21
Subito dopo il tramonto Kiri scese nervosamente i gradini, seguita da due cameriere. Si diresse alla sua portantina chiusa, che aspettava presso il padiglione del giardino. Un mantello voluminoso riparava il chimono da viaggio e la faceva apparire ancora più grassa. Un ampio cappello a larghe tese le copriva il capo, legato sotto il mento.
Le Nobili Sazuko e Mariko l’aspettavano pazienti sulla veranda. Blackthorne stava appoggiato al muro, accanto alla porta ferrata. Indossava un chimono dei Marroni, con la cintura, tabi e sandali militari. Nel cortile, fuori dal portone, i sessanta samurai di scorta, nelle pesanti armature, stavano allineati. Uno ogni tre di loro reggeva una torcia. Alla testa dei soldati Yabu conversava con Buntaro — il marito di Mariko — un uomo basso, tozzo, quasi senza collo. Erano entrambi vestiti in maglia di ferro, con archi e faretre in spalla e Buntaro portava anche un elmo da guerra d’acciaio, sormontato da un corno. Portatori e kaga stavano accovacciati, pazientemente, in ben disciplinato silenzio, accanto agli innumerevoli bagagli.
La brezza lieve portava una promessa d’estate, ma soltanto Blackthorne la avvertiva per quanto consapevole, come gli altri, della tensione che li circondava. E consapevole anche, spiacevolmente, di essere l’unico disarmato.
Kiri raggiunse traballando la veranda. “Non dovreste attendere qui al fresco, Sazuko-san. Prenderete il raffreddore! Dovete pensare al bambino, adesso. Queste notti di primavera sono ancora molto umide.”
“Non ho freddo, Kiri-san. È una bella notte e mi fa piacere.”
“Tutto a posto?”
“Oh, sì, tutto perfetto.”
“Vorrei non partire. Detesto l’idea di andarmene.”
“Non c’è da preoccuparsi,” disse in tono confortante Mariko, avvicinandosi. Anche lei portava un cappello largo, ma il suo era chiaro, e quello di Kiri scuro. ”Sarete contenta di ritrovarvi a Yedo. E il nostro padrone ci raggiungerà entro pochi giorni.”
“Chi può mai sapere che cosa ci porterà il domani, Mariko-san?”
“Il domani è nelle mani di Dio.”
“Domani sarà una bella giornata, e altrimenti sarà brutta!” esclamò Sazuko.” Perché pensare a domani? Il presente va bene. Voi siete splendida e ci mancherete molto, Kiri-san, e anche voi, Mariko-san!” Guardò verso il portone, distratta, perché Buntaro stava gridando rabbioso contro un samurai, che aveva lasciato cadere la torcia.
Yabu, più anziano di Buntaro, era nominalmente a capo della spedizione. Avendo visto arrivare Kiri, riattraversò il portone, seguito da Buntaro.
“Oh, Nobile Yabu… Nobile Buntaro,” esclamò Kiri, con un rapido inchino. “Mi spiace di avervi fatto aspettare. Toranaga-sama voleva scendere, ma poi ha deciso il contrario. Dovete partire subito, ha detto. Accettate le mie scuse, vi prego.”
“Non sono necessarie,” rispose Yabu, che voleva al più presto lasciare il castello, e Osaka, e ritrovarsi nell’Izu. Ancora non credeva alla buona sorte di ripartire con la testa sul collo, il barbaro, i cannoni e tutto il resto. Aveva spedito messaggi urgenti, con i piccioni viaggiatori, alla moglie a Yedo, perché si assicurasse che tutto fosse stato preparato a Mishima, la sua capitale, e a Omi, ad Anjiro. “Siete pronta?”
Negli occhi di Kiri luccicarono le lacrime. “Lasciatemi riprendere fiato e salirò sulla portantina. Oh, come vorrei non dover partire!” Si guardò intorno, cercando Blackthorne e infine lo scorse nell’ombra. “Chi è responsabile dell’Anjin-san, fino a quando saliremo sulla nave?”
Buntaro rispose stizzosamente: “Gli ho ordinato di camminare accanto alla portantina di mia moglie. Se non lo terrà sotto controllo lei, ci penserò io.”
“Forse, Yabu-sama, voi scorterete la Nobile Sazuko…”
“Guardie!”
Il grido d’allarme venne dal cortile. Buntaro e Yabu si affrettarono a varcare il portone, mentre tutti gli uomini correvano dietro a loro e altri sciamavano fuori dal corpo di guardia.
Ishido si stava avvicinando lungo la strada fra le mura del castello, alla testa di duecento Grigi. Si fermò nel cortile, prima del portone e benché nessuno, dalle due parti, apparisse ostile, e nessuno brandisse la spada o l’arco, tutti erano pronti.
Ishido si inchinò cerimoniosamente. “Una bella serata, Nobile Yabu.” “Sì, veramente.”
Ishido concesse un cenno del capo a Buntaro, che gli rispose allo stesso modo, con il minimo consentito della cortesia. Entrambi erano stati fra i generali preferiti del Taikō e Buntaro si era trovato alla testa di un reggimento in Corea, quando Ishido era comandante in capo. Si erano accusati di tradimento a vicenda e solo l’intervento personale e un ordine preciso del Taikō avevano impedito uno spargimento di sangue e la conseguente faida.
Ishido esaminò i Marroni, poi scorse Blackthorne. Lo vide inchinarsi e gli restituì il saluto. Oltre il portone vide le tre donne e l’altra portantina. Il suo sguardo tornò su Yabu. “Si crederebbe che andaste tutti a combattere, Yabu-san, invece che semplicemente a scortare la Nobile Kiritsubo.”
“Hiro-matsu ha emanato ordini, a causa dell’assassino Amida…”
Yabu s’interruppe, perché Buntaro si era fatto avanti con aria bellicosa, piantandosi a gambe larghe in mezzo al portone. “Siamo sempre pronti a combattere. Con o senza armatura. Possiamo battere dieci uomini dei vostri per ognuno di noi, e cinquanta dei Mangiatori d’aglio. Non voltiamo mai le spalle, per scappare come vigliacchi, lasciando i compagni nel pericolo.”
Il sorriso di Ishido fu pieno di disprezzo, la voce piena di sfida. “Oh? Forse avrete presto l’occasione… l’occasione di battervi contro uomini veri, non contro i Mangiatori d’aglio!”
“Quanto presto? Perché non stanotte? Perché non qui?”
Yabu avanzò prudentemente in mezzo a loro. Anch’egli era stato in Corea e sapeva che entrambe le parti sostenevano qualcosa di vero e che non c’era da fidarsi di nessuno dei due, di Buntaro meno che di Ishido. “Non stanotte, perché siamo fra amici, Buntaro-san,” disse in tono tranquillizzante, nel tentativo disperato di evitare uno scontro che li avrebbe bloccati per sempre dentro il castello. “Siamo fra amici, Buntaro-san.”
“Quali amici? Io conosco gli amici… e i nemici!” Buntaro si girò verso Ishido. “Dov’è l’uomo, l’uomo vero di cui avete parlato, Ishido-san? O gli uomini? Strisci, o striscino, fuori dai loro buchi e mi vengano davanti, davanti a me, Toda Buntaro, signore di Sakura… se ce n’è uno che ne ha il fegato!”
Tutti si raddrizzarono in attesa.
Ishido gli rispose con un’occhiata carica di odio. “Non è il momento, Buntaro-san. Amico o ne…”
“Amici? Dove? In questo immondezzaio?” Buntaro sputò.
Uno dei Grigi strinse l’elsa della spada, dieci Marroni lo imitarono, e dopo un istante altri cinquanta Grigi, e tutti aspettarono che Ishido sguainasse la sua spada, dando il segnale dell’attacco.
A quel punto uscì dalle ombre del giardino Hiro-matsu e passò nel cortile, con la spada lunga in mano, per metà fuori dal fodero.
“Anche nell’immondezzaio a volte puoi incontrare degli amici, figlio mio,” disse con calma. Le mani si rilassarono sulle spade. I samurai sui bastioni che si fronteggiavano, Grigi e Marroni, allentarono la tensione degli archi con le frecce già incoccate. “Abbiamo amici in tutto il castello. In tutta Osaka, sì. Il nostro Signore Toranaga continua a ripetercelo.” Rimase fermo come una roccia davanti all’unico figlio che gli era rimasto, vedendogli negli occhi la sete di sangue. Appena era stato scorto Ishido avvicinarsi, Hiro-matsu si era appostato dietro il portone, poi, passato il primo pericolo, si era addentrato nell’ombra come un gatto. Fissò lo sguardo in quello di Buntaro. “Non è vero, figlio mio?”
Con uno sforzo immane, Buntaro annuì e indietreggiò di un passo, sempre impedendo però l’accesso al giardino. Hiro-matsu si rivolse a Ishido. “Non vi aspettavamo stasera, Ishido-san.”
“Sono venuto a rendere omaggio alla Nobile Kiritsubo. Solo pochi momenti fa ho appreso che stava per partire.”
“Ha ragione mio figlio? Dobbiamo preoccuparci di non trovarci fra amici? Siamo degli ostaggi, che devono chiedere permessi?”
“No. Ma Toranaga-sama e io avevamo deciso insieme il protocollo durante la sua visita qui. Si deve dare l’avviso della partenza o dell’arrivo di ogni personaggio importante un giorno prima, così che io possa rendere i dovuti omaggi.”
“La decisione del Nobile Toranaga è stata improvvisa. Non ha giudicato il ritorno di una Nobildonna a Yedo tanto importante da disturbare voi,” rispose Hiro-matsu. “Egli sta semplicemente compiendo i preparativi per la sua partenza.”
“E questa è già stata decisa?”
“Sì. Il giorno in cui finirà il Consiglio dei reggenti. Ne sarete debitamente informato, secondo il protocollo.”
“Bene. Naturalmente, la riunione sarà forse ulteriormente rinviata. Il Nobile Kiyama sta ancora peggio di salute.”
“È rinviata? Sì o no?”
“Ho detto solo che potrebbe esserlo. Ci auguriamo di godere il piacere della presenza del Nobile Toranaga ancora a lungo. Verrà domani a caccia con me?”
“Io l’ho pregato di cancellare tutte le cacce fino al giorno della riunione. Non le considero sicure. Non considero più sicura nessuna zona, qui. Se degli sporchi assassini riescono a superare così facilmente le vostre sentinelle, non sarebbe molto più facile l’agguato fuori dalle mura?”
Ishido finse di non sentire l’insulto. Sapeva che esso, insieme agli altri affronti, aveva ulteriormente infiammato i suoi uomini, ma ancora non riteneva giunto il momento di dar fuoco alle polveri. Era stato lieto dell’intervento di Hiro-matsu, perché il dominio della situazione e di sé gli era quasi sfuggito. La visione della testa di Buntaro nella polvere, con i denti che sbattevano, l’aveva quasi vinto. “Tutti i comandanti della guardia di servizio quella notte hanno già avuto l’ordine di entrare nel Grande Vuoto, come sapete. Gli Amida rispettano leggi tutte loro, purtroppo. Ma presto saranno sterminati. I reggenti saranno incaricati di risolverne il problema una volta per tutte. Adesso, forse, potrò porgere i miei rispetti a Kiritsubo-san.”
Ishido avanzò. La sua guardia del corpo, composta da Grigi, avanzò dietro a lui. E tutti si arrestarono, con un brivido. Buntaro, con una freccia nell’arco, tendeva l’arma, pur puntandola verso terra. “Ai Grigi è vietato superare questo portone. È stato fissato dal protocollo.”
“Io sono governatore del castello di Osaka e comandante della guardia del corpo dell’erede! Ho il diritto di andare ovunque”
Di nuovo Hiro-matsu dominò la situazione. “Esatto, voi siete il comandante della guardia del corpo dell’erede e avete il diritto di andare ovunque, ma soltanto cinque uomini possono accompagnarvi oltre il portone. Non è stato concordato fra voi e il mio padrone, per il suo soggiorno?”
“Cinque o cinquanta, non fa differenza! L’insulto è insop…”
“Insulto? Mio figlio non intende insultarvi, affatto. Segue gli ordini fissati dal suo feudatario e da voi. Cinque uomini. Cinque!” La parola suonò come un ordine e Hiro-matsu voltò le spalle a Ishido, per guardare il figlio. “Il Nobile Ishido ci fa l’onore di voler rendere omaggio a Kiritsubo-sama.”
La spada del vecchio era sguainata di cinque centimetri e nessuno sapeva con certezza se sarebbe piombata su Ishido, in un eventuale combattimento, o sulla testa del figlio, nel caso avesse alzato l’arco. I presenti sapevano per certo solo che ben poco affetto esisteva tra padre e figlio, unicamente un reciproco rispetto per la comune crudeltà. “Ebbene, figlio mio, che cosa dici al comandante della guardia del corpo dell’erede?”
Il sudore scorreva a rivoli sul viso di Buntaro. Dopo un istante egli si spostò di lato e allentò l’arco. Però tenne la freccia incoccata.
Ishido aveva visto molte volte Buntaro durante gare di tiro alla freccia; le lanciava a duecento passi ed era arrivato a piazzare sei frecce nel bersaglio, dietro la prima, tutte nello stesso punto. Sarebbe stato felice di ordinare un attacco in quel momento ed eliminare quei due, padre e figlio, e tutto il resto. Ma sapeva che sarebbe stato un gesto idiota cominciare con loro e non con Toranaga, senza contare che, allo scoppio della guerra vera, forse Hiro-matsu poteva essere indotto ad abbandonare Toranaga e schierarsi con lui. La Nobile Ochiba aveva detto che avrebbe avvicinato lei Pugno di ferro, al momento giusto. Aveva giurato che il vecchio non avrebbe mai abbandonato l’erede, che lei se lo sarebbe conquistato, staccandolo da Toranaga, e forse lo avrebbe spinto addirittura a ucciderlo, così da evitare ogni conflitto. Quale forza possiede su di lui? si chiedeva Ishido. Quale segreto conosce? Aveva ordinato che la Nobile Ochiba lasciasse Yedo, possibilmente prima della riunione dei reggenti. Dopo l’incriminazione di Toranaga, la vita di lei non sarebbe valsa un soldo… e sull’incriminazione i reggenti erano tutti d’accordo. Incriminazione e immediato seppuku — a forza, se necessario. Se lei riesce a fuggire, bene. Se non ci riesce, non importa. Entro otto anni l’erede regnerà.
Entrò nel giardino, scortato da Yabu e da Hiro-matsu. Cinque guardie lo seguirono. Si inchinò garbatamente e augurò buon viaggio a Kiritsubo. Poi, soddisfatto, si voltò e se ne andò con tutti i suoi.
Hiro-matsu respirò e si grattò i testicoli. “È meglio che adesso partiate, Yabu-san. Quel grano di riso non vi darà più fastidi.”
“Sì. Immediatamente.”
Kiri si asciugò il sudore sulla fronte con un fazzolettino. “È un kami diabolico! Ho paura per il nostro padrone.” Le lacrime cominciarono a scorrere. “Non voglio partire!”
“Nessuno toccherà il Nobile Toranaga, ve lo prometto, padrona,” le disse Hiro-matsu. “Dovete andare. Subito!”
Kiri cercò di frenare i singhiozzi e slegò il velo fitto che pendeva dalla tesa del cappello. “Oh, Yabu-sama, volete scortare la Nobile Sazuko all’interno, per favore?”
“Certamente.”
La Nobile Sazuko si inchinò e si affrettò ad andarsene, seguita da Yabu. In cima ai gradini scivolò e cadde.
“Il bambino!” gridò Kiri. “Vi siete fatta male?”
Tutti gli occhi si volsero alla ragazza per terra. Mariko corse verso di lei, ma Yabu fu il primo a raggiungerla. La sollevò e Sazuko apparve più spaventata che altro. “Sto bene,” mormorò, col respiro un po’ affannoso. “Non vi preoccupate, sto benissimo. Sono stata una sciocca.”
Quando si fu rassicurato, Yabu tornò nel cortile, preparandosi a partire all’istante, Mariko tornò al portone, molto sollevata. Blackthorne guardava stupito verso il giardino.
“Che cosa c’è?” gli chiese.
“Niente,” rispose lui, dopo una pausa. “Cosa ha gridato Kiritsubo-sa-ma?”
“‘Il bambino! Vi siete fatta male?’ La Nobile Sazuko aspetta un figlio,” spiegò. “Tutti abbiamo temuto che la caduta potesse averle fatto male.”
“Un figlio di Toranaga-sama?”
“Sì” rispose Mariko, guardando la portantina.
Kiri si trovava già all’interno, con le tendine abbassate. Poverina, pensò Mariko, sapendo che aveva inutilmente cercato di trattenere le lacrime. Al suo posto avrei altrettanta paura di perdere il mio signore.
I suoi occhi si posarono su Sazuko, che li salutava ancora, in cima alle scale, e poi entrava. La porta di ferro si chiuse dietro di lei. Sembra un suono di morte, pensò Mariko. Li rivedremo mai?
“Che cosa voleva Ishido?” chiese Blackthorne.
“Era… non so la parola giusta. Stava investigando… facendo un giro d’ispezione non previsto.”
“Perché?”
“È il comandante del castello,” rispose lei, che non intendeva rivelare le ragioni vere.
Yabu stava gridando ordini, in testa alla colonna, poi si avviò. Mariko salì sulla portantina, lasciando le tendine semiaperte. Buntaro accennò a Blackthorne di camminarle al fianco e lui obbedì.
Attesero il passaggio della portantina di Kiri. Blackthorne guardò la figura seminascosta e ne udì i singhiozzi soffocati. Le due cameriere, Asa e Sono, le camminavano accanto con aria spaventata. Blackthorne si voltò a gettare un ultimo sguardo: Hiro-matsu era ritto da solo accanto al padiglione, appoggiato alla spada. Poi il giardino scomparve alla vista, perché i samurai chiusero l’enorme portone blindato. La grande sbarra di legno fu collocata al suo posto. Nel cortile non c’erano più guardie, erano tutte all’interno.
“Che cosa succede?” domandò Blackthorne.
“Prego, Anjin-san?”
“Sembrano assediati. Marroni contro Grigi. Si aspettano altri guai? Peggiori?”
“Oh, è normale chiudere i portoni per la notte,” rispose Mariko.
Blackthorne si avviò insieme alla portantina e Buntaro e la retroguardia presero posto dietro di lui. L’inglese guardava la portantina che li precedeva, il passo ondeggiante dei portatori e la figura dietro le tendine. Per quanto cercasse di nasconderlo, si sentiva molto turbato. Quando Kiritsubo aveva gridato, l’aveva guardata, mentre tutti gli altri fissavano la ragazza caduta. Il suo impulso era stato di imitarli, ma aveva visto Kiritsubo infilarsi a un tratto, con sorprendente rapidità, dentro il padiglione. Per un attimo aveva pensato a un brutto tiro dei suoi occhi, perché nell’oscurità il mantello e il chimono, il cappello e il velo tutti scuri rendevano la donna quasi invisibile. Aveva osservato la figura scomparire per un attimo, poi riapparire e infilarsi nella portantina come una freccia e tirare le tende. Per un istante i loro occhi si erano incontrati. Era Toranaga.