Capitolo
sette
Il parcheggio principale del centro fitness di
Greenborough era deserto. Joseph parcheggiò vicino all’entrata e
recuperò il borsone della palestra dal sedile accanto. Aveva preso
l’abitudine di arrivare appena prima delle sei e mezza, l’orario di
apertura. Gli piaceva la calma che c’era di primo mattino, e
tuffarsi in una piscina vuota era un lusso che si godeva
segretamente. Aveva sempre cercato di ritagliarsi il tempo per una
nuotata, di solito al mattino presto per prepararsi al giorno a
venire, ma a volte anche la sera, per lavare via lo stress di un
turno massacrante. La palestra di Greenborough aveva attrezzature
piuttosto limitate ma, essendo in qualche modo limitato lui stesso,
la cosa gli andava benissimo.
Nuotando avanti e indietro nell’acqua tiepida,
cercò di dimenticare che aveva avuto una nottata davvero di merda.
Il suo sonno era stato interrotto da sogni disturbanti che
l’avevano lasciato teso e irrequieto. La strana morte di Martin
Durham non aveva aiutato, così come il bizzarro incidente con
l’uomo sulla High Road.
Passò da rana a stile libero, e tentò di
concentrarsi solo sulla respirazione. Non funzionò, così si girò
sulla schiena, fissò il soffitto per restare nella corsia giusta e
fece qualche vasca nuotando all’indietro. Una parte di lui avrebbe
voluto rivedere quel tizio, per poterlo guardare come si deve,
notare le differenze e poi ridere della propria idiozia. E un’altra
parte di lui detestava il pensiero di incontrare il doppio di un
uomo così brutale.
Joseph si girò e s’immerse nell’acqua.
L’ovattamento alle orecchie scacciò i pensieri indesiderati, e
trattenendo il fiato, lui nuotò sott’acqua fino a toccare la
parete.
Aveva ancora un quarto d’ora prima di dover
tornare negli spogliatoi. Uscì dalla vasca, si sciacquò sotto una
delle docce a bordo piscina e camminò sulle piastrelle bagnate fino
alla sauna.
Una densa nuvola di vapore rendeva impossibile
vedere se era solo nella stanzetta, ma un movimento sul livello
superiore della panca gli disse che non era così.
«Disturbo?», chiese al suo compagno
invisibile.
«Certo che no. Sto praticamente evaporando!
Sono sicura che di notte affittino questo posto a qualche azienda
che cuoce aragoste!». Una slanciata figura femminile si chinò in
avanti, poi scivolò a sedere sulla panca più bassa.
Lui fu attraversato da un piccolo brivido
quando, scendendo, la sua gamba gli sfiorò la spalla.
«Giuro che questa mattina hanno alzato la
temperatura».
Notando che si trattava della donna del
parcheggio, Joseph concordò in silenzio sul fatto che, in quello
spazietto chiuso, l’aria stava diventando davvero bollente.
«Bryony». Lei gli porse una mano curata. «Ti
ho già visto da queste parti».
Lui l’accettò, e fu sorpreso dalla forza della
sua stretta. «Joseph. Piacere di conoscerti».
La donna si alzò in piedi. «Scusa, Joseph,
odio essere maleducata, ma mi aspetta una mattinata impegnativa.
Tanto ci rivedremo, no?».
Lui le rivolse il suo sorriso più luminoso.
«Lo spero».
Dopo che la porta a vetro si fu richiusa,
lasciò andare un lungo fischio sommesso. Quel giorno avrebbe avuto
proprio bisogno di una doccia fredda, e la sauna non c’entrava
nulla.
«Be’, sembri decisamente più felice di quando
te ne sei andato ieri sera», mormorò Nikki al suo ingresso
nell’ufficio.
Joseph inarcò le sopracciglia. «E lei sembra
reduce da uno scontro con il reparto antisommossa!». Fissò l’ombra
violacea che le macchiava uno zigomo, e non gli sfuggì che si stava
proteggendo la cassa toracica. «Cos’è successo, signora?».
Lei si alzò e fece una smorfia. «Accompagnami
nell’ufficio del commissario. Anche lui vuole i dettagli
raccapriccianti e non so se avrò l’energia per raccontare tutto due
volte».
Joseph le camminò accanto lungo il corridoio
che portava agli ascensori.
«Un bastardo si è introdotto nel cottage di
Martin, ieri notte». La voce dell’ispettore era bassa e piena di
disprezzo.
«Sta scherzando!».
«Sembro una che sta scherzando, sergente?»,
ringhiò lei.
«Scusi. La mia era un’espressione
d’incredulità. Non stavo mettendo in dubbio le sue parole». Scosse
la testa. «Sta bene?»
«Sopravvivrò». Premette il pulsante
dell’ascensore. «Ma non sai quanto vorrei incontrare di nuovo
quell’intruso».
«Preferibilmente nella cella di
custodia».
«Non mi interessa molto dove, sergente. Voglio
solo l’occasione di pareggiare i conti».
Joseph non poté ignorare l’ombra della vecchia
Nikki Galena in quelle parole, ma decise di mordersi la
lingua.
L’ascensore si fermò con un cigolio e loro
proseguirono fino all’ufficio di Rick Bainbridge, dove Nikki mise
entrambi al corrente di quanto era accaduto.
«A me sembra uno che si è approfittato della
situazione», congetturò il commissario. «Le brutte notizie
viaggiano in fretta. Forse qualcuno ha saputo della morte di
Durham, e sapendo che la casa sarebbe stata vuota l’ha
svaligiata».
«Mi spiace, signore, ma chiunque fosse cercava
qualcosa di specifico».
«E cosa diavolo potrebbe essere?»
«Per cominciare direi una chiave, signore».
Nikki si morse l’interno della guancia. «L’avevamo cercata anche io
e Joseph, solo che noi abbiamo rimesso a
posto i vasi e i soprammobili che abbiamo perquisito, non li
abbiamo fatti a pezzi».
«La chiave di cosa?», chiese il
commissario.
«Della scrivania di Martin. Quando siamo
arrivati era chiusa». La sua espressione s’indurì. «Adesso è legna
da ardere».
Il commissario fece un’espressione corrugata.
«Ma cosa stava cercando?».
Nikki scrollò le spalle. «Non ne ho
idea».
«Qualunque cosa fosse, per lui era molto
importante», aggiunse Joseph. «Dopotutto, lei ha urlato che era
della polizia, e il tizio ha comunque pensato che valesse la pena
massacrarla di botte».
«Grazie di avermelo ricordato, sergente»,
disse Nikki, stringendosi il fianco. «E un’altra cosa, non è stata
una botta di fortuna. L’intruso sapeva benissimo dove colpire per
mettermi fuori combattimento».
«Quindi che cosa stai dicendo, Nikki? Che
Durham era coinvolto in qualcosa di losco?»
«Non lo so cosa diavolo sto dicendo!». Il suo
volto era una maschera di confusione. «So solo che un uomo gentile
e generoso, qualcuno che credevo di conoscere, ha compiuto un gesto
terribile, e io ho l’orribile sensazione che nulla sia come sembra
a Knot Cottage».
Il commissario lasciò che si calmasse, poi
chiese: «Ti sei fatta controllare le ferite?».
Lei annuì. «Il dottore stava medicando un
detenuto quando sono arrivata ieri notte. È solo un livido.
Passerà».
«E adesso che cosa vuoi fare?».
Joseph le lanciò uno sguardo di avvertimento.
Doveva calmarsi, o il commissario avrebbe assegnato il caso a
un’altra squadra. La vide chiudere gli occhi per un attimo, e seppe
che aveva afferrato il messaggio.
«Continueremo a raccogliere prove per
l’inchiesta, signore». La sua voce era più calma. «E non appena
avremo parlato con la sorella di Martin Durham, io e il sergente
perquisiremo con attenzione Knot Cottage». Fece un respiro
profondo. «So di averlo disturbato, e non sono ancora del tutto
sicura che abbia trovato quello che stava cercando».
Il commissario annuì. «Allora farai meglio a
mandare qualcuno che tenga d’occhio la casa. E dovremmo controllare anche la tua, ma non credo che
le nostre finanze ce lo permetteranno».
«A casa di Martin c’è un agente da ieri notte,
e io so badare a me stessa, signore, grazie», disse Nikki, prima di
lanciargli un mezzo sogghigno. «Sarà anche stato buio pesto, ma
l’intruso non l’ha passata liscia. Durante la colluttazione sono
riuscita a strappargli qualche ciocca di capelli. Sono già in
laboratorio per l’esame del DNA».
Joseph fece un gran sorriso. «Ottimo, signora!
Se è nel database, l’abbiamo preso».
«E anche se non ci fosse, se troviamo un
sospettato potremo situarlo sulla scena del crimine. Ottimo
lavoro». Il commissario si alzò e fece una smorfia. «Ora, ho un
appuntamento con il revisore infernale, quindi se qui abbiamo
finito…».
«Giusto, signore, noi andiamo a Old
Bolingbroke».
«Dopo ricordati solo di fare rapporto,
ispettore».
«Ricevuto, signore».
«Guido io, signora», propose Joseph con tatto.
«Mi aiuterà a prendere familiarità con la zona».
Nikki accettò, sapendo benissimo che il
collega lo faceva solo per lei, il che era ottimo perché il fianco
la stava uccidendo.
«Prendiamo la strada maestra verso nord per
uscire da Greenborough, e poi la A16.
Ti darò indicazioni a mano a mano che ci avvicineremo».
Joseph uscì dal parcheggio della centrale e
scivolò senza problemi nel leggero flusso di traffico. «Allora,
conosce Elizabeth Durham?»
«Non bene. L’ho incontrata un paio di volte.
Mi ha dato l’impressione di una persona molto genuina e amichevole.
Martin le era molto legato. Mi ha detto che ai tempi del college
erano inseparabili».
Joseph rallentò in corrispondenza delle
strisce pedonali e fece cenno di attraversare a un gruppetto di
bambini. «Studiavano insieme? Che cosa?»
«Non ne sono sicura, anche se Elizabeth è una
di quegli amanti degli alberi», rispose Nikki, cercando di
ricordare il titolo completo della sua professione. «Con un’ottima
reputazione, pare».
«Immagino che non stia parlando dei
taglialegna o di quelli che abbracciano gli alberi».
Nikki sorrise. «Non conosco le sue abitudini
personali, ma è una, vediamo se lo azzecco, arboricoltrice. Martin
la definiva un’architetta di giardini».
«Che strano. Non ci sono troppi alberi qui
nelle Fens».
«Ce ne sono dove siamo diretti. Sarà solo a
venti minuti di distanza, ma noterai che la campagna è molto
diversa. Dal punto di vista agricolo somiglia meno alle brughiere.
Ci sono molti più alberi».
«E ha detto che vive con il suo partner. Lui
di cosa si occupa?»
«Lei. La sua
partner è Janna Hepburn-Lowe».
Joseph le lanciò un rapido sguardo, poi
riportò gli occhi sulla strada. «Della famiglia Hepburn-Lowe?»
«Già. Stanno insieme da anni». Nikki gemette e
tentò di trovare una posizione più comoda. «Cerca di evitare i
maledetti tombini, Joseph. Mi sembra di essere stata presa a calci
nelle costole da un cavallo!».
«Scusi. Continui».
«Janna è un’altra amante della natura.
Possiede un enorme vivaio nei pressi della loro casa». Inclinò la
testa su un lato. «E non sono neppure stati i milioni del paparino
a procurarglielo. Ci lavorava da ragazzina, tipo i lavoretti del
sabato pomeriggio. Lo amava così tanto che quando i proprietari
sono andati in pensione, ha finito per acquistarlo».
«Buon per lei», disse Joseph, poi il suo volto
si rannuvolò. «Ma immagino che questo elimini la possibilità che
Martin avesse problemi economici. Se anche avesse avuto debiti, se
sua sorella gli voleva bene, non avrebbe certo lasciato che si
suicidasse per questioni di soldi. Non quando la sua compagna è
ricca sfondata».
«Esatto». Lei indicò un grosso cartello.
«Spostati nella corsia di destra, svolta a destra alla rotonda e ti
troverai sulla strada che porta alla A16, okay?»
«Ricevuto, signora».
Nikki cambiò di nuovo posizione, cercando di
evitare che la cintura di sicurezza le premesse il fianco
ammaccato. «Sai, ho davvero una brutta sensazione riguardo a questa
storia, Joseph, e il fatto che conoscessi Martin non c’entra
nulla». Guardò fuori dal finestrino. «L’uomo che ha distrutto Knot
Cottage era un professionista, ne sono sicura».
«Allora è un bene che ci siano agenti a
sorvegliare la casa fino al nostro arrivo. Non dovrebbe essere
troppo difficile risalire al modus operandi del suo uomo dalla sua
perquisizione, anche se ha cercato di passare per il ladro
opportunista di cui parlava il commissario».
«Quello che mi chiedo è: ha trovato ciò che
cercava?», disse Nikki con un sospiro.
«E cosa poteva avere una tale importanza?»,
aggiunse Joseph.
Nikki si appoggiò allo schienale e si sentì
invadere da una ferrea determinazione. «Non lo so ancora, Joseph.
Ma sono sicurissima che non avrò pace finché non scoprirò cosa
diavolo sta succedendo».
Lui annuì con vigore. «Non ne dubito neanche
per un istante, signora. E per quel che vale, la sosterrò fino in
fondo».
Elizabeth Durham aprì loro di persona e,
sebbene fosse molto tempo che non la vedeva, Nikki la riconobbe
all’istante.
A prima vista la donna mascherava bene il
dolore, ma gli occhi cerchiati di scuro, il lieve tremore delle
mani e gli sporadici problemi di concentrazione tradivano la sua
sofferenza come se fosse stata vestita a lutto.
Li invitò nel soggiorno, una stanza ampia,
ariosa e dall’alto soffitto che si apriva su uno splendido solarium
ben fornito. «Ancora non riesco a crederci», disse, dopo che furono
state fatte le presentazioni. «E non capisco».
«Nessuno capisce», disse semplicemente Nikki.
«Siamo tutti incapaci di comprendere che cosa possa averlo portato
a compiere un simile gesto. E, Elizabeth, mi dispiace tantissimo.
Martin era un ottimo amico e vicino».
Lei accettò le condoglianze scrollando in
silenzio le spalle, poi di colpo sembrò esausta e si lasciò
sprofondare nei cuscini del divano. Invitandoli a fare lo stesso
con uno svolazzo della mano, li guardò scegliere due poltrone di
fronte a lei. «Posso portarvi qualche rinfresco?».
Nikki e Joseph rifiutarono. Sembrava quasi di
chiedere troppo. Come se il piccolo gesto di mettere su un
bollitore potesse far crollare le dighe.
«Quando potrò riavere il suo corpo? Per
organizzare il funerale?».
Nikki deglutì. «Temo che questo dipenda dal
coroner, Elizabeth. L’inchiesta si aprirà dopodomani, ma verrà
rimandata in attesa di tutti i rapporti». Le rivolse un sorriso di
scusa. «È un caso complicato, con dichiarazioni di testimoni e
numerosi rapporti della scientifica. La preparazione richiederà del
tempo, e il coroner avrà molto da prendere in
considerazione».
«Quindi potrebbe esserci qualche
ritardo?».
Lei scelse le parole con cura. «Forse, o il
coroner potrebbe permetterti di seppellirlo».
«Ma mio fratello voleva essere cremato. Oh,
sarà una cremazione, senza dubbio».
Non stava andando bene. Elizabeth era una
donna molto intelligente, ma lo shock aveva annebbiato la sua mente
di solito acuta.
«Il punto…», intervenne la voce gentile di
Joseph. «Il punto, signora Durham, è che siamo molto preoccupati per il modo improvviso in cui
Martin ha deciso di togliersi la vita. Dobbiamo esplorare ogni
possibilità per capire che cosa è successo, e finché non saremo
soddisfatti delle nostre conclusioni e non avremo raggiunto una
spiegazione convincente, non potremo permettere che il suo corpo
sia cremato». Fece una pausa. «Per il suo bene, e quello di suo
fratello, dobbiamo fornirle delle risposte».
«Il coroner potrebbe ritenere che tu abbia
bisogno di qualche forma di conclusione», aggiunse con delicatezza
Nikki. «Perciò potrebbe darti il permesso per una sepoltura, ma più
tardi, quando si sarà raggiunto un verdetto, si potranno rispettare
le volontà di Martin».
Gli occhi di Elizabeth si riempirono di
lacrime. «Riesumarlo?»
«So che sembra terribile, ma viene fatto molto
discretamente, con la massima cura e partecipazione», aggiunse
Joseph. «E la prego di non preoccuparsi. Potremmo non arrivare mai
a tanto».
«Janna dov’è?», chiese Nikki, preoccupata
all’idea che Elizabeth fosse sola.
Sul volto della donna si fece strada un
piccolo sorriso. «Ha fatto un salto al vivaio mentre ci siete voi
qui con me. Deve sistemare un paio di cose con il suo
amministratore. Si è presa qualche giorno di permesso, così non
devo affrontare tutto da sola».
«Bene».
«È una brava persona», disse Elizabeth. «Ed è
preoccupata a morte per me».
«È troppo presto per farti qualche domanda?».
Nikki non voleva causare stress aggiuntivi, ma doveva comunque
informarla del furto a Knot Cottage.
«No, farò tutto il possibile per aiutare». La
donna si fece forza in modo evidente. «E scusatemi per quello che
ho appena detto, non so cosa mi è preso». Li guardò uno dopo
l’altro, poi si alzò in piedi di scatto.
«Prima, un po’ di caffè. Perché non scendete
nel solarium? C’è una bellissima vista sui giardini, e potrete
vedere l’orgoglio e la gioia di Janna in lontananza. Io vado a
prendere da bere, e poi farò del mio meglio per rispondere alle
vostre domande».
Seguendo Joseph, Nikki scese tre bassi gradini
ed entrò nella grande veranda. All’istante, fu colpita dal profumo
di gelsomino e di qualche altro dolce fiore orientale. «È
meraviglioso», sussurrò.
«Tutto questo deve costare moltissimo!»,
commentò Joseph. «Davvero, davvero moltissimo». Indicò un pannello
sulla parete. «Persiane automatiche di ultima generazione, umidità
automatizzata e controllo della temperatura. Davvero
notevole».
E l’esterno della proprietà ricordava un parco
ben curato. «Come vive l’altra metà del mondo», sussurrò lei.
«Immagino che quello sia il famoso vivaio».
Ai piedi del pendio erboso, e dalla parte
opposta di un lungo pascolo, i raggi del sole si riflettevano su
una massiccia struttura di vetro.
«In origine questa era la casetta del
custode». Elizabeth era in cima ai gradini. «Noi abbiamo aggiunto
il solarium, dato che le piante sono la nostra passione, e
disegnato i progetti per costruire un’aranciera in stile
vittoriano».
«Sembrerebbe un progetto impegnativo», disse
Joseph.
«Se mai troveremo il tempo. Ma scusatemi, il
caffè dev’essere pronto».
Nikki guardò con impazienza l’orologio. Voleva
parlare a Elizabeth, ma doveva tornare al cottage per cercare di
scoprire che cosa era stato rubato.
«Volete del latte?». Elizabeth posò un vassoio
sopra un tavolo di midollino decorato, alzò la caffettiera francese
e versò il caffè.
Nikki decise che non c’era più tempo per
procrastinare. Prese la sua tazza, si accomodò in una grossa
poltrona di vimini accanto alla finestra e disse: «Quando è stata
l’ultima volta che hai visto tuo fratello?»
«Più o meno una settimana fa. Veniva a cena un
paio di volte al mese».
«E come ti è sembrato?»
«In gran forma». Esitando, Elizabeth bevve un
sorso di caffè. «È questo a rendere così difficile capire ciò che è
successo. Abbiamo commentato quanto, oh, quanto sembrasse
felice».
«Più del solito?»
«Forse. O forse era solo contento perché tra
poco avrebbero pubblicato un suo articolo».
«Oh davvero? Su quale argomento?», chiese
Joseph con interesse.
«L’ecologia, la gestione e il recupero delle
paludi saline». La donna fece un debole sorriso. «Sembra piuttosto
pesante, eh? Da ragazzo Martin voleva diventare un botanico
forense, ma la malattia ha messo fine a quel sogno. Quando si è
ripreso, ha continuato a studiare biologia e botanica, e le paludi
rappresentavano per lui una fonte costante di interesse».
«Sapevo che era molto appassionato alla flora
locale, ma non avevo idea che fosse tanto informato al riguardo». Nikki cominciava a
chiedersi se sapesse davvero qualcosa sul conto di Martin Durham.
«Aveva problemi di soldi?»
«Mio fratello non era ricco, ma aveva
stabilità economica e il cottage era suo, nessun mutuo. Non aveva
neanche debiti. Quindi no, non era quello il problema».
«E non ti viene in mente nulla che avrebbe
potuto dargli delle preoccupazioni?»
«Ci ho pensato mille volte, dal momento in cui
ho saputo che era morto, ma non c’è nulla, assolutamente
nulla».
«Le aveva detto qualcosa sulla possibilità di
cambiare le sue medicine?», domandò di colpo Joseph.
A Elizabeth tremò un attimo la mano, poi
strinse la mascella. «Che cosa intende?».
Nikki la fissò. Perché quella domanda avrebbe
dovuto turbarla?
Joseph le rivolse uno sguardo innocente.
«Scusi, ma a quanto ci risulta era impaziente che il suo medico
rivedesse le sue cure».
«Oh, quello! Sì, credo che la dottoressa abbia
suggerito che c’erano nuovi farmaci disponibili. Non sono sicura
che lui avesse deciso di procedere, però».
«E odio doverlo chiedere», aggiunse Joseph,
«ma aveva mai assunto sostanze stupefacenti?».
Elizabeth Durham scoppiò in una risata
improvvisa. «Martin? Sta scherzando! Era ossessionato dalle sue
medicine! Non prendeva nulla che potesse compromettere
l’equilibrio. Neanche un rimedio alle erbe. Chieda a chiunque al
Wild Goose, l’ha frequentato per anni e le garantisco che non ha
mai preso neanche un goccio d’alcol. Quindi droghe? No, sergente.
Non si sarebbe mai azzardato!».
«Mi dispiace, ma dovevo chiederlo», disse
sommessamente Joseph. «Perché non si stava comportando in modo
razionale quando è andato alla chiesa del Santo Salvatore».
«Vorrei ben dire. Si è ucciso, no?», ribatté
Elizabeth in tono gelido.
«C’è un altro problema, Elizabeth», intervenne
Nikki. «Ieri notte qualcuno si è introdotto a Knot Cottage. Ho
provato a fermarlo, ma purtroppo l’intruso ha avuto la meglio su di
me». Indicò i lividi sul proprio volto.
«Oh!». Elizabeth si portò le mani alla bocca.
«Come hanno potuto? Immagino fosse qualche delinquente, no? In
cerca di soldi per la droga! Non è sempre così, di questi tempi?
Oh, povero Martin, ci teneva così tanto alla sua casa».
Tranquilla, non
preoccuparti per me!, pensò Nikki, ma disse: «Credo che
l’intruso stesse cercando qualcosa in particolare. Hai idea di cosa
potrebbe essere?».
Elizabeth socchiuse appena gli occhi. «No. Non
possedeva nulla di grande valore».
«E i suoi articoli, magari quello sulle paludi
saline? Poteva avere qualche rilevanza economica?».
Lei scosse la testa. «No. Anni di lavoro, sì,
ma non era per arricchirsi».
Nikki ebbe la sensazione che la sorella di
Martin fosse un po’ a disagio, ma insistette. «Quindi non poteva
esserci nulla di importante dentro la sua scrivania chiusa a
chiave?»
«Non che io sappia», replicò Elizabeth in tono
secco.
«Be’, grazie del tuo aiuto». Nikki si alzò.
«Scusa se ti abbiamo turbata».
«Mi informerete di qualunque sviluppo?».
Nikki annuì.
«Certo, e potremmo aver bisogno di parlarti
ancora. Per adesso, torneremo a Knot Cottage».
«Sai, Martin aveva grande stima di te e
Hannah», disse d’un tratto Elizabeth. «Quando Robert ti ha
lasciato, ci è rimasto molto male, anche se temo che lui non gli
fosse mai piaciuto».
«Il mio ex marito non piaceva a nessuna
persona sana di mente, Elizabeth», rispose lei con una smorfia.
«L’unica cosa buona che ha fatto è stata sua figlia».
«E Hannah come sta?»
«Nessun cambiamento, anche se stanno pensando
di mandarla in una clinica in Belgio, a Liegi». Nikki non voleva
parlare di Hannah, e si avvicinò di qualche passo alla porta. «Non
fanno promesse, ma comprendono il problema meglio degli
altri».
Elizabeth sembrò percepire il suo disagio,
annuì con tristezza e cambiò argomento.
«Quando pensate che potrò andare a ripulire?
Vorrei farlo presto. Martin avrebbe odiato che fosse tutto in
disordine».
Nikki sapeva cosa intendeva. La sua casa era
sempre stata impeccabile. Troppo impeccabile?, si chiese. «Ti
daremo un colpo di telefono». Prese un biglietto da visita dalla
borsa e glielo porse. «Qui ci sono il mio numero di cellulare e di
telefono fisso. Se ti viene in mente qualcosa, non importa quanto
insignificante, chiamami, va bene?».
In auto, Joseph uscì con prudenza dal
cancello, assicurandosi di evitare il dislivello di un grosso
pozzetto stradale, ed entrò nella strada principale. «Che cosa è
appena successo?»
«Non ne ho idea. È stata bene, pur essendo
naturalmente distrutta per il fratello, finché non hai accennato
alle droghe, poi si è chiusa a riccio. Ma perché?»
«Non ne sono sicuro, ma ho avuto la netta
sensazione che sapesse benissimo che cosa c’era in quella scrivania
chiusa».
«Il che è più di quello che sappiamo noi,
accidenti», borbottò Nikki. «E stavo riflettendo sull’ossessione di
Martin per la pulizia, è sempre stato così e non ci ho mai fatto
molto caso. Adesso mi chiedo se temesse le infezioni. Con tutte le
pastiglie che doveva prendere per restare in salute».
«È probabile». Joseph annuì. «Io l’avrei fatto
di certo».
Nikki si strinse il fianco mentre si
avvicinavano a un passaggio a livello. «Merda! Fa male!».
«Allora suggerisco di cercarci un posto dove
bere qualcosa di caldo e mangiare un panino, e che lei prenda
qualche bell’antidolorifico prima di andare a Knot Cottage».
«Sono d’accordo, e so anche dove possiamo
trovare tutto questo senza spendere un soldo». Fece una smorfia di
dolore. «La mia cucina».