le vecchie foto.
Alcune di quelle scattate a Cloud Fen fecero sentire Nikki
piuttosto nostalgica.
«Guarda questa». Joseph la riportò al
presente. «Dimmi che cosa vedi».
Lei fissò la foto segnata da un’orecchia.
Ancora una volta i cinque amici erano raccolti intorno alla vecchia
auto, e all’inizio Nikki pensò che fossero scatti consecutivi, ma
poi notò delle sottili differenze.
«Su quell’albero ci sono meno foglie, e le
ragazze indossano giacchette leggere. Questa è stata scattata nello
stesso posto, vicino all’ospedale, ma in un altro periodo
dell’anno».
«Quindi si incontravano lì, o ci andavano
regolarmente». Joseph corrugò la fronte. «Ma perché?»
«Un amico malato?», azzardò Nikki. «Quando
Hannah è stata male, mi sono quasi trasferita all’ospedale».
«Forse». Joseph non sembrava convinto.
«Avresti qualcosa da obiettare se dessi un colpo di telefono alla
sorella di Martin?»
«Per nulla. Dovrebbe ricordare che cosa
stavano facendo».
Mentre Joseph era nello studio, Nikki impilò i
piatti e cominciò a caricare la lavastoviglie. I tuoni stavano
rombando minacciosi sulla palude, e d’un tratto le luci
sfarfallarono un paio di volte.
«Oh fantastico», borbottò lei, e cominciò a
frugare nell’armadietto sotto al lavandino. Le interruzioni di
corrente non erano insolite nella palude e lei teneva sempre a
portata di mano un paio di torce a batteria. «Il finale perfetto
per una giornata del cazzo».
Controllò che le torce funzionassero, poi andò
nello studio a spegnere il computer. Seduto alla scrivania, Joseph
stava fissando pensieroso la foto. «Scoperto qualcosa?»
«Oh, penso di sì», rispose lui in tono
sommesso. «In effetti, potremmo esserci appena imbattuti in una
vera pista». Alzò lo sguardo su di lei. «Elizabeth ha detto che da
studenti erano tutti al verde».
«Nessuna novità, direi».
Joseph inarcò le sopracciglia. «Tieni a mente
il periodo. Stiamo parlando dei primi anni Settanta. Per avere
qualche soldo in più, Martin, Elizabeth e i loro amici hanno
partecipato a uno studio clinico gestito dall’ospedale».
«Che genere di studio?»
«A quanto pare, test di farmaci contro il
raffreddore e studi sul sonno».
Nikki fece un fischio.
«Ed è per quello
che il Gordon Peace Memorial mi suona familiare. Ricordi di aver
mai letto qualcosa sugli esperimenti di Porton Down?».
Lei corrugò la fronte e cercò di riflettere.
Ricordava solo che Porton Down era stato, e probabilmente era
ancora, un centro di ricerca governativa e militare che testava
armi chimiche e biologiche. «Gas nervino, giusto? Sviluppavano lì
il Sarin e il gas CS, no?»
«Senz’altro, ma io pensavo all’accusa che
facessero esperimenti immorali sugli esseri umani». La voce di
Joseph aveva assunto un timbro molto diverso, che Nikki ricordava
dal loro primo incontro. Sembrava entusiasta e impaziente di
arrivare alla verità. «Il punto è che Porton Down collaborava anche
con una squadra di ricerca sul raffreddore, una Common Cold Unit
dell’ospedale di Harvard, a ovest di Salisbury. Ma non erano i soli
a fare esperimenti. C’era un altro centro nell’Inghilterra
orientale. Qui, per essere precisi, alla Common Cold Unit del
Gordon Peace!». La guardò intensamente. «Per questo il nome mi era
familiare! Ci furono indagini già negli anni Cinquanta, ma
qualunque cosa emerse fu messa in ombra da quelle più documentate
su Porton Down e sugli uomini del servizio nazionale che erano
stati convinti con l’inganno a prendere parte a qualcosa che non
capivano. Ricordi? Ricevevano stipendio e giorni di permesso
aggiuntivi se si offrivano volontari per testare farmaci contro il
raffreddore, solo che su alcuni fu testato invece il gas
nervino».
«E uno morì, vero?». Nikki sentiva riemergere
vaghi ricordi. Contrasse il volto confusa. «Ma non starai certo
insinuando che questi ragazzi fossero coinvolti in qualche
terribile esperimento proprio qui a Greenborough? Ormai erano
passati degli anni».
«Gli esperimenti continuavano. Elizabeth
Durham mi ha appena detto che molti studenti vi presero parte negli
anni Settanta, ma alcuni, tra cui Martin e Amelia, si offrirono
volontari per diversi test, e qualunque cosa fossero, non avevano
niente a che fare con il raffreddore».
«E lei non l’ha fatto?»
«No, ha detto che alcuni dei suoi amici erano
determinati a fare la loro parte per il progresso della scienza
medica, ma lei non si sentiva a suo agio nel ruolo di cavia».
«Ha detto che cosa riguardavano questi altri
esperimenti?»
«Non ne ha idea. A quanto pare, Martin e
Amelia erano molto evasivi al riguardo. Poi suo fratello scoprì di
avere il cancro e gli esperimenti finirono nel
dimenticatoio».
Nikki fece un lungo respiro tremante. «Questa
storia non mi piace».
«Neanche a me, se rischiamo di scontrarci con
il ministero della Difesa». Joseph serrò la mascella. «Dobbiamo
solo sperare che non ci siano legami con l’esercito e che qualunque
cosa stesse succedendo in quell’unità fosse un esperimento
finanziato con fondi privati».
Un minaccioso rombo di tuono aggiunse gravità
alle sue parole, e Nikki rabbrividì. Martin Durham, Amelia Reed,
Paul Cousins e chi altri? Tre morti conosciute, tutte piuttosto
recenti, e collegate da un farmaco sinistro e un esperimento
svoltosi decenni prima. Non riusciva a capire. «Dobbiamo scoprire
tutto il possibile su questi esperimenti. Dovremmo andare a trovare
Elizabeth Durham». Nikki guardò Joseph, serissima.
«Stanotte».
«Con questo tempo?». Lui aveva gli occhi
sgranati. «Ci andrà bene se arriviamo fino alla strada principale
senza dover chiamare la guardia costiera!».
Un fulmine sfarfallò nella stanza e Nikki
sobbalzò per un colpo di tuono assordante. «Cristo! È proprio sopra
di noi!». Allungandosi sulla scrivania, tirò a sé una delle torce.
«Se va avanti così, dieci a uno che salta la corrente». Batté il
pugno sulla scrivania e imprecò. «Accidenti! Ho davvero bisogno di
parlare con la sorella di Martin. È il nostro unico collegamento
con quello che gli è successo».
«Parlale al telefono». Joseph alzò la cornetta
e gliela passò. «Chiedile di cercare tutto il possibile sulla
Common Cold Unit, e domattina presto passerò da lei».
«Forse sarebbe meglio». Nikki sospirò e prese
il telefono. Premette il pulsante un paio di volte, poi alzò gli
occhi al cielo e lo sbatté di nuovo sulla base. «Fantastico! Adesso
è partita la linea».
«Cellulare?».
Scosse la testa. «Credi che prenda da queste
parti, nel mezzo di una maledetta tempesta? Non penso
proprio».
«Quanto durano questi temporali estivi?»,
chiese Joseph.
Nikki lanciò un’occhiata all’orologio.
«Dovrebbe spostarsi quando gira la marea, cioè più o meno tra
un’ora, o potrebbe continuare tutta la notte».
«Be’, se sei davvero preoccupata, aspetterò
che si calmi un po’ e poi andrò a Old Bolingbroke per parlarle
questa sera stessa».
«Ti accompagno».
«No». Joseph la fissò, il volto pieno di
preoccupazione. «Devi riposare. Ti aspetta un’indagine per
omicidio, e Billy Sweet è ancora in giro da qualche parte». Si
sporse e le strinse piano la spalla. «Ascolta, so che Martin Durham
per te è importante, ma prendere Billy è importante per me, e per
chiunque altro rischi la vita sulla sua strada, e ora come ora io
non posso fare un cazzo al riguardo. Dipende tutto da te e dalla
squadra, Nikki». Lasciò cadere il braccio ma continuò a guardarla
dritto in faccia. «Andrò dalla sorella di Martin per conto tuo, se
tu continui a concentrarti per prendere quel bastardo assassino al
posto mio».
Nikki deglutì. Billy Sweet era morto, ma come
poteva dirglielo? E anche se l’assassino non si chiamava Sweet,
vagava comunque per le strade di Greenborough.
«D’accordo. Ma guida con prudenza, queste
strade sono infide anche nei momenti migliori».
«Tornerò prima che tu te ne accorga». Si fermò
giusto il tempo di mettersi in tasca le due vecchie foto. «Cerca di
dormire. E non osare aspettarmi alzata. Sembri distrutta. Ti
aggiornerò su tutto domani».
Forse fu il vino, o il peso di tutte quelle
morti sulle spalle, ma di colpo Nikki si sentì insopportabilmente
stanca. Travolta dalla spossatezza, si sentì annuire. «D’accordo,
d’accordo. Ho ricevuto il messaggio. Ma stai attento su quelle
cavolo di strade, capito?»
«Forte e chiaro, signora».
Costringendosi ad alzarsi, Nikki lo sentì
prendere un impermeabile dall’armadio, poi la porta d’ingresso si
richiuse con un clic. Lei sbadigliò. Joseph non aveva neanche
aspettato che la pioggia scemasse. Per un attimo si sentì in colpa.
Era possibile che Elizabeth non sapesse nient’altro che quello che
gli aveva già detto e, in fondo, qualunque informazione avrebbe
potuto aspettare l’indomani mattina. Diavolo, Joseph avrebbe fatto
un viaggio terribile, e forse inutile, ma lei aveva l’impressione
che Martin la stesse in qualche modo chiamando, e non voleva
ignorarlo. Avevano scoperto qualcosa; lo sentiva nel cuore. E a
causa di tutto quello di cui lei doveva occuparsi, sarebbe toccato
a Joseph dimostrarlo.