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“Isogi!” urlò Blackthorne, spronando il capovoga ad accelerare il ritmo. Guardò la fregata che si andava avvicinando a loro, a vele spiegate, poi scrutò avanti, valutando la successiva virata che avrebbe dovuto compiere, perché lo spazio era piuttosto scarso per lei, vicino agli scogli. Pochi metri per evitare un disastro. La fregata doveva virare a causa del vento, per raggiungere l’imboccatura del porto, mentre la galea poteva manovrare a suo piacimento, ma la Santa Theresa aveva il vantaggio della velocità. E con l’ultima virata Rodrigues aveva indicato chiaramente che era bene che la galea si tenesse fuori dalla strada della Santa Theresa.
Yabu stava parlandogli, ma Blackthorne non lo ascoltava. “Non capisco… wakarimasen, Yabu-san! Ascoltate, Toranaga-sama mi ha detto, Anjin-san, ichi-ban ima! Adesso sono io il capitano-san! Wakarimasu ka Yabu-san?” Indicò la bussola al capitano giapponese, che gesticolava in direzione della fregata, di nuovo su una rotta che le avrebbe portate in collisione.
“Tenete la rotta, perdio!” esclamò Blackthorne. La brezza gli gelava i vestiti inzuppati e il freddo lo aiutava a mantenersi lucido. Osservò il cielo: niente nuvole vicino alla luna e vento buono. Lì non c’era pericolo, pensò. Che Dio conservi quella luna splendente finché siamo passati.
“Ehi, capitano!” chiamò in inglese, perché tanto non c’era differenza fra inglese, portoghese, olandese o latino: era solo. “Mandate a prendere del sakè. Sakè! Wakarimasu ka?”
“Hai, Anjin-san.”
Un marinaio si affrettò, di corsa, mentre il capitano dava un’occhiata spaventata alla fregata che avanzava imponente e veloce. Blackthorne mantenne la rotta, cercando di costringere la fregata a cambiare la sua, ma essa non deviò e continuò a puntare dritta su di loro. All’ultimo momento la galea si spostò e mentre il suo bompresso si trovava quasi sopra il ponte poppiero della fregata, si udì Rodrigues gridare in spagnolo: “Vai a prendertelo in culo, ingeles!”
“Prima tu, Rodrigues!”
La Santa Theresa filò rapida verso la riva più lontana, dove voltandosi avrebbe preso il vento e virato di nuovo per dirigersi all’imboccatura del porto. Per un attimo le due navi furono così vicine che Blackthorne avrebbe potuto toccare la fregata e Rodrigues, Toranaga, Mariko e il capitano-generale apparvero visibili sul cassero. Poi si allontanò e la galea venne scossa e trascinata dal risucchio.
“Isogi, Isogi, perdio!”
I rematori raddoppiarono gli sforzi e a segni Blackthorne ordinò di mettere altri uomini ai remi, finché non restò più nessuno di riserva. Dovevano raggiungere l’imboccatura del porto prima della fregata o erano perduti.
La galea divorava lo spazio, ma la fregata faceva altrettanto. In fondo al porto si stava muovendo come una ballerina, e Blackthorne vide che Rodrigues stava aumentando le vele di gabbia e i velacci.
“È un bastardo come tutti i portoghesi!”
Arrivò il sakè, e la giovane donna che aveva aiutato Mariko lo tolse dalle mani del marinaio e ondeggiando glielo offrì. Con coraggio era rimasta in coperta, per quanto fosse chiaramente fuori dal suo elemento. Aveva mani forti, capelli ben acconciati e un ricco chimono, lindo e di buon gusto. La galea sobbalzò all’improvviso e la ragazza vacillò e lasciò cadere la coppa. Blackthorne vide che, pur senza mutare espressione, arrossiva di vergogna.
“Por nada,’’ le disse, mentre lei cercava di riafferrare la coppa. “Non importa. Namae ka?”
“Usagi Fujiko, Anjin-san.’’
“Fujiko-san. Datela a me. Dozo.” Tese la mano e prese la bottiglia. Bevve direttamente al collo, avidamente, perché sentiva il bisogno del calore del vino. Si concentrò sulla nuova rotta, evitando i bassifondi che Santiago gli aveva indicato per ordine di Rodrigues. Mentre finiva di bere il vino, chiedendosi di sfuggita come l’avessero scaldato e perché lo bevessero sempre caldo e in piccole quantità, ricontrollò il promontorio che gli offriva un percorso netto e sicuro fino all’imboccatura del porto.
Adesso aveva la mente chiara e si sentiva anche abbastanza in forze, purché stesse attento. Ma sapeva di non avere più riserve a cui attingere, come non ne aveva la nave.
“Sakè, dozo, Fujiko-san.” Le porse la bottiglia e si dimenticò di lei. Anche la fregata avanzava bene e li superò a un centinaio di metri di distanza. Udì una scarica di imprecazioni, ma non si curò di rispondere, per non sprecare energie.
“Isogi, perdio! Stiamo perdendo!”
L’eccitazione della corsa e di trovarsi di nuovo solo al comando — più che altro per forza di volontà — aumentava il piacere perverso di avere Yabu in suo potere. “Se non fosse perché la nave affonderebbe, e io con lei, la sbatterei sugli scogli solo per vederti affogare, Yabu, faccia di merda! Per il vecchio Pieterzoon!”
Però Yabu aveva salvato Rodrigues, quando lui non ne era stato capace. E non aveva attaccato i banditi nell’imboscata? E anche quella notte si era mostrato coraggioso. Sì, è una faccia di merda, ma coraggiosa, questa è la verità.
Gli venne offerta di nuovo la bottiglia di sakè. “Domo,” disse.
La fregata era voltata nell’altra direzione e manovrata perfettamente. “Nemmeno io potrei fare meglio,” ammise a voce alta, al vento. “Ma se l’avessi in mano io, passerei tra i pescherecci e andrei al largo e non tornerei mai più. La porterei a casa, in qualche modo lascerei il Giappone ai giapponesi e ai pestilenziali portoghesi.” Vide Yabu e il capitano che lo osservavano. “No, non lo farei. Non ancora. C’è una Nave Nera da catturare e un bottino da conquistare. E c’è da vendicarsi, eh, Yabu-san?”
“Nari desu ka, Anjin-san! Nan ja?”
“Ichi-ban! Numero uno!” rispose, indicando la fregata. Bevve il sakè e Fujiko riprese la bottiglia.
“Sakè, Anjin-san?”
“Domo, iyé!”
Ormai le due navi erano giunte molto vicine ai pescherecci, e la galea puntava dritta sullo stretto passaggio che era stato lasciato aperto, mentre la fregata compiva l’ultima evoluzione. Il mare aperto era a un miglio di distanza e, allontanandosi dal riparo dei promontori, il vento era più fresco. Raffiche improvvise gonfiavano le vele della fregata che schioccavano come colpi di pistola.
I rematori erano coperti di sudore ed esausti. Uno si abbandonò, poi un altro. I samurai-ronin una cinquantina, erano già in posizione. Davanti a loro gli arcieri sui pescherecci, ai due lati del varco, stavano preparando gli archi. Su molte barche Blackthorne scorse dei piccoli bracieri accesi e capì che le frecce sarebbero state incendiarie.
Si era preparato alla battaglia nel miglior modo possibile. Yabu aveva compreso che avrebbero dovuto combattere e anche che le frecce sarebbero state infuocate. Blackthorne aveva eretto delle difese intorno al timone, poi aveva aperto alcune casse di moschetti e messo gli uomini disponibili a prepararli con polvere e proiettili. Inoltre aveva portato sul cassero parecchi barilotti di polvere e li aveva innescati.
Quando Santiago lo aveva fatto salire sulla lancia, aveva assicurato a Blackthorne che Rodrigues, con la grazia di Dio, lo avrebbe aiutato.
“Perché?”
“Il mio pilota mi ha incaricato di dirti che ti ha fatto gettare in mare per farti passare l’ubriacatura, senhor.”
“Perché?”
“Perché mi ha detto di avvertirvi, senhor pilota, che sulla Santa Theresa c’era pericolo, pericolo per voi.”
“Quale pericolo?”
“Vi dice che dovete combattere voi la vostra battaglia, se ci riuscite. Ma lui vi darà una mano.”
“Perché?”
“Per la santa Madonna, frenate quella lingua eretica e ascoltate! Ho poco tempo.”
Poi gli aveva dato i consigli sui bassifondi e l’uscita dal porto. Gli aveva spiegato il piano e gli aveva consegnato due pistole. “Il mio pilota chiede se siete un buon tiratore.”
“No,” aveva mentito.
“ ‘Vai con Dio!’ dice infine il mio pilota.”
“Anche lui e anche tu.”
“Da parte mia io vi auguro l’inferno!”
“A tua sorella!”
Blackthorne aveva innescato i barilotti nel caso che il cannone sparasse e non esistesse nessun piano, o fosse falso quello che gli era stato comunicato, e anche come difesa contro gli avversari eventualmente nascosti. Anche un barilotto così piccolo, una volta accesa la miccia, se avesse raggiunto galleggiando la fiancata della fregata l’avrebbe affondata, come una bordata di settanta cannoni. Non importa la grossezza del barilotto, purché la prenda in pieno.
“Isogi, per le vostre vite!” gridò e prese il timone, ringraziando Dio per la luna e per Rodrigues.
All’imboccatura il porto era largo solo quattrocento metri, con acqua fonda e scogli che sorgevano dal mare dritti e aguzzi. Il varco fra i pescherecci era di un centinaio di metri.
La Santa Theresa stava guadagnando terreno su di loro rapidamente. Blackthorne si tenne al centro del canale e indicò a Yabu di stare pronto. A tutti i samurai-ronin era stato ordinato di acquattarsi tra le falchette, fuori vista fino a che Blackthorne non avesse dato il segnale. Allora tutti, con moschetti o spade, sarebbero corsi a babordo o a tribordo, dovunque fosse necessario. A Yabu spettava il comando nella battaglia. Il capitano giapponese sapeva che i suoi rematori dovevano seguire il ritmo del tamburo e il capovoga sapeva di dover obbedire all’Anjin-san. E solo l’Anjin-san avrebbe guidato la nave.
La fregata era a cinquanta metri a poppa, puntava dritta su di loro e mostrava chiaramente di volere che le fosse lasciato sgombro il centro del canale.
Ferriera, sulla fregata, sussurrò a Rodrigues: “Speronatelo.” Teneva gli occhi fissi su Mariko, che si trovava a una decina di passi, accanto al parapetto, insieme a Toranaga.
“Non possiamo… non con Toranaga e la donna proprio qui.”
“Senhora!” chiamò Ferriera. “Senhora… è meglio che scendiate, voi e il vostro signore. Sarà più al sicuro sull’altro ponte, vicino ai cannoni.”
Mariko tradusse per Toranaga che, dopo una breve riflessione, si avviò verso il ponte.
“Maledizione!” esclamò il capocannoniere, senza rivolgersi a nessuno in particolare. “Vorrei proprio tirare una bordata e affondare qualcosa. È passato uno schifoso anno da quando abbiamo affondato uno schifoso pirata.
“Sì. Le scimmie si meritano un bagno.”
Ferriera ripeté a Rodrigues: “Speronate la galea, Rodrigues!”
“Perché volete ammazzare i nemici, quando c’è pronto qualcun altro che lo farà per voi?”
“Madonna! Siete molle come i preti! Non avete sangue nelle vene!” “Infatti, non ho sangue di assassino,” replicò Rodrigues, in spagnolo. “Ma voi sì, eh? Magari spagnolo?”
“La speronate o no?” insisté Ferriera in portoghese, invaso dalla smania di distruzione.
“Se resta dov’è adesso, sì.”
“E allora che la Madonna la lasci dov’è!”
“Che cosa avete in mente per l’ingeles? Perché vi ha tanto irritato che non fosse a bordo con noi?”
“Non mi piacete, Rodrigues, e non mi fido di voi. Due volte vi siete schierato, o così è sembrato, con l’eretico contro di me, o di noi. Se in tutta l’Asia potessi trovare un altro pilota appena accettabile, vi farei sbarcare, Rodrigues, e me ne andrei con la mia Nave Nera.”
“E affondereste. C’è odore di morte intorno a voi e io solo posso proteggervi.”
Ferriera si segnò, per superstizione. “Madonna, che lingua maledetta! Che diritto avete di parlare così?”
“Mia madre era zingara e settima figlia di un settimo figlio, come sono io.”
“Bugiardo!”
Rodrigues sorrise. “Ah, mio signor capitano-generale, forse lo sono.” Si mise le mani a coppa intorno alla bocca e urlò: “Posti di combattimento!” Poi, al timoniere: “Avanti così, e se quella panciona non si sposta, affondala!”
Blackthorne teneva saldamente il timone, ma gli dolevano le braccia e le gambe. Il capovoga batteva frenetico e i rematori erano tesi nello sforzo finale.
La fregata torreggiava a poppa, a venti metri, poi quindici, poi dieci. A quel punto Blackthorne virò bruscamente a sinistra. La Santa Theresa quasi li sfiorò, poi si affiancò. Blackthorne virò di nuovo a dritta, si mise parallelo alla fregata, a dieci metri di distanza. Quindi insieme, fianco a fianco, furono pronte a passare fra gli avversari.
“Tiraaaate, tirate, bastardi!” urlò Blackthorne, che voleva rimanere in quella posizione precisa, perché soltanto così la massa della fregata e la sua velatura potevano proteggerli. Risuonò qualche colpo di moschetto, poi una pioggia di frecce infuocate giunse su di loro, senza recare danni gravi. Ma molte frecce, per errore, colpirono la velatura bassa della fregata e le diedero fuoco.
Tutti i samurai al comando dei pescherecci fermarono inorriditi gli arcieri. Nessuno aveva mai osato attaccare una nave dei barbari meridionali. Non erano loro soli a portare la seta che rendeva sopportabile l’umido calore estivo e il freddo invernale, e rallegrava la primavera e l’autunno? Non erano forse protetti dai decreti imperiali? L’incendio di una loro nave non li avrebbe forse inferociti tanto da non farli tornare mai più?
Perciò, visto che la galea di Toranaga si trovava sotto l’ala della fregata, i comandanti trattennero i loro uomini, non osando rischiare in nessun modo di provocare un’interruzione nell’arrivo delle Navi Nere senza l’approvazione di Ishido. E solo dopo che i marinai della fregata ebbero domato le fiamme, tirarono il fiato.
Quando le frecce non piovvero più, anche Blackthorne tirò il fiato. E anche Rodrigues. Il piano funzionava. Rodrigues aveva intuito che, riparata da lui, la galea aveva una possibilità di scampo, l’unica. “Ma il mio pilota dice di stare pronto alle sorprese, ingeles” aveva riferito Santiago.
“Spazzate via quel bastardo!” esclamò Ferriera. “Maledizione, vi ho ordinato di mandarlo addosso alle scimmie!”
“Cinque punti a babordo!” gridò Rodrigues.
“Cinque punti a babordo!” ripeté il timoniere.
Blackthorne udì il comando e immediatamente virò di cinque punti anche lui, innalzando una preghiera. Se Rodrigues teneva quella rotta troppo a lungo, sarebbero finiti contro i pescherecci. Se lui rallentava il ritmo e restava indietro, sapeva che il nemico lo avrebbe distrutto, ci fosse o no Toranaga a bordo. Doveva restare fianco a fianco.
“Cinque punti a tribordo!” ordinò Rodrigues, appena in tempo. Neppure lui voleva altre frecce. C’era troppa polvere in coperta. “Vieni, su, ruffiano,” mormorò al vento, “metti i cojones nelle mie vele e portaci fuori di qui!”
Blackthorne aveva virato di cinque punti anche lui, per tenersi in posizione rispetto alla fregata, e le due navi correvano affiancate, coi remi della galea che quasi sfioravano la fregata da una parte e dall’altra quasi toccavano i pescherecci. Il capitano comprese il gioco e così lo capirono il capovoga e i rematori, che misero nei remi le ultime forze. Yabu diede un ordine e i ronin deposero le armi, corsero ad aiutare i rematori. Lo stesso Yabu afferrò un remo.
Sempre più stretto. Ancora poche centinaia di metri.
Allora i Grigi di alcuni pescherecci, più audaci degli altri, avanzarono e gettarono i grappini. La prua della galea urtò contro le barche. I grappini vennero rigettati in mare prima che si attaccassero e i samurai che li stringevano affogarono. L’andatura della galea non cambiò.
“Andate più a dritta!”
“Non posso, capitano-generale. Toranaga non è uno stupido e poi, guardate, ci sono gli scogli proprio davanti a noi!”
Ferriera scorse le punte irte vicino all’ultimo peschereccio. “Per la Madonna, spingetecelo sopra!”
“Due punti a dritta!”
Di nuovo la fregata si spostò e Blackthorne con lei. Entrambe le navi puntavano sull’ammasso di barche. Anche Blackthorne aveva scorto gli scogli. Un peschereccio venne travolto e a bordo piovve una scarica di frecce. Blackthorne tenne la rotta fino all’ultimo momento, poi urlò: “Cinque punti a sinistra!” per avvertire Rodrigues e girò il timone.
Rodrigues con una manovra evasiva si allontanò, ma tenne una rotta di collisione, che non rientrava nel piano. “Vai avanti, bastardo!” esclamò, trascinato dall’inseguimento e dall’ansia. “Misuriamo i tuoi cojones!”
Blackthorne dovette scegliere fulmineamente fra gli scogli e la fregata. Benedisse i rematori, sempre ai remi, e l’equipaggio e tutti a bordo che, grazie alla loro disciplina, gli davano il privilegio della scelta, e scelse. Aumentò l’inclinazione a sinistra, estrasse la pistola e prese la mira. “Fai strada, perdio!” urlò e tirò il grilletto. La pallottola sibilò sul cassero, esattamente in mezzo fra il capitano-generale e Rodrigues.
Il capitano-generale si buttò a terra e Rodrigues sussultò, ingeles figlio di una maledetta puttana! È stata fortuna o buona mira, o volevi uccidere? Vide la seconda pistola nelle mani di Blackthorne e sentì su di sé lo sguardo di Toranaga. Cancellò dalla mente Toranaga, considerandolo senza importanza. Benedetta madre di Dio, cosa devo fare? Seguire il piano o cambiarlo? Non sarebbe meglio ammazzare l’ingeles? Per il bene di tutti? Ditemelo, sì o no!
Rispondi a te stesso, Rodrigues, sulla tua anima immortale! Non sei un uomo forse? Allora ascolta: altri eretici adesso seguiranno questo ingeles, come pulci, che lui muoia o non muoia. Gli devi una vita e puoi giurare di non avere in te sangue assassino… non per uccidere un pilota.
“Timone a tribordo!” ordinò, e lasciò il passo.
“Il mio padrone vuole sapere perché siete andato quasi addosso alla galea.”
“Uno scherzo, senhora, uno scherzo tra piloti. Per mettere alla prova i nervi dell’altro.”
“E lo sparo?”
“Anche quello uno scherzo… per mettere alla prova i nervi miei. Gli scogli erano troppo vicini e forse io stavo spingendo un po’ troppo l’ingeles. Siamo amici, no?”
“Il mio padrone dice che abbandonarsi a giochi simili è stupido.” “Porgetegli le mie scuse, vi prego. L’importante è che lui sia salvo e che adesso anche la galea sia salva. Quindi io sono contento. Honto.”
“Avevate organizzato questo trucco, la fuga, con l’Anjin-san?”
“È capitato che lui sia molto intelligente e abbia azzeccato il momento giusto alla perfezione. La luna gli ha illuminato la strada, il mare lo ha favorito, e nessuno ha commesso sbagli. Ma perché gli avversari non lo abbiano travolto, questo non lo so. È stata la volontà di Dio.”
“Davvero?” intervenne Ferriera. Stava osservando la galea e non si voltò a guardarli.
L’imboccatura del porto era stata ormai superata da tempo e la galea procedeva a poca distanza. Entrambe le navi avanzavano con calma. La maggior parte dei remi della galea erano ammarati, e gli uomini riprendevano forza, lasciando all’opera solo i pochi rematori necessari.
Rodrigues non diede ascolto al capitano-generale, dedicando invece la sua attenzione a Toranaga. Sono contento che stiamo dalla parte di Toranaga, si diceva. Durante la corsa lo aveva osservato, lieto di averne l’occasione: il giapponese aveva occhi per tutto, intento ai cannonieri e ai cannoni e alle vele con curiosità insaziabile, interrogando, tramite Mariko, i marinai o gli ufficiali. A che serve questo? Come si carica un cannone? Quanta polvere? Come sparate? A che servono queste funi?
“Il mio padrone dice che forse è stato soltanto karma. Sapete cos’è il karma, capitano-pilota?”
“Sì.”
“Vi ringrazia per aver potuto usare la vostra nave. Adesso tornerà sulla sua.”
“Come?” Ferriera si voltò di scatto. “Noi arriveremo a Yedo molto prima della galea. Toranaga-sama è il benvenuto a bordo.”
“Il mio padrone dice che non vuole disturbarvi oltre. Tornerà sulla sua nave.”
“Pregatelo di restare, per favore. Sarò molto lieto della sua compagnia.”
“Il Nobile Toranaga vi ringrazia, ma vuole tornare alla sua nave.” “Benissimo. Fate come dice, Rodrigues. Segnalate e calate la lancia.” Ferriera era seccato e deluso. Aveva voglia di vedere Yedo e di approfondire la conoscenza con Toranaga, adesso che il loro futuro era legato a lui. Non credeva a quanto aveva affermato Toranaga sui mezzi per evitare la guerra. Ci piaccia o no, siamo in guerra contro Ishido, a fianco di questa scimmia. E non mi piace. “Sono molto addolorato di non godere della compagnia di Toranaga-sama,” ripeté, inchinandosi garbatamente.
Toranaga si inchinò a sua volta e mormorò poche parole.
“Il mio padrone vi ringrazia.” Poi a Rodrigues: “Il mio padrone dice che vi compenserà per la galea, quando tornerete con la Nave Nera.”
“Non ho fatto niente. Solo il mio dovere. Vogliate scusarmi se non mi alzo… la gamba, ne?” rispose Rodrigues, e s’inchinò. “Andate con Dio, senhora.”
“Grazie, pilota. Anche voi.”
Mentre avanzava stancamente dietro a Toranaga, notò che al comando della lancia c’era il nostromo Pesaro. Le venne la pelle d’oca, e dovette dominare la propria ripugnanza, lieta che Toranaga li facesse scendere tutti da quella nave maleodorante.
“Che un vento propizio vi accompagni in un viaggio sicuro!” augurò Ferriera. Agitò la mano un’altra volta, ricevette un saluto di risposta e la lancia si allontanò.
Sul cassero si fermò di fronte a Rodrigues e indicò la galea. “Rimpiangerete di averlo lasciato vivo, fino al vostro ultimo giorno.”
“Questo è nelle mani di Dio. L’ingeles è un pilota ‘accettabile’, se passate sopra alla sua religione, mio capitano-generale.”
“Ci ho pensato.”
“E…?”
“Più presto saremo a Macao, meglio sarà. Dovete battere un record, Rodrigues.” Ferriera se ne andò.
La gamba di Rodrigues pulsava dolorosamente. Egli bevve un gran sorso dalla fiaschetta di grog. Che Ferriera vada all’inferno, si disse, ma, mio Dio! solo quando saremo arrivati a Lisbona.
Il vento cambiò leggermente e una nuvola si avvicinò alla luna. La pioggia non era lontana e l’alba schiariva il cielo. Rodrigues rivolse ogni attenzione alla nave e alla velatura. Quando fu del tutto rassicurato, osservò la lancia e poi la galea.
Inghiottì un altro po’ di rum, soddisfatto che il suo piano avesse funzionato così bene. Compreso il colpo di pistola conclusivo. E soddisfatto della propria decisione. Spettava a me decidere e ho deciso. “Ma anche così, ingeles,” disse con profonda tristezza, “il capitano-generale ha ragione. Con te, l’eresia è entrata nell’Eden.”