Capitolo
venti
Joseph alzò lo sguardo dallo schermo del
computer e si sfregò gli occhi. Faticava a credere che fosse l’una
passata e che lui fosse finalmente riuscito a calmarsi abbastanza
da concentrarsi su Martin Durham.
Prima, Nikki l’aveva chiamato per dirgli che
Sweet aveva provato a uccidere di nuovo. La notizia l’aveva quasi
mandato in tilt, ma in qualche modo era riuscito a riprendersi.
Dentro di sé sapeva che l’unica maniera di uscire da quella storia
senza perdere la ragione era immergersi del tutto nel lavoro. Il
che sembrava un’ottima cosa, ma senza distintivo era fregato!
Persino nel caso Durham, aveva già fatto tutte le ricerche
possibili senza usare i canali ufficiali. Doveva aspettare che
Nikki gli procurasse qualche informazione aggiuntiva, ma con le
follie che stavano accadendo al commissario di Greenborough non
aveva il coraggio di seccarla. Del resto forse avrebbe dovuto,
perché in quelle due strane morti, Amelia Reed e Paul Cousins,
c’erano cose che cominciavano a disturbarlo.
Spinse indietro la sedia e stiracchiò le gambe
intirizzite. Sulla scrivania di fronte a sé aveva una lista
approssimativa di noti criminali che potevano serbargli rancore.
Nikki gli aveva chiesto di pensare ai vecchi casi ma, anche se ce
n’erano parecchi e aveva ricevuto davvero qualche vaga minaccia,
nessuno sembrava abbastanza strambo da volerlo distruggere.
Accantonò la lista. Era un totale spreco di tempo. Nessun
delinquente che aveva arrestato avrebbe mai organizzato una
vendetta del genere. E lui aveva bisogno di una pausa. Voleva
riflettere obiettivamente su Reed e Cousins e tutto il resto si
stava mettendo in mezzo. Forse avrebbe dovuto andare a fare due
passi. Comprare qualcosa. Cibo vero, non spazzatura improvvisata.
Qualcosa che potesse usare come terapia per aiutarlo a
riflettere.
Stiracchiandosi di nuovo, si alzò in piedi e
cercò di ricordare quale fosse il piatto più laborioso e
impegnativo che avesse mai cucinato. E che cosa poteva piacere a
Nikki? In realtà, sembrava gradire tutto ciò che le si metteva
davanti. Sorrise. Era bello cucinare per un’altra persona. E quel
pensiero gli fece tornare in mente Bryony, e quanto desiderasse
cucinare qualcosa per lei. Era certo che l’avrebbe apprezzato. Non
che Nikki non lo facesse, ma sarebbe stato diverso cucinare per
una…
S’interruppe. Una cosa? Che cosa sarebbe
diventata Bry? Un’amante? Una compagna? Non ne era sicuro, e aveva
il terrore di correre troppo. E dove avrebbe voluto cucinarlo, di
preciso, quel suo pranzo elaborato?
Le stanze che affittava avevano
un’attrezzatura piuttosto limitata e non includevano certo una
cucina da MasterChef.
Ancora una volta, finì per distrarsi. Si era
ripromesso di mettere da parte il ricavato della vendita della sua
casa di Fenchester, ma forse avrebbe dovuto cercarsi un posto a
Greenborough o nei dintorni.
E forse era meglio che si concentrasse sul
lavoro, accidenti. Non aveva il diritto di fare progetti per niente
o nessuno finché Billy Sweet non fosse stato catturato. Anche solo
pensare a quel nome lo fece infuriare. Sweet non aveva alcun
diritto di rientrare nella sua vita e fargli crollare tutto il
mondo addosso.
Con un’imprecazione soffocata, Joseph prese il
telefono, compose il numero fisso di Nikki e le chiese se c’era
qualche nuovo sviluppo.
«Ancora nulla, Joseph».
Sembrava preoccupata, e perché non avrebbe
dovuto? «Mi stavo chiedendo se ha sentito Elizabeth Durham», le
disse lui.
«Ha chiamato prima, ma con tutto quello che
sta succedendo non posso andare da lei».
«Potrei andarci io, signora? Qui sono
bloccato. Ho bisogno di sapere alcune cose su Martin e sono sicuro
che sua sorella potrebbe aiutarmi».
Ci fu una lunga attesa, poi a bassa voce lei
disse: «Preferirei che non lo facessi, Joseph. Non voglio che il
commissario capo abbia qualcosa da ridire. Ma del resto, non
c’entra nulla con la principale indagine di omicidio e io non sono
la tua carceriera, quindi se decidi di uscire per farti un giretto
non sono tenuta a saperlo, no? Solo, non fare parola con nessuno
della tua sospensione. Potremmo ritrovarci entrambi al centro per
l’impiego».
«Devo uscire comunque, se non vuole che
moriamo di fame. Pensavo di provare il grande supermercato su Old
Bolingbroke Road».
«Che coincidenza. Ma, Joseph…».
«Sì, signora?»
«Stai attento, okay? Non abbiamo ancora preso
questo assassino, e non sono sicura che sia saggio gironzolare per
la campagna da solo».
Aveva chiamato Elizabeth prima di uscire, e
lei era sembrata felice che potesse raggiungerla. Al suo arrivo,
gli aveva aperto Janna.
«Non pensavo che avreste trovato il tempo di
venire, con tutti questi orribili omicidi». Il commento non era
sarcastico, solo un’osservazione sincera, dopodiché l’aveva
condotto in veranda e si era lasciata cadere su una poltrona
confortevole. «Si accomodi, sergente».
«Grazie. È vero che siamo impegnati, ma il
capo non voleva pensaste che non stiamo facendo niente per la morte
di Martin».
«Elizabeth ve ne sarà grata. Sta cominciando a
essere agitata per tutto, specialmente il furto».
«Non lo sarebbe chiunque?». Elizabeth aveva
appena fatto una delle sue famose entrate silenziose.
«Penso che ne abbia tutto il diritto», disse
Joseph in tono serio, tirando fuori il taccuino e una penna. «Ora,
mi chiedevo se sarebbe disposta ad aiutarmi rispondendo ad alcune
domande».
Elizabeth si sedette. «Le dirò tutto quello
che posso».
«Janna ha affermato che a suo fratello è
accaduto qualcosa, molto tempo fa. Di cosa si tratta?»
«Purtroppo non mi ha mai detto molto, ma
riguardava la sua salute e qualche terapia a cui si era sottoposto.
È stato molto male, è quasi morto, ma quando si è ripreso era
cambiato».
«In che senso?»
«È difficile dirlo, ma era diverso». I suoi
lineamenti furono offuscati da un’espressione perplessa. «Forse
queste l’aiuteranno a capire». Si chinò e raccolse una scatola dal
pavimento accanto alla sua sedia. «Le prenda pure, basta che poi me
le restituisca».
Joseph prese la scatola e l’aprì. Dentro
c’erano due grandi buste, una contrassegnata come PRIMA e l’altra come DOPO. Contenevano ritagli di giornale e decine di
fotografie. Alcune a colori, altre in bianco e nero. Quasi tutte
recavano nomi, date e luoghi scritti con cura sul retro.
«Non ricordo tutti i nomi e i posti. Ma
guardandole lo vedrà anche lei, è passato dall’essere estroverso e
gregario a solitario».
«Oh, non era messo così male», intervenne
Janna. «Solo, amava le paludi e il suo lavoro. A Cloud Fen gli
volevano tutti bene, non era certo l’Howard Hughes delle Fens,
no?»
«Tu non lo conoscevi prima, tesoro».
«Un incontro con la morte può cambiare le
persone», osservò Joseph in tono greve.
«Ne sono certa. Ma c’era dell’altro. Eravamo
sempre stati così uniti, sergente, ma di punto in bianco ha smesso
di confidarsi con me. Era praticamente al verde, ma quando è
tornato a casa aveva soldi in tasca, e non ha mai detto da dove
provenissero».
Joseph rifletté in fretta. Faceva pensare a
un’operazione andata male, o a qualche errore medico che aveva
portato a un risarcimento informale. «Dove è stato curato?»
«Al Gordon Peace Memorial Hospital. Ha chiuso
quando hanno costruito il Greenborough General».
«Mi sembra di aver già sentito il nome da
qualche parte». Joseph si spremette le meningi, ma non gli venne in
mente nessun collegamento. «Proverò a indagare, ma il tempo
trascorso non renderà le cose facili, così come il fatto che tutte
le loro osservazioni saranno state trasferite, se non distrutte,
anni fa».
«Martin ha sempre assicurato in modo
categorico che non c’erano stati errori, se è quello che sta
pensando. Ha detto che avevano fatto il possibile, e che era in
debito nei loro confronti».
Forse era così, ma forse aveva accettato una
bustarella ed era soddisfatto del risultato. Joseph prese un paio
di appunti, poi chiese: «E le sue medicine? Sbaglio a pensare che
fosse turbata l’ultima volta che le abbiamo fatto domande al
riguardo?».
Elizabeth Durham sospirò. «Mi dispiace. In
quel momento era troppo da affrontare». Si appoggiò allo schienale.
«Le sue medicine erano una specie di bête
noire, per me. Gli provocavano terribili effetti
collaterali, e per quanto gli parlassi dei progressi in campo
medico, si rifiutava di sottoporle a revisione. Diceva che la
clinica presso cui era in cura sapeva benissimo che cosa stava
facendo, e che non dovevo intromettermi».
«Era l’unica cosa su cui litigavano», aggiunse
Janna.
«Si tratta della clinica oncologica?»
«Penso di sì». Elizabeth si accigliò.
«Dev’essere quella. Non andava da nessun’altra parte».
«Lei l’ha mai accompagnato?».
Scosse tristemente la testa. «Mai. Non me l’ha
mai permesso».
Ma che sorpresa,
pensò Joseph. «Perciò, quando avete deciso di trasformarvi in
investigatrici, stavate perquisendo Knot Cottage in cerca di
qualcosa che avesse a che fare con il suo periodo in
ospedale?».
Entrambe annuirono cupe. «Ce ne scusiamo,
sergente. Non volevamo intralciare la vostra indagine, pensavamo
solo di poter riconoscere qualcosa che per voi avrebbe significato
poco o niente».
«E invece non c’era nulla in assoluto».
«Nulla. O l’ha portato via l’intruso, o non
c’è mai stato».
«Un’ultima domanda, signora Durham. Conosceva
Paul Cousins o Amelia Reed, o Martin ha mai parlato di loro?»
«Amelia! La conoscevamo tutti, sergente. Al
suo confronto, san Francesco era un vero e proprio filisteo! Era
l’angelo custode degli animali, poverina, fino a quel terribile
incidente».
«O è stato un suicidio?», aggiunse Janna a
bassa voce. «Non c’è mai stato un verdetto, ricordi?». Fissò
Joseph. «Non penserà che ci sia un collegamento, vero?»
«No, sto solo cercando di fare confronti, e
dato che erano entrambi di qui, mi chiedevo se c’era la possibilità
che lei o suo fratello li aveste conosciuti».
«Il nome Cousins non mi dice niente, ma Amelia
era un’istituzione da queste parti. Abbiamo frequentato la stessa
scuola, a un certo punto eravamo persino abbastanza amiche, anche
se sembra passato davvero molto tempo». Elizabeth Durham indicò la
scatola di fotografie. «Penso ci sia una nostra foto di gruppo, lì
dentro».
«Sergente?». Janna si sporse in avanti.
«L’altra volta ha accennato alla possibilità di un omicidio. Lo
pensa ancora?»
«Non posso fare commenti ufficiali», rispose
lui con cautela. «Ma l’intero scenario mi disturba molto, non mi
convince, e ci sono troppe domande senza risposta riguardo alle sue
medicine».
«Tipo?», chiese Janna.
«Riceveva le compresse dal suo medico, una
terapia controllata che la dottoressa sperava di rivedere nel
prossimo futuro, ma aveva anche altri farmaci, in semplici
scatoline bianche».
«Devono essere quelle che otteneva
direttamente dalla clinica», rispose Elizabeth. «Gliele spedivano
tramite corriere, o andava a ritirarle all’ufficio postale del
paese vicino».
Joseph sentì una fitta di disagio. Ingegnoso,
considerando che la clinica sosteneva di non averlo mai sentito
nominare. Ma non era il momento di condividere quel dettaglio. «Ed
era una cosa a lungo termine, vero?»
«Oh sì, anni e anni».
«Penso che dovrei fare visita a quella
clinica», disse Joseph, quasi tra sé.
«In questo caso sarebbe così gentile da
informarli della morte di mio fratello, e dirgli di interrompere
l’invio dei medicinali?»
«Certo. Volentieri». Meglio così, rifletté Joseph. Non vogliamo che in quel posto entrino troppe persone. Non
finché non avremo scoperto perché negano in modo categorico di
conoscere Martin. «Adesso devo andare. Ma grazie del vostro
aiuto».
«Si figuri, sergente Easter. E se scopro
qualcos’altro che potrebbe esserle utile, chiamerò in centrale,
d’accordo?»
«Chiami direttamente l’ispettore Galena. In
questo periodo sono spesso in giro. Lei mi passerà ogni
informazione, glielo assicuro».
Gli ci vollero due ore per fare la spesa e
ritrovare la strada per tornare da Nikki. E quando infine arrivò
c’erano minacciose nuvole scure che venivano da est, e la palude
cominciava a perdere la sua magia. In effetti, a un ragazzo di
città come lui anche l’aria sembrava carica e minacciosa.
«Troppo cielo», borbottò mentre tirava fuori i
sacchetti stracolmi di spesa dal bagagliaio.
Una volta dentro si sentì meglio, soprattutto
quando fu in cucina. L’aveva già pensato in precedenza, ma quella
stanza in particolare aveva un’atmosfera così gradevole che se
fosse vissuto lì sarebbe stata il centro del suo universo.
Tolse le provviste dai sacchetti e le mise
via, poi prese un pacchetto sigillato dall’ultima delle buste ed
estrasse dalla confezione un nuovo cellulare prepagato. Si era
sentito nudo a guidare senza nulla che gli permettesse di
contattare qualcuno, e quello gli sarebbe bastato finché non avesse
riavuto dal laboratorio la sua versione superaccessoriata.
Inserì la SIM, la
impostò e la attivò. Mentre aspettava che si ricaricasse, chiamò
Bryony dal fisso. Dopo un po’ riattaccò. Doveva essere impegnata.
Forse non avrebbe dovuto comunque telefonarle al lavoro, molte
aziende non gradivano che i dipendenti ricevessero chiamate
personali. Eppure, era strano che non fosse partita la
segreteria.
Nessun problema, si disse, avrebbero fatto una
bella chiacchierata quella sera, adesso era il momento di dedicarsi
al suo hobby terapeutico.
Passò una mezz’ora a tagliare gli ingredienti
a pezzetti, fettine e dadini, poi con un sospiro soddisfatto
ricoprì il preparato con la pellicola trasparente e ripose tutto
nel frigo. Dopodiché ripulì il tavolo e andò a prendere le foto
della famiglia Durham e tutti i suoi vecchi appunti, le fotografie
e i fascicoli su Reed e Cousins.
Per prima cosa guardò le foto, posandole sul
tavolo ed esaminandole in silenzio. Non ci mise molto a capire che
cosa avesse voluto dire Elizabeth. Le foto più vecchie mostravano
un ragazzo molto attivo, sempre al centro dell’attenzione,
circondato da amici e costantemente impegnato a sorridere, fare
smorfie e comportarsi da pagliaccio. Quelle successive erano molto
più pacate, e in genere ritraevano solo Martin, anche se un paio
erano state scattate con Elizabeth. Il contatto ravvicinato con la
morte? Joseph rabbrividì, poi rimise le ultime nella busta e si
concentrò su quelle dei primi anni. Se c’era qualcosa da trovare,
era sicuro che risalisse a molto tempo prima.
Dopodiché guardò gli appunti e i fascicoli
relativi ad Amelia, Paul e Martin, annotando qualunque dettaglio
potesse essere rilevante e facendo poi controlli incrociati. Date
di nascita, indirizzi, scuole, religioni, hobby, primi lavori,
storie familiari. Non c’era nessun collegamento particolare, a
parte il fatto che la sorella di Martin era andata a scuola con
Amelia, e quello non bastava.
Joseph tornò alle fotografie, ma trenta minuti
dopo, ancora non aveva trovato nulla. Con un grugnito deluso si
alzò per sgranchirsi le gambe, me nel farlo urtò con il gomito la
cartellina di Amelia Reed e fece volare foto e rapporti sul
pavimento ammattonato.
Mentre le raccoglieva e cercava di rimetterle
in qualche parvenza di ordine, notò qualcosa che prima gli era
sfuggito. Una foto della scientifica del corpo di Amelia. Ma non fu
il cadavere pallido ad attirare il suo sguardo, come limature di
ferro attratte da una calamita. Accanto alla donna, su uno scaffale
vicino alla vasca da bagno, c’era una scatola di compresse. Una
semplice scatola bianca.
Joseph corse nello studio e scannerizzò la
foto. Non appena l’ebbe sullo schermo, zoomò sulla scatola e fece
un fischio. L’immagine ingrandita mostrava una scatola grande
quanto quelle trovate a Knot Cottage, e contrassegnata solo da una
piccola etichetta rettangolare. Proprio come quella di
Martin.
Stampò la foto e alzò la cornetta del
telefono. «Signora, mi serve un favore».
Nikki sembrava orribilmente distratta, ma
annotò la sua richiesta. «Manderò Yvonne o Niall a vedere se
trovano qualcosa, ma ci vorrà un po’, sai com’è il deposito
prove».
«Almeno qui il deposito è in sede. Quello di
Fenchester era a trenta chilometri di distanza in un reparto di
sicurezza».
«E ti rendi conto che potrebbe non esserci
nulla? In fondo, la morte di Paul Cousins non è stata considerata
un omicidio».
«Lo so, signora. Ma è agli atti che quando è
accaduto ha destato un tale clamore che si sono fatte molte
domande, e indagini serie, immagino per coprirci le spalle. In ogni
caso, le sue medicine sono state senza dubbio fatte
analizzare».
«D’accordo, ti chiamo se trovano qualcosa».
Nikki sbadigliò, poi chiese: «Lì è tutto a posto?»
«A parte l’Apocalisse qui fuori». Lanciò
un’occhiata alla finestra e vide spruzzi di pioggia battere di
traverso sul vetro. «Penso stia arrivando un temporale
estivo».
«Possono essere piuttosto spettacolari sulla
palude. Se fossi in te, chiuderei tutte le imposte».
«Lo farò. Si sa già quando avrete finito? Ho
in programma un piccolo banchetto, e c’è un bel Sancerre al fresco
nel frigo».
«Non ti saprei dire, Joseph, e non credo di
avere molto appetito, quindi ti prego, non prenderti troppo
disturbo».
Lui corrugò la fronte al telefono. Di solito
quando parlavi di cibo o vino Nikki mostrava un notevole
entusiasmo. «Ehi! Non è un disturbo», disse sinceramente. «Sei così
gentile a ospitarmi, il minimo che possa fare è prendermi cura di
te, e magari persino riaccendere il tuo amore per la cucina».
«Ri-accendere?»,
chiese lei. «Non penso ci sia mai stata la prima scintilla». Almeno
c’era un lieve accenno di ilarità. «Cercherò di tornare per le
sette, d’accordo?»
«Sta’ attenta sulle strade. Sono settimane che
non piove, potrebbero essere scivolose».
«Grazie, nonna. Ascolterò di certo il tuo
saggio consiglio». Nikki riattaccò di colpo e lo lasciò a
domandarsi che cosa stesse accadendo al commissariato, e se
qualcuno avrebbe trovato ciò che stava cercando nel deposito
prove.
Tornò pian piano in cucina e cominciò a
radunare le foto. Elizabeth aveva detto che ce n’era una di Amelia.
Nei ritagli di giornale era sembrata alta e aggraziata, con una
forza nervosa, una energica mascella sporgente e occhi intelligenti
e penetranti. Si chiese che aspetto avesse da giovane. Scorse in
fretta i nomi sul retro della foto, poi lesse: “Martin, Barry, Mel,
Lewis e io. A casa dall’uni dopo il secondo trimestre”. Mel?
Amelia? Guardò meglio.
La fotografia mostrava cinque amici che
facevano gli scemi accanto al catorcio arrugginito di una Ford
Anglia. Elizabeth era facilmente riconoscibile, e dato che Amelia
era l’unica altra ragazza, la identificò in fretta. Anche allora la
sua bellezza era notevole. Joseph fissò l’immagine e si sentì
travolgere dai ricordi del suo periodo universitario. I tempi erano
diversi, certo, quando era morto Martin aveva cinquant’anni, dunque
quindici più di lui, ma le dinamiche del gruppo sembravano molto
simili.
Si chiese dove fossero, ma non essendo del
posto non poteva esserne sicuro. Poi notò diverse altre auto sullo
sfondo, e vide l’angolo di un grosso cartello, in particolare la
parola “Gordon”. Il Gordon Peace Memorial Hospital, forse? Fissò
ancora la foto. Strano luogo di ritrovo per dei ragazzini.
Di colpo, i suoi pensieri ripresero a
vorticare. Aveva visto quell’ospedale citato da qualche parte negli
appunti su Paul Cousins. Per questo gli era sembrato familiare
quando l’aveva menzionato Elizabeth! Per questo, e qualche altra
cosa. Ma con irritazione, dovette ammettere che quel qualcos’altro
giaceva ancora latente in qualche scompartimento chiuso del suo
cervello.
In ogni caso, collegava tutti e tre. Non che
fosse il caso di farsi prendere dall’ottimismo. L’ospedale serviva
una vasta zona, e dato che Martin, Paul e Amelia erano del posto,
era ragionevole che ci fossero stati a un certo punto delle loro
vite.
Capovolse di nuovo la foto. La data non c’era,
ma poteva ottenerla senza problemi da Elizabeth. Si appoggiò allo
schienale e sorrise al tavolo pieno di vecchie fotografie.
Comincia tutto da qui. Ne sono sicuro. E se il
deposito prove verrà in nostro soccorso, avremo finalmente una
pista.
Alle quattro del pomeriggio squillò il
telefono.
«Sei un fortunato bastardo, Joseph Easter!
Yvonne ha trovato una scatola contrassegnata come “Cousins” nel
deposito prove. E indovina cosa c’è dentro?»
«Medicinali?»
«Esatto! E una serie di compresse in una
scatola bianca molto familiare».
«Sì!». Joseph alzò un pugno vittorioso. «Ci
siamo! Adesso abbiamo un punto di partenza!».