37

Il custode della gabbia dei piccioni tenne con gentile fermezza l’uccello, mentre Toranaga si liberava dei vestiti fradici. La pioggia l’aveva sorpreso sulla strada del ritorno. Naga e gli altri samurai si erano raggruppati ansiosamente sulla piccola soglia, indifferenti all’acqua che ancora scrosciava, picchiando sulle tegole.

Toranaga si asciugò con cura le mani e l’uomo gli porse il piccione. Alle zampette erano attaccati due minuscoli cilindri d’argento. Generalmente ce n’era uno solo e Toranaga stentò a dominare il tremito delle mani. Portò i cilindretti alla luce per esaminare i sigilli. Riconobbe la sigla segreta di Kiri, ma il suo viso non mostrò alcuna reazione.

Per quanto lo desiderasse, non ruppe subito i sigilli, e attese con pazienza che gli portassero un chimono pulito e asciutto. Poi un servo con un grande ombrello lo accompagnò ai suoi quartieri nella fortezza, dove lo aspettavano minestra e cha. Mangiò, bevve, ascoltò la pioggia. Quando infine si sentì calmo si ritirò in una stanza interna e solo allora, in privato, ruppe i sigilli. I quattro rotoli erano di carta sottilissima, scritti in caratteri molto minuti e in codice. Fu laboriosa la decifrazione, e quando l’ebbe compiuta, lesse e rilesse il messaggio. Poi cominciò a riflettere.

Scese la notte e smise di piovere. Che il raccolto sia buono, pregò. Era la stagione in cui in tutto il paese le pianticelle di riso venivano messe nelle vaste marcite, per dare il raccolto, quattro o cinque mesi dopo, a seconda della stagione. E in tutto il paese poveri e ricchi, eta e imperatore, servi e samurai, pregavano perché pioggia e sole e umidità venissero nelle giuste proporzioni, al momento giusto. E ogni uomo, donna e bambino contava i giorni che mancavano al raccolto. Abbiamo bisogno di un grande raccolto, quest’anno, pensava Toranaga.

“Naga! Naga-san!”

Suo figlio si presentò di corsa. “Sì, padre?”

“Un’ora dopo l’alba verrai con Yabu-san e i suoi maggiori consiglieri sul pianoro. E anche Buntaro e i tre capitani anziani. E Mariko-san. Tutti sul pianoro, all’alba. Mariko-san potrà servirci il cha. E l’Anjin-san deve aspettare nelle vicinanze, all’accampamento. Un cerchio di guardie a duecento passi.”

“Sì, padre.” Naga si voltò, per precipitarsi a obbedire, ma non fu capace di trattenersi. “È la guerra?”

Poiché gli serviva una ventata di ottimismo nella fortezza, Toranaga non rimproverò al giovane l’impertinenza indisciplinata della domanda. “Sì,” rispose, “ma alle mie condizioni.”

Naga chiuse lo shoji e si allontanò. Toranaga sapeva che il figlio anche se esternamente composto non avrebbe saputo nascondere l’eccitazione dei movimenti e il fuoco nello sguardo. Così, alimentati nel debito modo, voci e supposizioni si sarebbero sparse immediatamente per Anjiro e ben presto in tutto l’Izu.

“Adesso sono in gioco,” disse a voce alta, rivolgendosi ai fiori nel takonama, ombre nella luce calda delle candele.

Kiri così scriveva:

Signore, prego Budda che siate salvo e in buona salute. Questo è il nostro ultimo piccione, perciò prego Budda anche perché lo porti da voi… ieri dei traditori hanno ucciso tutti i suoi compagni, sparando al loro custode, e questo è sfuggito perché, essendo malato, lo tenevo con me per curarlo.

Ieri mattina il Nobile Sugiyama si è dimesso all’improvviso, come stabilito, ma non è riuscito a fuggire, ed è stato fermato nei sobborghi di Osaka dai ronin di Ishido. Disgraziatamente con lui sono stati catturati alcuni suoi familiari: ho sentito che uno dei suoi lo ha tradito. Si dice che Ishido gli abbia proposto un compromesso: se il Nobile Sugiyama avesse rinviato le dimissioni fino a dopo la riunione del Consiglio dei reggenti (domani), così da potervi legalmente incriminare, Ishido avrebbe ottenuto che il Consiglio, assegnasse a Sugiyama il Kwanto. Inoltre, in segno di buona volontà avrebbe rilasciato subito lui e tutta la famiglia. Sugiyama rifiutò di tradirvi. E Ishido chiamò gli eta per convincerlo. Torturarono i suoi figli, poi la concubina, sotto i suoi occhi, ma egli non vi abbandonò. Tutti morirono in modo atroce. Particolarmente atroce fu la sua morte, avvenuta per ultima.

Non c’erano testimoni, e tutto si sa per sentito dire, ma io ne sono sicura. Naturalmente Ishido ha dichiarato di non sapere niente degli omicidi e ha giurato che troverà a ogni costo i responsabili. In principio ha cercato di sostenere che Sugiyama in realtà non aveva dato le dimissioni e che quindi il Consiglio si poteva riunire. Io ho mandato copie delle dimissioni agli altri reggenti — Kiyama, Ito e Onoshi — e una anche a Ishido, ufficialmente, e altre quattro copie le ho fatte circolare fra i daimyo. (Come siete stato abile, Tora-chan, a prevedere che sarebbero servite tante copie in più!) Così da ieri, esattamente come avevate stabilito con Sugiyama, il Consiglio legalmente non esiste. In questo avete avuto un successo completo.

Buona notizia: il Nobile Mogami si è messo al sicuro fuori dalla città, con tutta la famiglia e i suoi samurai. Adesso è un vostro alleato dichiarato e il vostro fianco all’estremo nord è sicuro. I Nobili Maeda, Kukushima, Asano, Ikeda e Okudiara sono tutti usciti da Osaka alla chetichella ieri notte e sono in salvo. Anche il Nobile cristiano Oda.

Cattiva notizia: le famiglie di Maeda, Ikeda, e Oda e di un’altra dozzina di daimyo importanti non sono fuggite e sono tenute qui in ostaggio, insieme alle famiglie di cinquanta-sessanta nobili meno importanti.

Cattiva notizia: ieri il vostro fratellastro Zataki, signore dello Shinano, si è dichiarato per l’erede contro di voi, accusandovi di aver congiurato con Sugiyama per rovesciare il Consiglio creando il caos; quindi il vostro confine nordorientale è malsicuro e Zataki e i suoi cinquantamila uomini saranno contro di voi.

Cattiva notizia: quasi tutti i daimyo hanno accettato l’invito dell’imperatore.

Cattiva notizia: parecchi dei vostri amici e alleati, qui, sono incolleriti perché non li avete preavvertiti della vostra strategia, permettendo loro di crearsi una possibilità di fuga. Fra loro è il vostro vecchio amico, il Nobile Shimazu. Questo pomeriggio ho saputo che egli ha chiesto che si ordini a tutti i Nobili, da parte dell’imperatore, di inginocchiarsi subito davanti all’erede, Yaemon.

Cattiva notizia: Ochiba tesse la sua tela felicemente, promettendo feudi e titoli e cariche di corte a chi non si è ancora pronunciato. Tora-chan, è un gran peccato che non stia dalla nostra parte: è una nemica di valore. Solo la Nobile Yodoko invoca la calma e la preghiera, ma nessuno la ascolta, mentre Ochiba vuole precipitare le cose fino alla guerra mentre voi siete, secondo lei, debole e isolato. Mi spiace, mio signore, ma siete davvero isolato e, credo, abbandonato.

La notizia peggiore: i reggenti cristiani, Onoshi e Kiyama, sono apertamente d’accordo fra loro e contro di voi. Hanno emanato una dichiarazione congiunta, stamattina, in cui deplorano la “defezione” di Sugiyama e affermano: “Il suo gesto ha gettato il regno nella confusione, dobbiamo tutti essere forti per il bene dell’impero. I reggenti hanno la responsabilità suprema. Dobbiamo essere pronti a distruggere, insieme, ogni nobile o gruppo di nobili che ambisca a disobbedire alla volontà del Taikō o a rovesciare la legittima successione.” (Vorrà dire che pensano di riunire un Consiglio di quattro reggenti?) Una delle nostre spie nel quartier generale degli Abiti Neri ha detto che il prete Tsukku-san ha lasciato in segreto Osaka, cinque giorni fa, ma non si sa se per Yedo o per Nagasaki, dove si aspetta la Nave Nera. Sapevate che quest’anno sarebbe arrivata così presto, forse entro venti o trenta giorni?

Mio signore, ho sempre esitato a esprimere opinioni in base a voci, a chiacchiere, a parole delle spie, o in base all’intuizione femminile (qui, Tora-chan, ho imparato da voi!), ma il tempo è scarso e forse non vi potrò più parlare. Primo: troppe famiglie sono intrappolate qui dentro. Ishido non le lascerà mai andare (come non lascerà mai andare noi). E questi ostaggi rappresentano per voi un pericolo enorme. Pochi Nobili possiedono il senso del dovere e la forza d’animo di Sugiyama. Molti adesso si schiereranno con Ishido, anche se controvoglia, a causa degli ostaggi. Secondo: credo che Maeda vi abbandonerà, e probabilmente anche Asano. Io calcolo che, sui duecentosessantaquattro daimyo del paese, solo ventiquattro vi seguiranno di certo e altri cinquanta forse. Non sono sufficienti. Kiyama e Onoshi trascineranno dietro di sé tutti o quasi tutti i daimyo cristiani e non credo che si alleeranno con voi. Il Nobile Mori, il più ricco e il più grande di tutti, vi è personalmente nemico, come sempre, e trascinerà nella sua rete Asano, Kobayakawa e forse anche Oda. Aggiungendo a questo l’ostilità di Zataki, la vostra situazione è terribilmente precaria. Io vi consiglio di dichiarare immediatamente il Cielo rosso e correre a Kyoto. È la vostra sola speranza.

Quanto alla Nobile Sazuko e a me, stiamo bene e siamo serene. Il bambino si avvicina e se è suo karma nascere, così avverrà. Siamo al sicuro nel nostro angolo del castello, con la porta ben serrata e la saracinesca abbassata. I nostri samurai sono devotissimi a voi e alla vostra causa e se il nostro karma è di abbandonare questa vita, l’abbandoneremo in pace. Sazuko sente molto la vostra mancanza, moltissimo. Quanto a me, Tora-chan, ho una voglia terribile di vedervi, di ridere con voi e di vedere il vostro sorriso. Nel morire il mio unico rimpianto sarebbe di non poter più godere di queste cose e vegliare su di voi. Se esiste un aldilà, e se c’è un Dio o un Budda o un kami, prometto che in qualche modo li tirerò tutti dalla vostra parte… anche se prima li pregherò di farmi snella e giovane e feconda per voi, pur lasciandomi la gioia di mangiare. Ah, sarebbe davvero un paradiso, poter mangiare e mangiare e restare per sempre giovane e sottile!

Vi mando la mia risata. Possa Budda benedire voi e la vostra famiglia.

Toranaga lesse a tutti il messaggio, tranne quanto riguardava Kiri e la Nobile Sazuko. Alla fine, gli altri lo fissarono e si guardarono fra loro sconcertati, non solo per il contenuto del messaggio, ma perché egli apertamente si confidava con loro.

Sedevano su delle stuoie, in semicerchio intorno a lui, sul pianoro, al sicuro da orecchi indiscreti: Buntaro, Yabu, Igurashi, Omi, Naga e Mariko. Le guardie stavano a duecento passi.

“Desidero qualche consiglio,” disse Toranaga. “Il problema è urgente, i miei consiglieri si trovano a Yedo, e voglio che voi ne prendiate il posto. Ditemi che cosa potrà succedere e che cosa dovrei fare, Yabu-san?”

Yabu era profondamente agitato. Gli sembrava che qualunque strada portasse al disastro. “Prima, signore, spiegatemi che cosa vuol dire esattamente ‘Cielo rosso’.”

“È il nome in codice del mio piano definitivo di battaglia, un unico attacco violento contro Kyoto, con tutte le mie truppe, affidato alla mobilità e alla sorpresa, per impadronirmi della capitale, togliendola alle forze malvagie che ora la circondano e liberando l’imperatore dalla sporca trama di chi lo imbroglia, agli ordini di Ishido. Una volta che il Figlio del Cielo fosse felicemente libero, gli chiederei di revocare il mandato al Consiglio attuale, chiaramente fatto di traditori, o dominato da traditori, e di dare a me il mandato di formare un nuovo Consiglio, capace di mettere gli interessi del regno e dell’erede davanti ai propri. Lasciando incustodite le mie terre, guiderei da ottanta a centomila uomini, senza protezione sui lati e senza garantirmi la ritirata.“ Vide che lo guardavano attoniti. Non accennò ai gruppi di samurai scelti che furtivamente erano stati insinuati, nel corso degli anni, in molti dei castelli e province più importanti e che avrebbero simultaneamente provocato una rivolta per generare il caos necessario al successo del piano.

“Ma dovreste combattere a ogni metro di strada!” esplose Yabu. “Ikawa Jikkyu blocca la via del Tokaidō per cento ri. E le roccaforti di Ishido la bloccano per il resto!”

“Sì, ma io prevedo di avanzare rapidamente a nordovest lungo la Koshu-kaidō, quindi piombare su Kyoto e tenermi lontano dalle zone costiere.”

Scuotendo la testa, cominciarono a parlare tutti insieme. Yabu si impose. “Ma, signore, il messaggio dice che il vostro parente Zataki è già passato al nemico! Quindi anche la strada a nord ora è bloccata. La sua provincia è a cavallo della Koshu-kaidō. Dovrete combattere in tutto lo Shinano, che è pieno di montagne e molto aspro, e con abitanti di una fedeltà da fanatici. Vi faranno a pezzi fra quei monti.”

“Quella è l’unica strada dove io abbia una possibilità. Lungo le coste ci sono troppi nemici.”

Yabu gettò un’occhiata a Omi, desiderando potersi consultare con lui, esasperato per il messaggio e per tutto il pasticcio di Osaka, e per aver dovuto parlare per primo, e odiando la condizione di vassallo che aveva accettato su consiglio di Omi.

“È la vostra unica possibilità, Yabu-sama,” aveva insistito Omi, “l’unico modo di evitare la trappola di Toranaga, mantenendo uno spazio di manovra…”

Igurashi lo aveva interrotto con rabbia. “Meglio prendere Toranaga adesso che ha qui pochi uomini! Meglio ammazzarlo e portarne la testa a Ishido finché c’è tempo.”

“Meglio aspettare, meglio avere pazienza…”

“E che succederà se Toranaga ordina al nostro padrone di consegnare l’Izu?” aveva gridato Igurashi. “Come feudatario, Toranaga ne ha il diritto!”

“Non lo farà. Ha più che mai bisogno del nostro padrone, adesso. L’Izu gli guarda il confine meridionale e lui non può averlo nemico! Deve avere il nostro padrone con…”

E se scacciasse il Nobile Yabu?”

“Potremmo ribellarci! Possiamo uccidere Toranaga, se è qui, e combattere contro qualunque esercito ci mandi addosso. Ma non lo farebbe mai, non capite? Se è suo vassallo, Toranaga deve proteggere…”

Yabu li aveva lasciati discutere a lungo e alla fine aveva riconosciuto la saggezza di Omi. “Benissimo. Sono d’accordo. E gli offrirò la spada di Murasama per rafforzare il patto,” aveva dichiarato soddisfatto, conquistato dall’astuzia del piano. “La sua spada di Yoshitomo la sostituisce largamente. Ed è ovvio che per Toranaga sono più prezioso che mai. Omi ha ragione, Igurashi. Non ho scelta. D’ora in poi sono legato a Toranaga. Vassallo!”

“Fino a quando verrà la guerra,” aveva aggiunto Omi.

“Certo. Naturale, solo fino a quando verrà la guerra! Allora cambierò parte… o farò altre cose. Hai di nuovo ragione, Omi-san!” Omi è il miglior consigliere che abbia mai avuto, pensò. Ma il più pericoloso. Se io muoio, è tanto intelligente e abile da prendersi l’Izu. Ma che importa? Siamo già tutti morti.

“Siete completamente bloccato,” disse a Toranaga. “Siete isolato.”

“Vedete delle alternative?”

“Scusatemi, signore, quanto tempo ci vorrebbe per preparare questo attacco?” chiese Omi.

“È già pronto.”

“Anche l’Izu è pronto,” intervenne Yabu. “I vostri centomila uomini e i miei sedicimila e il reggimento moschettieri… non bastano?”

“No. Cielo rosso è il piano della disperazione, che gioca tutto su un solo attacco.”

“Dovete correre quel rischio, appena cesserà la pioggia e potremo muoverci in guerra,” insiste Yabu. “Che altra scelta avete? Ishido formerà subito un altro Consiglio, perché ancora ne hanno il mandato. E voi sarete incriminato, oggi o domani o dopodomani. Perché aspettare di farvi divorare? Forse il reggimento potrebbe aprirsi la via fra le montagne! Che venga Cielo rosso! Tutti gli uomini lanciati in un solo attacco grandioso. È la guerra del guerriero… degna di samurai, Toranaga-sama. I moschetti, i nostri moschetti, toglieranno di mezzo Zataki e che importa se vincerete o perderete? Il tentativo vivrà per sempre!”

“Sì, ma vinceremo… noi vinceremo!” esclamò Naga. Fra i capitani qualcuno assentì, lieto che la guerra fosse venuta. Omi non parlò.

Toranaga guardava Buntaro. “Ebbene?”

“Signore, vi prego di esimermi dal darvi un’opinione. Io e i miei uomini faremo quello che voi ordinate. È il mio unico dovere. La mia opinione non conta, perché farò quello che deciderete voi.”

“Normalmente accetterei questa dichiarazione, ma oggi no!”

“Allora, guerra. È giusto quello che dice Yabu-san. Andiamo a Kyoto. Oggi, domani, o quando smette di piovere. Cielo rosso! Sono stanco di aspettare.”

“Omi-san?”

“Yabu-sama ha ragione, signore. Ishido si richiamerà alla volontà del Taikō per nominare al più presto un nuovo Consiglio, che avrà il mandato dell’imperatore. I vostri nemici lo applaudiranno e quasi tutti i vostri amici esiteranno e vi abbandoneranno. Il nuovo Consiglio vi incriminerà immediatamente. Allora…”

“Allora, è Cielo rosso?” lo interruppe Yabu.

“Se il Nobile Toranaga lo ordina, sia. Ma non credo che l’incriminazione abbia alcun valore. Potete dimenticarvela!”

“Perché?” chiese Toranaga, concentrando ogni attenzione su Omi.

“Concordo con voi. Ishido è il male, ne? Tutti i daimyo che accettino di servirlo sono anch’essi il male. Gli uomini veri riconoscono Ishido per quello che è, e sanno che l’imperatore è stato una volta ancora truffato.” Omi si avventurava con prudenza sulle sabbie mobili, che potevano anche inghiottirlo. “Credo che con l’uccisione del Nobile Sugiyama abbia commesso un errore irrimediabile: a causa di simili omicidi ignobili, penso che tutti i daimyo temano un tradimento da parte di Ishido e ben pochi, fuori dalla sua portata immediata, si piegheranno agli ordini del suo Consiglio. Siete salvo. Per un certo tempo.”

“Per quanto tempo?”

“Le piogge dureranno due mesi, pressappoco. Quando finiranno, Ishido progetterà di mandare contro di voi contemporaneamente Ikawa Jikkyu e il Nobile Zataki, per stringervi in una morsa, e il grosso delle sue forze andrà a sostenerli, lungo la via del Tokaidō. Nel frattempo, fino a che non finiranno le piogge, tutti i daimyo che hanno qualche rancore contro altri daimyo si limiteranno a obbedire a Ishido a parole, in attesa della sua prima mossa. Poi si dimenticheranno di lui e si vendicheranno o si impadroniranno di altri territori a loro piacimento. L’impero sarà diviso come era prima del Taikō. Ma voi, signore, con l’aiuto di Yabu-sama e le vostre forze, con una certa fortuna, avete la possibilità di tenere i passi del Kwanto e dell’Izu contro la prima ondata e respingerla. Non credo che Ishido sia in grado di scatenare un secondo attacco… non grosso. Quando lui e gli altri avranno consumato le proprie forze, voi e il Nobile Yabu potrete uscire dal vostro riparo e gradatamente prendere nelle vostre mani tutto l’impero.”

“Quando avverrà questo?”

“Con i vostri figli, signore.”

“Vorresti combattere in posizione di difesa?” chiese Yabu sprezzante.

“Io credo che, uniti, siate entrambi al sicuro dietro i monti. Voi potete aspettare, Toranaga-sama. Aspettate fino a che avrete altri alleati. Siete voi padrone dei passi! Lo potete fare. Il generale Ishido è il male, ma non è tanto stupido da impegnare tutte le sue forze in una sola battaglia. Resterà dentro le mura di Osaka e quindi, per il momento, non avremo bisogno di usare il reggimento. Dobbiamo rafforzare i sistemi di sicurezza e mantenerlo come arma segreta, sempre pronta, fino a quando uscirete dalle montagne… ma non credo che nemmeno io lo vedrò mai usare.” Omi si rendeva conto di aver attirato l’attenzione di tutti. S’inchinò a Toranaga. “Scusatemi, vi prego, signore, per aver parlato così a lungo.”

Toranaga lo studiò, poi gettò un’occhiata al figlio. Ne scorse l’eccitazione appena contenuta. E capì che era il momento di lanciarlo sulla sua preda. “Naga-san?”

“È vero quello che dice Omi-san,” gli rispose Naga, in tono esultante. “In gran parte. Ma io dico: usate i due mesi per raccogliere alleati, per isolare ancora di più Ishido, e quando finiscono le piogge, attaccate senza preavviso… Cielo rosso.”

“Non concordi con il piano di Omi-san per un procedimento più lungo?”

“No. Ma non è questo…” Naga s’interruppe.

“Avanti, Naga-san. Parla apertamente!”

Naga si trattenne con la faccia a un tratto sbiancata.

“Ti ordino di proseguire!”

“Ebbene, ho pensato che…” si fermò di nuovo, poi parlò tutto d’un fiato. “Non è la vostra grande occasione per diventare Shōgun? Se riuscite a conquistare Kyoto, perché formare un Consiglio? Perché non chiedere all’imperatore di nominarvi Shōgun? Sarebbe meglio per voi e meglio per il regno.” Naga cercò di non lasciar trapelare la paura nella sua voce, perché stava consigliando di tradire Yaemon e i samurai presenti erano quasi tutti dei lealisti — Yabu, Omi, Igurashi, e soprattutto Buntaro. “Io affermo che dovreste essere Shōgun!” Si voltò verso gli altri. “Se si perde quest’occasione… Omi-san, avete ragione parlando di una lunga guerra, ma io dico che il Nobile Toranaga deve prendere il potere per dare il potere! Una lunga guerra rovinerà l’impero, lo spezzerà di nuovo in mille frammenti. E chi desidera questa fine? Il nostro Signore Toranaga deve essere Shōgun. Per passare l’impero nelle mani di Yaemon, del Nobile Yaemon, prima occorre che il regno sia solido! Non si presenterà mai un’altra occasione…” La sua voce si spense. Egli raddrizzò le spalle spaventato, ma lieto di aver espresso pubblicamente quello che pensava da sempre.

Toranaga sospirò. “Non ho mai cercato di diventare Shōgun. Quante volte dovrò ripeterlo? Io difendo mio nipote Yaemon e la volontà del Taikō.” Li fissò tutti, uno per uno, ultimo Naga. Il giovane sbatté le palpebre, ma Toranaga, richiamandolo sul pugno, gli disse gentilmente: “Solo il tuo ardore e la tua giovinezza ti scusano. Purtroppo molti altri, più vecchi e più saggi di te, credono che questa sia la mia ambizione. Non è così. C’è un solo modo per chiarire questa sciocchezza ed è di mettere al potere Yaemon. E questo intendo fare.”

“Sì, padre. Grazie,” rispose Naga, disperato.

Toranaga fissò Igurashi. “Qual è la tua opinione?”

Il samurai si grattò la testa. “Io sono solo un soldato, non un consigliere, ma non vi consiglierei Cielo rosso, nemmeno se potessimo combattere alle nostre condizioni, come dice Omi-san. Io ho combattuto nello Shinano, anni fa. È un brutto paese, e allora Zataki era con noi. Non vorrei tornarci, e soprattutto mai con Zataki nemico. E se Maeda è già sospetto, come potete pensare a una battaglia? Il vostro maggiore alleato rischia di abbandonarvi! Il Nobile Ishido manderà contro di voi due-trecentomila uomini e ne terrà altri centomila a difendere Osaka. Anche con i moschetti, noi non abbiamo uomini sufficienti per attaccare. Invece, dietro le montagne, potrete resistere all’infinito, se le cose andranno come dice Omi-san. Possiamo tenere i passi. Riso ne avete abbastanza… il Kwanto non fornisce metà dell’impero? Almeno un terzo… e noi possiamo mandarvi tutto il pesce che volete. Sareste al sicuro. Che vengano il Nobile Ishido e Ikawa Jikkyu! I nemici si divoreranno l’un l’altro. Se non andasse così, tenetevi pronti a Cielo rosso. Un uomo non può morire che una volta per il suo signore.”

“Qualcuno ha altro da aggiungere?” chiese Toranaga. Nessuno gli rispose. “Mariko-san?”

“Non spetta a me parlare qui, signore,” rispose lei. “Sono sicura che sia stato detto tutto quello che c’era da dire. Ma permettetemi di chiedervi a nome di tutti questi vostri consiglieri: voi, personalmente, che cosa pensate che accadrà?”

Toranaga scelse le parole con cura. “Credo che avverrà quanto ha previsto Omi-san. Con un’eccezione: il Consiglio non sarà impotente, ma conserverà tanta forza da riunire un esercito di alleati, praticamente invincibile. Quando finiranno le piogge, esso verrà spedito contro il Kwanto, tralasciando l’Izu; poi, inghiottito il Kwanto, toccherà all’Izu. Solo dopo la mia morte i daimyo combatteranno fra loro. ’ ’

“Ma perché, signore?” si azzardò a chiedere Omi.

“Perché ho troppi nemici, perché possiedo il Kwanto, perché ho fatto la guerra per quarant’anni e non ho mai perso una battaglia. Hanno tutti paura di me. Io so che gli avvoltoi prima si riuniranno per distruggere me. Dovete capire con tutta chiarezza, voi tutti, che io costituisco l’unica vera minaccia per Yaemon, anche se non sono affatto una minaccia. Questa è l’ironia della cosa! Tutti sono convinti che io miri a essere Shōgun. Invece no. Si tratta, una volta ancora, di una guerra che non sarebbe affatto necessaria!”

Naga ruppe il silenzio. “Allora cosa farete?”

“Ovviamente, sarà Cielo rosso.”

“Ma avete detto che ci distruggeranno…”

“Lo farebbero… se gliene lasciassi il tempo. Ma io non gli darò nessun tempo. Entreremo in guerra immediatamente!”

“Ma le piogge?”

“Arriveremo a Kyoto bagnati. Accaldati, puzzolenti e bagnati. Sorpresa, mobilità, audacia e calcolo giusto dei tempi, sono quelli che vincono le guerre, ne? Yabu-san aveva ragione: i moschetti si apriranno la strada fra le montagne.”

Per un’ora esaminarono piani diversi, discutendo degli aspetti di una guerra su larga scala nella stagione delle piogge — strategia assolutamente inedita. Poi Toranaga li mandò via, trattenendo solo Mariko e dicendo a Naga di ordinare all’Anjin-san di raggiungerlo. Li osservò allontanarsi. Una volta presa la decisione, si erano mostrati tutti entusiasti, specie Naga e Buntaro. Solo Omi era apparso riservato e pensoso, e non del tutto convinto. Toranaga non teneva conto di Igurashi, perché sapeva che avrebbe obbedito agli ordini di Yabu e considerava Yabu una pedina, infida, ma comunque una pedina. Omi è l’unico degno di attenzione, pensò. Chissà se ha intuito quello che sto preparando in realtà.

“Mariko-san, informatevi, con tatto, di quanto venga a costare il contratto della cortigiana.”

Lei sbatté le palpebre. “Kiku-san, signore?”

“Sì.”

“Adesso? Subito?”

“Stasera basterà.” La guardò con un leggero sorriso. “Non è detto che il suo contratto serva per forza a me… forse per un mio ufficiale.”

“Suppongo che il prezzo dipenderà dall’acquirente, signore.”

“Lo suppongo anch’io. Ma fissate un prezzo. Naturalmente la ragazza ha il diritto di rifiutare, se vuole, quando saprà il nome del samurai, ma dite a Marna-san che immagino che la ragazza non sia tanto maleducata da non fidarsi della scelta che faccio per lei. Ditele anche che Kiku è una dama di prima classe di Mishima, e non di Yedo, o Osaka, o Kyoto. Quindi intendo pagare i prezzi di Mishima e non di Yedo, o Osaka, o Kyoto.“

“Sì, mio signore, certo.”

Toranaga mosse le spalle, per alleviare il dolore al braccio destro che ogni tanto lo faceva soffrire, e spostò le spade.

“Posso massaggiarvi, Toranaga-sama? O vi posso chiamare Suwo?”

“No, grazie. Vedrò Suwo più tardi.” Toranaga si alzò e fece i suoi bisogni, provandone grande sollievo, poi tornò a sedere. Portava un chimono corto, di seta leggera, a disegni blu, e sandali di paglia. Il ventaglio era blu, con il suo stemma.

Il sole era basso e nuvole cariche di pioggia si andavano ammassando. “È meraviglioso sentirsi vivi!” esclamò felice. “Posso quasi udire la pioggia che aspetta di nascere.”

“Sì,” rispose lei.

Toranaga meditò per un istante, poi disse, come se fossero versi:

 

Il cielo

bruciato dal sole

piange

lacrime feconde.

 

Mariko, obbediente, mise al lavoro il cervello per giocare con lui al gioco della poesia, che tanto piaceva ai samurai: dalle sue parole trarre altre immagini e altri versi. E dopo un momento gli rispose:

 

Ma la foresta

ferita dal vento

piange

foglie morte.

 

“Ben detto! Molto ben detto!” Toranaga la guardò soddisfatto, godendo i versi. Mariko indossava un chimono verde pallido con disegni di bambù e un obi arancio scuro. Anche il parasole era arancio, e dava una splendida sfumatura ai capelli nero-azzurri, raccolti sotto il cappello a larghe tese. Toranaga ripensò con nostalgia a quanto l’avevano desiderata tutti — compreso il dittatore Goroda — quando lei aveva tredici anni e suo padre, Akechi Jinsai, l’aveva presentata per la prima volta alla corte di Goroda. E come Nakamura, il futuro Taikō, avesse pregato Goroda di dargliela, e come Goroda avesse riso, chiamandolo in pubblico “il suo piccolo generale-scimmia” e esortandolo “a farsi le battaglie e le contadine e non le figlie della nobiltà”! Akechi Jinsai aveva apertamente disdegnato Nakamura, suo rivale nei favori di Goroda (e per quello Nakamura aveva tanto goduto di schiacciarlo, in seguito, e poi aveva goduto di vedere soffrire per anni Buntaro, a cui la ragazza era stata concessa per cementare l’alleanza fra Goroda e Toda Hiro-matsu). Vorrei sapere, si disse Toranaga con malizia, osservando Mariko, vorrei sapere se, morendo Buntaro, accetterebbe di diventare mia concubina. Toranaga aveva sempre preferito donne esperte, vedove o divorziate, mai donne troppo belle o troppo sagge o troppo giovani o troppo altolocate, così che non aveva mai avuto troppi guai, ma aveva ricevuto invece gratitudine. Rise fra sé. Non glielo chiederei mai perché ha proprio tutto quello che io non voglio in una concubina… solo la sua età è perfetta.

“Signore?” chiese lei.

“Meditavo sulla vostra poesia, Mariko-san.” disse dolcemente. Poi aggiunse:

 

Perché così invernale?

L’estate ancora

deve venire e la caduta

del glorioso autunno.

 

E lei rispose:

 

Se potessi usare le parole

come foglie cadenti,

quale splendido falò

nascerebbe dalle mie parole!

 

Egli rise e s’inchinò con falsa umiltà. “Vi concedo la vittoria, Mariko-sama. Quale sarà il dono? Un ventaglio? O un velo per i vostri capelli?”

“Grazie, signore,” rispose Mariko. “Quello che piacerà a voi.”

“Diecimila koku l’anno per vostro figlio.”

“Oh, non meritiamo un simile favore!”

“Avete segnato una vittoria. Vittorie e doveri devono essere compensati. Quanti anni ha adesso Saruji?”

“Quindici… quasi quindici.”

“Già… di recente si è fidanzato con una nipote del Nobile Kiyama. vero?”

“Sì, signore. Nell’undicesimo mese dell’anno scorso, il mese del Gelo Bianco. Ora si trova a Osaka con il Nobile Kiyama.”

“Bene. Diecimila koku, a partire da adesso. Manderò l’ordine con la posta di domani. E ora basta con le poesie. Voglio la vostra opinione.”

“La mia opinione, signore, è che nelle vostre mani siamo tutti al sicuro e nelle vostre mani il paese è al sicuro.”

“Voglio che siate seria.”

“Ma lo sono, signore! Vi ringrazio per il favore mostrato a mio figlio, che rende tutto perfetto. Io sono convinta che qualunque cosa facciate sarà giusta. Sulla Madon… sì, giuro sulla Madonna che ne sono convinta.”

“Bene. Ma voglio ugualmente la vostra opinione.”

Mariko rispose di slancio, senza preoccuparsi di nessuna prudenza, da pari a pari. “Primo: dovete riportare al vostro fianco Zataki. Di certo sapete già come fare o, molto probabilmente, avete già un accordo segreto con il vostro fratellastro, e gli avete suggerito voi questa apparente ‘defezione’ per cullare Ishido in un’illusione. Secondo: non attaccherete mai per primo. Non lo avete mai fatto, avete sempre consigliato la pazienza e attaccato solo quando siete certo di vincere, quindi questa dichiarazione pubblica del Cielo rosso immediatamente non è che un altro diversivo. Terzo: il calcolo dei tempi; la mia opinione è che dovreste fare quello che volete, e fingere di ordinare Cielo rosso, ma senza mai impegnarvi. Questo metterà in confusione Ishido, perché naturalmente le spie qui e a Yedo gli riferiranno il vostro piano e lui dovrà disperdere le sue forze come una covata di pernici, nella cattiva stagione, per prepararsi contro una minaccia che non si avvererà mai. Nel frattempo voi impiegherete i prossimi due mesi a raccogliere alleanze, per rompere quelle di Ishido e la sua coalizione, come dovete fare a ogni costo. E naturalmente dovete attirare Ishido fuori dal castello di Osaka. Se non lo fate, signore, lui vincerà, o almeno voi perderete la possibilità di diventare Shōgun. Voi…”

“Ho già chiarito la mia posizione in proposito,” ribatté Toranaga, non più divertito, “e voi state passando i limiti.”

Mariko replicò tranquilla: “Devo dire le cose più segrete oggi, signore, per via degli ostaggi. Sono un coltello nel vostro cuore. Abbiate pazienza con me, vi prego. Non sarò forse mai più in grado di parlare con voi ‘con aperta confidenza inglese’ come dice l’Anjin-san… non siete mai solo, come in questo momento. Vi prego di scusare le mie cattive maniere.” Mariko si raccolse un momento in se stessa e riprese coraggiosamente a parlare da pari a pari. “La mia opinione vera è che Naga-san aveva ragione. Dovete diventare Shōgun, o avrete mancato al vostro dovere verso l’impero e verso i Minowara.

“Come osate dire una cosa simile?”

Mariko rimase serena, quasi che la sua collera non la sfiorasse. “Io vi consiglio di sposare la Nobile Ochiba. Mancano otto anni al giorno in cui Yaemon sarà maggiorenne e potrà ricevere la sua eredità… è un’eternità! Non sappiamo cosa possa accadere in otto mesi, figuratevi in otto anni!”

“Tutta la vostra famiglia potrebbe essere eliminata in otto giorni.”

“Sì, signore. Ma questo non ha nulla a che fare con voi e il vostro dovere e con il regno. Naga-san ha ragione. Dovete prendere il potere per dare potere.” Con finta gravità aggiunse, d’un fiato: “E ora la vostra leale consigliera può fare seppuku, o deve farlo più tardi?” e finse di svenire.

Toranaga rimase sbalordito davanti alla sua audacia, poi scoppiò in una risata tonante, battendo il pugno per terra. Quando riuscì a parlare, mezzo soffocato, esclamò: “Non vi capirò mai, Mariko-san!”

“Ah, invece mi capite, signore!” rispose lei, asciugandosi il sudore dalla fronte. “Siete buono a permettere a questa devota vassalla di farvi ridere, ad ascoltare le sue richieste, a permetterle di dire quanto doveva essere detto. Perdonate la mia impertinenza, vi prego.”

“Perché dovrei, eh? Perché?” chiese Toranaga sorridendo.

“Per via degli ostaggi, signore,” esclamò lei con semplicità.

“Già, loro!”

“Sì. Dovete andare a Osaka.”

“Lo so,” rispose Toranaga, tornato serio.