Capitolo sei
Con il calar della sera sulla palude, le luci si accesero nella distesa sparpagliata di case e cottage. Dalla sua finestra al piano di sopra Nikki guardò i campi e le strade della palude pieni di ombre e provò una tristezza profonda nel vedere che Knot Cottage restava al buio.
Lasciandosi cadere seduta sul letto, rifletté sulle parole del commissario. Forse era vero che non conoscevi sul serio chi ti stava intorno, neanche le persone che sentivi più vicine. Conosceva Martin da una quindicina d’anni, e non aveva mai avuto il minimo sospetto sulla sua malattia.
Fece un lungo sospiro. Tutti avevano dei segreti. C’erano senz’altro cose di lei che Martin non avrebbe mai saputo. Cose, in effetti, che sapeva solo una piccolissima manciata di persone.
E poi c’era Joseph. Il suo passato era una porta blindata. Una stanza chiusa a chiave. Sprangata e impenetrabile quanto un caveau della Banca d’Inghilterra.
Nikki si alzò e scese di sotto. Doveva bere qualcosa.
In cucina c’era ancora un lieve odore di pittura, non sgradevole, solo fresco e pulito. L’aveva stupita quanto fosse diventata presentabile la vecchia casa, e anche se gli eventi terribili della giornata avevano posato su tutto una pesante coltre di malinconia, era comunque felice di essere tornata a Cloud Fen. Ed era felice che Joseph avesse deciso di unirsi alla squadra.
Si versò un goccio di vino, lo sorseggiò lentamente e poi, mentre posava il bicchiere sul vecchio tavolo di legno di pino, lo stesso a cui si era seduta da bambina per mangiare le sue strisce di pane tostato con le uova, pensò a Joseph. Forse avrebbe dovuto risparmiargli il macabro compito di studiare le statistiche dei suicidi il suo primo giorno. Quando era tornato dall’incontro con Helen Latimer era sembrato proprio giù di corda. Nikki fece un piccolo sbuffo. Ma del resto, chi non lo sarebbe stato? La cara Helen sapeva essere una vera strega, a volte.
Bevve un altro sorso del Merlot e cercò di decidere che cosa mangiare. Il cibo non era mai in cima alle sue priorità, e c’erano buone possibilità che avrebbe finito per farsi l’ennesima omelette. A differenza di Martin. Lui si era sempre cucinato dei pasti deliziosi. Nikki ripensò alla pentola che sobbolliva sulla vecchia stufa. Guardando dentro, aveva notato le verdure fresche e il denso brodo di carne. Martin faceva molta attenzione alla sua dieta. Cosa per cui lei sembrava trovare raramente il tempo.
Prendendo le uova da un contenitore di ceramica a forma di gallina, ne ruppe tre in una terrina di vetro, aggiunse sale, pepe, qualche erba aromatica e un goccio di latte, poi sbatté tutto insieme, pensierosa. Helen Latimer poteva essere una stronza, ma doveva essere rimasta affascinata come ogni altra donna della contea dall’avvenenza di Joseph Easter. Di certo neanche lei poteva averlo trattato male al primo incontro. Per quale motivo, dunque, era parso così distratto, così inquieto? Avrebbe dovuto chiederglielo, ma lui era sembrato impaziente di andarsene, e non poteva biasimarlo. Era stata una giornata piuttosto deprimente, in fondo.
Nikki prese una forchetta dal cassetto delle posate, poi servì la sua misera cena su uno dei migliori piatti di sua madre. C’era qualcosa di molto rassicurante nel ritrovarsi di nuovo circondata dai vecchi oggetti familiari. L’appartamento che aveva preso in affitto a Greenborough era essenziale, minimalista, spartano. Sorrise tra sé. Chi stava prendendo in giro? Austero e deprimente erano aggettivi più calzanti. Continuando a sorridere mesta, accese la radio e la sintonizzò su Radio 4 Extra. Aveva un gran bisogno di risollevarsi il morale, e un vecchio e istrionico show radiofonico faceva proprio al caso suo.
Mangiò le uova e cominciò ad ascoltare con scarso entusiasmo un classico episodio di Hancock, ma dopo un po’ spense tutto. Sembrava in qualche modo irrispettoso, dopo gli eventi della giornata, e mentre lavava i patti si trovò a sperare che Joseph non fosse tornato al lavoro troppo presto.
Il tintinnio di una campanella a vento dal piano di sopra la distrasse dalle sue preoccupazioni. Lanciò un’occhiata all’orologio. La marea era cambiata, e portava forti raffiche dal mare. Era meglio che salisse a chiudere le finestre, in caso si stesse preparando una burrasca estiva.
In camera si fermò a guardare ancora una volta verso casa di Martin… e si trovò inchiodata sul posto.
Un minuscolo puntino di luce si stava muovendo all’interno di Knot Cottage.
Nikki sbatté un paio di volte le palpebre e rimise a fuoco lo sguardo. Non c’era dubbio, nel cottage di Martin c’era qualcuno, e chiunque fosse non aveva alcun diritto di essere lì!
Soffocando un’imprecazione, Nikki si precipitò giù per le scale, agguantò una torcia e il cellulare e uscì di corsa dalla fattoria.
Non poteva prendere l’auto, chiunque fosse l’avrebbe sentita arrivare e se la sarebbe data a gambe. Non le restava altra scelta che andare a piedi, e percorse il mezzo chilometro in tempo record.
Arrivata al cancello, sprofondò per un attimo nelle ombre fitte e riprese fiato. Restando perfettamente immobile, guardò con attenzione il cottage buio. Chiunque fosse lì dentro poteva non essere solo. Tese le orecchie per distinguere qualche suono, ma non sentì altro che il bisbiglio del vento sulla palude e il richiamo spettrale di un gufo.
Con grande prudenza, strisciò verso il lato del cottage e fece il giro per raggiungere la porta di servizio. Era socchiusa. Senza dubbio, per facilitare una rapida uscita in caso di necessità.
Dall’interno si sentivano dei fruscii. Come se qualcuno stesse sfogliando in fretta un giornale, cercando un determinato articolo. Nikki rimase dietro la porta, e cercò di vedere con precisione chi fosse l’intruso.
L’uomo era ancora in soggiorno, perciò qualunque cosa stesse cercando doveva essersi rivelata più difficile da trovare del previsto. Lei aguzzò la vista, ma dietro al fascio sottile della torcia riuscì a distinguere solo una forma scura, china sul tavolo da pranzo.
Cercò di pensare. Le sembrava di avere due scelte. Precipitarsi dentro e sfidarlo, o restare nascosta e seguirlo quando fosse uscito. Purtroppo, anche se seguirlo poteva significare coglierlo con le mani nel sacco, implicava il rischio di perderlo del tutto, soprattutto se aveva un veicolo imboscato nei paraggi.
Ciò le lasciò poca scelta. Nikki sferrò un gran calcio alla porta, spinse dentro la mano e, con un urlo, azionò l’interruttore della luce.
L’idea era piuttosto buona, e avrebbe funzionato, se nell’introdursi in casa l’intruso non avesse fatto saltare i fusibili del contatore.
Quando Nikki capì che cosa era successo e accese la torcia, l’uomo le era già addosso.
Lei si difese. Non si era mai tirata indietro da uno scontro e di rado arrivava seconda in una rissa, ma le circostanze non erano a suo favore. Il suo aggressore le sferrò un fortissimo colpo alle costole che le mozzò il respiro, e quando riuscì a riprendere fiato se n’era già andato. Nikki barcollò fuori, inseguendolo, ma sentì il rombo potente del motore di una moto nella notte e comprese che non avrebbe potuto inseguirlo.
Tra imprecazioni e improperi raggiunse il contatore, rialzò gli interruttori e socchiuse gli occhi mentre si accendeva la luce.
«Merda! Merda!», urlò.
Il soggiorno era distrutto. Gli oggetti preziosi di Martin giacevano spezzati e infranti in cumuli disordinati sparsi sulla moquette.
Guardandosi intorno in preda alla rabbia e allo sgomento, Nikki si scoprì a trattenere le lacrime. «Spero solo che tu non abbia trovato quello che cercavi, bastardo schifoso!». Cercò di asciugarsi le gocce salate dalle guance con la manica della camicia. «Bastardo!».
Senza smettere d’imprecare, prese il cellulare dalla tasca, sospirò di sollievo nel vedere che funzionava ancora e compose in fretta il numero di chiamata rapida della centrale di polizia.
iTalia