Capitolo
otto
Knot Cottage non aveva prodotto nulla di
interessante. Gli unici fogli rimasti, in un cassettino della
scrivania distrutta, contenevano diete ed elenchi di vitamine e
integratori minerali.
Una cosa sola aveva attirato l’attenzione di
Nikki, ed era una vecchia fotografia. Raffigurava lei, Martin e
Hannah mentre raccoglievano salicornia nella palude. Il vento li
sferzava, attorcigliando i loro capelli in boccoli e strattonando i
vestiti. Quella giornata era impressa nella sua memoria, così come
i secchi di piante dalle foglie carnose che sua zia voleva mettere
sott’aceto, ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare chi
avesse scattato la foto. La faceva sentire nostalgica e anche un
po’ confusa sul perché Martin l’avesse conservata.
Adesso la foto si trovava sulla sua scrivania.
Le piaceva, e non avrebbe significato nulla per nessun altro,
quindi almeno per il momento sarebbe rimasta con lei.
Joseph stava smistando i documenti che avevano
portato via, e lei stava rileggendo le dichiarazioni dei testimoni,
quando squillò il telefono.
«Signor Cavendish-Small, cosa posso fare per
lei?».
L’uomo sembrava nervoso, e Nikki pensò fosse
piuttosto comprensibile tenendo conto di quello che aveva
passato.
«È che continuo a sentire che è stata tutta
colpa mia, ispettore, ma avevo il terrore che il mio gruppo potesse
precipitarsi verso le scale, capisce? Sarebbe stato un disastro
terribile, e c’erano i bambini a cui pensare».
«Come potrebbe mai essere colpa sua?»
«Perché ho cercato di toccarlo. E lui si è
tirato indietro, neanche fossi stato il diavolo in persona». L’uomo
fece una pausa, poi disse: «Uno dei bambini ha detto che aveva
paura di me, e credo avesse ragione, ma che cosa potrei aver fatto
per spaventarlo tanto da…».
«Mi ascolti, signor Cavendish-Small. Quanto è
accaduto non ha avuto assolutamente nulla a che fare con lei. Non
sappiamo che cosa abbia turbato il suo equilibrio mentale, ma le
assicuro che è successo molto prima che si avvicinasse a quella
piattaforma panoramica».
«Il buon senso le dà ragione, ispettore
Galena, ma lei non ha visto i suoi occhi! Non li dimenticherò mai.
Sembravano il genere di cosa che si vede nei film dell’orrore, non
nella chiesa della parrocchia».
A Nikki dispiacque moltissimo, ma non riuscì a
consolarlo. Come avrebbe potuto? Doveva essere stato orribile. «Io
posso solo dire che non è stata colpa sua, signore. Quel pover’uomo
era soltanto molto malato. Nessuno avrebbe potuto aiutarlo. La cosa
più importante è che nessun altro si sia fatto male, e questo è
stato grazie a lei, signore. Ha reagito molto bene in circostanze
terribili».
Con una voce che sembrava del tutto priva di
energia, l’uomo disse: «La ringrazio, ispettore, è gentile da parte
sua, ma continuo a credere che potrebbe essere stata colpa
mia».
Prima di poter replicare, Nikki si rese conto
che Charles Cavendish-Small aveva riattaccato. Mise giù il
telefono, fissò la vecchia fotografia appoggiata al monitor del suo
computer e pensò: Oh, Martin, che cosa hai
fatto?
Joseph aveva problemi di concentrazione. Per
qualche motivo, ogni volta che aveva un momento per sé, la sua
mente tornava alla donna della piscina. Bryony, aveva detto di
chiamarsi. Non credeva di aver mai conosciuto nessuno con quel
nome. Si chiese che lavoro facesse, e anche se fosse sposata.
Perché quella sarebbe stata la fine della sua fantasia. Non
frequentava le donne sposate. In effetti erano passati anni
dall’ultima volta che aveva avuto qualcosa di simile a una
relazione. Aveva anche lui un matrimonio fallito alle spalle, e una
figlia difficile che viveva in un altro paese. E ne soffriva
ancora, dunque…
Prese il cellulare dalla scrivania e andò in
cerca del capo. Aveva bisogno di lavoro per impedire alla mente di
divagare.
Nel corridoio fu praticamente assalito da Cat
Cullen e Dave Harris. Dai loro sorrisi raggianti, seppe che avevano
appena ottenuto un ottimo risultato.
«La fabbrica di maria è sistemata?»,
chiese.
«Non era solo una! Ce n’erano tre, sergente!».
A Cat scintillavano gli occhi.
«E abbiamo preso tutti i piccoli farabutti che
le gestivano tranne uno», aggiunse Dave.
«Stasera offriamo noi da bere, sergente, giù
all’Hammer alle sette. Ce la farà?»
«Sarò lì, e ottimo lavoro. Il capo sarà molto
soddisfatto».
«Dobbiamo ancora sbrigare le scartoffie e poi
saremo liberi di aiutarvi, sergente». Dave gli rivolse uno sguardo
perspicace. «Ho sentito che avete qualche problema».
«E che hanno pestato il capo», aggiunse Cat in
poco più di un bisbiglio.
Joseph annuì. «Questa indagine dà proprio una
brutta sensazione. Inquieta persino me, e non conoscevo il
poveretto che si è ucciso».
«Be’, da domani saremo tutti vostri. Forse
quattro teste saranno meglio di due». Cat saltellò via come una
bambina che andava a una festa. «Ricordi! Alle sette
all’Hammer!».
«Il capo sta bene, sergente?». Nella voce di
Dave c’era preoccupazione sincera.
«È molto ammaccata, in tutti i sensi. I lividi
può sopportarli, ma non le piace affatto che l’aggressore l’abbia
messa a tappeto».
Dave sorrise. «Ah sì, dev’essere stato uno
smacco. Ma l’importante è che non si sia fatta male sul serio».
Proseguì lungo il corridoio. «A dopo, sergente».
L’ispettore non era in ufficio, e Joseph non
se la sentiva proprio di tornare alle sue morti sospette, così si
diresse alle macchinette della sala comune. Sul momento il sandwich
del capo aveva fatto il suo dovere, ma sentiva un gran desiderio
della botta di energia del cioccolato.
Mentre percorreva il corridoio finestrato,
ripensò alla casa di Nikki nella palude. Era il genere di posto
dove avrebbe adorato crescere tanti bambini; e almeno tre cani e un
gatto. Lei lo chiamava sempre “cottage”, ma era una vera e propria
casa colonica di famiglia, e sembrava sbagliatissimo che ci vivesse
da sola.
Infilò qualche monetina nella macchinetta,
premette un pulsante e attese. Almeno era un miglioramento rispetto
al tugurio di appartamento che lei aveva affittato per stare più
vicina agli spacciatori. Cloud Cottage Farm era incantevole e
antica, e Joseph sperava sinceramente che Nikki vi sarebbe stata
felice. A essere sincero, le grandi pianure sconfinate non lo
avevano mai fatto sentire a suo agio, ma dopo aver visto Cloud Fen
quel giorno doveva ammettere che c’era un’atmosfera magica e
ariosa, e piano piano lo stava conquistando.
Raccattò il suo Snickers, lo scartò e
appallottolò l’involucro. Il cestino della spazzatura era poco più
avanti lungo il corridoio, e lui prese la mira, fece un lancio e lo
mancò. Con uno sbuffo disgustato raccattò di nuovo l’involucro e lo
infilò nel cestino, guardando intanto fuori dalla grande finestra
panoramica. Non c’era molto da vedere. Solo una viuzza stretta che
correva lungo il lato della stazione e scendeva verso il fiume. Era
piuttosto frequentata, ma in quel momento c’erano solo un uomo che
portava a spasso il cane e un paio di vecchietti, assorti in una
conversazione.
Lui addentò il cioccolato e pensò a Bryony.
Forse avrebbe dovuto invitarla a bere qualcosa. Male non avrebbe
fatto, e se lei avesse risposto di no, be’, almeno ci avrebbe
provato.
Sospirò, e guardò l’uomo con il cane
scomparire e una donna con un carrello della spesa prendere il suo
posto.
Con una sorta di shock, si accorse di colpo
che non voleva che Bryony rispondesse di no. Dopo l’ultimo caso, le
sue priorità erano cambiate. Pensò a Nikki Galena, tutta sola in
quella grande casa, e si rese conto che non voleva fare quella
fine. Voleva qualcuno con cui condividere la sua vita. Non voleva
limitarsi a esistere e lavorare, voleva vivere.
Raddrizzò la schiena e sorrise tra sé. Il
giorno seguente sarebbe andato in piscina e avrebbe tastato il
terreno. Se poi fosse venuto fuori che Bryony non era impegnata,
be’, un semplice drink, nessuno avrebbe potuto offendersi per così
poco, no?
Il suo cervello aveva avuto appena il tempo di
formulare quel pensiero quando ogni cosa si bloccò. Joseph smise di
essere cosciente di quanto gli accadeva intorno. Non sentì nulla, e
non vide nulla, a parte l’uomo che stava in piedi sul lato opposto
della strada, lo sguardo fisso su di lui, la mano destra alzata
alla fronte in un impertinente saluto militare.
Per poco non si strozzò con il
cioccolato.
Era lui. Non un doppio, non un figmento della
sua immaginazione. Era Billy Sweet.
«Joseph? Stai bene?». Nikki era a pochi metri
da lui, ma l’uomo non sembrava notarla. Per un attimo lei pensò che
stesse male, poi vide la sua espressione. Cercò di decifrarla, ma
era difficile. Confusione, incredulità e qualcosa di simile alla
paura, tutto a rannuvolare il suo bel viso.
«Io… Io pensavo…». Joseph si voltò verso la
finestra e guardò fuori con ansia.
«Che cosa, Joseph? Che succede?»
«C’era un uomo nella, ehm, stradina». Aveva
una parlata innaturale. «Qualcuno che un tempo conoscevo».
Nikki alzò le sopracciglia. «E che non ti
piaceva molto, immagino».
L’espressione dell’uomo s’indurì. «Lo odiavo».
Di colpo si appoggiò alla parete e scosse la testa. «È una parola
che non avrei mai più voluto sentirmi pronunciare. Pensavo di avere
imparato tutto sul perdono. Ma del resto, non ho mai pensato che
avrei rivisto lui».
«Chi è?», chiese Nikki.
«Un uomo cattivo», rispose lentamente Joseph.
«Molto cattivo».
Lei si avvicinò alla finestra e guardò in
basso la strada deserta. «E sei sicuro che fosse lui?»
«Era lui».
«Dove si trovava?»
«Proprio sotto di noi. Stava guardando quassù.
Verso di me». Contrasse il volto. «Ma come poteva sapere che ero
qui?».
Nikki si accigliò. «Con tutti questi vetri, se
teneva d’occhio la centrale da un po’, prima o poi ti ha visto per
forza. Controlliamo le videocamere a circuito chiuso. Come si
chiama, a proposito?».
Per un attimo pensò che Joseph non sarebbe
riuscito a rispondere. Di certo in quel momento aveva problemi a
dire il nome del diavolo.
«Billy Sweet», mormorò. «Ma non si faccia
ingannare: il suo nome significherà anche “dolce”, ma lui è il male
assoluto».
«Forza. Andiamo nella sala di controllo.
Vediamo se riusciamo a trovarlo». Nikki fece strada e, dopo aver
indicato al responsabile l’area che volevano esaminare, si sedette
di fronte agli schermi e rimase in attesa.
«Due vecchietti che bisticciano, e una vecchia
bisbetica con il carrello della spesa, ora, dov’è il nostro uomo?».
Fissò i monitor. «Ah, ecco, è…? No, quello è un tizio con il
cane».
«Dove avete detto che stava?», chiese
l’operatore. Nikki guardò Joseph, che lo spiegò di nuovo.
«Allora dev’essere finito nel punto cieco,
sergente. C’è una zona dove le telecamere non sono bene allineate.
Sono settimane che chiedo alla manutenzione di risolvere il
problema».
«Ma dovremmo vederlo arrivare, no?», chiese
Nikki.
«Non se veniva da Hour Glass Alley. L’incrocio
si trova nella zona senza copertura».
«Certo che serve a molto, cazzo!», ringhiò
lei. «Questi aggeggi sono del tutto inutili! Quando te ne serve
uno, è stato vandalizzato o non c’è nessuno disponibile a
controllare». Si voltò verso Joseph. «Mi spiace, sergente. Ma il
tuo uomo ha avuto fortuna».
Lui espirò. «Forse. Oppure…».
Nikki lo osservò attentamente. Qualunque cosa
quello Sweet avesse fatto in passato, aveva un grosso impatto sul
presente e la cosa non le piaceva. Non aveva mai visto Joseph tanto
scosso, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualche
stronzo del suo passato gli rovinasse la vita che stava appena
cominciando a ricomporre.
Si alzò e raggiunse la porta. «Caffè, nel mio
ufficio. Dobbiamo parlare».
Nel breve lasso di tempo in cui l’aveva
conosciuto, Joseph Easter aveva dimostrato un autocontrollo
incredibile. Essendo lei una persona impaziente, c’erano stati dei
momenti in cui il suo atteggiamento rilassato le aveva fatto venire
voglia di staccargli la testa dalle spalle. E non parlava mai di
sé. I pochissimi dettagli sulla sua vita di cui Nikki era a
conoscenza erano stati condivisi con notevole sofferenza. Sapeva
solo che era stato un soldato, un membro delle forze speciali. E
aveva la netta sensazione che Billy Sweet appartenesse a quella
parte del suo passato.
Mescolò il caffè pensierosa e rifletté
sull’espressione “camminare sulle uova”. «Allora. Prima che tu mi
dica di starne fuori, amico mio, voglio fare l’avvocato del
diavolo. Quello che sto per dire potrebbe non essere davvero ciò
che penso, ma tu ascoltami».
Joseph la guardò da sopra la sua tazza di
caffè e annuì in silenzio.
«È evidente che non vedi questa persona da
anni. Potresti esserti sbagliato?»
«Era identico a come lo ricordo, e il suo
volto è inciso nella mia memoria per ragioni che preferirei non
discutere, signora», rispose lui impassibile.
«Be’, tanto per cominciare, questo è strano.
Dovrebbe essere invecchiato».
«Forse è così. L’ho visto per appena un paio
di secondi».
Nikki decise di non sottolineare il fatto che,
se l’aveva visto così di sfuggita, era davvero possibile che si
fosse sbagliato. «Passiamo oltre. È probabile che quest’uomo sia a
Greenborough?»
«No. Altamente improbabile». Joseph si passò
una mano tra i capelli e scosse piano la testa. «Ci ho riflettuto
l’ultima volta che l’ho visto e…».
«L’hai già visto?», esclamò lei. «Non l’avevi
detto!».
«È successo quando sono andato dalla
dottoressa Latimer».
«Lo sapevo che al
tuo ritorno eri turbato da qualcosa! Pensavo fosse stata
Helen».
Joseph le riferì l’incontro, poi si appoggiò
allo schienale e scrollò le spalle. «Mi ero convinto che fosse solo
qualcuno che mi ricordava Billy Sweet. Ma adesso sono sicuro che
fosse lui, signora. Sicurissimo».
«Ha qualche conto in sospeso con te,
Joseph?».
Lui socchiuse gli occhi. «Non lo so. Forse
sapeva che lo sospettavo di alcune cose terribili, forse no.
Neanche gli altri con cui era stato in guerra lo volevano vicino.
Non aveva paura di nulla, ma era anche pazzo, signora. E una simile
mina vagante può costarti la vita, o quella dei tuoi compagni. Però
no, l’ultima volta che ho saputo qualcosa di lui, aveva lasciato
l’esercito per unirsi a una forza di sicurezza privata, e a quel
tempo ormai io facevo vita da civile. Fine della storia, o così
credevo».
«Un giorno mi hai parlato di una brutta
missione, c’entrava anche lui?».
Joseph chiuse gli occhi. «In questo momento
non posso pensarci, signora».
Nikki comprese la risposta. «D’accordo. Quindi
adesso che cosa facciamo?»
«Non lo so». Lui si grattò la testa. «Perché
diavolo dovrebbe essere qui?»
«Suggerisco di chiederlo a lui».
Joseph sgranò gli occhi. «E come? È una specie
di fuoco fatuo. Un attimo c’è, poi scompare».
«Be’, hai notato i suoi vestiti?».
Lui ci rifletté un momento. «Giacca scura con
cerniera, di nylon sottile, jeans neri e maglietta. Chiara, bianco
sporco o grigio, forse. Le scarpe erano tipo da ginnastica,
scamosciate, molto sporche».
Nikki annuì. «Bene. Eccellente, in effetti.
Torniamo alla sala di controllo e chiediamo che lo rintraccino.
Sperando che in questa città ci sia più di una sola telecamera
funzionante, dovrebbero avere buone probabilità di individuarlo.
Soprattutto se ieri ha pensato bene di sfidare le auto in mezzo
alla Greenborough High Road, non credi?»
«Ha ragione, signora. E apprezzo la sua
preoccupazione, ma questa non è materia di polizia. Abbiamo molto
da fare per il caso di Martin».
«Ovviamente l’indagine ha la precedenza, ma
non voglio che qualche stronzo inquietante mandi in paranoia i miei
agenti! Quindi occupiamoci di lui, dopodiché andremo avanti con il
nostro lavoro, d’accordo?».
Joseph si alzò, con aria un po’ meno
tormentata. «Facciamolo».
«Che cosa significa, nulla di conclusivo?».
Nikki sentì che cominciava a scaldarsi.
«Ci dispiace, signora, abbiamo trovato
l’incidente descritto dal sergente Easter, ma il filmato è troppo
granuloso per identificare una persona specifica. Di certo non è
abbastanza definito per trarne un’immagine».
«Oh, fantastico! D’accordo, datemene una copia
lo stesso. Grazie del tentativo».
La donna se ne andò e lei si lasciò cadere
sulla sedia. Se fossero riusciti a procurarsi una foto segnaletica
dell’uomo, avrebbe potuto farla girare e chiedere che lo portassero
in centrale. Joseph avrebbe poi potuto guardarlo da vicino, e la
cosa sarebbe finita lì. Un semplice scambio di persona, oppure a
Joseph sarebbe toccata una passeggiata involontaria per le strade
della memoria.
Si mordicchiò l’interno della guancia.
Ipotizzando che Joseph avesse ragione e che quel Billy Sweet stesse
davvero scorrazzando per le strade del Lincolnshire, che cosa
diavolo voleva? Doveva avere qualcosa a che fare con Joseph. Si
chiese che cosa avesse fatto Billy Sweet. Per guadagnarsi il
disprezzo dell’intera squadra, doveva essere stato qualcosa di
molto sgradevole.
«Signora? Voleva vedermi?». Cat Cullen fece
capolino dalla porta. Le strisce verde smeraldo della sua ultima
acconciatura erano state ridotte a semplici punte biondo
platino.
Nikki le fece un ampio sorriso. «Gran bel
lavoro con le piantagioni di cannabis, agente. Un risultato
eccellente».
«Grazie, capo. Io e Dave siamo molto
soddisfatti».
«Ne avete ogni diritto». Nikki mosse il
pollice in direzione di una sedia.
«Prima di parlare della tua prossima indagine,
vorrei che mi facessi un piccolo favore. Ultimamente hai passato un
bel po’ di tempo in giro per le strade, quest’uomo ti dice
qualcosa?». Le passò la descrizione scritta che Joseph aveva fatto
di Billy Sweet.
«Uff, potrebbe essere metà dei tizi che
vedevo, ma non mi ricorda nessuno in particolare. Vuole che
indaghi?».
Nikki annuì, poi alzò lo sguardo mentre
l’operatore delle telecamere a circuito chiuso appariva sulla
soglia e le porgeva un CD.
«Mettilo nel lettore, Cat. Potrebbe essere
utile, anche se mi hanno detto che la qualità fa schifo».
Cat prese il CD e
accese il lettore. Qualche attimo dopo, si trovarono a guardare tre
corsie di auto imbottigliate in un traffico dolorosamente
lento.
«Non vincerà certo il festival di Cannes,
signora. Quando comincia l’azione?»
«Direi più o meno adesso. Ecco la Ford di
Joseph, ferma nella corsia centrale».
«E quei teppisti cosa stanno facendo?»
«Sono loro che ci interessano. Controlla il
veicolo di Joseph. A quanto pare, uno di quegli uomini ha sbattuto
le mani sul suo parabrezza e poi è scappato via».
«Wow!», disse Cat. «Se quella è la loro idea
di divertimento, devono uscire più spesso».
Come Joseph aveva descritto, il gruppo correva
a zig-zag nel traffico, scansando e aggirando i veicoli a mano a
mano che questi avanzavano o si fermavano. Poi un uomo si staccò
dagli altri per lanciarsi davanti alla sua Ford.
«La qualità fa davvero schifo. Ha ragione». Cat si sporse più
vicino. «Che cosa sta facendo?»
«Sembra che stia sbattendo le mani sul
parabrezza. Ora si sta sporgendo sul cofano per fissare
dentro».
«Che stronzo». Cat si accigliò. «E adesso se
ne va».
Nikki fissò lo schermo. Niente da dire, l’uomo
non era identificabile. Ma adesso si concentrò su Joseph. Era
balzato fuori dall’auto e si stava guardando intorno con ansia,
cercando di vedere dov’era andato l’individuo.
«Il sergente ha avuto una reazione un po’
esagerata, no?», osservò Cat. «Era solo un coglione che si
comportava da coglione».
Nikki non rispose. Aveva pensato la stessa
identica cosa, ma che l’uomo fosse Billy Sweet o il conte di
Lucan1, Joseph era
chiaramente convinto di aver visto un fantasma.
«Passa il pomeriggio in strada, Cat. Chiedi in
giro. Vedi se la descrizione ricorda qualcosa a qualcuno, e
concentrati sulla zona di West Street, sembra che gli altri uomini
fossero stranieri».
«Certo. Nessun problema. E se lo trovo?»
«Chiamami, e stagli alla larga. Capito? Nessun
contatto. Potrebbe essere innocente, ma è altrettanto probabile che
sia molto sgradevole». Mentre Cat si alzava per andarsene, Nikki
aggiunse: «E che questo resti tra noi, per il momento,
d’accordo?».
Lei si toccò il lato del naso. «Capito,
signora. Sarò una tomba».
Mentre la giovane agente chiudeva la porta,
Nikki tornò a guardare la foto di Martin Durham. Si stava lasciando
distrarre dai problemi di Joseph, ma Martin era morto, e Joseph era
vivo e preoccupato.
In qualche modo, avrebbe trovato il tempo per
entrambi.