Capitolo dieci
«Buongiorno, sergente». La voce di Nikki echeggiò del Dipartimento di Investigazione Criminale. «Nel mio ufficio, prego». Joseph ebbe la netta impressione di essere un ragazzino convocato dalla direttrice per una fustigazione.
Chiuse la porta e la guardò dubbioso. «Signora?»
«Un piccolo consiglio, amico mio. La prossima volta che fissi un incontro segreto, cerca di farlo in un pub diverso da quello che contiene metà polizia delle Fens! È da quando sono entrata che non sento altro!».
«Ma…», farfugliò lui, «ma non ho mai… non era un incontro segreto, signora! L’ho incontrata lì per caso, e la conosco dalla palestra. Come me, nuota spesso la mattina. Tutto qui».
«Oh davvero? Ma siete andati via prima ancora che io varcassi la soglia, e insieme, mi dicono. O il tamtam si sbaglia?»
«Be’, sì, cioè, no». Joseph si sentì un idiota fatto e finito. Per qualche ragione, non aveva pensato a cosa avrebbero detto i colleghi il giorno seguente, e a quanto pareva stavano dicendo parecchio. Alzò lo sguardo tristemente, e vide il capo sogghignare.
«Ben fatto! Almeno questa storia potrebbe soffocare qualcuna delle altre cose che dicono sul tuo conto! Quei pettegoli della sala comune non avranno più nulla a cui aggrapparsi quando ti chiamano santo Joe o signor Santerellino».
«Grazie di avermelo ricordato, signora. Ma pensavo che ormai avessero smesso».
«Probabilmente è così. Non ne ho idea. Non ci faccio mai caso comunque». Gli sorrise. «Perché dovrei? Finché sparano a zero su di te, lasciano me in pace. Ma non ho potuto trattenermi dal fare anch’io qualche battutina. A dire il vero, sono molto arrabbiata di non aver fatto in tempo a vederla. È un vero schianto, ho sentito».
Joseph gemette e si accasciò su una sedia. «Cominciato a pensare che ieri avrei dovuto restare a casa».
«Non è vero, e lo sai benissimo». Nikki si sporse in avanti. «Lei com’è, Joseph?».
Sul suo volto si aprì un piccolo sorriso. «È bellissima».
«Dimmi di più. Voglio i dettagli».
«Be’, si chiama Bryony Barton, ha trent’anni e lavora per la Sicurezza alimentare, qui a Greenborough. È buffo, ma è stata lei a vedermi per prima quando ero in ospedale. Suo fratello era nel mio stesso padiglione».
«E ha un buon senso dell’umorismo, ama il teatro, i cani e camminare a piedi nudi sulla spiaggia al tramonto?».
Joseph cercò di mostrarsi risentito, ma era così raro che l’ispettore Galena si godesse tanto apertamente qualcosa che non ebbe il coraggio di fermarla.
«Be’, abbiamo parlato, e sembriamo avere parecchio in comune, ma…». S’interruppe quanto Cat Cullen comparve sulla soglia.
«Signora. Mi dispiace interrompere, ma…».
Joseph si era aspettato che Cat lo prendesse in giro più di tutti, ma con sua sorpresa aveva l’espressione seria e il tono insolitamente solenne.
«Dei ragazzini hanno trovato un corpo».
Il capo sospirò. «Fantastico. Come se non avessi già abbastanza da fare con la morte di Martin. Che cosa sappiamo, Cat?»
«Un maschio, capo. Trovato in una zona abbandonata dietro Beale Street. Gola tagliata». La ragazza guardò Joseph di sottecchi, con un’espressione che non gli piacque affatto. «Il punto è che… Ovviamente non l’ho ancora visto, ma corrisponde alla descrizione dell’uomo che il sergente Easter sta cercando».
Lui sentì una stretta spasmodica allo stomaco. Sweet? Morto?
Chiuse gli occhi. Dopo aver lasciato l’esercito, aveva trascorso molto tempo a cercare di rimettere in ordine la sua vita. Di comprendere le cose a un livello più profondo. E ci era riuscito. Non grazie alla religione, anche se molti suoi colleghi pensavano che fosse così, ma con un approccio più spirituale all’esistenza.
Riaprì gli occhi. Perché, dunque, provava tanta gioia al pensiero che un altro essere umano fosse morto? Andava contro tutto quello in cui credeva.
«Joseph?». L’ispettore lo stava fissando. «Ho detto, penso che tu debba vederlo».
«Sì, certo, signora». Si alzò in piedi. La risposta alla sua domanda era chiara. Billy Sweet non era un essere umano. Per essere classificato come tale, avrebbe dovuto avere qualcosa da spartire con la natura gentile dell’umanità, e non c’era nulla di gentile in Sweet. Fece un respiro profondo. «Andiamo».
Il corpo era ancora sul posto, anche se una tenda vi era stata montata in fretta intorno per proteggere la scena del crimine e impedirne la vista.
Joseph, l’ispettore e Cat si fecero strada con cautela tra le pietre e i rifiuti che ricoprivano l’area.
«Ah, l’inimitabile ispettore! E il mio vecchio amico di Fenchester, Joseph! Come stai, ragazzo mio?». Senza aspettare la risposta, l’uomo alto e allampanato si spinse gli occhiali dalla montatura di metallo più in alto sul naso aquilino e rivolse a Cat un sorriso benigno. «E non dimentichiamoci di lei, incantevole fanciulla, anche se non ci hanno ancora presentati». Guardò l’ispettore.
«Cat Cullen, ti presento il professor Rory Wilkinson, medico legale del ministero dell’Interno. Mago della scienza forense e detentore del senso dell’umorismo più macabro del mondo. E un altro espatriato di Fenchester». Gli rivolse un sorriso cupo.
«Hai scordato il tuo solito commento diffamatorio sulla mia presunta checcaggine», aggiunse lui, sembrando un po’ offeso dall’omissione.
«Scusa, dimenticavo. Allora, che cos’hai per noi?»
«Un caso interessante, questo è sicuro. Ma non piacevole».
«Un omicidio può essere piacevole?»
«Un omicidio può essere molte cose, ispettore», rispose enigmatico il medico legale. «Ma questo non è un crimine passionale, o una rissa sfuggita di mano. Questa è un’esecuzione. Ora, se volete seguirmi…».
Joseph non voleva seguirlo da nessuna parte. Joseph voleva girare sui tacchi e andarsene. La parola “esecuzione” gli aveva fatto scorrere un brivido di orrore lungo la schiena. Ne aveva viste troppe, e le vedeva ancora, quando il sonno non arrivava o un incubo ne prendeva possesso.
Rory Wilkinson passò sotto il cordone, alzò le falde della tenda e li invitò a entrare con la stessa cordialità che avrebbe usato per un ricevimento in giardino. «State attenti, il terreno è un po’ accidentato, e la copiosa quantità di sangue non aiuta».
Joseph inspirò, trattenne il fiato ed entrò con riluttanza nel rifugio temporaneo.
All’inizio, nessuno disse nulla. Persino il loquace medico legale sembrava un po’ intimidito dalla sua ultima acquisizione.
L’uomo giaceva sul fianco, le ginocchia piegate, le caviglie strette con qualche tipo di corda sottile e le mani legate nello stesso modo dietro la schiena. L’avevano costretto a inginocchiarsi per i suoi ultimi istanti su quella terra. La gola era stata tagliata da un orecchio all’altro e lui era caduto di lato, permettendo al sangue di colare tra l’erbaccia e i detriti del terreno incolto.
Joseph sentì la gola riempirsi di bile. Cose del genere appartenevano al suo passato. Aveva pregato di non rivederle mai più.
Deglutì, e si fece forza per guardare il corpo.
Un bomber di nylon nero, jeans vecchi, maglietta di cui il sangue aveva nascosto il colore originario e scarpe da ginnastica vecchie e logore.
Malfermo, indietreggiò di qualche passo, poi infilò la testa sotto le falde della tenda per prendere alcune boccate d’aria fresca.
L’uomo morto era brutto, aveva un’ispida zazzera di capelli color grano, lineamenti irregolari e occhi azzurri, ma non era Billy Sweet.
Nikki si sedette nell’auto e lo fissò. «Sei sicuro?»
«Sicurissimo. Non ho mai visto quell’uomo». Joseph era pallido ed emaciato. «Anche se c’è una somiglianza».
«Potrebbe essere quello che pensavi ti stesse seguendo?»
«No, signora. L’uomo che ho visto era Billy Sweet». Serrò più forte le labbra. «Ma, riflettendoci, il morto potrebbe essere quello che ho visto ieri notte dalle parti della stazione. Beale Street è a pochi minuti da qui». Si sfregò con forza la tempia. «Se solo avesse avuto con sé qualche genere d’identificazione», borbottò. «Ci avrebbe dato un punto di partenza».
Nikki scrollò le spalle. «Non siamo così fortunati. Dovremo aspettare il controllo delle impronte digitali, l’identificazione con il riconoscimento facciale e, in caso di fallimento, i test del DNA». Fece un respiro profondo. «E devi considerare che tutto questo potrebbe non avere niente a che fare con te, o con il tizio che ti sta tenendo d’occhio».
«L’ha ucciso Billy». La voce di Joseph era poco più che una cantilena. «L’ho già visto all’opera».
«Stai dicendo che questo Billy Sweet ha già ucciso in questa maniera?», chiese Nikki incredula.
«Oh sì». Lui fece una piccola risata amara. «Era una sua specie di hobby».
«Mi stai facendo venire la nausea», disse a denti stretti.
«Dunque adesso capisce perché mi manda quasi fuori di testa il pensiero che sia qui a Greenborough, tra le persone a cui tengo».
«E a quanto ne sappiamo, l’unico collegamento tra Billy Sweet e Greenborough sei tu, Joseph». Nikki si mordicchiò il lato del pollice. «Penso sia ora di tornare in centrale. Allestiremo la stanza delle indagini, poi ragioneremo su tutto quello che sappiamo finora. E, Joseph…?». Lo guardò con preoccupazione sincera. Non voleva aggravare i suoi problemi, ma sapeva di dovergli fare alcune domande difficili. «Sai che dovremo parlare di alcune cose piuttosto spiacevoli, vero? Sul tuo passato».
Lui si abbandonò contro lo schienale, come se tutta la sua energia si fosse esaurita lasciando solo un guscio vuoto. «Allora avremo bisogno di una grossa bottiglia di scotch e di un registratore, perché se riesco a parlare con lei, non ho intenzione di raccontare questa storia una seconda volta, okay?»
«Comprerò il whisky», disse Nikki in tono piatto. «E per il tuo bene, penso sia meglio se ce ne occupiamo lontano dalla centrale, no?». Lo guardò con aria interrogativa. «Quindi, casa tua o la mia?»
«Ha visto casa mia, signora?», rispose lui, mostrando un’ombra del vecchio Joseph.
«Allora vada per Cloud Fen. Dopo le indagini preliminari in commissariato. Troviamoci alle sette in punto, e portati uno spazzolino da denti. Non guiderai, dopo».