60

Ritto nell’acqua bassa, contemplava lo scheletro carbonizzato della sua nave, lambito dalle onde. Senza più alberi, senza più ponti, senza più nulla se non la chiglia e le coste erte verso il cielo.

“Le scimmie hanno cercato di tirarla in secco,” osservò tetro Vinck.

“No. Ce l’ha portata la marea.”

“In nome di Cristo, pilota, perché dici così? Se c’è uno stramaledetto incendio e sei vicino alla stramaledetta spiaggia, la tiri in secco per spegnere le fiamme! Gesù, perfino questi bastardi schifosi lo sanno!” Vinck sputò sulla sabbia. “Scimmie! Non avresti mai dovuto lasciargliela nelle mani. Adesso che facciamo? Come ci torniamo a casa? Dovevi lasciarla al sicuro a Yedo, e noi al sicuro, con i nostri etar.”

La voce lamentosa di Vinck irritò Blackthorne. E tutto di Vinck ora lo irritava. Nella settimana precedente per tre volte era stato sul punto di ordinare ai suoi vassalli di eliminarlo tranquillamente con una coltellata e gettarlo in mare, liberandolo dalla sua infelicità, quando i pianti e i gemiti e le accuse avevano superato i limiti della sopportazione. Ma aveva sempre dominato la tentazione, andandosene da solo o in cerca di Yabu. Vicino a Yabu, infatti, Vinck, paralizzato dal terrore, e con ragione, non apriva bocca. A bordo era facile contenersi, ma qui, davanti a quello scheletro di nave, era molto difficile.

“Forse l’hanno tirata in secca loro, Johann,” rispose stanco.

“Puoi scommetterci! Bastardi schifosi! Ma il fuoco non l’hanno spento. Dio li stramaledica! Non bisognava che ci salissero i giappi, merdosi!”

Blackthorne chiuse le orecchie e si concentrò sulla galea, ancorata a poche centinaia di passi, vicino al villaggio di Yokohama. Sulla spiaggia e in collina erano sparse le baracche del Reggimento Moschettieri e gli uomini si muovevano dappertutto, con una sorta di ansietà. Era una giornata calda e assolata e Blackthorne avvertì un profumo di mimosa. Vedeva Kiri e Sazuko che conversavano sotto gli ombrellini arancioni a poppa e si domandò se quel profumo venisse da loro. Poi scorse Yabu e Naga avvicinarsi lungo il molo. Naga parlava e Yabu ascoltava e entrambi apparivano molto seri e tesi. Vide che lo guardavano e ne intuì l’inquietudine.

Quando, due ore prima, la galea aveva girato intorno al promontorio, Yabu aveva detto: “Perché andare a guardare più da vicino, Anjin-san? La nave è morta, ne? Tutto è finito. Andiamo a Yedo, a prepararci alla guerra. Non c’è tempo adesso.”

“Scusate… fermare qui. Devo guardare vicino, prego.”

“Andiamo a Yedo! La nave è morta, finita… ne?”

“Voi andate, se volete. Io nuoto.”

“Aspettate. La nave è finita, ne?”

“Scusate. Fermare, prego. Poco tempo. Poi Yedo.”

Alla fine Yabu aveva ceduto: aveva gettato l’ancora e Naga subito era andato a incontrarli. “Molto spiacente, Anjin-san, ne?” gli aveva detto, con gli occhi arrossati per la mancanza di sonno.

“Sì, spiacente. Scusate, che cosa è successo?”

“Spiacente, non so. Honto. Non ero qui, capite? Mi avevano chiamato a Mishima per qualche giorno e quando sono tornato mi hanno detto che durante la notte c’era stato un terremoto… è avvenuto di notte, capite? Capite ‘terremoto’, Anjin-san?”

“Capito. Prego, continuate.”

“Un piccolo terremoto, di notte. Alcuni dicono di aver visto arrivare la grande ondata, altri dicono soltanto un’ondata tempestosa, perché c’era burrasca quella notte… come il tai-fun. Capite ‘tai-fun’?

“Sì.”

“Ah, mi dispiace molto. La notte era molto scura. Dicono che è arrivata quest’ondata e le lampade in coperta si sono rotte, così la nave ha preso fuoco. Tutto ha cominciato a bruciare, molto rapidamente…”

“Ma le guardie, Naga-san, dov’erano gli uomini di coperta?”

“Molto scuro e il fuoco è stato molto rapido, capite? Spiacente. Shigata ga nai, ne?” aggiunse con tono di speranza.

“Dov’erano gli uomini di coperta, Naga-san? Io lascio sempre le guardie. Ne?”

“Allorché sono tornato il giorno dopo, la nave era finita. Stava ancora bruciando, vicino alla riva. Ho chiamato a rapporto tutti gli uomini della nave e quelli di pattuglia sulla spiaggia durante la notte. Nessuno ha saputo spiegarmi con certezza che cosa era avvenuto.” Naga si rannuvolò in volto. “Gli ho ordinato di raccogliere tutto quanto era possibile, di portare tutto il possibile a terra, capite? E adesso è tutto all’accampamento. Sotto la guardia dei miei uomini. E poi li ho messi a morte e sono corso a Mishima a riferire al Nobile Toranaga.”

“Tutti? Tutti a morte?”

“Sì. Avevano mancato al loro dovere.”

“Che cosa dice il Nobile Toranaga?”

“Molto arrabbiato. Ha ragione di esserlo. Io ho offerto di fare seppuku, ma lui non me ne ha dato il permesso. Eeeeh, molto arrabbiato, sì, Anjin- san.”

Con un gesto nervoso Naga indicò la spiaggia tutto intorno. “Tutto il reggimento in disgrazia, Anjin-san, tutti. Anche gli ufficiali superiori. Mandati a Mishima. Ci sono già stati cinquantotto seppuku.“

Blackthorne aveva riflettuto su quella cifra e avrebbe voluto gridare che cinquemila o cinquantamila non lo ripagavano della perdita della sua nave. “Male,” diceva intanto, “molto male, sì.”

“Sì. Meglio andare a Yedo. Oggi stesso. La guerra potrebbe cominciare oggi, o domani o dopodomani. Mi spiace.”

Poi Naga aveva parlato con Yabu, rapidamente e Blackthorne non l’aveva ascoltato, pur vedendo in Yabu un crescente turbamento. In quel momento odiava il suono delle parole incomprensibili, odiava Yabu e Naga. Infine Naga si volse a lui. “Molto spiacente, Anjin-san. Non potevo fare niente di più. Honto, ne?”

Blackthorne si era costretto ad assentire. “Honto. Domo, Naga-san. Shigata ga nai.” Con qualche parola di scusa, li aveva lasciati e era andato presso la nave, per essere solo, temendo di abbandonarsi alla furia cieca che gli montava dentro, consapevole di non poter fare più niente: non sarebbe mai riuscito a sapere la verità e, qualunque fosse quella verità, la nave era perduta; in qualche modo i preti avevano pagato o indotto qualcuno, con le insidie o le minacce, a colpire la nave. Era fuggito lontano da Naga e da Yabu, camminando lento e eretto, ma Vinck gli era corso dietro, pregandolo di non lasciarlo da solo. Scorgendone la miserabile paura, gli aveva permesso di seguirlo, ma aveva chiuso la mente alle parole di lui.

E a un tratto, lungo la spiaggia, gli si erano presentati i macabri resti delle teste. Più di cento, nascoste dalle dune di sabbia, conficcate sulle picche. Gli uccelli marini si levarono come una nuvola al loro avvicinarsi e poi tornarono all’opera, stridendo feroci. Adesso Blackthorne stava esaminando lo scheletro della nave, con un pensiero ossessionante: Mariko aveva capito la verità e l’aveva sussurrata a Kiyama o ai preti: “Senza la nave l’Anjin-san è disarmato contro la Chiesa. Io vi chiedo di lasciarlo vivere, uccidete solo la nave…” Gli sembrava di sentirla. E aveva ragione. Era una soluzione così semplice per il problema dei cattolici. Però chiunque di loro avrebbe potuto arrivarci. E come erano passati attraverso quattromila uomini? Chi era stato corrotto? E come?

Non importa chi, né come. Hanno vinto. Dio mi aiuti. Senza la nave sono finito. Non sono in grado di aiutare Toranaga e la sua guerra ci inghiottirà tutti.

“Povera nave,” mormorò. “Perdonami… è triste morire in modo tanto inutile. Dopo tante leghe…”

“Eh?” fece Vinck.

“Niente,” rispose. Povera nave, perdonami. E povera Mariko, perdona anche lei.

“Cos’hai detto, pilota?”

“Niente. Pensavo a alta voce.”

“Ma ti ho sentito dire qualcosa, Cristo!”

“Per amor di Dio, sta’ zitto!”

“Eh? Zitto, dici? Siamo in secca fra questi schifosi per tutta la vita! Non è vero?”

“Sì!”

“Dobbiamo strisciare davanti a questi merdosi pagani per tutto il resto delle nostre stramaledette vite e quanto durerà, dato che parlano sempre di guerra e guerra? Eh?”

“Sì.”

“Dici solo sì?” Vinck tremava in tutto il corpo, e Blackthorne si preparò a reagire. ”È colpa tua. Tu hai voluto venire in Giappone e noi ci siamo venuti, e quanti ne sono morti in viaggio? La colpa è tua!”

“Infatti. Mi dispiace, ma hai ragione.”

“Ti dispiace, pilota? E come ci torniamo a casa? È tuo schifosissimo dovere riportarci a casa! Come farai, eh?”

“Non lo so. Forse un’altra nave arriverà fin qui, Johann. Dobbiamo solo aspettare…”

“Aspettare? E quanto? Cinque fetenti anni? O magari venti? Cristo, lo hai detto tu stesso che queste scimmie adesso sono in guerra! Ci taglieranno la testa e la infileranno su un palo, come quelle laggiù, a farla mangiare dagli uccelli…” Un parossismo isterico di risa lo scosse e la sua mano si infilò nella camicia lacera. Blackthorne vide il calcio della rivoltella e gli sarebbe stato facile gettare in terra Vinck e strappargli l’arma. Invece non si mosse per difendersi. Vinck gli agitò la pistola in faccia, saltandogli intorno in preda a una vera follia. Blackthorne attese senza paura, desiderando anzi quella pallottola, ma Vinck si mise a correre lungo la spiaggia, tra uno svolazzare spaventato di uccelli disturbati dal suo passaggio. Corse per un centinaio di passi, poi crollò, agitando le braccia e le gambe e gridando insulti e bestemmie. Poi si voltò supino, con un ultimo urlo e restò immobile. Silenzio.

Blackthorne lo raggiunse: la pistola era puntata contro di lui, gli occhi lo fissavano con sguardo folle, le labbra stirate scoprivano i denti. Vinck era morto. Blackthorne gli chiuse gli occhi, lo raccolse, se lo mise in spalla e tornò indietro. I samurai stavano correndogli incontro, con Yabu e Naga alla testa.

“Che cosa è successo, Anjin-san?”

“È impazzito.”

“Davvero? È morto?”

“Sì. Prima sepoltura, poi a Yedo. Va bene?”

“Hai”

Blackthorne chiese una vanga e li pregò di lasciarlo solo. Seppellì Vinck su una collinetta, che guardava i resti dell’Erasmus. Recitò una preghiera e piantò sulla tomba una croce messa insieme con due rametti. Gli fu facile la preghiera per i morti, l’aveva pronunciata tante volte. Solo in quel viaggio, dal giorno della partenza dall’Olanda, un centinaio di volte per il suo equipaggio. Ne erano sopravvissuti soltanto Baccus van Nekk e il giovane Croocq; gli altri, Salamon il muto, Jan Roper, il cuoco Sonk, il velaio Gin- sei, venivano da altre navi. Cinque navi e quattrocentonovantasei uomini. E adesso anche Vinck era scomparso. Siamo rimasti in sette. E a che scopo?

Per circumnavigare il globo terrestre? Per essere i primi? “Non lo so,” disse alla tomba. “Ma ormai non avverrà.”

Ripulì tutto intorno. “Sayonara, Johann.” Poi scese a riva e nuotò nudo, per purificarsi, dichiarando a Naga e a Yabu che era un’usanza del suo paese, dopo che si era seppellito un marinaio in terra. Il capitano doveva provvedere da solo, se non c’era nessun altro, e il mare li purificava agli occhi del loro Dio, che era il Dio cristiano, ma non lo stesso dei gesuiti.

Girando intorno alla carcassa della nave, vide che già i cirripedi le si attaccavano e la sabbia si depositava sulla chiglia. Presto sarebbe scomparsa, inghiottita dal mare. Si guardò intorno: niente più da salvare, niente da sperare.

Tornò a riva a nuoto. Alcuni vassalli lo aspettavano, con abiti puliti. Se li infilò, si mise le spade alla cintura e tornò indietro. Vicino al molo, uno dei vassalli gli indicò qualcosa. “Anjin-san!”

Un piccione viaggiatore volava disperatamente per sfuggire a un falco, cercando la salvezza nella piccionaia del villaggio. La piccionaia si trovava sul tetto dell’edificio più alto, su un pendio lontano dalla spiaggia. Il falco, alto sulla preda, a un centinaio di metri di distanza, chiuse le ali e si tuffò. La colpì, fra un arruffio di penne, ma non perfettamente. Il piccione cadde, apparentemente ferito a morte, ma vicino a terra si riprese e fuggì. Si infilò nella piccionaia, attraverso un buco, mentre il falco strideva feroce a due metri di distanza. Tutti acclamarono, meno Blackthorne. L’abilità e il coraggio del piccione non lo toccavano. Niente lo toccava più.

“Bene, ne?” esclamò uno dei vassalli, imbarazzati dalla cupezza del padrone.

“Sì.” Blackthorne fece ritorno alla galea. Yabu e Sazuko, Kiri e il capitano aspettavano. Tutto era pronto. “Yabu-san. Ima Yedo ka?” domandò. Ma Yabu non gli rispose e nessuno gli badò: tutti seguivano con lo sguardo Naga che correva verso il villaggio. Il padrone della piccionaia gli andò incontro, uscendo dalla casa. Naga ruppe il sigillo e lesse il messaggio. “La galea e tutti a bordo restino a Yokohama fino al mio arrivo.” La firma era di Toranaga.

I cavalieri superarono veloci la cresta della collina nel sole del primo mattino. L’avanguardia era guidata da Buntaro. Seguivano i portabandiera e poi Toranaga. Dietro di lui il grosso delle truppe, al comando di Omi. Poi veniva padre Alvito con dieci accoliti, in formazione serrata, e infine una piccola retroguardia, fra cui i guardiacaccia e i falconieri con i falchi sul pugno, tutti incappucciati, tranne uno, grande, con gli occhi gialli. Tutti i samurai indossavano l’armatura da battaglia e erano armati fino ai denti.

Toranaga cavalcava con piacere, l’animo più leggero, ringiovanito e rinvigorito, lieto di essere vicino alla fine del viaggio. Erano passati due giorni e mezzo da quando aveva mandato a Naga l’ordine di trattenere la galea a Yokohama, e aveva proceduto da Mishima a marce forzate, cambiando i cavalli ogni venti ri. A una fermata non si erano trovati i cavalli e il samurai al comando era stato destituito, sostituito e invitato a scegliere fra il seppuku e il farsi monaco. Aveva preferito morire. Lo sciocco era avvertito, pensava Toranaga, tutto il Kwanto è mobilitato e sul piede di guerra. Eppure la sua perdita non è uno spreco in senso assoluto: la notizia si spargerà per tutti i miei domini e non incontreremo più ritardi e lentezze.

C’è ancora tanto da fare. La sua mente era un fermento di dati e di piani e contropiani. Fra quattro giorni scadrà il giorno, il ventiduesimo giorno dell’Ottavo mese. Oggi a Osaka il cortigiano Ogaki Takamoto si presenterà in veste ufficiale a Ishido per comunicargli con rammarico che la visita del Figlio del Cielo a Osaka deve essere rinviata di qualche giorno, per motivi di salute.

Era stato facile manovrare per ottenere il rinvio. Ogaki era, sì, principe di Settimo Rango e discendente dell’imperatore Go-Shoko, novantacinquesimo della dinastia, ma era quasi in miseria, come tutti i membri della corte imperiale, dato che la corte non possedeva rendite proprie. Le rendite erano di proprietà dei samurai e da secoli la corte viveva con uno stipendio — sempre magro e sotto controllo — concesso dallo Shōgun, o dal Kwampaku o dalla giunta al potere in quel momento. Perciò Toranaga aveva, umilmente e molto cautamente, offerto una rendita di diecimila koku l’anno a Ogaki (tramite intermediari) da distribuire, secondo i desideri dello stesso Ogaki, a parenti bisognosi, dichiarando, con la debita umiltà, che, essendo lui un Minowara e quindi discendente anch’egli da Go-Shoko, era felice di rendersi utile e confidava che l’Altissimo avrebbe avuto attenta cura della sua preziosa salute in un clima traditore come quello di Osaka, specie vicino al ventiduesimo giorno.

Naturalmente non esisteva una garanzia che Ogaki potesse convincere o dissuadere l’Altissimo, ma Toranaga supponeva che i consiglieri del Figlio del Cielo, o lo stesso Figlio del Cielo, avrebbero accolto con gioia un pretesto per rinviare — o forse, infine, cancellare — la visita. Da tre secoli una sola volta un imperatore era uscito dal suo santuario di Kyoto. Era avvenuto quattro anni prima, quando il Taikō lo aveva invitato a vedere i ciliegi in fiore presso Osaka, in concomitanza con la cessione del titolo di Kwampaku a Yaemon, così da mettere il Sigillo Imperiale alla successione.

Normalmente nessun daimyo, neppure Toranaga, avrebbe osato avanzare una simile offerta a un membro della corte, perché rappresentava un insulto e una prevaricazione nei confronti dell’autorità superiore — in questo caso il Consiglio — imputabile di tradimento. Come era in realtà. Ma Toranaga sapeva di essere già accusato di tradimento.

Domani Ishido e i suoi alleati muoveranno contro di me. Quanto tempo mi resta? Dove si svolgerà la battaglia? A Odawara? La vittoria dipende solo dal luogo e dal momento, e non dal numero di uomini. Loro mi superano di almeno tre volte per numero. Ma non importa, pensava, Ishido uscirà dal castello di Osaka! Mariko lo ha attirato fuori. Nella mia lotta per il potere io ho sacrificato una regina, ma Ishido ha perso due torri.

Però tu hai perso più di una regina. Hai perso una nave. Una pedina può diventare regina, ma non diventerà una nave!

Scendevano al trotto serrato lungo il pendio. Sotto di loro si stendeva il mare. Superata una curva, apparve il villaggio di Yokohama, con il relitto della nave. Toranaga vide il pianoro dove il Reggimento Moschettieri stava schierato in ordine di battaglia, con cavalli e salmerie, mentre altri samurai stavano allineati lungo il percorso, per rendergli omaggio. All’ingresso del villaggio erano inginocchiati gli abitanti, in file ordinate, ad aspettarlo. Al di là degli schieramenti, scorgeva la galea, con i marinai in riga dietro al capitano. Ai due lati del molo erano meticolosamente disposte le barche da pesca e egli si annotò mentalmente di rimproverare Naga: gli aveva ordinato di tenere il reggimento pronto a partire immediatamente, ma interrompere il lavoro di contadini e pescatori era da irresponsabile.

Girandosi sulla sella, chiamò un samurai e lo mandò a ordinare a Buntaro di precederli e controllare che ogni cosa fosse pronta. “Poi scendete al villaggio e rimandate al lavoro tutti quanti, salvo il capo-villaggio.”

“Agli ordini!” L’uomo spronò e partì al galoppo. Toranaga era ormai tanto vicino da distinguere le facce. L’Anjin-san e Yabu, poi Kiri e Sazuko.

Buntaro galoppò per il sentiero, con l’arco e due grandi faretre sulle spalle, seguito da mezza dozzina di samurai. Lasciarono il sentiero e entrarono nel pianoro: subito vide Blackthorne e si fece scuro in volto. Fermò il cavallo e si guardò intorno attentamente: una pedana coperta, con un solo cuscino, di fronte al reggimento; accanto ad essa un’altra più piccola, dove attendevano Kiri e Sazuko. Yabu, l’ufficiale più anziano, era alla testa del reggimento, con Naga alla destra e l’Anjin-san alla sinistra. Tutto sembrava in ordine e Buntaro fece segno al grosso di avanzare. L’avanguardia arrivò, smontò da cavallo e si dispose intorno alla pedana, a protezione. Poi giunse Toranaga e Naga sollevò lo stendardo. Tutti insieme i quattromila uomini gridarono “Toranagaaaaaa!” e si inchinarono.

Toranaga non ricambiò il saluto e prese il suo posto in assoluto silenzio. Notò che Buntaro osservava di sottecchi l’Anjin-san, che Yabu portava la spada donatagli da lui, ma appariva molto nervoso, che l’Anjin-san teneva l’arco nella posizione corretta, immobile, e l’elsa della spada era spezzata. Kiri e Sazuko erano inginocchiate, con le mani sul tatami, il volto abbassato. Per un attimo il suo viso si raddolcì, poi egli si volse al reggimento con espressione irosa. Gli uomini erano ancora inchinati. Toranaga si limitò a un cenno della testa e avvertì il tremito che passava fra i samurai, mentre si rialzavano. Bene, pensò, lieto che temessero la sua vendetta, e scese da cavallo. Un samurai portò via l’animale mentre lui, coperto di sudore come tutti in quell’afa umida, si avvicinava alle signore. “Dunque, Kiri-san, benvenuta a casa!”

Ella si inchinò di nuovo, felice. “Grazie, signore. Non credevo che avrei mai riavuto la gioia di vedervi!”

“Nemmeno io, signora.” Toranaga lasciò trasparire un barlume della propria felicità, e si volse alla giovane. “Sazuko-san, dov’è mio figlio, dunque?”

“Con la sua balia, signore,” gli rispose lei, beata del favore che le mostrava così apertamente.

“Mandate subito a prendere nostro figlio.”

“Oh, signore, prego, con il vostro permesso, posso portarvelo io stessa?”

“Ma sì, certo, se lo desiderate.” Toranaga sorrise e per un attimo la seguì con lo sguardo, pieno di amore. Poi tornò a Kiri. “Stai proprio bene?” le chiese piano, in modo che sentisse lei sola.

“Sì, signore. Sì… e vedervi così forte mi riempie di gioia.”

“Sei dimagrita, Kiri-chan, e più giovane che mai.”

“Ah, non è vero, signore, mi dispiace. Ma grazie lo stesso!”

Toranaga le sorrise. “Qualunque cosa sia, ti giova. Tragedia, solitudine, abbandono… Sono lieto di vederti, Kiri-chan.”

“Grazie, signore. Io sono così felice che la sua obbedienza e il suo sacrificio abbiano aperto le porte di Osaka. Si compiacerebbe molto, signore, di sapere quanto successo ha ottenuto.”

“Prima devo occuparmi di questa minutaglia, poi parleremo. Ci sono mille cose da dire, ne?

“Oh, sì!” esclamò Kiri, con gli occhi scintillanti. “ Il Figlio del Cielo ritarderà, ne?

“Sarebbe saggio. Ne?

“Vi porto un messaggio personale della Nobile Ochiba.”

“Davvero? Bene! Ma dovrà aspettare.” Dopo una pausa riprese: “Mariko-san è morta con onore? Per sua scelta e non per un incidente o un errore?”

“Mariko-sama ha scelto la morte. È stato un seppuku. Se non si fosse comportata così, l’avrebbero presa. Oh, signore, è stata meravigliosa in tutti quei giorni terribili, piena di coraggio. E l’Anjin-san lo stesso. Senza di lui l’avrebbero catturata e coperta di vergogna. E avrebbero fatto altrettanto con tutte noi.”

“Già, i ninja.” Toranaga diede un sospiro profondo e i suoi occhi divennero due pietre. Kiri rabbrividì. “Ishido deve rispondere di molte cose, Kiri-chan. Scusatemi ora, prego.” Salì sulla pedana e sedette con volto di nuovo serio e minaccioso. Le guardie lo circondarono.

“Omi-san!”

“Sì, signore?” Omi avanzò e si inchinò. Era più magro e sembrava invecchiato.

“Accompagnate la Nobile Kiri ai suoi alloggi e controllate che i miei siano in ordine. Stanotte resterò qua.”

Omi salutò e si allontanò. Toranaga notò con piacere che l’improvviso mutamento di programma non aveva provocato in lui la minima reazione. Bene, pensò, o ha imparato la lezione, o le sue spie lo hanno informato che devo aspettare qui, perché Sudara e Hiro-matsu hanno avuto ordine di raggiungermi.

Rivolse tutta l’attenzione al reggimento. A un suo segno Yabu si fece avanti e lo salutò. Egli rispose con cortesia. “Ebbene, Yabu-san! Bentornato.”

“Grazie, signore. Posso dirvi quanto sia felice di constatare che siete sfuggito al tranello di Ishido?”

“Altrettanto per voi. Le cose non sono andate bene a Osaka, ne?”

“No. La mia armonia è stata distrutta, signore. Speravo di guidare la ritirata da Osaka, riportandovi le signore sane e salve, con vostro figlio e la Nobile Toda, l’Anjin-san e i marinai per la sua nave. Purtroppo siamo stati traditi entrambi… qui e là.”

“Infatti.” Toranaga osservò il relitto della nave, lambito dalle onde. L’ira gli accese il volto e tutti si prepararono a un’esplosione. Che non venne. “Karma.” disse invece. “Karma, Yabu-san. Come ci si può opporre agli elementi? In nessun modo. La negligenza invece è un’altra cosa. Ora, per tornare a Osaka, voglio sentire, in dettaglio, tutti gli avvenimenti… non appena avrò messo in libertà il reggimento e avrò fatto il bagno.”

“Vi ho preparato un rapporto scritto, signore.”

“Bene. Vi ringrazio, ma preferisco che prima me lo riferiate a voce.”

“È vero che l’Altissimo non andrà a Osaka?”

“Sono decisioni che dipendono solo da lui.”

“Volete passare in rivista il reggimento, prima che lo mandi in libertà?”

“Perché dovrei rendere loro questo onore? Non sapete che sono tutti in disgrazia, nonostante l’intervento degli elementi naturali?”

“Sì, signore. Mi dispiace. È stato terribile.” Yabu tentava, inutilmente, di leggere nella mente di Toranaga. “Sono rimasto sbalordito quando l’ho saputo. Sembra quasi impossibile.”

“Infatti.” Con la faccia scura, Toranaga osservò Naga e i ranghi di samurai. “Io ancora non arrivo a capire come abbia potuto esserci una simile incompetenza. Avevo bisogno di quella nave!”

Naga era molto agitato. “Signore, volete che conduca un’altra inchiesta?”

“Che potresti fare che non abbia già fatto?”

“Non lo so, signore. Niente. Scusatemi, vi prego.”

“La tua indagine è andata a fondo, ne?”

“Sì, signore. Perdonate la mia stupidità, prego.”

“Non è stata colpa tua. Tu non eri qui, né avevi il comando.” Con un gesto d’impazienza si volse di nuovo a Yabu. “È strano, perfino sinistro, che la pattuglia a riva, la pattuglia nell’accampamento, la guardia sul ponte e il comandante fossero tutti uomini dell’Izu, quella notte… salvo pochi ronin dell’Anjin-san.”

“Sì, signore. Strano, ma non sinistro, scusate. Avete avuto perfettamente ragione a tenere responsabili gli ufficiali, come l’ha avuta Naga-san a punire gli altri. Mi dispiace. Ho condotto le mie indagini, appena arrivato, ma purtroppo non ho niente di nuovo da aggiungere. È il karma, lo penso anch’io… il karma aiutato da qualche immondo cristiano.”

“Ah, voi sostenete che si sia trattato di sabotaggio!”

“Non esistono prove, signore, ma un’ondata e un semplice incendio mi appaiono una spiegazione troppo semplicistica. Qualunque incendio lo si sarebbe potuto certamente domare. Di nuovo chiedo scusa.”

“Accetto le scuse, ma intanto ditemi come sostituire la nave. Io ho bisogno di quella nave!”

Yabu si sentì stringere lo stomaco. “Sì, signore, lo so. Spiacente, non è possibile rimpiazzarla, ma durante il viaggio l’Anjin-san mi ha detto che dal suo paese arriveranno altre navi da guerra.”

“Quando?”

“Non lo sa, signore.”

“Un anno? Dieci? Io non ho che dieci giorni.”

“Spiacente. Vorrei saperlo. Forse potete chiederlo a lui, signore.”

Per la prima volta Toranaga guardò in faccia Blackthorne. L’inglese se ne stava solitario, senza più nessuna luce nello sguardo. “Anjin-san!”

“Sì, signore?”

“Male, malissimo,” e Toranaga indicò il relitto.

“Sì, malissimo, signore.”

“Quando arriveranno altre navi?”

“Navi mie?”

“Sì.”

“Quando… quando Budda vorrà.”

“Stasera parleremo. Andate adesso. Grazie per Osaka. Andate alla galea, o al villaggio. Parleremo stasera. Capito?”

“Sì. Parleremo stasera, ho capito, signore. Grazie. Stasera quando, prego?”

“Vi manderò un messaggio. E grazie per Osaka.”

“Mio dovere, ne? Ma ho fatto poco. Mariko-sama ha dato tutto. Tutto, per Toranaga-sama.”

“È vero.” Toranaga gli restituì l’inchino con gravità. L’Anjin-san si avviò, ma si fermò sui due piedi e Toranaga scorse, in fondo al pianoro, lo Tsukku-san che stava smontando da cavallo con i suoi accoliti. A Mishima egli non aveva concesso udienza al prete e l’aveva tenuto volutamente in attesa, fino a quando la galea era arrivata a Anjiro e la sua gente era uscita salva da Osaka. Solo allora aveva deciso di portare con sé il prete, perché al momento giusto avesse luogo lo scontro.

Blackthorne si mosse verso Alvito.

“No, Anjin-san. Più tardi, non adesso. Adesso andate al villaggio,” gli ordinò.

“Ma, signore, quell’uomo ha ucciso la mia nave! È lui il nemico!”

“Adesso andate laggiù!” e gli indicò il villaggio. “Aspettate là, prego. Stasera parleremo.”

“Signore, prego, quell’uomo…”

“No. Adesso ve ne andrete. Prego,” ripeté Toranaga. E impegnando la sua volontà contro quella di Blackthorne, pensò, eccitato, che era meglio che lanciare un falcone. Meglio perché l’Anjin-san è selvaggio e pericoloso e imprevedibile come un falco, rappresenta sempre una entità sconosciuta, unica, è diverso da ogni altro che io abbia mai incontrato.

Con la coda dell’occhio notò che Buntaro avanzava incontro all’Anjin- san, smanioso di costringerlo all’obbedienza. Che cosa stupida, pensò per un istante, Toranaga, e inutile. Tenne lo sguardo fisso su Blackthorne e lo vinse.

“Sì. Adesso vado, Toranaga-sama. Scusate. Vado,” disse Blackthorne. Si asciugò il sudore dal viso e si avviò di nuovo.

“Grazie, Anjin-san.” Toranaga nascose il proprio trionfo. Lo guardò allontanarsi, carico di forza, di violenza e di morte, ma dominato dalla sua volontà.

Poi cambiò idea. “Anjin-san!” chiamò, decidendo a un tratto che era venuto il momento di togliergli gli impedimenti e lasciare che il falco uccisore volasse libero. La prova finale. “Sentite, andateci, se volete. Io credo che sarebbe meglio non uccidere Tsukku-san. Ma se volete ucciderlo, uccidetelo. Però meglio di no.” Pronunciò le parole lentamente, con chiarezza, e le ripeté. “Wakarimasu ka?”

“Hai.” Toranaga scrutò nel profondo di quegli occhi incredibilmente azzurri, pieni di un odio infinito e si domandò se quell’uccello selvatico, lanciato sulla preda avrebbe ucciso per tornare poi sul pugno, senza divorarla. “Wakarimasu ka?”

“Hai.’’

Toranaga lo salutò con un cenno e Blackthorne mosse verso Alvito. Buntaro si tolse dal suo cammino, ma Blackthorne sembrava non vedere altri che il prete. L’aria sembrò appesantirsi.

“Dunque, Yabu-san, che cosa farà?” domandò Toranaga.

“Lo ucciderà. Se riesce a prenderlo. Il prete merita di morire, ne? Tutti i preti cristiani lo meritano, ne? Tutti i cristiani. Io sono sicuro che dietro il sabotaggio ci sono loro, i preti e Kiyama, anche se non sono in grado di provarlo. ”

“Scommettereste la vita che ucciderà Tsukku-san?”

“No, signore,” rispose rapido Yabu. “No, scusate. È un barbaro. Sono barbari tutti e due.”

“Naga-san?”

“Se fossi io al suo posto, ammazzerei il prete e tutti gli altri, avendo il vostro permesso. Non ho mai visto nessuno così apertamente pieno di odio. In questi due giorni l’Anjin-san è stato come un pazzo… camminava su e giù, contemplava il relitto, dormiva rannicchiato nella sabbia, quasi senza mangiare…” Naga guardò di nuovo Blackthorne. “Sono convinto anch’io che non è stata solo la natura a distruggere la nave. Conosco i preti: in qualche modo ci sono dietro loro. Non posso provarlo neanch’io, eppure… non credo che sia avvenuto per la tempesta.”

“Scegli!”

“Esploderà! Guardate come cammina! Credo che ucciderà. Lo spero.”

“Buntaro-san?”

Buntaro si voltò, le gambe piantate in terra, le guance non rasate, il dito sull’arco. “Gli avete consigliato di non uccidere Tsukku-san, quindi non lo volete morto. Se l’Anjin-san io ucciderà o no, non mi riguarda. A me interessa soltanto quel che riguarda voi. Posso fermarlo se non vi obbedisce? Da questa distanza potrei riuscirci facilmente.”

“Potreste garantirmi di ferirlo soltanto?”

“No, signore.”

Toranaga rise piano e ruppe la tensione. “L’Anjin-san non ucciderà. Griderà e si agiterà, o sibilerà come un serpente e agiterà la spada e Tsukku-san, gonfio di sacro zelo, sibilerà in risposta, dicendo: ‘È stata la volontà di Dio, io non ho toccato la vostra nave!’ Allora l’Anjin-san lo chiamerà bugiardo e lui, sempre più ardente di sacro fuoco, giurerà che è la verità in nome di Dio e forse lo maledirà e si odieranno per tutta la vita e oltre. Nessuno morirà. Non adesso, almeno!”

“Come sapete tutto questo, padre?” esclamò Naga.

“Non lo so con certezza, figlio mio. Ma suppongo che così andranno le cose. È sempre importante dedicare il tempo a studiare gli uomini — gli uomini importanti. Amici o nemici. Capirli. Io li ho osservati entrambi e sono entrambi molto importanti per me. Ne, Yabu-san?”

“Sì, signore,” rispose Yabu, a un tratto perplesso e inquieto.

Naga gettò un’occhiata a Blackthorne: avanzava ancora, con lo stesso passo misurato. Era a una settantina di passi dallo Tsukku-san, circondato dai suoi accoliti, e la brezza sollevava leggermente i loro abiti arancioni.

“Ma, padre, non è un vile, ne? Perché non… come potrebbe adesso ritirarsi con onore?”

“Non ucciderà per tre ragioni. Primo, perché lo Tsukku-san è disarmato e non potrebbe difendersi, neppure con le mani. Va contro il loro codice uccidere un uomo disarmato, è un disonore e un peccato contro il dio cristiano. Secondo, perché è cristiano. Terzo, perché io ho deciso che non è ancora il momento.”

“Scusatemi, prego,” intervenne Buntaro. “Io capisco la terza ragione, e anche la prima, ma la vera ragione del loro odio non è che sono tutti e due convinti che l’altro sia il male, e non sia cristiano… un adoratore di Satana? Non è così che si chiamano?”

‘‘Sì, ma quel loro Gesù Cristo ha insegnato — o si dice abbia insegnato — di perdonare al tuo nemico. Questo significa essere cristiani.”

“Ma perdonare al tuo nemico è stupido,” esclamò Naga.

“Sono d’accordo,” disse Toranaga. E guardò Yabu. “È sciocco perdonare a un nemico. Ne, Yabu-san?”

“Sì,” ammise Yabu.

Toranaga si voltò verso nord: adesso le due figure erano molto vicine e in cuor suo si rimproverò la propria impulsività. Gli erano ancora più che necessari entrambi, quegli uomini, e non era affatto indispensabile correre rischi. Aveva lanciato l’Anjin-san per un desiderio di eccitazione, non perché uccidesse, e rimpianse la propria stupidità. Attese gli eventi, affascinato come gli altri. Ma tutto si svolse come aveva previsto. Lo scontro fu rapido e violento e pieno di disprezzo, come apparve evidente anche a distanza. Toranaga agitò il ventaglio, sollevato. Gli sarebbe molto piaciuto capire che cosa si dicevano, scoprire se aveva intuito giustamente. Videro ben presto l’Anjin-san allontanarsi a grandi passi, mentre lo Tsukku-san si asciugava il sudore con un fazzoletto di carta colorata.

“Eeeeh, come potremmo perdere con voi al comando?” esclamò Naga, pieno di ammirazione.

“Molto facilmente, figlio mio, se quello è il mio karma.” Poi cambiò umore. “Naga-san, ordina a tutti i samurai tornati da Osaka con la galea di presentarsi al mio alloggio.”

Naga corse via. “Yabu-san, sono lieto che siate tornato sano e salvo. Lasciate libero il reggimento? Dopo la cena parleremo. Posso mandarvi a chiamare?”

“Naturalmente. Grazie, signore.” Yabu salutò e se ne andò.

Allontanate le guardie con un gesto, Toranaga, ormai solo, si dedicò a osservare Buntaro che si mosse irrequieto, come un cane quando si sente esaminato. E alla fine non seppe più trattenersi. “Signore?”

“Un giorno avete chiesto la sua testa, ne?”

“Sì… sì, signore.”

“Ebbene?”

“Egli… a Anjiro mi ha insultato. Io… sento ancora quella vergogna.”

“Io vi ordino che sia dimenticata.”

“Allora sarà dimenticata, signore. Ma lei mi ha tradito con lui e questo non può essere dimenticato, finché lui vive. Io ne ho le prove. Lo voglio morto. Subito. Prego… la sua nave è sparita, adesso a cosa vi serve, signore? Vi chiedo il favore di tutta una vita.”

“Quali prove?”

“Tutti lo sanno. Durante il viaggio da Yokosé. Ne ho domandato a Yoshinaka. Tutti lo sanno,” rispose cupo e ostinato.

“Yoshinaka li ha visti insieme? L’ha accusata?”

“No. Ma da quanto ha detto…” Buntaro alzò gli occhi, in agonia. “Io lo so, è sufficiente. Prego, vi chiedo il favore di tutta una vita. Non vi ho mai chiesto niente, ne?”

“Ne ho bisogno vivo. Senza di lui i ninja l’avrebbero presa viva e l’avrebbero coperta di vergogna. E sarebbe ricaduta anche su di voi.”

“Il favore di tutta una vita,” insisté Buntaro. “Ve lo chiedo. La nave non c’è più. Lui… lui ha fatto quello che volevate. Vi prego.”

“Io ho la prova che non vi ha coperto di vergogna con lei.”

“Quale prova, scusate?”

“Ascoltate, e tenetelo soltanto per voi, come avevo stabilito con lei. È diventata sua amica per ordine mio.” Toranaga glielo comunicò come una rivelazione, insistendo con gravità. “Erano amici, sì. L’Anjin-san la adorava. è vero, ma non vi ha mai offeso con lei, né lei con lui. A Anjiro, proprio prima del terremoto, quando lei per la prima volta propose di recarsi a Osaka per liberare gli ostaggi — sfidando pubblicamente Ishido e provocando una crisi con il suo seppuku — comunque lui reagisse — quel giorno io…”

“Il piano nacque allora?”

“Certo. Non imparerete mai? Quel giorno io le ordinai di divorziare da voi.”

“Signore?”

“Divorziare. Non è chiaro?”

“Sì, ma…”

“Divorziare. Da anni vi trascinava alla pazzia e da anni voi la trattavate in modo indegno. Che mi dite della fine della sua madrina e delle sue dame? Vi avevo avvertito che mi serviva come interprete con l’Anjin-san, eppure voi avete perso la testa e l’avete picchiata… l’avete quasi uccisa, quella volta, ne?”

“Sì. Perdonatemi.”

“Era venuto il tempo di sciogliere il matrimonio e io glielo ho ordinato. Scioglierlo all’istante.”

“Lei aveva chiesto il divorzio?”

“No, l’ho deciso io e gliel’ho ordinato. Ma vostra moglie mi pregò di revocare l’ordine. Rifiutai e lei mi rispose che avrebbe fatto seppuku immediatamente, senza il mio permesso, per non coprirvi di vergogna. Le ordinai di obbedire e rifiutò.” Con rabbia Toranaga proseguì, pressante. “Vostra moglie ha costretto me, suo feudatario, a ritirare un ordine e mi ha fatto acconsentire a rinviarlo al ritorno da Osaka… quando sapevamo entrambi che Osaka per lei significava la morte. Capite?”

“Sì. Sì, lo capisco.”

“A Osaka l’Anjin-san ha salvato l’onore suo e delle mie signore e di mio figlio. Senza di lui, lei e tutti gli ostaggi di Osaka sarebbero ancora là, in prigionia, io sarei morto o nelle mani di Ikawa Jikkyu, probabilmente in catene come un delinquente!”

“Scusatemi, prego… ma perché l’ha fatto? Mi odiava. Perché rinviare il divorzio? Per Saruji, forse?”

“Per il vostro onore. Comprendeva cosa fosse il dovere. Era così scrupolosa verso il vostro onore — persino dopo la morte — che nell’accordo rientrava il fatto che tutto sarebbe rimasto tra me, lei e voi. Nessun altro l’avrebbe saputo, né l’Anjin-san, né suo figlio, nessuno… neppure il confessore cristiano.”

“Come?”

Toranaga glielo spiegò di nuovo e infine Buntaro comprese e lui lo congedò e poté alzarsi e stirare le membra, stanchissimo. Era pomeriggio, ma il sole era ancora alto. Senti una gran sete. Accettò del cha dalle guardie del corpo, poi scese alla spiaggia. Si tolse il chimono bagnato di sudore e nuotò, godendo profondamente il fresco del mare. Nuotò sott’acqua, ma non troppo a lungo, ben sapendo quanto sarebbero state ansiose le sue guardie. Poi nuotò sul dorso, contemplando il cielo e raccogliendo le forze per la lunga notte che lo attendeva.

Ah, Mariko, che meravigliosa donna sei. Sei, sì, perché certo vivrai per sempre. Sei con il tuo dio cristiano nel cielo cristiano? Spero di no. Sarebbe un terribile spreco. Spero che il tuo spirito attenda i quaranta giorni di Budda per rinascere qui. E prego perché il tuo spirito riappaia nella mia famiglia. Ti prego. Ma in una donna, non in un uomo. Non possiamo permetterci di averti fra di noi come uomo. Sei troppo speciale per sprecarti in un uomo.

Sorrise. Era avvenuto a Anjiro, come aveva raccontato a Buntaro, ma lei non lo aveva costretto a revocare l’ordine. “Come avrebbe potuto obbligarmi a qualcosa che io non volevo?” domandò al cielo. Gli aveva chiesto, debitamente, correttamente, di non rendere pubblico il divorzio fino a dopo il ritorno da Osaka. Ma, si rassicurò, se glielo avessi rifiutato, certo avrebbe fatto seppuku. Avrebbe insistito, ne? E tutto sarebbe stato rovinato. Consentendo subito, le ho risparmiato una inutile vergogna e inutili discussioni, e ho risparmiato a me dei problemi inutili… e non rivelandolo adesso, come certo lei vorrebbe, ne deriva un vantaggio generale. Sono contento di aver acconsentito, pensò benevolmente, poi rise. Una breve onda gli passò sopra e egli inghiottì l’acqua salata, tossendo e ansimando.

“State bene, signore?” chiese preoccupata una guardia, che nuotava nelle vicinanze.

“Sì, naturalmente.” Tossì di nuovo e sputò. Cosi impari a vantarti, si disse. È il tuo secondo errore, oggi. Poi vide il relitto. “Avanti, vi sfido a una gara!” gridò alla guardia.

Una gara con Toranaga era in tutto e per tutto una gara. Una volta un generale lo aveva lasciato vincere, sperando di conquistarsene i favori, e gli era costato tutto quello che aveva.

La guardia vinse. Toranaga si complimentò con lui e riprese fiato, aggrappato a una delle coste dell’Erasmus. Poi osservò la nave con enorme curiosità. Nuotò sott’acqua, a esaminarne la chiglia. E allorché fu soddisfatto, tornò a riva e al campo, pronto e rinfrescato.

Gli era stato preparato un alloggio in bella posizione, sotto un ampio tetto di paglia, sorretto da robusti pali di bambù. Pannelli e shoji erano sistemati su un pavimento sopraelevato, in legno, coperto di tatami. Le sentinelle erano già in servizio. C’erano stanze anche per Kiri e Sazuko, per servi e cuochi, collegate da una serie di sentieri e passaggi.

Vide finalmente per la prima volta suo figlio. Naturalmente Sazuko non era stata così ineducata da tornare subito sul pianoro col bambino, interrompendo faccende più gravi, anche se lui gliene aveva dato il permesso con gioia.

Il bambino gli piacque moltissimo. “È proprio un bel ragazzo,” si vantò, maneggiandolo con mano esperta. “E tu Sazuko, sei più giovane e attraente che mai. Dobbiamo avere subito altri figli. La maternità ti dona.”

‘‘Oh, signore,” rispose lei, “avevo tanta paura di non vedervi mai più, di non potervi mai mostrare vostro figlio… Come potevamo scappare a Ishido, e al suo esercito…”

“Ma guarda com’è bello! La prossima settimana erigerò un tempio per lui e lo doterò di…” dimezzò la cifra che gli era venuta in mente, poi la dimezzò di nuovo, “… di venti koku all’anno.”

“Oh, signore, come siete generoso!” Il sorriso fu pieno di innocenza. “Sì,” rispose lui. “È abbastanza per un miserabile parassita di prete, che deve dire solo qualche Namu Amida Butsu. ne?”

“Oh, sì, signore. E il tempio sarà vicino al castello di Yedo? Non sarebbe splendido costruirlo in riva a un fiume o a un torrente?”

Acconsentì di malavoglia, perché gli sarebbe costato più di quanto era disposto a spendere per una simile piccolezza. Ma il ragazzo è bello, e quest’anno posso permettermi di essere generoso, pensò.

“Grazie, signore…” Sazuko s’interruppe, perché Naga stava avvicinandosi in fretta alla veranda su cui sedevano.

“Scusatemi, padre, ma ci sono i vostri samurai di Osaka. Volete vederli uno per uno, o tutti insieme?”

“Uno per uno.”

“Sì, signore. Anche Tsukku-san vorrebbe essere ricevuto…”

“Digli che lo manderò a chiamare appena possibile.” Toranaga riprese a conversare con Sazuko, ma dopo poco ella chiese gentilmente congedo, sapendo che certo voleva parlare subito con i samurai.

Interrogò gli uomini con cura, in modo approfondito, spesso richiamando qualcuno, controinterrogandoli più volte. Al tramonto sapeva con esattezza che cosa era avvenuto, o almeno quello che secondo loro era avvenuto. Allora mangiò in fretta un pasto leggero, il primo della giornata, e chiamò Kiri, allontanando tutte le guardie.

“Prima dimmi che cosa hai fatto, che cosa hai saputo e di che cosa sei stata testimone, Kiri-chan.”

Era scesa la notte, quando il rapporto fu concluso, per quanto Kiri si fosse preparata in anticipo.

“Ci siamo andati vicini, Kiri-chan. Troppo vicini.”

“Infatti,” annuì Kiri, con le mani incrociate sull’ampio grembo. E con profonda tenerezza aggiunse: “Tutti gli dei, grandi e piccoli, vegliavano su di voi, signore, e su di noi. Perdonatemi per aver dubitato dell’esito finale, per aver dubitato di voi. Gli dei ci proteggevano.”

“Sembra proprio di sì, davvero.” Toranaga contemplò la notte. Le luci delle fiaccole ondeggiavano alla lieve brezza marina, che allontanava anche gli insetti notturni e rendeva più piacevole l’oscurità. La luna splendeva lucente e scorgendone le macchie scure in superficie si domandò, fuggevolmente, se le macchie fossero terre e il resto ghiaccio e neve, e perché ci fosse la luna e chi ci abitasse. Quante cose vorrei conoscere, pensò.

“Posso farvi una domanda, Toranaga-sama?”

“Quale, signora?”

“Perché Ishido ci ha lasciato andare? In realtà? Non era necessario, ne? Al suo posto io non lo avrei fatto, mai. Perché?”

“Prima riferiscimi il messaggio di Ochiba.”

“La Nobile Ochiba dice: ‘Dite, prego, al Nobile Toranaga che mi auguro rispettosamente che esista un modo di risolvere i suoi problemi con l’Erede. Quale segno dell’affetto dell’Erede, vorrei informare il Nobile Toranaga che l’Erede ha dichiarato molte volte di non voler guidare nessun esercito contro suo zio, signore del Kwan…’ ”

“Ha detto così!”

“Sì, certo.”

“Ma lei deve sapere, come lo sa Ishido, che se Yaemon alza il suo stendardo contro di me, io sono obbligato a perdere!”

“Ma così ha detto, signore.”

Toranaga picchiò il grosso pugno calloso sul tatami. “Se è un’offerta autentica e non un trucco, sono a mezza strada da Kyoto, anzi anche di più.”

“Infatti,” rispose Kiri.

“Qual è il prezzo?”

“Non lo so. Non ha detto altro, signore. Il messaggio è tutto qui. A parte gli auguri per sua sorella.”

“Cosa posso dare a Ochiba che già non abbia? Osaka è sua, il tesoro è suo, Yaemon è l’Erede del regno ai miei occhi. E questa guerra è inutile. Comunque vada, fra otto anni Yaemon sarà Kwampaku ed erediterà questo paese. Non c’è niente da darle.”

“Non vorrà forse il matrimonio?”

Toranaga scosse il capo. “No, non lei. Non mi sposerebbe mai.”

“Per lei sarebbe la soluzione perfetta, signore.”

“Non la prenderà mai in considerazione. Ochiba in moglie? Quattro volte ha pregato il Taikō di mandarmi nel Vuoto.”

“Sì, ma allora lui era vivo.”

“Farò qualunque cosa utile a rinsaldare il regno, a mantenere la pace e fare Yaemon Kwampaku. È questo che vuole lei?”

“La successione ne uscirebbe più salda e questo è il suo scopo principale.”

Toranaga contemplò di nuovo la luna, ma la sua mente tornava a quanto gli aveva detto Yodoko a Osaka. Non trovando una risposta immediata, accantonò il problema, per dedicarsi al presente. “Suppongo che stia tessendo uno dei suoi soliti intrighi. Kiyama ti ha detto che la nave barbara era stata sabotata?”

“No, signore.”

“Strano.” Toranaga aggrottò la fronte. “Doveva saperlo già. Io ne ho avvertito Tsukku-san immediatamente e lui ha spedito subito un piccione viaggiatore, anche se non serviva che a confermare quanto già sapevano.”

“Il loro tradimento andrebbe punito, ne? Sia gli istigatori, sia gli stupidi che hanno obbedito.”

“Con la pazienza otterranno quel che meritano, Kiri-san. io ho sentito i preti cristiani affermare che era ‘volontà di Dio’.”

“Che ipocrisia! Stupida, ne?”

“Sì.” Molto stupida da un lato, pensò Toranaga, ma non da un altro. “Bene, grazie, Kiri-san. Voglio dirti ancora quanto sono felice che tu sia salva. Stanotte staremo qui. Ma ora scusami. Manda a chiamare Yabu-san e quando arriva portaci cha e sakè e lasciaci soli.”

“Sì, signore. E adesso posso fare la mia domanda?”

“La stessa?”

“Sì, signore. Perché Ishido ci ha lasciato andare?”

“La risposta, Kiri-chan, è che non lo so. Ha commesso un errore.”

Kiri si inchinò e se ne andò soddisfatta.

La notte era quasi a metà, quando Yabu si allontanò. Toranaga gli si inchinò da pari a pari e lo ringraziò ancora per quanto aveva fatto. Lo aveva invitato a un Consiglio di guerra segreto per il giorno dopo, lo aveva confermato generale del Reggimento Moschettieri e signore del Totomi e del Suruga, per iscritto — dopo che fossero stati conquistati.

“Adesso il reggimento è di importanza vitale, Yabu-san. Voi siete responsabile della strategia dell’addestramento. Omi-san servirà da collegamento tra noi. Sfruttate l’esperienza dell’Anjin-san… valetevi di tutto. Ne?

“Sì, signore, andrà benissimo così. Posso umilmente ringraziarvi?”

“Mi avete reso un immenso servigio riportandomi indietro sani e salvi le signore, mio figlio e l’Anjin-san. La rovina della nave è terribile… karma. Forse presto ne arriverà un’altra. Buonanotte, amico mio.”

Toranaga sorseggiò il cha, sentendosi molto stanco.

“Naga-san, dov’è l’Anjin-san?”

“Vicino al relitto della nave, con alcuni vassalli.”

“Che cosa fa laggiù?”

“Sta a guardarlo, nient’altro.” Naga si sentì a disagio sotto lo sguardo penetrante del padre. “Scusate, forse non dovrebbe starci?”

“Come? Oh, no, non importa. Dov’è lo Tsukku-san?”

“In un alloggio per gli ospiti, signore.”

“Gli hai comunicato che l’anno prossimo vorrai farti cristiano?”

“Sì, signore.”

“Bene. Vai a prenderlo.”

Pochi minuti dopo Toranaga vide avvicinarsi la figura alta e magra — il volto rigido e profondamente segnato, i capelli neri senza un filo di grigio — e a un tratto ricordò l’incontro di Yokosé. “La pazienza è molto importante, Tsukku-san. Ne?

“Sì, sempre. Ma perché lo dite, signore?”

“Oh, pensavo a Yokosé. A come tutto appariva diverso, così poco tempo fa.”

“Davvero. Dio segue strade a noi invisibili, signore. Sono molto lieto che vi troviate ancora entro i vostri confini.”

“Volevate parlarmi?” Toranaga agitò il ventaglio, invidiando in segreto al gesuita lo stomaco piatto e il dono delle lingue straniere.

“Solo per scusarmi di quanto è accaduto.”

“Che cosa ha detto l’Anjin-san?”

“Parole piene d’ira… accusandomi di avergli incendiato la nave.”

“È vero?”

“No, signore.”

“Chi è stato?”

“La volontà di Dio. È scoppiata la tempesta e la nave è bruciata.”

“Non è stato un gesto di Dio. Volete dire che non ci avete messo mano né voi né altri preti né nessun cristiano?”

“Oh, io ho pregato, signore. Tutti noi abbiamo pregato. Davanti a Dio, vi giuro che io ritenevo la nave uno strumento del Demonio… ve l’ho detto tante volte. So che voi non lo credevate e vi chiedo scusa di nuovo per aver dissentito da voi. Ma forse questo gesto di Dio ha giovato, invece che portare danno.”

“Davvero? Come?”

“Il padre visitatore non è più distratto. Adesso può concentrarsi sui Nobili Kiyama e Onoshi.”

Molto bruscamente Toranaga disse: “Tutti questi discorsi li ho già sentiti, Tsukku-san. Quale aiuto concreto può offrirmi il sacerdote-capo cristiano?”

“Signore, confidate in…” Alvito s’interruppe, poi rispose con sincerità: “Scusatemi, signore, ma io sento in cuor mio che se riporrete la vostra fiducia in Dio, Egli vi aiuterà.”

“Lo farò, ma confido di più in Toranaga. Nel frattempo sento che Ishido, Kiyama, Onoshi e Zataki hanno radunato gli eserciti e Ishido metterà in campo contro di me tre o quattrocentomila uomini.”

“Il padre visitatore sta rispettando l’accordo con voi, signore. A Yokosé ho dovuto comunicarvi che avevamo fallito, oggi credo che ci siano delle speranze.”

“Non posso usare la speranza contro le spade.”

“Sì, ma Dio può vincere in qualunque situazione.”

“Sì, se esiste.” La voce di Toranaga diventò anche più tagliente. “Di quale speranza parlate?”

“Non lo so con precisione, signore. Ma Ishido non viene contro di voi, uscendo dal castello di Osaka? Non è anche questo un gesto di Dio?”

“No. Ma voi capite l’importanza di una tale decisione?”

“Certo, con grande chiarezza. E sono sicuro che altrettanto bene la capisce il padre visitatore.”

“Volete dire che è opera sua?”

“Oh, nossignore. Però sta accadendo.”

“Forse Ishido cambierà idea, nominerà comandante in capo Kiyama e se ne starà nascosto a Osaka, lasciando venire contro di me Kiyama e l’erede…”

“Non posso rispondervi, signore. Ma se Ishido lascerà Osaka, sarà un miracolo.”

“Volete attribuire sul serio anche questo a un ‘gesto’ del vostro Dio cristiano?”

“No, ma potrebbe esserlo. Io sono convinto che niente avvenga senza che Egli lo voglia.”

“Neppure dopo la morte, forse, sapremo cos’è Dio.” Brusco, Toranaga aggiunse: “Ho sentito che il padre visitatore ha lasciato Osaka,” e con piacere vide un’ombra sul volto del gesuita. La notizia era arrivata nel giorno della partenza da Mishima.

“Sì,” rispose Alvito, con ansia crescente. “È andato a Nagasaki.”

“Per celebrare un servizio speciale per Toda Mariko-sama?”

“Sì. Ah, signore, quante cose sapete! Noi siamo argilla sul vostro tornio da vasaio.”

“Non è vero. E non mi piace l’adulazione. L’avete dimenticato?”

“No, signore, e non intendevo adularvi, scusatemi.” Alvito era sempre più in guardia. “Siete contrario alla celebrazione del rito, signore?”

“Non mi interessa. Mariko-san era una persona del tutto eccezionale e il suo esempio merita ogni onore.”

“Sì, signore. Grazie. Il padre visitatore ne sarà contento. Secondo lui è stata un’impresa che merita ogni interesse.”

“Naturalmente. Poiché era insieme mio vassallo e cristiana, il suo esempio non andrà perduto… per gli altri cristiani. O per quelli che intendono convertirsi. Ne?”

“Credo proprio che non andrà perduto. Ella merita grande lode per il suo spirito di sacrificio.”

“Nel donare la sua vita perché altri potessero vivere?” domandò Toranaga, senza nominare il suicidio né il seppuku “Sì ”

Toranaga sorrise fra sé, notando che lo Tsukku-san non aveva neppure ricordato l’altra donna, Kiyama Achiko, non aveva parlato del suo coraggio né della sua morte né di un rito funebre. Con voce più dura riprese: “E non sapete di nessuno che abbia ordinato o collaborato al sabotaggio della mia nave?”

“No, signore, se non con la preghiera.”

“A quanto so, la costruzione della vostra chiesa a Yedo procede bene.”

“Sì, signore, e ve ne ringrazio di nuovo.”

“Bene, Tsukku-san, mi auguro che le fatiche dell’alto sacerdote cristiano diano presto i loro frutti. Ho bisogno di qualcosa più che le speranze e la mia memoria è molto lunga. E ora, prego, vi chiedo i vostri servigi di interprete.” Avvertì subito l’ostilità di Alvito. “Non avete niente da temere.”

“Oh, signore, scusate, non ho nessuna paura di lui. Semplicemente non voglio stargli vicino.”

Toranaga si alzò in piedi. “Io vi chiedo di rispettare l’Anjin-san. Il suo coraggio è indiscusso e più volte ha salvato la vita di Mariko-sama. E in questo momento è comprensibilmente fuori di sé… per la perdita della nave, ne?

“Sì. Scusatemi.”

Toranaga si avviò davanti a lui verso la spiaggia, preceduto dalle guardie con le fiaccole. “Quando mi arriverà il rapporto del vostro alto sacerdote sull’incidente dei cannoni di Macao?”

“Appena riceverà le informazioni necessarie da Macao.”

“Vi prego, chiedetegli di accelerare i tempi.”

“Sì, signore.”

“Chi erano i daimyo cristiani coinvolti?”

“Non lo so, né so se ce ne fossero veramente.”

“Peccato che non lo sappiate, Tsukku-san. Mi risparmierebbe molto tempo. E non sono pochi i daimyo a cui interesserebbe conoscere la verità in proposito.”

Ah, Tsukku-san, pensò Toranaga, tu la sai la verità, e io potrei metterti alle corde, e mentre tu ti torceresti disperato, potrei ordinarti di giurare sul tuo Dio cristiano, e allora dovresti dire: “Kiyama, Onoshi e forse Harima”. Ma ancora non è il momento. Non ancora. Né per ora devi sapere che secondo me i tuoi cristiani non c’entrano col sabotaggio della nave. Né Kiyama, Onoshi o Harima. In realtà, ne sono sicuro. Però non è stato un gesto di Dio. È stato un gesto di Toranaga.

Già. Perché? mi domanderesti. Kiyama saggiamente ha respinto la proposta contenuta nella mia lettera, consegnata da Mariko. Voleva una prova della mia sincerità. Quale altra potevo dargliene se non la nave — e il barbaro — che atterrivano tanto voi cristiani? Mi aspettavo di perderli entrambi, e invece ne ho perso una sola. Oggi a Osaka miei intermediari comunicheranno a Kiyama e al tuo sacerdote capo che questo è stato un mio dono, una prova della mia sincerità: non sono nemico della Chiesa, ma solo di Ishido. E una prova seria. Già, ma ti puoi fidare mai di Kiyama? mi chiederesti, e a ragione. No, però Kiyama è prima giapponese e poi cristiano. Voi ve lo dimenticate sempre. Kiyama capirà la mia sincerità. Il dono della nave ha un valore assoluto, come l’esempio di Mariko-san e il coraggio dell’Anjin-san.

E come ho sabotato la nave? Vuoi saperlo? Che te ne importa, Tsukku- san? Basta che io lo abbia fatto. E nessuno lo sa, tranne me, pochi uomini fidati e l’incendiario. Ishido è ricorso ai ninja, perché non io a un incendiario? Con la differenza che io ho assoldato un uomo solo e ho vinto, e Ishido ha fallito.

“È stupido fallire,” disse a voce alta.

“Signore?” esclamò Alvito.

“Stupido fallire nel mantenere un segreto così scottante come il contrabbando dei moschetti,” replicò irritato, “e stupido incitare i daimyo cristiani a rivoltarsi contro il loro feudatario, il Taikō. Ne?

“Certo, signore. Se è vero.”

“Oh, io sono sicuro che è vero, Tsukku-san.” Toranaga lasciò morire la conversazione, perché lo Tsukku-san era manifestamente agitato, ma pronto a svolgere perfettamente il suo compito di interprete.

Si trovavano ormai sulla spiaggia e Toranaga faceva strada, con passo sicuro, dimentico della stanchezza. Mentre passavano accanto alle teste confitte sui pali, lo Tsukku-san si segnò in fretta, intimorito, e Toranaga pensò: che cosa stupida essere tanto superstiziosi eppure non aver paura di niente.

  • I vassalli dell’Anjin-san erano già in piedi, e curvi nell’inchino, molto prima che Toranaga si accostasse, ma lui stava sempre seduto a fissare il mare con occhi vuoti.

“Anjin-san?” lo chiamò Toranaga gentilmente.

“Signore?” Blackthorne si strappò alle fantasticherie e si rizzò in piedi. “Scusate. Volere parlare adesso?”

“Sì. Ho portato lo Tsukku-san, perché voglio che ci intendiamo chiaramente. Capito? In fretta e chiaramente.”

“Sì.” Alla luce delle fiaccole Toranaga ne scorse lo sguardo fisso e il volto distrutto. Si voltò allo Tsukku-san. “Capisce quello che dico?” Osservò il prete mentre traduceva e ascoltò gli strani suoni di quella lingua. L’Anjin-san annuì, ma il suo sguardo rimase pieno di accusa e fisso sul gesuita.

“Sì, signore,” disse infine Alvito.

“Ora traducete per me, vi prego, Tsukku-san, come prima. Esattamente, parola per parola: ‘Ascoltate, Anjin-san, ho condotto qui lo Tsukku-san per parlare in modo spedito e rapido senza equivocare su nulla. È così importante per me che io vi prego di avere pazienza. Credo sia il modo migliore.’ ”

“Sì, signore.”

“Tsukku-san, prima giurate sul vostro Dio cristiano che niente, neppure una parola, di quanto egli dirà, uscirà mai dalle vostre labbra con nessun altro. Come in confessione, ne? Sarà sacra! Per me e per lui.”

“Ma, signore, questa non è…”

“Lo farete, subito. O io toglierò per sempre ogni mio favore a voi e alla vostra Chiesa.”

“Va bene, signore. Lo giuro davanti a Dio.”

“Bene. Grazie. Spiegategli questo accordo e il vostro giuramento.” Alvito obbedì, poi Toranaga sedette sulla sabbia, agitando il ventaglio per difendersi dagli insetti. “Ora, Anjin-san, raccontatemi che cosa è avvenuto a Osaka.”

Blackthorne cominciò faticosamente, poi a poco a poco la sua mente riandò a tutti i particolari e le parole cominciarono a uscirgli così rapide che Alvito stentava a seguirlo. Toranaga ascoltò in silenzio, senza mai interrompere il fluire dei ricordi, limitandosi a qualche parola di incoraggiamento, da ascoltatore perfetto.

Quando Blackthorne finì era l’alba e Toranaga sapeva tutto quello che era possibile dire… cioè, tutto quello che l’Anjin-san era disposto a dire, si corresse mentalmente. Anche il prete ora lo sapeva, ma Toranaga era certo che non esisteva niente in quel racconto che i cattolici o Kiyama potessero usare contro di lui o Mariko o lo stesso Anjin-san, il quale, ormai, non prestava attenzione al prete.

“Siete certo che il capitano-generale vi avrebbe messo al palo, Anjin-san?” domandò di nuovo Toranaga.

“Oh, sì, se non fosse stato per il gesuita. Ai suoi occhi io sono un eretico… e loro credono che il fuoco, chissà come, purifichi l’anima.”

“Perché il padre visitatore vi ha salvato?”

“Non lo so. Aveva a che fare con Mariko-sama. Senza la nave io non posso nuocergli. Oh, ci avrebbero pensato anche da soli, ma forse è stata lei a suggerirne il modo.”

“Come? Che cosa poteva sapere di come si brucia una nave?”

“Non so. I ninja sono entrati nel castello e forse i ninja si sono infiltrati fra gli uomini di qui. La mia nave è stata sabotata. Nel giorno in cui è morta, Mariko-sama aveva incontrato al castello il padre visitatore e io immagino che gli abbia detto di bruciare l’Erasmus… in cambio della mia vita. Ma io non ho vita senza la mia nave, signore. Non ho nessuna vita.”

“Vi sbagliate, Anjin-san. Grazie, Tsukku-san,” disse Toranaga, congedandolo. “Apprezzo la vostra opera. Andate a riposare, prego.”

“Sì, signore, grazie.” Alvito esitò. “Chiedo scusa per il capitano-generale. Gli uomini nati nel peccato restano peccatori anche se sono cristiani.”

“1 cristiani nascono nel peccato, noi no. Noi siamo un popolo civile che capisce cosa è il peccato in realtà, non siamo contadini analfabeti che non sanno capire. Ma anche così, Tsukku-san, al posto del vostro capitano-generale io non avrei lasciato andare l’Anjin-san, una volta che l’avessi avuto fra le mani. Era una decisione di carattere militare, e giusta. Credo che rimpiangerà fino al suo ultimo giorno di non aver insistito… e così il vostro padre visitatore.”

“Devo tradurre queste parole, signore?”

“Erano solo per voi. Grazie del vostro aiuto.” Toranaga ricambiò il saluto del prete, ordinando a alcuni uomini di scortarlo al suo alloggio, poi si volse a Blackthorne. “Anjin-san! Prima una nuotata.”

“Signore?”

“Nuotare!” Toranaga si spogliò e andò in acqua, nella prima luce dell’alba, seguito da Blackthorne e dalle guardie. Andò al largo, poi girò e si avvicinò al relitto e infine tornò a riva; e Blackthorne anche, rinfrancato dall’acqua fresca. I servi tenevano già pronti asciugamani, chimoni puliti, cha. sakè e qualcosa da mangiare.

“Mangiate, Anjin-san.”

“Scusate, non fame.”

“Mangiate!”

Blackthorne inghiottì qualche boccone, ma lo stomaco non gli resse. “Spiacente, scusate.”

“Sciocco. E debole. Debole come un Mangiatore d’aglio, non degno di un hatamoto. Ne?

“Signore?”

Toranaga ripeté le sue parole, con brutalità. Poi indicò il relitto, sapendo di attirare tutta l’attenzione dell’inglese. “Quello non è niente. Shigata ga nai. Non ha importanza. Ascoltatemi bene: l’Anjin-san è hatamoto, ne? Non un Mangiatore d’aglio. Capito?”

“Sì. Scusatemi.”

Toranaga con un cenno chiamò una guardia, che gli consegnò un rotolo di pergamena. “Ascoltatemi, Anjin-san: prima di lasciare Yedo Mariko-sama mi ha lasciato questa, dicendomi che se foste stato vivo dopo Osaka — se foste rimasto vivo, capito? — mi pregava di darvelo.”

Blackthorne prese la pergamena e, dopo un attimo, ne ruppe il sigillo.

“Che cosa dice il messaggio, Anjin-san?” chiese Toranaga.

Mariko aveva scritto in latino. “Tu. Ti amo. Se tu leggerai queste parole, io sarò morta a Osaka e forse, per mia colpa, anche la tua nave sarà morta. Posso sacrificare questa preziosissima parte della tua vita a causa della mia Fede, per salvaguardare la mia Chiesa, ma soprattutto per salvare la tua vita, che mi è più preziosa di ogni altra cosa — perfino della mia venerazione per il Nobile Toranaga. Forse si arriverà a una scelta: te o la tua nave. Perdonami, ma io scelgo per te la tua vita. La nave è condannata comunque, con o senza di te. Io darò la tua nave al nemico perché tu possa vivere. La nave non è niente. Costruiscine un’altra. Puoi farlo: non ti è stato forse insegnato a costruire le navi oltre che a guidarle? Io credo che il Nobile Toranaga ti darà tutti gli artigiani e carpentieri e fabbri necessari — egli ha bisogno di te e della tua nave — e io ti ho lasciato, detraendoli dai miei beni, tutti i fondi necessari. Costruisci un’altra nave e un’altra vita, amore mio. Conquista l’anno prossimo la Nave Nera e vivi per sempre. Ascolta, mio amato, la mia anima cristiana prega di rivederti in un paradiso cristiano, e il mio hara giapponese prega perché nella prossima vita io divenga quella qualunque cosa capace di portarti gioia e di essere con te dovunque tu sia. Perdonami, ma la tua vita è la cosa più importante di tutte. Ti amo.”

“Che cosa dice il messaggio, Anjin-san?”

“Scusate, signore. Mariko-sama dice la nave non necessaria. Dice costruire altra nave. Dice…”

“Ah! È possibile, Anjin-san? È possibile?”

Blackthorne scorse nei suoi occhi una luce entusiasta. “Sì. Se avete…” Non ricordava la parola per “carpentiere”. “Se Toranaga-sama dare uomini, uomini per fare nave, ne? Sì. Posso.” Nella sua mente cominciò a prendere forma la nuova nave. Più piccola, molto più piccola dall’Erasmus. Da novanta a cento tonnellate, perché di più non poteva permettersi, non avendo mai fino a allora progettato né costruito una nave intera da solo, anche se Alban Caradoc lo aveva preparato a farlo. Dio ti benedica, Alban, esultò in cuor suo. Sì, novanta tonnellate, per cominciare. La Golden Hind di Drake era pressappoco di quella stazza e che cosa non ha sopportato! Posso metterci venti cannoni e questo basterebbe… “Cristo, i cannoni!”

Girò sui tacchi, per osservare il relitto, e vide che Toranaga e tutti gli altri lo fissavano stupiti, allora comprese di aver parlato in inglese. “Ah, scusate, signore. Pensato troppo in fretta. Grandi cannoni… là, in mare, ne? Bisogna prendere in fretta!”

Toranaga parlò con i suoi uomini, poi si volse di nuovo a Blackthorne. “I samurai dicono che tutto quanto era sulla nave è all’accampamento. Qualcosa è stato ripescato dall’acqua, con la bassa marea. Adesso è all’accampamento. Perché?”

Blackthorne si sentiva la testa leggera. “Posso fare nave. Se avere grandi cannoni, posso combattere nemico. Potere trovare polvere?”

“Sì. Quanti carpentieri? Quanti ne servono?”

“Quaranta carpentieri, fabbri, quercia per legname, avete legno di quercia qui? Poi ferro, acciaio, e metterò su una fucina e avrò bisogno di un mastro…” Si accorse di parlare di nuovo inglese. “Scusate. Scrivo su carta. Con cura. E penso con cura. Prego, voi date uomini per aiuto?”

“Tutti gli uomini, tutto il denaro. Subito. Ho bisogno della nave! Subito! In quanto tempo potete costruirla?”

“Sei mesi dal giorno della chiglia.”

“Oh! Non più in fretta?”

“No, mi spiace.”

“Più tardi parleremo ancora, Anjin-san. Cos’altro dice Mariko-sama?” “Poco più, signore. Dice lasciato denaro per aiutare nave, suo denaro. Dice anche… spiacente se aiutato nemico distruggere nave.”

“Quale nemico? Come è stata distrutta la nave?”

“Non dice chi o come, signore. Niente chiaro. Solo spiacente. Mariko- sama dice sayonara. Spera seppuku servire Nobile Toranaga.”

“Ah sì. È servito molto, ne?”

“Sì.”

Toranaga gli sorrise. “Sono contento che ora tutto vada bene, Anjin-san. Mariko-sama ha ragione. Non preoccupatevi di quello!” e indicò il relitto. “Costruirete subito un’altra nave. Da battaglia, ne? Capite?”

“Capisco molto.”

“Questa nuova nave… potrà combattere contro la Nave Nera?”

“Sì.”

“Ah! L’anno prossimo?”

“Possibile.”

“E per l’equipaggio?”

“Come?”

“Marinai… cannonieri?”

“Ah! Per l’anno prossimo addestrare miei vassalli per cannonieri. Non marinai.”

“Potrete scegliere i migliori marinai del Kwanto.”

“Allora anno prossimo possibile.” Blackthorne sogghignò. “È possibile anno prossimo? Guerra? Cosa dire di guerra?”

Toranaga scrollò le spalle. “Guerra o no, proverete, ne? Quella è la vostra preda… capito ‘preda’? E il nostro segreto. Tra voi e me soltanto, ne? La Nave Nera.”

“Preti scoprire questo segreto.”

“Forse. Ma questa volta non ci saranno grandi ondate né tai-fun, amico mio. Voi veglierete e io veglierò.”

“Sì.”

“Prima la Nave Nera, poi andrete a casa. E mi riporterete una flotta. Capite?”

“Oh, sì.”

“Se io perderò… karma. Se no, allora avremo tutto, Anjin-san. Tutto sarà come avete detto voi. Tutto: la Nave Nera, l’ambasciatore, il trattato, le navi! Capite?”

“Sì, oh, sì! Grazie.”

“Ringraziate Mariko-sama. Senza di lei…” Toranaga lo salutò con calore, per la prima volta da pari a pari, e se ne andò con le guardie. I vassalli di Blackthorne si inchinarono, colpiti dall’onore reso al loro padrone.

Blackthorne lo guardò allontanarsi, esultante, poi vide i piatti. I servi cominciavano a riporre tutto. “Aspettate. Adesso mangiare, prego.”

Mangiò lentamente e educatamente, con i suoi uomini che si contendevano il diritto di servirlo, mentre la sua mente spaziava fra le possibilità che Toranaga gli aveva aperto. Hai vinto, si disse, e avrebbe voluto ballare una giga per la felicità. Ma non lo fece. Invece rilesse la lettera di Mariko e di nuovo la coprì di benedizioni.

“Seguitemi!” ordinò ai suoi uomini, e li guidò verso l’accampamento, già progettando dentro di sé la nave. Gesù in cielo, pregava, aiutate Toranaga a tenere Ishido fuori del Kwanto e dell’Izu, e vi prego, benedite Mariko. dovunque si trovi, e fate che i cannoni non siano troppo arrugginiti. Mariko aveva ragione: l’Erasmus era condannata, con o senza di me. Lei mi ha ridato la vita. Io posso costruirmi un’altra nave e un’altra vita. Novanta tonnellate! Sarà con la prua appuntita, e con una piattaforma per la battaglia, snella come un levriero, migliore dell’Erasmus, con il bompresso arrogante e una bella polena proprio sotto, che avrà il viso di Mariko, con i suoi bellissimi occhi a mandorla e i suoi zigomi alti. La mia nave… Gesù, dal naufragio posso recuperare una tonnellata di materiale! Posso usare parte della chiglia e delle coste… e ci saranno un migliaio di chiodi, e con il resto della chiglia posso fabbricare tutto il resto che mi serve… se ne ho il tempo.

Sì, la mia nave sarà come lei, si ripromise. Elegante e piccola, e perfetta come una lama di Yoshitomo, che è la migliore del mondo, e la più pericolosa. L’anno prossimo si conquisterà una preda grande venti volte lei, come fece Mariko a Osaka, e scaccerà dall’Asia il nemico. E poi l’anno dopo, o quello successivo, la porterò a Londra, su per il Tamigi, con le stive piene d’oro e i sette mari nella sua scia. “Si chiamerà La Signora” disse a voce alta.