Capitolo
dodici
Joseph fece stridere le marce e imprecò, cosa
insolita per lui. Avrebbe dovuto stare più attento su quelle letali
strade di palude. Nascondevano piccole curve insidiose che
sbucavano dal nulla, e con le alte erbe palustri sui bordi
acquitrinosi e i fossi profondi su ciascun lato della strada…
Rabbrividì. Se finivi in un fosso, rischiavi di restarci per una
settimana prima che qualcuno ti trovasse.
Con uno sforzo, si riprese e cercò di
rilassarsi. Fingi che sia solo una cena con
una buona amica. Qualche bicchiere, poi ancora qualcun altro, e
lascia che l’alcol ti sciolga la lingua. Confessa i tuoi oscuri
segreti, bevi un altro po’ e schiantati nel letto.
Semplice.
Joseph rallentò e si costrinse a osservare lo
spettacolo di quello strano mondo acquatico. Era senz’altro un
luogo particolare, e non riusciva a capire se gli piacesse oppure
no. Tanto per cominciare, era raro trovare un posto che
distruggesse del tutto il tuo senso della prospettiva. Potevi
andare sulla marina e, se il vento dell’Est ti lasciava stare
dritto e vedere con chiarezza, lo sguardo si estendeva
all’infinito. O così facevano credere i lunghi sentieri dritti che
scomparivano all’orizzonte. Le paludi, i fiumi, i campi sterminati
e la volta celeste che abbracciava ogni cosa erano in grado di
riflettere e ingigantire i tuoi stati d’animo più di qualunque
altro posto avesse mai visitato, e aveva viaggiato parecchio. Se
eri triste, la lontananza riecheggiava la tua disperazione, ma se
eri felice, la semplice immensità del cielo, le nuvole che
formavano paesaggi sempre nuovi potevano farti librare ad altezze
inimmaginabili.
A ogni nuova visita si sentiva più confuso.
Sorrise tra sé. Una cosa era certa, l’ispettore Galena amava quel
luogo. Quando era lì era una persona diversa. Era a casa, e Joseph
poteva sentire il suo legame con quel
territorio.
Scalò una marcia e rallentò per affrontare una
di quelle curve lunghe e incredibilmente ingannevoli, poi riprese
il filo dei pensieri.
Il capo e Cloud Fen. Uno strano connubio.
Nikki Galena era una donna dura e indipendente, e una poliziotta di
tutto rispetto. Poteva aver smorzato la sua ossessione di eliminare
gli spacciatori dalle strade, ma restava comunque determinata e
inflessibile. Il genere di persona che immaginavi in una grande
città, o almeno in una cittadina come Greenborough, non lì, in
quelle nebbiose distese di solitudine.
Forse le servivano per liberare la mente dai
macabri eventi che il lavoro la costringeva ad affrontare ogni
giorno. Forse erano la sua coperta di Linus. Forse si lasciava
avvolgere dalle nebbie marine per sfuggire alle cose atroci che
l’uomo faceva ai suoi simili. Un luogo di evasione.
Joseph sorrise e sospirò. In lontananza
intravide il profilo di Cloud Cottage Farm, e si sentì sollevato di
essere sopravvissuto alle strade della palude ma anche in ansia per
ciò che la notte avrebbe potuto portare.
La casa colonica aveva un aspetto accogliente.
I raggi della sera si riflettevano contro le finestre, e lui pensò
che sarebbe stato bello rincasare ogni volta e trovare qualcosa di
simile ad aspettarti. Bello, ma non perfetto, perché dopo anni
passati da solo cominciava a rendersi conto che non era la
solitudine ciò che desiderava. Si
addiceva al capo e, fino a poco tempo prima, sarebbe stata adatta
anche a lui. Imboccando la stradina che portava alla casa
dell’ispettore, s’interrogò sulle ragioni di quel cambiamento.
Doveva essere stato il suo incontro con il Tristo Mietitore.
Rallentò e vide che i cancelli erano
spalancati per accoglierlo. Era tempo di scrollarsi di dosso la
malinconia. Dipingersi in volto un’altra espressione.
Entrò e parcheggiò sul retro della proprietà,
accanto a un grande e vecchio fienile di mattoni rossi. Saltò giù,
si riempì i polmoni di aria pulita, poi fece il giro dell’auto e
recuperò dal bagagliaio un sacchetto di plastica rigonfio e una
piccola borsa per la notte. Almeno aveva già pianificato la prima
parte della serata, anche se sapeva che si trattava solo di una
tattica diversiva. Avrebbe salvato la cena. Se davvero il capo era
una cuoca così pessima, sarebbe stata felice del suo aiuto, e lui
adorava cucinare. Tagliare a fette e dadini, mescolare e rosolare
erano il suo modo di rilassarsi ed
evadere.
Raggiunse la porta di servizio, ricordando
cosa gli aveva detto Nikki riguardo all’uso di quella principale, e
si chiese distrattamente perché si fosse disturbato a chiudere a
chiave l’auto. Mentre aspettava che l’ispettore gli aprisse, decise
che un po’ di terapia culinaria gli avrebbe fatto proprio bene,
perché se mai c’era stato un momento in cui aveva avuto bisogno di
rilassarsi, era quello.
«Okay, dove hai imparato a fare tutto
questo?», chiese Nikki, evidentemente colpita. «E così in fretta!
Io starei ancora leggendo le istruzioni sul pacchetto di
pasta».
Joseph abbassò lo sguardo sul vecchio tavolo
di pino, ora pieno di colori per le ciotole di fumante pasta al
sugo, insalata verde, pomodori e olive e pane molto aromatizzato
all’aglio e alle erbe.
«Al college. Ho visto le facce pallide e
brufolose di alcuni compagni di corso e ho deciso che mi sarei
ammazzato di diplomi e lauree, non di malnutrizione e scorbuto».
Prese una bottiglia di Merlot che aveva lasciato respirare mentre
cucinava. «Il rosso le va bene, signora?»
«Rosso, rosa, bianco, per me va bene tutto,
grazie». Il capo sospirò felice e prese due bicchieri da una
credenza gallese. «E stasera non siamo in servizio, Joseph. In
questa occasione, dammi pure del tu».
Lui versò il vino nei bicchieri e alzò il
proprio in un brindisi. «Alla salute, Nikki».
«A te, Joseph». Il vetro fece un piccolo
tintinnio. «Non immagini neanche quanto questa cena sia migliore di
quella che avevo in programma io».
«Ne dubito, ma… Nikki. Sono certo che tu sia
cuoca del tutto rispettabile, non è solo il tuo forte, ecco
tutto».
«Non è proprio quello che diceva mia figlia,
ma ehi! Mangiamo!».
A metà pasto, Joseph abbassò il tovagliolo.
«Volevo solo ringraziarti per non avermi obbligato a confessare il
mio passato davanti alla squadra». Bevve un sorso di vino. «A dire
il vero, non penso che ci sarei riuscito».
«Sarebbe stato terribilmente indelicato»,
ribatté lei. «Sarò anche una stronza insensibile, a volte, e voglio
prendere l’assassino, ma non a spese del mio sergente».
Joseph annuì. C’era qualcosa nell’atmosfera di
quella vecchia cucina. Stavano seduti a parlare, come decine di
altri dovevano aver fatto nel corso delle generazioni, e si
respirava un senso di calore e intimità. «Sai che sei probabilmente
l’unica persona con cui posso condividerlo, vero?».
Nikki lo guardò da sopra il bordo del
bicchiere. «Be’, direi che abbiamo vissuto un paio di situazioni
piuttosto emotive nella nostra breve conoscenza». Gli sorrise. «E
sei stato tu ad accompagnarmi lungo la “strada buia e tortuosa”
quando avevo bisogno di sfogarmi. Perciò, direi che adesso stiamo
solo invertendo i ruoli».
Joseph decise che si sentiva molto a suo agio
in quella vecchia stanza con i mobili di pino, il singolo lavello
squadrato, le galline di ceramica e i ricordi atavici. Versò un
altro po’ di vino, e finirono la cena.
«Il cognac si conserva?», domandò lei, mentre
lui impilava i piatti nella lavastoviglie.
«A casa mia no. Ma solo a causa della mia
passione per il buon brandy. Perché?»
«Quando i muratori stavano sbaraccando la
soffitta per lavorare sull’impianto elettrico e la coibentazione,
hanno trovato alcuni vecchi scatoloni di mio padre. Li ho portati
giù per dare un’occhiata e ho trovato una bottiglia di cognac
ancora chiusa». Lo guardò inarcando un sopracciglio. «Che ne dici,
facciamo un tentativo?»
«Eccome! Cosa c’è sull’etichetta?»
«Parecchi strati di polvere, penso». Nikki
aprì la dispensa e recuperò una bottiglia alta e dritta con sopra
due etichette bianchicce piuttosto consumate e sbiadite.
Joseph la prese delicatamente e sgranò gli
occhi. «Non possiamo berlo!»
«Oh, è andato a male? Allora torniamo al
whisky, quello lo getto nel lavandino».
«No!». Lui si strozzò quasi alla minaccia di
versare il distillato. «Questo è un Croizet del 1961! È raro,
Nikki, e credo che comprarlo ti costerebbe più di trecento
sterline!».
«Dio, mio padre è un vecchio demonio subdolo!
Perché diavolo lo stava nascondendo?». Lei fissò la bottiglia
incredula, poi fece un sogghigno e disse: «Oh be’, almeno è
bevibile. Prendo un paio di bicchieri da brandy, così possiamo
farlo come si deve».
Joseph toccò la bottiglia con una sorta di
reverenza, poi rise della totale mancanza di rispetto che il suo
capo mostrava per la provenienza di un alcolico tanto pregiato. Ma
chi era lui per lamentarsi? Aveva già assaggiato del buon brandy in
passato, ma mai di quella qualità.
Nikki tornò dal soggiorno, i bicchieri in
mano. «Fai tu gli onori, Joseph. Io la vedo così: neanche sapevo
della sua esistenza. Il mio povero padre non sa più in che anno
siamo, purtroppo non riconosce nemmeno la sua unica figlia, quindi
non farà obiezioni. E se non fossi tornata a vivere qui, quella
bottiglia sarebbe rimasta in soffitta per poi finire in mano a
qualche stronzo, o in discarica, quindi…».
«Diciamo che la casa ti sta dando il
bentornato, d’accordo?»
«Approvo. Vuoi spostarti in soggiorno o
preferisci restare qui?»
«Restare qui», rispose senza neanche pensarci.
«Amo l’atmosfera di questa stanza».
«È quello che diceva sempre mia madre. Diceva
che la faceva sentire al sicuro e, anche se era da sola, le
sembrava che tutta la famiglia fosse intorno a lei».
Mentre stappava con cura la bottiglia, Joseph
comprese benissimo a cosa si riferiva quella donna sensibile.
«Okay, ci siamo!». Verso il liquido ambrato nei bicchieri da brandy
e ne odorò con delicatezza uno. «Dio! È davvero indescrivibile.
Speriamo che le proprietà anestetiche siano all’altezza del
bouquet».
Nikki prese l’altro e lo sorseggiò esitante.
«Non l’avrei mai pagato trecento sterline, ma è molto buono.
Grazie, papà».
Joseph non sapeva cosa dire. Se ne rimase lì
seduto, a sorridere come uno scemo e rimpiangere di non essere nato
in una famiglia francese dalla ricchezza indecente.
Il silenzio che li avvolse fu confortevole
come un paio di vecchie pantofole, e di colpo Joseph seppe di non
avere più scuse. Non c’era più nulla a separarlo dagli orrori del
passato.
«Hai detto che quando vivi un momento
difficile con qualcuno, dopo ti senti molto vicino a lui, o
qualcosa di simile». Fissò lo scintillante calice di vetro. «Dunque
penso che capirai quando dico che era così con i miei commilitoni.
Li chiamano compagni d’armi, ma quella definizione non si avvicina
neanche lontanamente alla realtà. Quegli uomini per te sono tutto.
Li ami in una maniera che…». Si fermò per cercare le parole giuste,
senza però trovarle. «Devi aver fatto parte di qualcosa del genere
per sapere quanto puoi essere legato ai tuoi compagni».
Bevve un altro sorso di cognac e lanciò uno
sguardo a Nikki. Sentiva che sarebbe stata una brava ascoltatrice.
Erano molto rare le persone in grado di ascoltare senza
intromettersi, criticare o paragonare la tua storia a qualcosa del
loro passato.
«Non ho mai pensato che fosse la mia carriera,
ma amavo fare il soldato, Nikki, ed ero bravo». Gli sfuggì un
sospiro. «Mi veniva naturale».
«Non fatico a crederci», disse con dolcezza
lei. «Ho visto come reagisci sotto pressione».
Lui annuì, e si chiese quanto avrebbe potuto
far durare un sorso di quel raro cognac.
«Già sai che ho prestato servizio con le forze
speciali del Regno Unito. Ma in realtà facevo parte di una squadra
d’élite che si occupava di missioni molto delicate. E ci sono stato
benissimo, Nikki, finché Billy Sweet non ha avvelenato
tutto».
Strinse il bicchiere con forza, e con il sorso
successivo finì quel che restava sul fondo. Sapeva che la compagnia
di Nikki, l’ambiente rilassato e il brandy stavano rendendo molto
più facile il suo racconto, ma sentiva comunque l’impulso di
scappare prima di addentrarsi davvero in quel terribile abisso
della memoria.
Nikki sembrò avvertire la sua difficoltà, e
tese la mano per riempirgli di nuovo il bicchiere. «Hai avuto una
brutta missione, vero? Dov’eravate?»
«In Africa», sussurrò lui.
Non si poteva tornare indietro. Con fermezza,
Joseph spinse in avanti la mascella. «So che a te interessa Sweet,
ma per capire che cosa è successo devi sapere qualcosa di quello
che stavamo facendo». Inspirò a fondo. «Quattro di noi erano stati
mandati nella Repubblica Democratica del Congo per cercare una
piccola unità scomparsa senza lasciare traccia». Deglutì a fatica,
mentre il ricordo degli odori disgustosi e del calore maleodorante
gli veniva incontro con violenza. «Il Paese era un vero incubo.
L’inferno sulla terra. Massacri, bambini soldato, stupri
sistematici e una crisi di rifugiati che aveva contribuito a
destabilizzare l’interno Congo orientale. Era peggio di qualunque
cosa avessi mai visto, ed ero già stato in posti davvero schifosi».
Fece ondeggiare il cognac nel bicchiere, e cercò di perdersi nel
vortice color topazio. «Qualunque cosa io dica, Nikki, non potrà
mai trasmettere quell’orrore, ma prova a immaginare questo. Nella
zona in cui ci avevano spedito, tre quarti dei bambini erano
scomparsi. Tre quarti!». Chiuse gli occhi e cercò di non risentire
i pianti strazianti delle donne.
«E perché il primo gruppo era stato mandato
lì?», chiese Nikki, cercando di mantenere la voce salda.
«Aveva qualcosa a che fare con i minerali e i
metalli preziosi. L’intero posto è un grosso forziere geologico, ma
l’avidità e i conflitti l’hanno ridotto a un campo di battaglia
infame e inaridito. Il gruppo era stato mandato in un villaggio
chiamato Zutu. Da quelle parti c’era una miniera, posta sotto la
sorveglianza di scienziati e ingegneri europei. Aveva ricche vene
di minerali di valore. Non solo oro, rame o diamanti, anche se
erano piuttosto comuni; stavano estraendo minerali come niobio,
pirocloro, coltan e germanio. Tutti richiesti dalle industrie ad
alta tecnologia, tipo per reattori nucleari o tecnologia spaziale».
Joseph rabbrividì un po’, malgrado la cucina fosse ancora calda.
«Sapevamo che uno degli scienziati era stato assassinato, e due
ingegneri erano scomparsi, per questo il primo gruppo era partito.
Per mettere al sicuro il personale rimasto, e trovare e riportare a
casa gli uomini scomparsi».
«Ma poi sono spariti anche loro?»
«Hanno completato la missione, recuperato gli
ostaggi e fatto portare via il personale rimasto dagli elicotteri,
ma sono tornati a Zutu».
Nikki si accigliò, ma non disse nulla.
«Hanno fornito le loro coordinate al quartier
generale dicendo che avevano scoperto qualcos’altro, qualcosa che i
servizi di intelligence non avevano detto». A disagio, Joseph
cambiò posizione sulla sedia. «Dopodiché, hanno mandato una sola
altra comunicazione, su un villaggio vicino chiamato Ituga. Un
rapporto terrificante che parlava di donne e bambini schiavizzati e
costretti a estrarre minerali a cielo aperto, talvolta a mani nude,
e dare tutto quello che possedevano ai ribelli che li avevano
imprigionati. Queste donne dovevano anche prostituirsi, e se si
rifiutavano puoi immaginare la loro fine. Il piano della squadra
era di andare in ricognizione nelle altre miniere, valutare il
potenziale per un’evacuazione e richiedere assistenza oppure
occuparsene subito. Era una missione sotto copertura, ed era
fondamentale mantenere celata l’identità delle forze coinvolte. Non
si poteva sapere che c’entrava il governo britannico, non in quel
focolaio di violenza politica». Bevve altro brandy. «La mia squadra
si chiamava Kilo Charlie Zero. Eravamo una pattuglia di quattro
uomini, e siamo partiti appena le comunicazioni con Ituga si sono
interrotte».
Joseph si alzò e camminò lentamente per la
cucina, toccando gli oggetti domestici e quotidiani, come nel
tentativo di ancorarsi al presente. «Abbiamo trovato l’unità in una
grotta nei pressi delle miniere. Tre degli uomini erano stati
massacrati, e il quarto era seduto con i corpi, troppo
traumatizzato per parlare». Passò la mano sulla superficie fredda
di un tagliere di marmo. «Avevo prestato servizio con uno di loro
in passato, Terry Bourne, era un bravo soldato, e un essere umano
straordinario». Senza volerlo, gli tornarono in mente i suoi
capelli arruffati, il naso da pugile e il gran sorriso. Duro e rude
all’esterno, ma all’interno un raro gentiluomo. «Abbiamo comunicato
via radio che cosa avevamo scoperto, spostato i corpi in un posto
sicuro per essere riportati a casa e preso con noi il soldato
rimasto. Abbiamo richiesto un’evacuazione tramite elicottero per
lui e i nostri morti, ma a poca distanza c’erano pesanti
combattimenti di ribelli e non hanno potuto accontentarci. Il mio
ufficiale comandante ha preso la decisione di andare all’attacco a
finire il lavoro noi stessi».
«Scoprire che cosa stava succedendo nella
miniera di Ituga?»
«Sì, e trasmettere informazioni complete al
quartier generale». Joseph sospirò. «Ed è lì che è andato tutto a
puttane». Si lasciò cadere di nuovo sulla sedia. «Non so se
qualcuno di noi avesse capito davvero che cosa stava accadendo, ma
abbiamo ricevuto un radiomessaggio secondo cui erano stati
avvistati dei ribelli con un nuovo gruppo di donne e bambini.
Stando alle nostre informazioni, erano tenuti in una grossa capanna
in attesa di essere selezionati per compiti specifici, mentre i
ribelli si riorganizzavano e preparavano una nuova sortita in una
grotta vicina al perimetro della miniera».
Joseph si leccò le labbra e si fece forza per
parlare. «Quelle informazioni erano sbagliate. Nella grotta che
abbiamo attaccato c’erano le donne. In qualche modo, nel pandemonio
che è seguito siamo riusciti a trarne in salvo solo due, la maggior
parte è morta». Lanciò uno sguardo al volto di Nikki. Sembrava
scolpito nella pietra, e lui non aveva idea di cosa stesse
pensando.
«E i bambini?», chiese infine lei.
«Non c’erano bambini, questa volta».
La sua espressione si ammorbidì. «Grazie al
cielo, almeno quello. E Billy Sweet? Che cosa c’entra in tutto
questo?».
Joseph bevve un altro sorso dal bicchiere.
Quella era la parte peggiore. Quella che aveva relegato negli
anfratti più bui e profondi della memoria. L’uccisione accidentale
delle donne era stata devastante, terribile. Ma quanto era accaduto
in seguito era un vero e proprio incubo. Si sfregò la mano sulla
bocca.
«Eravamo troppo pochi rispetto a loro, e
avevamo perso l’elemento sorpresa. Abbiamo battuto in ritirata,
portando con noi le due donne e il soldato muto». Si alzò di nuovo
e ricominciò a camminare per la stanza. «Al calare della notte,
abbiamo trovato una costruzione deserta, un vecchio rifugio, un
magazzino di qualche tipo. Era molto al di fuori del perimetro e
ben nascosto». Joseph lo rivide con gli occhi della mente, il legno
schiarito dal sole e le lamiere di metallo corrugato che facevano
da tetto, e di colpo fu di nuovo lì, in Africa.
«Via libera!», urlò, controllando l’ultima
parte della baracca deserta. Si rilassò un po’, ma tenne il fucile
a portata di mano. «Portate dentro le donne; fa freddo in fretta».
Si fece da parte mentre i compagni entravano nell’edificio.
«Sarà una lunga notte, Coniglietto». Il suo
amico, Cameron McBride, alzò lo straccio appeso alla finestra senza
vetri e cercò di stabilire quale fosse il modo migliore per montare
la guardia fino al mattino. «Il terreno fa schifo. Troppi punti
ciechi dove potrebbero nascondersi i cecchini. Direi turni di
guardia di due ore, due uomini svegli di continuo».
«Sì». Lo chiamavano Coniglietto perché il suo
cognome significava “Pasqua”. Era il coniglietto pasquale. «Io
faccio il primo turno».
«Anch’io», aggiunse Teddy Churchill, pulendosi
fango e altre sostanze indicibili dagli scarponi.
«Io penso alle provviste, do da mangiare alle
donne e al ragazzo». Il volto sudicio di Kenny Williams si corrugò
per la frustrazione. «Il fuoco è troppo rischioso, però, cibo
freddo o niente».
Joseph non aveva lo stomaco in condizioni di
mangiare, roba calda o fredda che fosse, e fu grato di poter uscire
nella notte. La sua mente continuava a tornare sul bagno di sangue
nella miniera. Come aveva fatto ad andare tutto così storto?
Stava ancora sentendo l’eco delle urla, quando
Teddy strisciò accanto a lui e sussurrò: «C’è movimento giù sul
sentiero, a cinquecento metri a sud».
Insieme, si mossero nelle tenebre e studiarono
la stradina.
Joseph abbassò gli occhiali per la visione
notturna e vide delle figure accoccolate tra gli alberi sparuti che
costeggiavano il sentiero. «Va’ a chiamare Cam e Kenny».
Qualche attimo dopo i quattro soldati
strisciarono giù per il pendio, per vedere meglio gli intrusi
spettrali.
Rimasero a osservarli per un po’, poi Cam gli
diede un colpetto sul braccio e indicò le ombre. «Sono donne!
Grazie a Dio! Qualcuna dev’essere riuscita a scappare».
«Sono sole?», bisbigliò Kenny.
«Non vedo».
«Un’esca», mormorò torvo Teddy. «Per farci
cadere in trappola».
Di colpo, Joseph si sentì ghiacciare. «O per
allontanarci dalla baracca».
Cam inspirò bruscamente, poi disse: «No, con
loro c’è il marmittone, le ragazze sono al sicuro. È malmesso, ma
resta pur sempre un soldato». La sua sicurezza si spense. «Non
proveranno certo a…?»
«Io torno indietro». Joseph sapeva che c’era
qualcosa di terribilmente sbagliato. «Uno di voi venga con
me».
Mentre cominciava a risalire verso la baracca,
sentì Cam muoversi alle sue spalle. «Ho una brutta sensazione,
amico».
Joseph non rispose.
Come spettri nella notte, strisciarono fino
alla porta e scivolarono dentro.
L’odore metallico li assalì all’istante, un
odore che entrambi conoscevano fin troppo bene. Poi sentirono il
suono. Un lamento strano e cantilenante, diverso da qualunque cosa
Joseph avesse mai sentito, prima o dopo quel momento.
«Oddio, oddio», bisbigliò Cam.
Le donne erano morte. Erano state
incaprettate, le gole tagliate con precisione. E accoccolato sui
talloni di fronte a loro, dondolandosi avanti e indietro, c’era il
giovane soldato. Quando si accorse di non essere più solo,
interruppe il suono orribile che stava uscendo dalla sua gola e,
per la prima volta da quando erano arrivati a Ituga, parlò.
In effetti urlò, più che altro. «Mi hanno
fatto guardare! Quei bastardi mi hanno fatto guardare!».
Joseph lo fissò.
«Stavano aspettando! Sono entrati! Sono
entrati appena siete andati via!».
«E tu li hai lasciati fare!». La voce di Cam
era ancora più forte.
«Non ho potuto fare nulla», piagnucolò
lui.
«E ti hanno lasciato in pace, eh? Non penso
proprio, cazzo!», ringhiò Cam furioso. «Sei scappato, vero? Piccolo
codardo di merda! Hai lasciato queste donne a farsi massacrare, e
ti sei nascosto!».
Fino a quel momento Joseph non aveva detto
nulla, poi chiese: «Come ti chiami, soldato?»
«Sweet, signore. Billy Sweet. E non sono
scappato. Mi hanno tenuto fermo e costretto a guardare, lo giuro.
Poi qualcosa li ha spaventati. Mi hanno spinto a terra e sono
scappati via».
Con la sua torcia potente, Joseph illuminò gli
occhi dell’uomo e rabbrividì. Poteva essere il trauma sofferto, o
poteva essere colpa della luce, non l’avrebbe mai saputo, ma il
soldato aveva gli occhi fissi e pallidi di un pesce. Occhi freddi,
morti.
Di colpo Joseph fu di nuovo in cucina, il
respiro affaticato, con accanto Nikki che gli premeva il bicchiere
nelle mani tremanti.
«Bevi un sorso, Joseph, su. Va tutto bene.
Tu stai bene, sul serio».
Lui fece un lungo respiro tremante. «Sì,
vero?»
«Te la senti di finire la storia, o…?»
«Sono arrivato fin qui, facciamola finita». Si
sforzò di controllare i tremiti. «Quando ha fatto giorno, ho
cercato tracce di intrusi. Non ce n’erano. Ho cercato un coltello,
ma il terreno era troppo accidentato. Vedi, gli altri credevano che
fosse un codardo. Io credevo che fosse un assassino». Si
stiracchiò, cercando di sciogliere i muscoli contratti. «Una
settimana dopo sono tornato in quella zona per aiutare a spazzare
via ciò che restava dei ribelli, e ho sentito delle voci. Voci su
un soldato bianco dalla faccia da bambino che aveva ucciso i suoi
compagni d’armi». Joseph guardò Nikki. «E così ho capito che avevo
visto giusto sul conto di Billy Sweet».
«Era stato lui a
massacrare i suoi amici?». La voce di Nikki si alzò di diverse
ottave. «E le donne?»
«Credo di sì. Ma nessun testimone si è mai
fatto avanti, e non c’erano prove. L’hanno sottoposto a una
valutazione psicologica, mandato a fare una lunga vacanza in
qualche bel posticino, e due mesi dopo gli hanno permesso di
tornare in servizio attivo».
«Mio Dio! Come hanno fatto a non capire chi
avevano davanti?»
«Gli psicopatici sono bugiardi geniali e
convincenti». Joseph scrollò le spalle. «Ironico, no? Sono stato io
a finire nel dimenticatoio. Non riuscivo ad accettare quanto era
accaduto alla miniera. Quelle povere donne erano morte, e le
avevamo uccise noi. Avrebbero dovuto essere i ribelli». Fece un
ultimo sospiro. «Billy Sweet è ripartito per la guerra, e io ho
gettato il fucile in un fiume e sono tornato a casa».
«Non l’hai mai più rivisto?»
«Solo una volta. Più o meno una settimana
prima di essere congedato con onore. Stavo dando una mano in un
campo di addestramento sui Brecon Beacons, e ho sentito un gruppo
di soldati lamentarsi di uno degli uomini. Li ho sentiti fare il
suo nome, e ho dovuto andare a dargli
un’occhiata. Per questo conosco la sua faccia. Era cambiato, ovvio.
Non penso sia mai stato giovane quanto sembrava. Era diventato più
vecchio, più duro e più brutto. Ma gli occhi erano sempre gli
stessi».
«Lui ti ha visto, e ti ha riconosciuto?»
«Oh sì. Dal sorriso di scherno sulla sua
faccia cattiva, direi proprio di sì».
Nikki lo guardò, il volto teso e cupo. «E
credi che fosse lui l’uomo che è balzato davanti alla tua macchina
sulla Greenborough High Road?».
Quando lui rispose, le parole furono lente e
deliberate. «Sì. L’uomo che ho visto era Billy Sweet».
Continuarono a parlare fino all’una di notte.
Delle famiglie, del viaggio di Joseph per trovare sé stesso dopo
aver lasciato l’esercito, della forza di polizia e della vita nelle
paludi. Nikki raccontò di Martin, e riuscì persino a convincere
Joseph a parlare di Bryony, anche se continuava a provare
quell’incomprensibile senso di disagio profondo quando lui
menzionava l’altra donna.
In ogni caso, averlo lì fu bello. Aveva detto
al commissario che sapeva badare a sé stessa, ed essere sola non le
aveva mai fatto paura, ma che le piacesse o no, Cloud Fen era un
luogo isolato quando c’era un delinquente violento a briglia
sciolta, e la presenza di Joseph era un notevole conforto.
Gli aveva dato la stanza degli ospiti, la
camera che era stata sua da bambina, consigliandogli di provare ad
assistere al sorgere del sole. L’alba sulla palude era
bellissima.
Mentre scivolava nel letto, pensò a Joseph,
sdraiato a pochi metri di distanza, e sospirò. Sperava che avrebbe
visto il sole sorgere, allungando accecanti dita di fiamma sulle
acque scure e oleose della palude. Un po’ di luce intensa l’avrebbe
aiutato a scaldare la tristezza che si portava dentro.