26

Toranaga chiese calmo: “Possiamo aprirci il passaggio, capitano?” Stava fissando i pescherecci raggruppati a cinquecento metri e l’intervallo tentatore che avevano lasciato aperto.

“No, signore.”

“Non abbiamo alternativa,” intervenne Yabu. “Non possiamo fare altro.” Osservò la massa di Grigi in attesa sulla spiaggia e sul molo. I loro insulti arrivavano vaghi nel vento.

Il tamburo taceva e la galea dondolava su un mare placido. A bordo tutti aspettavano le decisioni. Sapevano di trovarsi imbottigliati: a riva il disastro, davanti il disastro, nel futuro il disastro. La rete si sarebbe stretta sempre di più e alla fine sarebbero stati presi. Ishido poteva aspettare per giorni e giorni.

Yabu ribolliva di rabbia. Se ci fossimo diretti all’imboccatura del porto immediatamente, senza perdere tempo inutile con Buntaro, adesso saremmo in mare aperto, si diceva. Toranaga non sa più vedere le situazioni. Ishido sarà convinto che l’ho tradito. Non posso fare niente, a meno che non ci apriamo la strada combattendo. E anche in quel caso sono costretto a battermi per Toranaga contro Ishido. Non posso fare nient’altro. Solo consegnare a Ishido la testa di Toranaga. Ciò ti farebbe reggente e ti porterebbe il Kwanto. Anzi, con sei mesi di tempo e i samurai coi moschetti, perché non addirittura presidente del Consiglio dei reggenti? E perché non puntare al vertice? Eliminare Ishido e diventare primo generale dell’erede, protettore e governatore del castello di Osaka, controllore di tutte le leggendarie ricchezze del torrione, con potere sull’impero fino alla maggiore età di Yaemon, e in seguito secondo soltanto a lui. Perché no?

Oppure il vertice sommo. Shōgun. Elimina Yaemon, e allora sarai Shōgun.

Tutto in cambio di una sola testa e della benevolenza di qualche divinità!

Per l’intensità del suo desiderio, Yabu si sentiva le ginocchia molli. Sarebbe così facile, pensava, ma non c’è modo di prendere quella testa e fuggire… non ancora.

“Ordinate di attaccare!” comandò infine Toranaga.

Mentre Yabu dava gli ordini e i samurai si preparavano, Toranaga rivolse la propria attenzione al barbaro, che stava ancora a poppa, fermo da quando era stato dato l’allarme.

Vorrei essere in grado di capirlo, pensò Toranaga. Un momento così audace, un momento dopo così debole. Un momento capace di uccidere, un momento dopo un vigliacco. Un momento docile, un momento dopo pericoloso. È uomo e donna insieme. Yang e Yin. È tutto contraddizioni, imprevedibilità.

Toranaga l’aveva studiato con molta cura durante la fuga dal castello, e anche durante e dopo l’imboscata. Aveva saputo da Mariko e dal capitano e gli altri che cosa era accaduto nel corso del combattimento a bordo. Aveva visto coi propri occhi l’esplosione di furia pochi minuti prima e poi, allorché Buntaro era stato mandato via, aveva sentito il grido e, con lo sguardo velato, aveva colto l’espressione tesa e ostile sulla faccia del barbaro. Solo ira, mentre avrebbe dovuto esserci il riso.

Perché non ridere quando il nemico è sconfitto? Perché non ridere per svuotarsi della tragedia, quando il karma interrompe la luminosa morte di un vero samurai, quando il karma provoca l’inutile morte di una bella fanciulla? Non è forse solo attraverso il riso che diventiamo tutt’uno con gli dei e possiamo così sopportare la vita e superare tutto l’orrore e lo spreco e la sofferenza che incontriamo sulla terra? Come stanotte, contemplando tanti uomini coraggiosi che affrontavano il loro destino su questa riva, in questa notte dolce, per un karma fissato da migliaia di vite, o forse da una sola.

Non è forse solo attraverso il riso che possiamo restare umani? Perché il pilota non capisce di essere anch’egli governato dal karma, come me, come noi tutti, come lo stesso Gesù Cristo? Perché, se si conoscesse la verità, si saprebbe che solo il suo karma lo fece morire nel disonore come un criminale fra criminali, su quella collina di cui parlano i preti barbari.

Tutto karma.

Che gesto barbaro inchiodare un uomo a un pezzo di legno e aspettare che muoia! Sono peggio dei cinesi, che si compiacciono della tortura.

“Interrogatelo, Yabu-san!” ordinò Toranaga.

“Signore?”

“Chiedetegli che cosa fare. Al pilota. Non si tratta di una battaglia sul mare? Non mi avete detto che il pilota sul mare è un genio? Bene, vediamo se avete ragione. Che lo dimostri.”

La bocca di Yabu era una sottile linea crudele. Toranaga ne avvertì la paura e ne fu lieto.

“Mariko-san!” urlò Yabu, “chiedete al pilota come possiamo uscire… come passare fra quelle imbarcazioni.”

Mariko, obbediente, lasciò la falchetta, sempre sostenuta dalla nipote. “Adesso sto bene, Fujiko-san,” mormorò. “Grazie.” Fujiko la lasciò e osservò Blackthorne sdegnata.

La risposta del pilota fu breve. “Dice: ‘Con i cannoni,’ Yabu-san,” riferì Mariko.

“Cerchi di comportarsi meglio se non vuole rimetterci la testa!”

“Dobbiamo avere pazienza con lui, Yabu-san,“ intervenne Toranaga. “Mariko-san, ditegli cortesemente: ‘Purtroppo non abbiamo cannoni. Non esiste altro modo per passare? Per via di terra è impossibile.’ E traducete esattamente le sue parole. Esattamente.”

Mariko obbedì. “Mi dispiace, signore, ma ha risposto: ‘No.’ Soltanto no. E non con cortesia.”

Toranaga si aggiustò la cintura e si grattò sotto l’armatura. “Ebbene, l’Anjin-san dice cannoni, e l’esperto è lui, perciò cannoni siano. Capitano, andate là!” Il corto dito duro indicò con malignità la fregata portoghese. “Preparate gli uomini, Yabu-san. Se i barbari meridionali non vorranno prestarmi i loro cannoni, dovrete prenderli. Lo farete?”

“Con molto piacere,” rispose piano Yabu.

“Avevate ragione. È un genio.”

“Ma la soluzione l’avete trovata voi, Toranaga-san.”

“Una volta data la risposta, è facile trovare le soluzioni. Qual è la soluzione per il castello di Osaka, alleato?”

“Non esiste. Il Taikō in quello è stato perfetto.”

“Infatti. E qual è la soluzione al tradimento?”

“Una morte ignominiosa. Ma perché me lo chiedete?”

“Un’idea passeggera… alleato.” Toranaga lanciò un’occhiata a Blackthorne. “Sì, è un uomo intelligente. E io ho grande bisogno di uomini intelligenti. Mariko-san, i barbari mi daranno i loro cannoni?”

“Naturalmente. Perché non dovrebbero?” Non le era passato per la mente che potessero rifiutare. Era ancora piena di ansia per Buntaro. Sarebbe stato tanto meglio permettergli di morire laggiù! Perché mettere a repentaglio il suo onore? Si chiese come mai Toranaga avesse allontanato all’ultimo momento Buntaro, e per via di terra. Avrebbe potuto ugualmente ordinargli di nuotare fino alla nave, con molta più sicurezza e molto più tempo a disposizione. L’avrebbe potuto ordinare quando Buntaro era giunto in cima alla banchina. Perché aspettare? Il suo io più segreto le disse che il loro signore doveva aver avuto un’ottima ragione per aspettare e per dare poi il suo ordine.

“E se rifiutassero? Siete disposta a uccidere dei cristiani, Mariko-san?” chiese Toranaga. “Non è un peccato secondo la loro legge?”

“Lo è, infatti. Ma per voi andremo volentieri all’inferno, mio marito, mio figlio e io.”

“Sì. Siete dei veri samurai, e non dimenticherò che avete preso la spada per difendermi.”

“Non ringraziatemi, vi prego. Se, per qualche piccolo motivo, ho potuto aiutare, era mio dovere. Se qualcuno dev’essere ricordato, che sia mio marito o mio figlio, vi prego. Valgono ben più di me.”

“Per il momento voi per me valete di più. E potreste valere anche maggiormente.”

“Ditemi come e sarà fatto.”

“Mettete da parte questo dio straniero.”

“Signore?” Il viso di Mariko si raggelò

“Mettete da parte il vostro dio. Avete un dovere di troppo, nella vostra lealtà.”

“Intendete che dovrei commettere un’apostasia, signore? Abiurare il cristianesimo?”

“Sì, a meno che non siate capace di mettere questo dio al posto che gli spetta. In fondo al vostro spirito e non davanti a tutto.”

“Scusatemi, vi prego, signore,” esclamò Mariko molto scossa, “ma la mia religione non ha mai interferito nei miei doveri verso di voi. L’ho sempre praticata come una cosa personale e privata, sempre. In che cosa ho mancato?”

“Non avete mancato ancora. Ma lo farete.”

“Ditemi che cosa devo fare per compiacervi.”

“I cristiani possono diventare dei nemici.”

“I vostri nemici sono i miei, signore.”

“I preti adesso sono contro di me. Possono ordinare a tutti i cristiani di muovermi guerra.”

“Non possono. Sono uomini di pace.”

“E se continueranno a oppormisi? Se i cristiani mi faranno guerra?”

“Non dovrete mai temere che manchi alla mia lealtà. Mai.”

“Questo Anjin-san forse dice la verità e i vostri preti forse mentono.”

“Esistono preti buoni e preti cattivi, ma voi siete il mio feudatario.”

“Molto bene, Mariko-san,” concluse Toranaga. “Accetto. Vi ordino di entrare in amicizia con questo barbaro, di scoprire tutto quello che sa, di riferirmi tutto quello che dice, di imparare a pensare come lui, di non ‘confessare’ niente di quanto state facendo, di considerare sospetti tutti i preti, di riferire tutto quanto i preti vi chiedono o vi dicono. Il vostro dio deve trovare posto in mezzo a tutto questo. O non trovarcelo affatto.”

“Posso fare tutto questo, signore, e rimanere cristiana. Lo giuro.”

“Bene. Giuratelo sul dio cristiano.”

“Lo giuro davanti a Dio.”

“Bene.” Toranaga si voltò e chiamò: “Fujiko-san!”

“Sì, signore?”

“Avete portato delle cameriere con voi? ”

“Sì, signore. Due.”

“Datene una a Mariko-san. E mandate l’altra a prendere del cha.

“Se ne volete, c’è del sakè.”

Cha. Yabu-san, volete del cha o del sakè?”

Cha, per favore.”

“Portate del sakè per l’Anjin-san.”

La luce cadde sul piccolo crocifisso d’oro al collo di Mariko. La ragazza vide che Toranaga lo fissava.

“Volete… volete che non lo porti, signore? Che lo getti via?”

“No. Portatelo per ricordare il vostro giuramento.”

Tutti si volsero verso la fregata. Toranaga avvertì su di sé uno sguardo e scrutò intorno: scorse il viso duro e i freddi occhi azzurri e sentì l’odio, no, non l’odio, la diffidenza. Come osa, il barbaro, diffidare di me?

“Domandate all’Anjin-san perché non ha detto che sulla nave barbara ci sono cannoni a volontà e che li dovevamo prendere per uscire dalla trappola.”

Mariko tradusse e Blackthorne rispose.

“Dice…” Mariko esitò, prima di continuare tutto d’un fiato. “Scusatemi, vi prego, dice: ‘Gli fa bene usare la sua testa.’ ”

Toranaga rise. “Ringraziatelo per questo. È stato molto utile. Spero che la sua gli sia sempre sul collo. Ditegli che adesso siamo pari.”

“Dice: ‘No, non siamo pari, Toranaga-sama. Ma datemi la mia nave e un equipaggio e ripulirò i mari. Da qualunque nemico.’ ”

“Mariko-san, credete che si riferisca a me oltre che agli altri, gli spagnoli e i barbari meridionali?” La domanda era stata posta in tono distratto.

La brezza le mandava i capelli negli occhi, e lei li scostò con un gesto stanco. “Non lo so, mi dispiace. Forse sì, forse no. Volete che glielo chieda? Mi spiace, ma è… è molto strano. Temo di non capirlo. Per niente.”

“Abbiamo tanto tempo. Sì, col tempo ci si rivelerà.”

Blackthorne aveva visto la fregata ritirare dolcemente gli ancoraggi non appena la scorta dei Grigi era corsa via; l’aveva vista varare la lancia, che l’aveva rapidamente guidata fuori dal suo posto lungo la banchina. Adesso si trovava in acque profonde, al sicuro, con un’ancora di prua che la tratteneva leggermente, e la fiancata verso riva. Era la manovra consueta di tutte le navi europee in porti stranieri o ostili quando da riva si minacciava un pericolo. Egli sapeva anche che, per quanto non ci fosse — né ci fosse stato — nessun movimento evidente in coperta, tutti i cannoni a questo punto erano in posizione, i moschetti pronti e pronte in abbondanza munizioni, palle da cannone e cariche. I coltellacci erano certo a disposizione nelle rastrelliere — e uomini armati aspettavano in alto fra le sartie, lo sguardo fisso all’orizzonte. La galea sarebbe stata avvistata non appena avesse cambiato rotta e i due cannoni poppieri sarebbero stati puntati contro di loro. I cannonieri portoghesi erano i migliori del mondo, dopo gli inglesi.

E sapranno di Toranaga, si disse amaro, perché sono furbi e avranno chiesto ai portatori o ai Grigi qual era la causa del fracasso. O ci avranno pensato i maledetti gesuiti a informarli, a quest’ora, della fuga di Toranaga e mia.

Si sentì drizzare i capelli. Uno solo di quei cannoni basta a mandarci all’inferno. Ma noi siamo al sicuro perché abbiamo a bordo Toranaga. Grazie, Signore, per Toranaga.

Mariko stava parlando. “Il mio padrone domanda quali sono le vostre usanze quando volete avvicinarvi a una nave da guerra. ”

“Se si hanno i cannoni, si spara una scarica a salve. Oppure si segnala con le bandiere, per chiedere il permesso di accostare.”

“Il mio padrone dice: ‘E se non avete le bandiere?’ ”

Erano ancora fuori dalla portata dei cannoni, ma a Blackthorne sembrava di stare scendendo lungo una delle loro canne, anche se i portelli erano chiusi. La nave era armata con otto cannoni su ogni fiancata, in coperta, più due a prua e due a poppa. l’Erasmus la prenderebbe, si disse, senza dubbio, con l’equipaggio giusto. Mi piacerebbe prenderla. Svegliati, non sognare a occhi aperti, non siamo sull’Erasmus, ma su questa scrofa panciuta di galea e quella nave portoghese è la nostra unica speranza. Se ci portiamo sotto i suoi cannoni siamo al sicuro. Benedici la tua fortuna per Toranaga.

“Dite al capitano di issare la bandiera di Toranaga sull’albero maestro. Basterà, senhora. Renderà la cosa ufficiale, e spiegherà chi abbiamo a bordo. Ma ci scommetto che lo sanno già.”

L’ordine fu eseguito e tutti sulla galea parvero più fiduciosi. Blackthorne lo notò e anche lui si sentì meglio, vedendo la bandiera.

“Dice il mio padrone: ‘Come faremo capire che vogliamo accostare?”

“Rispondetegli che senza bandiere per le segnalazioni non ha che due vie: aspettare, fuori dal tiro dei cannoni, mandando una delegazione su una lancia; oppure portarsi a distanza di voce.”

“Il mio padrone vuole sapere che cosa consigliate voi.”

“Di andare avanti dritti e accostare. Non c’è motivo di mostrarsi cauti. A bordo c’è il Nobile Toranaga. È il daimyo più importante dell’impero. Naturalmente ci aiuterà e… Oh, Gesù Dio!”

“Senhor?”

Blackthorne non rispose e Mariko tradusse rapidamente e ascoltò la risposta di Toranaga. “Il mio padrone dice: ‘La fregata ci aiuterà e poi che cosa? Per favore spiegate il vostro pensiero e perché vi siete interrotto.”

“Mi sono reso conto a un tratto che adesso lui è in guerra con Ishido. Non è vero? Perciò la fregata può essere contraria ad aiutarlo.”

“Ma è naturale che l’aiuteranno.”

“No. Chi è più utile per i portoghesi, Toranaga-sama o Ishido? Se, a parer loro, è Ishido, ci manderanno in pezzi.”

“E impensabile che i portoghesi sparino su una qualsiasi nave giapponese!” esclamò d’improvviso Mariko.

“Spareranno, credetemi, senhora. E ci scommetto che quella fregata non intende lasciarci accostare. Se fossi il suo pilota, io non vorrei. Cristo!” Blackthorne guardò a riva.

I Grigi avevano lasciato la banchina e si stavano allineando paralleli alla spiaggia. Là non c’è speranza, pensò. I pescherecci sostavano sempre, con cattiveria, all’imboccatura del porto. Nessuna possibilità, da quella parte. “Esiste un solo modo di uscire dal porto. Sperare in un temporale. Forse noi riusciremo a superarlo e i pescherecci no. Allora usciremo dalla rete.”

Toranaga interrogò il capitano, che rispose diffusamente. Poi Mariko si rivolse a Blackthorne: “Il mio padrone chiede se secondo voi ci sarà una tempesta.”

“Il mio naso mi dice di sì, ma non subito. Fra due o tre giorni. Possiamo aspettare tanto?”

“Ve lo dice il naso? La tempesta ha un odore?”

“No, senhora, è un modo di dire.”

Toranaga rifletté.

“Ci porteremo a distanza di voce, Anjin-san.”

“Allora ditegli di andare diretto a poppa. Offriremo il minor bersaglio. Ditegli che sono infidi. Io so bene quanto siano infidi allorché vedono minacciati i propri interessi. Peggio degli olandesi! Se la nave aiuta Toranaga a fuggire, Ishido vorrà vendicarsi su tutti i portoghesi e loro non correranno un simile rischio.”

“Secondo il mio padrone sapremo presto la risposta.”

“Siamo senza difese, senhora. Non abbiamo possibilità contro quei cannoni. Se la nave è ostile — o anche soltanto neutrale — siamo finiti.”

“Il mio padrone dice che è vero, ma sarà vostro dovere convincerli a mostrarsi favorevoli.”

“E come posso farlo? Per loro sono un nemico.”

“Il mio padrone dice: ‘In guerra e in pace un buon nemico può essere più valido di un buon alleato.’ È convinto che voi siete in grado di capire il loro animo… troverete il modo di convincerli.”

“L’unico mezzo sicuro è la forza.”

‘‘ ‘Bene. Sono d’accordo,’ dice il mio padrone. ‘Ditemi come saccheggereste quella nave.’ ”

“Che cosa?”

“Ha detto: ‘Bene. Sono d’accordo. Come saccheggereste quella nave, come ve ne impadronireste? Io ho bisogno dei suoi cannoni.’ Prego, Anjin-san, non è chiaro?”

 

“E io vi ripeto che la spazzo via,” dichiarò Ferriera, il capitano-generale.

“No,” replicò Dell’Aqua, osservando la galea dall’alto del cassero.

“Cannoniere, è a tiro?”

“No, don Ferriera,” rispose il capocannoniere. “Non ancora.”

“Perché viene da noi, se non con intenzioni ostili, eminenza? Perché non si limita a scappare? La strada è libera.” La fregata era troppo lontana dall’imboccatura del porto per vedere i pescherecci ammassati, pronti all’imboscata.

“Non rischiamo niente, eminenza, e abbiamo tutto da guadagnare,” insistè Ferriera. “Fingiamo di non sapere che c’è a bordo Toranaga. Abbiamo creduto che dei banditi — guidati dal pirata eretico — stessero per attaccarci. Non preoccupatevi, sarà facile provocarli, appena sotto tiro.”

“No!” ordinò Dell’Aqua.

Padre Alvito si voltò dalla sua posizione presso la falchetta. “La galea batte la bandiera di Toranaga, capitano-generale.”

“Falsa!” ribatté sardonico Ferriera. “È il trucco più vecchio del mondo in mare. Noi, Toranaga non l’abbiamo visto. Forse non c’è.”

“No.”

“Perdio! La guerra sarebbe una catastrofe! Danneggerà, se non rovinerà del tutto, il viaggio della Nave Nera per quest’anno. E io non posso permettermelo! Non voglio che niente interferisca con il viaggio!”

“Le nostre finanze sono in condizioni peggiori delle vostre, capitano-generale,” replicò secco Dell’Aqua. “Se quest’anno non c’è commercio, la Chiesa va in bancarotta. È chiaro? Da tre anni non riceviamo fondi né da Goa né da Lisbona e la perdita dei profitti dell’anno scorso… Che Dio mi renda paziente! So meglio di voi qual è la posta in gioco. E la risposta è no!”

Rodrigues sedeva dolorante sul seggiolino del pilota, la gamba legata a una stecca e appoggiata a uno sgabello imbottito, assicurato alla chiesuola. “Il capitano-generale ha ragione, eminenza. Perché viene qui, se non per tentare qualche colpo? Perché non la fuga, eh? Eminenza, ci si offre una dannata occasione.”

“Sì, e si tratta di una decisione di carattere militare,” disse Ferriera.

Alvito si girò di scatto. “No, sua eminenza è arbitro, capitano-generale. Non dobbiamo opporci a Toranaga, dobbiamo aiutarlo.”

“Mi avete detto decine di volte,” intervenne Rodrigues, “che se la guerra comincia, durerà per sempre. La guerra è cominciata, no? L’abbiamo vista cominciare. E questo nuocerà al commercio. Con Toranaga morto la guerra è finita e tutti i nostri interessi sono salvi. E io dico: mandiamo la nave al diavolo.”

“Ci libereremo anche dell’eretico,” aggiunse Ferriera, osservando Rodrigues. “Impedite una guerra per la gloria di Dio, e un altro eretico finisce fra i tormenti.”

“Sarebbe un’interferenza indebita nella loro politica,” replicò Dell’Aqua, tacendo la vera ragione.

“Interferiamo sempre! La Compagnia di Gesù è famosa per questo. Noi non siamo dei poveri contadini ignoranti!”

“Non ho detto che lo siate. Ma finché io sarò a bordo voi non affonderete quella nave.”

“Allora vogliate gentilmente scendere a terra.”

“Più presto l’arciassassino muore, meglio è, eminenza,” esclamò Rodrigues. “Lui o Ishido, che differenza c’è? Sono tutti e due pagani, e non potete fidarvi di nessuno dei due. Il capitano-generale ha ragione, non ci si presenterà mai un’altra occasione come questa. E con la Nave Nera che si fa?” Rodrigues ne era pilota, con diritto a un quindicesimo di tutti i profitti. Il pilota della Nave Nera era morto di sifilide a Macao, tre mesi prima, e Rodrigues era stato nominato a quel posto, con sua infinita gioia. La sifilide era il motivo ufficiale, pensò tetramente Rodrigues, ma molti dicevano che il pilota fosse stato accoltellato da un ronin durante una rissa in un bordello. Perdio, questa è la mia grande occasione e niente deve sciuparla!

“Mi assumerò ogni responsabilità,” stava dicendo Ferriera. “La decisione è puramente militare. Ci troviamo coinvolti in una guerra fra indigeni e la mia nave è in pericolo.” Si rivolse di nuovo al capocannoniere. “Sono sotto tiro?”

“Bene, don Ferriera, dipende da quello che volete.” Il capocannoniere alitò sulla punta del cannone, e strofinò facendola risplendere. “Adesso posso portarle via la poppa o la prua, o colpirla al centro, come preferite. Ma se volete morto qualcuno in particolare, allora ci vuole un minuto o due per averlo sotto tiro.”

“Voglio morto Toranaga. E anche l’eretico.”

“Volete dire lingeles, il pilota?”

“Sì.”

“Mi dovete indicare il giapponese. Il pilota lo riconosco.”

“Se bisogna eliminare il pilota per ammazzare Toranaga e impedire la guerra, allora sono d’accordo, capitano-generale,” disse Rodrigues. “Altrimenti dovrebbe essere risparmiato.”

“È un eretico, un nemico del nostro paese, una sporca carogna, e ci ha già procurato più guai di un nido di vipere.”

“Vi ho già spiegato e rispiegato che lingeles è prima di tutto e dopo di tutto un pilota, uno dei migliori del mondo.”

“I piloti dovrebbero godere privilegi speciali? Anche gli eretici?”

“Sì, perdio! Dovremmo usarlo, come lui usa noi. Uccidere tanta esperienza sarebbe uno spreco maledetto da Dio. Senza piloti non c’è nessuna merda di impero e niente commercio e niente di niente. Senza di me, perdio! non c’è Nave Nera e niente guadagni e niente ritorno a casa, per cui la mia opinione è maledettamente importante.”

Dall’albero maestro giunse un grido. “Attenti sul cassero! La galea cambia rotta!” La galea, che prima puntava dritta su di loro, aveva virato di qualche punto a babordo, verso lo spazio aperto del porto.

Immediatamente Rodrigues urlò: “Posti di combattimento! A dritta guardia in alto! Su tutte le vele! Salpare l’ancora!” Gli uomini corsero a eseguire.

“Che succede, Rodrigues?”

“Non lo so, capitano-generale, ma andiamo in mare aperto. Quella grossa puttana punta sopravento.”

“E che importa? Possiamo affondarli quando vogliamo,” esclamò Ferriera. “Dobbiamo ancora caricare le merci e i padri devono tornare a Osaka.”

“Sì. Ma un avversario non verrà mai sopravento alla mia nave. Quella puttana non ha bisogno del vento, può andargli anche contro. Può virare per venirci a colpire a prua, dove abbiamo solo due cannoni, e abbordarci!” Ferriera rise con disprezzo. “Abbiamo venti cannoni a bordo! E loro neanche uno! Credi che quella sporca grassa troia oserebbe attaccarci? Hai i buchi nella testa!”

“Però l’ho ancora sul collo. La Santa Theresa va in mare aperto!”

Le vele stavano liberandosi dai cordami e il vento le gonfiò, fra stridori e scricchiolii. Gli uomini di turno erano tutti ai posti di combattimento. La fregata cominciò ad avanzare, molto lentamente. “Forza, puttanella!” la spronava Rodrigues.

“Don Ferriera, siamo pronti,” avvertì il capocannoniere. “Ce l’ho a tiro. Non posso tenercela a lungo. Qual è Toranaga? Mostratemelo!”

Sulla galea non c’erano luci; l’unica visibilità era fornita dalla luna. La galea era ancora di poppa a un centinaio di metri, ma adesso si era voltata a babordo e si dirigeva verso la riva più lontana, coi remi che si alzavano e abbassavano a ritmo ininterrotto. “È quello il pilota? Quello sul cassero?”

“Sì,” rispose Rodrigues.

“Manuel e Perdito! Prendete lui e il cassero!” Il cannone più vicino aggiustò leggermente il puntamento. “Qual è Toranaga? Svelti! Timonieri, due punti a tribordo!”

“Due punti a tribordo, cannoniere!”

Attento al fondo sabbioso e ai fondali vicini, Rodrigues osservava le sartie, pronto a fermare il capocannoniere, sempre preoccupato solo di tirare bene. Gli occhi di tutti erano fissi sugli ufficiali del cassero, e sui preti. “Per amor di Dio, don Ferriera, qual è Toranaga?”

“Qual è, padre?” chiese Ferriera, che non l’aveva mai visto.

Rodrigues aveva riconosciuto chiaramente Toranaga in un cerchio di samurai, ma non voleva essere lui a indicarlo. Lo facciano i preti, pensò. Avanti, padre, fate il Giuda. Perché dovrebbe sempre toccare a noi il lavoro sporco? Per quanto, non mi importa un soldo bucato della fine di un pagano figlio di puttana.

I due sacerdoti tacquero.

“Svelti, qual è Toranaga?” insistè il capocannoniere.

Alla fine, spazientito, Rodrigues glielo indicò. “Laggiù. Quel bastardo massiccio e basso in mezzo a quegli altri bastardi.”

“Lo vedo, signor pilota.”

Gli uomini al pezzo fecero gli ultimi preparativi.

“Hai puntato sull’eretico?” chiese Ferriera, prendendo in mano la miccia.

“Sì, capitano-generale. Voi siete pronto? Quando abbasso la mano, è il segnale!”

“Bene.”

“Non ucciderai!” Era la voce di Dell’Aqua.

Ferriera si voltò di scatto. “Sono pagani e eretici!”

“Fra loro ci sono anche dei cristiani, e anche se non ce ne fossero…” “Non dargli retta, capocannoniere!” ringhiò il capitano-generale. “Appena sei pronto, spariamo!”

Dell’Aqua si mise davanti alla bocca del cannone. La sua figura imponente dominò il cassero e i marinai armati, pronti nell’ombra. Teneva la mano sul crocifisso. “Ho detto che non ucciderai!”

“Uccidiamo di continuo, padre,” ribatté Ferriera.

“Lo so, e ne ho vergogna e prego Dio che ci perdoni.” Dell’Aqua non si era mai trovato prima d’allora sul cassero di una nave da guerra con i cannoni puntati, e i moschetti e le dita sui grilletti, tutti pronti a spargere la morte. “Finché io sarò qui non si ucciderà e io non perdonerò chi uccide in un’imboscata!”

“E se ci attaccano? Se cercano di prendere la nave?”

“Pregherò Dio che ci assista contro di loro!”

“Che differenza fa, adesso o più tardi?”

Dell’Aqua non rispose. Non ucciderai, pensava, e Toranaga ha promesso tutto, Ishido niente.

“Che facciamo, capitano-generale? Adesso è il momento buono!” gridò il capocannoniere. “Adesso!”

Ferriera voltò le spalle ai preti, profondamente amareggiato, gettò la miccia e si avvicinò alla ringhiera. “Tenetevi pronti a respingere un attacco!” urlò. “Se arriva a cinquanta metri senza essere invitata, avete l’ordine di mandarla all’inferno, qualunque cosa dicano i preti!”

Rodrigues era altrettanto adirato, ma sapeva di essere disarmato come il capitano-generale contro i preti. Non ucciderai? Per il Signore benedetto, e voi? avrebbe voluto gridare. Che dite dell’autodafé? e dell’inquisizione? e dei preti che sentenziano “colpevole” o “strega” o “satanista” o “eretico”? Vi ricordate le duemila streghe bruciate nel solo Portogallo, l’anno che io partii per l’Asia? E che cosa dite dei villaggi e città, quasi tutti, in Spagna e Portogallo e nelle colonie, visitati e ispezionati dai Flagelli di Dio (come si autodefinivano orgogliosamente gli inquisitori incappucciati), della puzza di carni bruciate che resta dietro di loro? Oh, Signore Gesù Cristo, proteggici!

Dominò la paura e l’odio e si concentrò sulla galea. Scorse Blackthorne. Ah, ingeles! pensò, fa piacere vederti, così alto e baldanzoso. Avevo paura che fossi finito sul luogo dell’esecuzione. Sono contento che tu sia scampato, ma anche così è una fortuna che tu non abbia a bordo neppure un cannoncino, perché allora ti spazzerei via e al diavolo le chiacchiere dei preti. Oh, Madonna, proteggimi da un cattivo prete!

“Olà, Santa Theresa!”

“Olà, ingeles!”

“Sei tu, Rodrigues?”

“La tua gamba?”

“Tua madre…”

Rodrigues fu molto soddisfatto della risata fragorosa che gli arrivò superando l’acqua che li divideva.

Da mezz’ora le due navi manovravano, virando, bordeggiando e allontanandosi. La galea cercava di mettersi sopravento e imbottigliare la fregata sulla costa sottovento, la fregata cercava di portarsi in condizione da poter guadagnare il mare aperto, se opportuno. Ma nessuna delle due era riuscita ad avvantaggiarsi e durante le manovre gli uomini della fregata avevano scorto per la prima volta i pescherecci all’imbocco del porto e ne avevano capito il significato.

“Ecco perché viene da noi: a cercare protezione!”

“Ragione di più perché lo affondiamo adesso che è intrappolato. Ishido ce ne sarà grato in eterno,” aveva osservato Ferriera.

Ma Dell’Aqua era irremovibile. “Toranaga è troppo importante. Insisto perché prima gli parliamo. Avrete sempre tempo di affondarlo. Non dispone di cannoni e perfino io so che ai cannoni ci si oppone solo coi cannoni.” Rodrigues aveva perciò acconsentito a una posizione di stallo, per prendere tempo. Entrambe le navi si trovavano in mezzo al porto, al sicuro dai pescherecci e l’una dall’altra. Solo quando aveva visto la galea ammarare i remi e voltargli la fiancata, Rodrigues le aveva permesso di portarsi a distanza di voce, preparandosi per la successiva serie di spostamenti. Grazie a Dio, a Gesù, a Maria e Giuseppe noi abbiamo i cannoni e i bastardi no, pensò di nuovo Rodrigues. Lingeles è troppo astuto.

Però è bello trovarsi di fronte a un professionista. Molto più sicuro: nessuno commette errori idioti e nessuno si farà male inutilmente.

“Permesso di salire a bordo?”

“Chi, ingeles?”

“Toranaga-sama, l’interprete e le guardie.”

“Niente guardie,” ordinò piano Ferriera.

Alvito intervenne: “Qualcuna deve portarla. Per salvare la faccia.”

“Al diavolo la faccia. Niente guardie.”

“Non voglio samurai a bordo,” confermò Rodrigues.

“Ne accettereste cinque?” chiese Alvito. “Solo la guardia del corpo? Voi dovete capire il problema, Rodrigues.”

Rodrigues rifletté un momento. “Cinque vanno bene, capitano-generale,” annuì. “Metteremo cinque uomini come vostre ‘guardie del corpo’, con un paio di pistole a testa. Padre, stabilite voi i dettagli, adesso. È meglio che ci pensi il padre, capitano-generale, lui sa come condursi. Avanti, padre, ma riferiteci quello che vi dicono.”

Alvito si appoggiò alla falchetta e gridò: “Non otterrete niente con le vostre menzogne! Preparatevi a scendere all’inferno, voi e i vostri banditi. Avete dieci minuti, poi il capitano-generale vi manderà al tormento eterno!”

“Battiamo la bandiera di Toranaga, perdio!”

“È falsa, pirata!”

Ferriera fece un passo avanti. “A che gioco giocate, padre?”

“Abbiate pazienza, vi prego, capitano-generale,” disse Alvito. “È solo una questione di forma. Altrimenti Toranaga si mostrerà offeso in eterno con noi perché abbiamo insultato la sua bandiera — come abbiamo fatto. È di Toranaga, non di un daimyo qualsiasi! Forse è bene che vi ricordiate che da solo dispone di più truppe del re di Spagna!”

In coperta si accesero dei lumi e Toranaga apparve chiaramente visibile, la sua voce giunse sopra le onde.

“Tsukku-san! Come osate evitare la mia galea? Non ci sono pirati, qui. Sono nei pescherecci all’imboccatura del porto. Voglio accostare immediatamente!”

Alvito rispose in giapponese, fingendo stupore: “Nobile Toranaga, scusateci! Credevamo si trattasse di un trucco. I Grigi ci avevano detto che dei ronin si erano impadroniti della nave con la forza e noi abbiamo immaginato che ci fossero dei banditi sotto falsa bandiera, agli ordini del pirata inglese. Verrò subito.”

“No. Verrò io immediatamente.”

“Vi scongiuro, Toranaga-sama, lasciate che vi scorti. C’è qui il mio superiore, il padre visitatore, e c’è anche il capitano-generale. Insistono perché ci scusiate. Vi prego, accettate le nostre scuse!” Alvito tornò al portoghese e gridò forte al nostromo: “Una lancia!” Quindi di nuovo in giapponese a Toranaga. “La lancia sarà pronta in un attimo, mio signore.”

Rodrigues ascoltava il tono umile di Alvito e rifletteva su quanto fosse più difficile trattare con i giapponesi che con i cinesi. I cinesi capivano l’arte del negoziato, del compromesso e delle concessioni e ricompense; invece i giapponesi erano gonfi di orgoglio, e quando si offendeva l’orgoglio di qualcuno — qualsiasi giapponese, non solo i samurai — la morte rappresentava una piccola riparazione all’insulto. Avanti, finitela! ebbe voglia di gridare.

“Capitano-generale, vado subito,” stava dicendo Alvito. “Eminenza, se veniste anche voi l’omaggio contribuirebbe molto a placarlo.”

“D’accordo.”

“Non è pericoloso?” chiese Ferriera. “Potreste servirgli da ostaggi.”

“Non appena vedeste un segno di tradimento,” rispose Dell’Aqua, “vi ordino, in nome di Dio, di distruggere quella nave con tutti coloro che sono a bordo, noi compresi.” Attraversò il cassero e scese in coperta, con l’abito maestosamente svolazzante. All’inizio della passerella si girò e tracciò il segno della croce. Quindi scese nella lancia.

Il nostromo diede il segnale di partenza. Tutti i marinai della lancia erano armati. Sotto il sedile del nostromo c’era un barile di polvere.

Ferriera si chinò sulla falchetta e mormorò: “Eminenza, portate qua con voi l’eretico.”

“Come? Che cosa avete detto?” Dell’Aqua si divertiva a giocare col capitano-generale, la cui invincibile insolenza l’aveva offeso a morte. Naturalmente aveva deciso da un pezzo di impadronirsi di Blackthorne, e in quel momento aveva udito benissimo le parole dell’altro. Che stupido, stava pensando.

“Portate qua l’eretico, eh?” ripeté Ferriera.

Rodrigues sentì la risposta soffocata: “Sì, capitano-generale,” e si domandò: che tradimento stai architettando, Ferriera?

Si mosse con difficoltà sul seggiolino, con la faccia esangue. Il dolore alla gamba era atroce e molta della propria forza la consumava per dominarsi. Le ossa stavano saldandosi bene e, lode alla Madonna! la ferita era pulita. Ma si trattava pur sempre di una frattura e anche il lieve ondeggiare della nave gli procurava dolore. Inghiottì un sorso di grog da un vecchio otre, appeso a un gancio della chiesuola.

Ferriera lo osservava. “Fa male la gamba?”

“Va bene.” Il grog attenuava il dolore.

“Abbastanza bene da viaggiare fino a Macao?”

“Sì. E da partecipare anche a una battaglia. E tornare nell’estate, se è a questo che pensate.”

“Infatti, è a questo che penso, pilota.” Le labbra erano di nuovo tirate nel sottile sorriso ironico. “Ho bisogno di un pilota in gamba.”

“Sono a posto. La gamba si sta aggiustando bene.” Rodrigues allontanò il pensiero del dolore. ”L’ingeles non salirà a bordo volentieri.”

“Cento ghinee che vi sbagliate.”

“È più di quanto guadagno in un anno.”

“Pagabili dopo che saremo arrivati a Lisbona, prendendole dai guadagni della Nave Nera.”

“D’accordo. Niente lo farà salire a bordo, per lo meno di sua volontà. Sono più ricco di cento ghinee, perdio!”

“Più povero! Dimenticate che i gesuiti lo vogliono anche più di me.” “Perché lo vogliono?”

Ferriera lo guardò senza rispondere, sempre con lo stesso sorriso storto. Poi, lanciandogli un’esca: “Scorterei fuori Toranaga, pur di mettere le mani sull’eretico.”

“Sono contento di essere un vostro compagno e di essere necessario a voi e alla Nave Nera,” commentò Rodrigues. “Non mi piacerebbe esservi nemico.”

“Sono lieto che ci comprendiamo a vicenda, pilota. Finalmente.”

“Chiedo una scorta per uscire dal porto e ne ho bisogno in fretta,” disse Toranaga a Dell’Aqua, attraverso Alvito. Mariko gli era accanto, con Yabu, e ascoltava. Toranaga stava più in alto di Dell’Aqua, ma i loro occhi erano alla stessa altezza. “Oppure, se preferite, la vostra nave da guerra può allontanare dalla mia strada i pescherecci.”

“Perdonatemi, ma sarebbe un ingiustificato atto di ostilità, che voi non… potete chiedere alla fregata, Nobile Toranaga,” rispose Dell’Aqua, rivolgendosi direttamente a lui, perché trovava, come sempre, inquietante la traduzione simultanea di Alvito. “È impossibile… sarebbe un gesto aperto di guerra.”

“Allora che cosa suggerite?”

“Venite con noi sulla fregata, vi prego. Chiediamolo al capitano-generale. Lui penserà a una soluzione, adesso che conosciamo il problema. Lui è un militare, noi no.”

“Portatelo qui.”

“Sarebbe più rapido se veniste voi, signore. A prescindere, naturalmente, dall’onore che così ci fareste.”

Toranaga capì che era giusto. Pochi minuti prima aveva visto altri pescherecci, carichi di arcieri, staccarsi dalla riva a sud e, anche se per il momento si trovava al sicuro, era evidente che entro un’ora l’imboccatura del porto sarebbe stata chiusa dai nemici. Non aveva scelta.

“Chiedo scusa, signore,” gli aveva spiegato l’Anjin-san durante le manovre di accostamento, “non posso avvicinarmi alla fregata. Rodrigues è troppo abile. Se il vento resta com’è, posso impedirgli di fuggire, ma non chiuderlo in trappola, a meno che non commetta un errore. Dobbiamo parlamentare.”

“Farà un errore e il vento resterà così?” aveva chiesto Toranaga, attraverso Mariko.

“Dice l’Anjin-san,” gli aveva poi riferito lei, “che il saggio non scommette mai sul vento, a meno che non sia un aliseo e che vi troviate in alto mare. Qui siamo in un porto dove le montagne fanno cambiare il vento. E Rodrigues, il pilota, non commetterà errori.”

Toranaga aveva osservato i due piloti aguzzare l’ingegno l’uno contro l’altro e aveva capito che, fuori di ogni dubbio, erano dei maestri nel loro campo, tutti e due. E si era anche reso conto che né lui né le sue terre né l’impero sarebbero stati mai sicuri senza possedere delle navi barbare moderne e, mediante loro, il dominio dei propri mari. Quella constatazione l’aveva scosso.

“Ma come posso negoziare con loro? Quale scusa posso trovare per gesti così manifestamente ostili nei miei confronti? Adesso il mio dovere è di sterminarli per avere ingiuriato il mio onore.”

Allora l’Anjin-san aveva spiegato la storia delle bandiere false: come tutte le navi usassero quel trucco per avvicinarsi a un nemico, o per evitarlo. Toranaga si era sentito grandemente sollevato nello scoprire un’accettabile soluzione del problema, che gli avrebbe salvato la faccia.

“Credo che dovremmo muoverci subito, signore,” stava dicendo Alvito.

“Va bene,” acconsentì Toranaga. “Yabu-san, prendete il comando della nave. Mariko-san, dite all’Anjin-san di stare sul cassero e tenere il timone, poi venite con me. ”

“Sì, mio signore.”

Dalla grandezza della lancia Toranaga aveva compreso di poter condurre con sé soltanto cinque guardie. Ma anche questo era stato previsto e il piano definitivo era semplice: se non avesse ottenuto l’aiuto della fregata, lui e le guardie avrebbero ucciso il capitano-generale, il suo pilota e i preti, e si sarebbero barricati in una cabina. Contemporaneamente la galea avrebbe attaccato la fregata a poppa, nel modo suggerito dall’Anjin-san, cercando di impadronirsene. Riuscissero o no a prenderla, la soluzione sarebbe stata rapida.

“È un buon piano, Yabu-san,” aveva osservato Toranaga.

“Permettetemi di andare a negoziare al vostro posto.”

“Non acconsentirebbero.”

“Va bene, ma quando saremo usciti dalla trappola, cacciate tutti i barbari dal nostro regno. Vi conquisterete più daimyo di quanti ne perderete, con questo gesto.”

“Ci rifletterò,” aveva risposto Toranaga, sapendo che era una sciocchezza, che doveva avere al proprio fianco i daimyo cristiani Onoshi e Kiyama e quindi gli altri daimyo cristiani, o sarebbe stato divorato. Perché Yabu voleva andare sulla fregata? Quale tradimento andava macchinando, nel caso di un mancato aiuto?

“Signore,” stava dicendo Alvito a nome di Dell’Aqua, “posso invitare l’Anjin-san ad accompagnarci?”

“Perché?”

“Penso che gli farebbe piacere salutare il suo collega, il pilota Rodrigues, che ha una gamba rotta e non può venire qui. Rodrigues sarebbe lieto di rivederlo e ringraziarlo di avergli salvato la vita, se a voi non dispiace.” Toranaga non riuscì a vedere nessuna buona ragione perché l’Anjin-san non andasse con loro. Era sotto la sua protezione, e quindi inviolabile. “Se lui lo desidera, benissimo. Mariko-san, accompagnate Tsukku-san.”

Mariko s’inchinò. Sapeva che era suo compito ascoltare e riferire e assicurarsi che ogni parola venisse tradotta fedelmente, senza omissioni. Ora si sentiva meglio, con il viso e l’acconciatura di nuovo perfetti, un chimono fresco prestatole da Fujiko e il braccio infilato in una sciarpa. L’aveva medicata un ufficiale, studente in medicina. Il taglio nel braccio non aveva reciso nessun tendine e la ferita era pulita. Un bagno l’avrebbe rimessa anche meglio, ma a bordo non esistevano servizi del genere.

Lei e Alvito risalirono insieme sul cassero. Il gesuita vide il coltello nella cintura di Blackthorne e notò che il chimono macchiato sembrava adattargli bene. Fino a che punto avrà saputo conquistarsi la fiducia di Toranaga? “Sono contento di rivedervi, pilota Blackthorne.”

“Andate all’inferno, padre!” rispose cordialmente l’inglese.

“Forse laggiù ci incontreremo, Anjin-san. Forse. Toranaga dice che potete salire a bordo della fregata.”

“Sono i suoi ordini?”

“ ‘Se volete’, ha detto.”

“Non voglio.”

“Rodrigues gradirebbe vedervi e ringraziarvi di nuovo.”

“Portategli i miei rispetti e ditegli che ci incontreremo all’inferno. O qui.”

“La gamba glielo impedisce.”

“Come va la gamba?”

“Sta guarendo. Col vostro aiuto e la grazia di Dio, entro poche settimane, se Dio vuole, camminerà, anche se resterà zoppo.”

“Portategli i miei auguri. È meglio che andiate, padre, state perdendo tempo.”

“Rodrigues vorrebbe proprio salutarvi. In tavola ci sono grog e un bel cappone arrosto e verdure fresche con la salsa, e pane fresco appena fatto, col burro fuso. Sarebbe un peccato sprecare tanto buon cibo, pilota.” “Come?”

“Pane croccante dorato, pilota, galletta fresca, burro, e manzo. Arance di Goa e perfino un gallone di vino di Madera o, se lo preferite, del brandy. E anche birra. Oltre al cappone di Macao, caldo e succulento. Il capitano-generale è un epicureo.”

“Che Dio vi porti all’inferno!”

“Lo farà, se lo vorrà. Io vi dico soltanto quello che c’è.”

“Che cosa significa epicureo?” chiese Mariko.

“Uno che ama il cibo e la buona tavola, senhora Maria,” rispose Alvito, chiamandola col suo nome di battesimo. Aveva scorto il cambiamento sul viso di Blackthorne e quasi vedeva le ghiandole salivari al lavoro e l’agonia dello stomaco. Quando aveva contemplato, quella sera, il pasto apparecchiato nella sala, l’argento scintillante, la tovaglia candida, i seggioloni di cuoio rosso, e aveva sentito il profumo del pane e del burro freschi e delle carni abbondanti, lui stesso si era sentito debole per la fame, eppure non gli mancava certo da mangiare né gli era nuova la cucina giapponese.

È così semplice catturare un uomo, si disse. Basta conoscere l’esca giusta. “Addio, capitano-pilota!” Si voltò e si avviò. Blackthorne lo seguì.

“Cosa ti è andato storto, ingeles?” domandò Rodrigues.

“Dove c’è da mangiare? Dopo possiamo parlare. Prima il pranzo che mi avete promesso.” Blackthorne era ritto, ma piuttosto vacillante, sul ponte. “Seguitemi, prego,” disse Alvito.

“Dove lo portate, padre?”

“In sala, naturalmente. Mentre Toranaga e il capitano-generale discorrono, Blackthorne può mangiare.”

“No. Può mangiare nella mia cabina.”

“Ma è certo più semplice andare dove si trova già il cibo.”

“Nostromo! Date immediatamente da mangiare al pilota… tutto quello che vuole, nella mia cabina, prendendolo dalla tavola pronta. ingeles, vuoi grog o vino o birra?”

“Prima birra e poi grog.”

“Nostromo, pensaci tu. Accompagnalo di sotto. E senti, Pesaro, dagli dei vestiti. Prendili nella mia cassa. E stivali, tutto. E stai con lui finché non ti chiamo.”

Senza una parola Blackthorne seguì Pesaro, il nostromo, un omaccione robusto. Alvito si voltò per tornare da Dell’Aqua e Toranaga, che parlavano attraverso Mariko, ma Rodrigues lo fermò.

“Padre! Un momento. Che cosa gli avete detto?”

“Solo che volevate vederlo e che a bordo avevamo da mangiare.”

“Ma che lo invitavo io a mangiare?”

“No, Rodrigues, non ho detto così. Ma non offrireste da mangiare a un collega pilota che ha fame?”

“Quel povero bastardo non ha semplicemente fame: muore di fame. Se mangia in quello stato s’ingozzerà come un lupo avido e poi vomiterà tutto come una puttana ubriaca. Ora noi non vogliamo, vero? che uno di noi — sia pure un eretico — mangi come una bestia e vomiti come una bestia davanti a Toranaga. No? Non davanti a un merdoso figlio di puttana, e specialmente uno con la mente pulita come la fessura di una prostituta!”

“Dovete imparare a controllare la vostra volgarità, figlio mio,” lo ammonì Alvito. “Vi manderà all’inferno. Sarà bene che recitiate un migliaio di avemaria e stiate a digiuno per due giorni. Pane e acqua. Una penitenza per ringraziare la misericordia di Dio.”

“Grazie, padre, lo farò. Volentieri. Se potessi inginocchiarmi, lo farei e vi bacerei la croce. Questo povero peccatore vi è grato, padre, per la pazienza che Dio vi dà. Devo frenare la lingua.”

“Rodrigues, scendete?” gridò Ferriera.

“Finché c’è quella puttana di galea, capitano-generale, resto in coperta. Se mi volete, sono qui.” Alvito cominciò ad allontanarsi e Rodrigues notò Mariko. “Un attimo ancora, padre. Chi è la donna?”

“Donna Maria Toda. Una degli interpreti di Toranaga.”

Rodrigues fischiò in sordina. “È brava?”

“Bravissima.”

“È stupido averla lasciata salire a bordo. Perché avete detto: ‘Toda’? È una concubina del vecchio Hiro-matsu?”

“No. È la moglie di suo figlio.”

“Stupido portarla a bordo.” Rodrigues chiamò con un cenno un marinaio. “Avverti tutti che la donna parla portoghese.”

“Sì, senhor.” L’uomo corse via e Rodrigues si voltò verso Alvito.

Il prete non era per niente intimidito dalla sua collera evidente. “La Nobile Maria parla anche latino, e altrettanto bene. C’è altro, pilota?”

“No, grazie. Forse è meglio che cominci le mie avemaria.”

“Sì, dovreste.” Il prete tracciò un segno di croce e se ne andò. Rodrigues sputò a distanza e uno dei timonieri ammiccò e si segnò.

“Va’ a inchiodarti con le palle all’albero!” sibilò il pilota.

“Sì, scusatemi, senhor. Ma vicino al buon padre mi sento nervoso. Non volevo offendere.” Il giovanotto vide scorrere gli ultimi granelli di sabbia nella clessidra, e la capovolse.

“Alla mezza vai di sotto, portati un maledetto secchio d’acqua e una ramazza e ripulisci la mia cabina. Di’ al nostromo di portarmi su l’ingeles e rimetti tutto in ordine. E guarda che sia pulita o prenderò i tuoi intestini per farci gli elastici. E mentre ci sei, di’ qualche avemaria per l’animaccia tua maledetta.”

“Sì, senhor pilota,” rispose fievolmente il giovane. Rodrigues era maniaco della pulizia e la sua cabina era il santo Graal della nave. Qualunque tempo ci fosse fuori, doveva brillarci tutto come uno specchio.