27
“Deve esistere una soluzione, capitano-generale,” ripeté con pazienza Dell’Aqua.
“Volete un’azione di guerra contro un paese amico?”
“Naturalmente no.”
Nella vasta cabina tutti sapevano di trovarsi rinchiusi nella stessa trappola. Qualunque gesto esplicito li avrebbe messi dichiaratamente a fianco di Toranaga contro Ishido, cosa che dovevano assolutamente evitare, nell’eventualità che Ishido risultasse vincitore. Per il momento Ishido possedeva Osaka e la capitale, Kyoto, e l’appoggio della maggioranza dei reggenti.
Inoltre, attraverso Onoshi e Kiyama, controllava in gran parte l’isola di Kyushu, il porto di Nagasaki — centro di tutto il commercio — e quindi il commercio e la Nave Nera di quell’anno.
“Che c’è di tanto difficile? Voglio solo che leviate di mezzo i pirati all’imboccatura del porto,” disse Toranaga, immediatamente tradotto da padre Alvito.
Toranaga, al posto d’onore del grande tavolo, stava molto scomodo sul seggiolone a schienale alto. Accanto a lui sedeva Alvito; il capitano-generale era di fronte, vicino a Dell’Aqua. Mariko stava dietro a Toranaga e i samurai di guardia attendevano vicino alla porta, di faccia ai marinai armati. Tutti gli europei erano consapevoli del fatto che, anche se era Alvito a tradurre per Toranaga ogni parola, Mariko era presente a controllare che niente venisse detto fra loro contro gli interessi del suo padrone e che la traduzione fosse completa e precisa.
Dell’Aqua si piegò in avanti. “Forse, signore, potreste mandare a riva dei messaggeri a Ishido-sama. Forse la soluzione sta nel negoziare. Noi possiamo offrire la nave come terreno neutrale per i negoziati. Forse così la guerra si concluderebbe.”
Toranaga rise con spregio. “Quale guerra? Ishido e io non siamo in guerra.”
“Ma, signore, abbiamo assistito noi stessi allo scontro sulla spiaggia.”
“Non siate ingenuo! Chi è stato ucciso? Pochi ronin senza importanza. Chi ha attaccato? Solo dei ronin, banditi o fanatici.”
“E l’imboscata? A quanto sappiamo, i Marroni si sono battuti con i Grigi.”
“I banditi ci hanno attaccati tutti, Marroni e Grigi. I miei uomini hanno combattuto solo per difendermi. Negli scontri notturni spesso si sbaglia sugli avvenimenti. Se dei Marroni hanno ucciso dei Grigi o viceversa si è trattato di uno spiacevole errore. Ma cosa sono, per noi, pochi uomini? Niente. Non siamo in guerra.”
Toranaga vide che non gli credevano e aggiunse: “Ditegli,Tsukku-san, che in Giappone sono gli eserciti a fare la guerra. Queste scaramucce e questi attentati ridicoli sono tentativi inutili, da smentire quando falliscono. La guerra non è cominciata stanotte. È cominciata con la morte del Taikō. E anche prima, perché egli è morto lasciando un figlio non in età di succedergli. E forse prima ancora, quando venne ucciso Goroda, il Grande protettore. Gli episodi di stanotte non hanno significato durevole. Nessuno di voi sa comprendere il nostro regno e la nostra politica. E come potreste? Per forza Ishido cerca di uccidermi. E come lui molti altri daimyo. Lo hanno fatto in passato e continueranno in futuro. Kiyama e Onoshi sono stati sia amici sia nemici. Ascoltatemi bene: se io sarò ucciso, le cose saranno più semplici per Ishido, il nemico reale, ma solo per un breve momento. Adesso io sono chiuso nella sua trappola, ma anche se avrà successo, lui non otterrà che un vantaggio momentaneo. Se io gli sfuggo, la trappola non sarà mai esistita. Ma cercate di capire bene, voi tutti, che la mia morte non eliminerà le cause della guerra né impedirà un futuro conflitto. Soltanto se muore Ishido, non ci sarà nessun conflitto. Perciò adesso non esiste una guerra aperta. Non esiste.” Si agitò sulla sedia, insofferente all’odore della cabina, provocato dai cibi grassi e dai corpi non lavati. “Però noi siamo di fronte a un problema immediato. Io voglio i vostri cannoni. Li voglio adesso. I pirati mi bloccano l’uscita del porto. Vi ho detto, in precedenza, Tsukku-san, che presto ognuno dovrà scegliere da che parte stare. Ebbene, da quale parte state voi e il vostro capo e tutta la Chiesa cristiana? E i miei amici portoghesi sono con me o contro di me?”
Rispose Dell’Aqua. “Potete essere sicuro, Toranaga-sama, che noi tutti difendiamo i vostri interessi.”
“Bene. Allora allontanate immediatamente i pirati.”
“Sarebbe un gesto di guerra, senza alcun vantaggio. Forse possiamo contrattare, eh?” propose Ferriera.
Alvito non tradusse le sue parole, ma riferì invece: “Il capitano-generale dice che cerchiamo soltanto di non immischiarci nella vostra politica, Nobile Toranaga. Siamo mercanti.”
Mariko si rivolse in giapponese a Toranaga. “Spiacente, signore, questo non è esatto. Non ha detto così.”
Alvito sospirò. “Ho soltanto cambiato qualche parola, signore. Il capitano-generale, essendo straniero, non conosce certe raffinatezze. Non capisce il Giappone.”
“Ma voi sì, Tsukku-san?” chiese Toranaga.
“Cerco di capire, signore.”
“Che cosa ha detto esattamente?”
Alvito lo riferì.
Dopo una pausa, Toranaga riprese: “L’Anjin-san mi ha avvisato che i portoghesi sono molto interessati al commercio e che nel commercio non conoscono misura né buone maniere, né umorismo. Comprendo e accetto la vostra spiegazione, Tsukku-san. Ma d’ora in poi, vi prego, traducete ogni parola esattamente. ’ ’
“Sì, mio signore.”
“Dite questo al capitano-generale: ‘Quando il conflitto sarà risolto, io allargherò il commercio. Io sono favorevole al commercio, Ishido no.’ ”
Dell’Aqua aveva seguito la conversazione e aveva sperato che Alvito riuscisse a coprire la stupidità di Ferriera. “Non siamo dei politici, signore, siamo dei religiosi.e rappresentiamo la Vera Fede e i fedeli. Noi difendiamo i vostri interessi.”
“Su questo concordo con voi. Stavo…” Alvito interruppe la traduzione e per un momento seguì il giapponese di Toranaga, con un improvviso illuminarsi del volto. “Scusate, eminenza, il Nobile Toranaga diceva: ‘Stavo pensando di chiedervi di costruire un tempio, un grande tempio, a Yedo, come segno della mia fiducia nel vostro appoggio.’ ”
Da anni, da quando Toranaga era signore delle Otto Province, Dell’Aqua si era dato da fare per ottenere quella concessione. E ottenerla adesso, nella terza città dell’impero in ordine di grandezza, era una conquista senza prezzo. Il padre visitatore comprese che era arrivato il momento di risolvere la questione dei cannoni. “Ringrazialo, Martin Tsukku-san,“ disse, ricorrendo alla frase in codice già concordata con Alvito, che li impegnava a quella determinata linea d’azione, in cui Alvito avrebbe agito da punta avanzata. ”E assicuragli che cercheremo di essere sempre al suo servizio. Oh, sì, e chiedigli che cosa pensava a proposito della cattedrale,“ aggiunse, a beneficio del capitano-generale.
“Forse per un momento posso parlare direttamente,” disse Alvito a Toranaga. “Il mio superiore vi ringrazia e ritiene che quanto ci avete chiesto prima forse è possibile. Egli si prodigherà per aiutarvi.”
“Prodigarsi è un termine astratto e non soddisfacente.”
“Sì, signore.” Alvito gettò un’occhiata alle guardie, che naturalmente ascoltavano fingendo il contrario. “Ma vi rammento che in precedenza avete affermato che a volte è saggio essere astratti.”
Toranaga capì immediatamente. Con un gesto della mano congedò i suoi uomini. “Aspettate fuori, tutti.”
Essi obbedirono, a disagio. Alvito si rivolse a Ferriera. “Adesso non abbiamo bisogno delle vostre guardie, capitano-generale!” Usciti i samurai, Ferriera allontanò anche i suoi uomini e guardò Mariko. Il capitano aveva le pistole alla cintura e una anche nello stivale.
Alvito chiese a Toranaga: “Signore, non volete far sedere la Nobile Mariko?”
Toranaga di nuovo comprese. Rifletté un attimo, poi annuì e, senza voltarsi, disse: “Mariko-san, prendete una delle mie guardie e andate a cercare l’Anjin-san. Restate con lui finché vi manderò a chiamare.”
“Sì, mio signore.”
La porta si chiuse dietro di lei.
Adesso erano soli, loro quattro.
“Qual è l’offerta? Che cosa offre?” chiese Ferriera.
“Siate paziente, capitano-generale,” l’ammonì Dell’Aqua, tamburellando con le dita sul crocifisso, mentre pregava per una buona riuscita.
“Signore,” esordì Alvito, rivolto a Toranaga, “il mio superiore dice che cercherà di fare tutto quello che voi chiedete. Entro quaranta giorni. Vi manderà comunicazioni riservate sull’andamento delle trattative. Col vostro permesso, sarò io il corriere.”
“E se non riuscirà?”
“Non sarà per mancanza di volontà o di persuasione o di riflessione. Ve ne dà la sua parola.”
“Davanti al dio cristiano?”
“Sì, davanti a Dio.”
“Bene. Lo voglio per scritto, con il suo sigillo.”
“A volte certi accordi, particolarmente delicati, non dovrebbero essere messi per scritto.”
“Intendete nel caso in cui anch’io non metta per scritto i miei impegni, non è vero?”
“Vi ricordavo soltanto una vostra frase: L’onore di un samurai vale certo più di un pezzo dì carta. Il padre visitatore vi dà la sua parola davanti a Dio, la sua parola d’onore, come un samurai. Il vostro onore gli è più che sufficiente. Pensavo soltanto che lo rattristerebbe vedere così poca fiducia verso di lui. Volete che gli chieda una firma?”
Dopo un lungo intervallo Toranaga disse: “Va bene. La sua parola davanti al Dio Gesù, ne? La sua parola davanti al suo dio.”
“Ve la do a nome suo. Egli ha giurato sulla croce che farà di tutto.”
“Anche voi, Tsukku-san?”
“Avete anche la mia parola, davanti a Dio, sulla croce benedetta, che farò tutto il possibile per convincere i Nobili Onoshi e Kiyama a essere vostri alleati.”
“In cambio io farò quanto ho promesso. Al quarantunesimo giorno potrete mettere la prima pietra del più grande tempio cristiano dell’impero.”
“Il terreno potrebbe esserci assegnato subito, signore?”
“Non appena arriverò a Yedo. E adesso, che fare con i pirati dei pescherecci? Li spazzerete via subito?”
“Se aveste i cannoni, agireste voi stesso, signore?”
“Naturalmente, Tsukku-san.”
“Mi scuso di mostrarmi così pignolo, signore, ma abbiamo dovuto preparare un piano. I cannoni non appartengono a noi. Datemi un momento, prego.” Alvito si volse a Dell’Aqua. “Per la cattedrale tutto è sistemato, eminenza.” Poi si rivolse a Ferriera, dando il via al piano concordato. “Sarete contento di non avere affondato la nave del signore, capitano-generale. Egli vi chiede se sareste disposto a portare diecimila ducati d’oro per lui quando partirete con la Nave Nera per Goa, da investire sul mercato dell’oro in India. Noi saremo lietissimi di favorirvi nella transazione attraverso le nostre vie consuete laggiù, investendo l’oro per voi. Toranaga-sama dice che metà del guadagno sarà vostro.” Dell’Aqua e Alvito avevano concluso che, in capo a sei mesi, quando la Nave Nera sarebbe giunta, Toranaga o sarebbe stato nuovamente alla presidenza del Consiglio dei reggenti e quindi più che lieto di consentire a quella vantaggiosissima transazione, o sarebbe stato ormai defunto. “Potete ricavarne facilmente quattromila ducati. Senza nessun rischio.”
“In cambio di cosa? È più di quanto voi ricevete ogni anno per l’intera Compagnia di Gesù in Asia, dal re di Spagna. In cambio di cosa?”
“Toranaga-sama dichiara che i pirati gli impediscono di lasciare il porto. E lui sa meglio di voi se si tratti di pirati.”
Con la stessa voce uguale, che entrambi usavano per la presenza di Toranaga, Ferriera rispose: “È un errore prestare fede a quest’uomo. Il suo nemico ha in mano tutte le carte migliori. I re cristiani sono tutti contro di lui. I due maggiori di certo: li ho sentiti con le mie orecchie. Loro affermano che questo è il vero nemico. Io credo a loro e non a questo idiota figlio d’ignoti.”
“Sono certo che il Nobile Toranaga sa meglio di noi chi sia pirata e chi no,” ribatté Dell’Aqua imperturbabile, conoscendo la soluzione quanto Alvito. “Immagino che non abbiate obiezioni a che Toranaga-sama se la sbrighi direttamente con i pirati.”
“Certo che no.”
“Voi a bordo avete molti cannoni in più,” disse il padre visitatore. “Perché non darglieli, in via privata? Venderglieli, in realtà. Armi ne vendete di continuo e lui comprerà delle armi. Quattro cannoni saranno più che sufficienti. Dovrebbe essere facile trasbordarli con la lancia, con polvere e cariche, sempre in via privata. Così il problema sarà risolto.”
Ferriera sospirò. “I cannoni, mia cara eminenza, sono inutili sulla galea. Non ci sono portelli, non ci sono funi, non ci sono affusti. Non potrebbero usare i cannoni, nemmeno se avessero i cannonieri. Che non hanno.”
I due preti rimasero attoniti. “Inutili?”
“Completamente.”
“Ma, don Ferriera, potranno di certo adattare...”
“Quella galea non è in grado di usare i cannoni, senza essere riadattata. Ci vorrebbe almeno una settimana.”
“Nan ja?” chiese Toranaga insospettito, consapevole, nonostante tutti i loro sforzi per nasconderlo, che qualcosa non funzionava.
“ ‘Cosa c’è?’ domanda il Nobile Signore,” tradusse Alvito.
Dell’Aqua capì che il successo gli sfuggiva fra le dita. “Capitano-generale, per favore, aiutateci. Vi prego. Ve lo dico apertamente. Abbiamo ottenuto concessioni enormi. Dovete credermi e dovete, sì, dovete avere fiducia in noi. In qualche modo dovete aiutare Toranaga-sama a uscire dal porto. Ve ne scongiuro in nome della Chiesa. La sola cattedrale è già un’enorme concessione. Vi prego.”
Ferriera non lasciò trasparire neppure un’ombra della sua esultanza. Addirittura rispose con maggiore gravità nella voce. “Poiché mi chiedete aiuto in nome della Chiesa, eminenza, naturalmente farò ciò che volete. Lo porterò fuori da questa trappola. Ma in cambio voglio la nomina a capitano-generale della Nave Nera anche per l’anno prossimo, comunque vada la spedizione di quest’anno, con o senza successo.”
“Ma è un dono personale del re di Spagna. Dipende soltanto da lui. Non sta a me prometterlo.”
“Secondo: accetto la sua offerta dell’oro, ma voglio la vostra garanzia che non avrò nessun fastidio, né dal viceré a Goa, né qui, a proposito dell’oro e nemmeno per nessuna delle Navi Nere.”
“Osate ricattare me e la Chiesa?”
“Non si tratta che di una questione d’affari fra voi, me e questa scimmia.”
“Non è affatto una scimmia, capitano-generale. Fareste bene a ricordarlo.”
“Terzo: il quindici per cento sul carico di quest’anno, invece che il dieci.”
“Impossibile.”
“Quarto: per avere tutto chiaro e in ordine, eminenza, la vostra parola — subito — che né voi né nessuno dei vostri preti mi minaccerà mai di scomunica, a meno che io non commetta in futuro un sacrilegio, dato che di quanto stabilito finora niente è sacrilegio. E inoltre la vostra parola che voi e i santi padri aiuterete attivamente me e queste due Navi Nere. Anche questa parola, davanti a Dio.”
“E poi, capitano-generale? Non è ancora tutto, c’è qualcos’altro, certamente.”
“Ultimo: voglio l’eretico.”
Ferma sulla soglia della cabina, Mariko osservava Blackthorne, che giaceva in stato semicomatoso sul pavimento, vomitando l’anima. Il nostromo, appoggiato alla cuccetta, sogghignava, esibendo dei mozziconi di denti gialli. “È stato avvelenato o è ubriaco?” chiese Mariko a Totomi Kana, il samurai accanto a lei, cercando inutilmente di non sentire la puzza di cibo e di vomito, e la puzza del brutto marinaio che le stava davanti, e l’immancabile puzza di sentina che pervadeva la nave. “Sembra quasi che sia stato avvelenato, ne!”
“Forse lo è stato, Mariko-san. Guardate quel sudiciume!” Con disgusto il samurai le indicò la tavola. Era piena di piatti di legno con avanzi di un arrosto al sangue, mezza carcassa di pollo rosicchiato, pezzi di pane e formaggio, macchie di birra, burro, un piatto di sugo grasso ormai freddo, e una mezza bottiglia di brandy.
Nessuno aveva mai visto prima della carne in tavola.
“Che volete?” domandò il nostromo. “Niente scimmie qui dentro, wakarimasu! Niente scimmie-san in questa stanza!” Guardò il samurai e gli fece segno di andarsene. “Fuori! Fila!” Il suo sguardo tornò a Mariko. “Come ti chiami? Namu, eh?”
“Che cosa dice, Mariko-san?” chiese il samurai.
Il nostromo osservò il samurai, poi di nuovo Mariko.
“Che cosa dice il barbaro, Mariko-san?” insistè il samurai.
Mariko distolse lo sguardo stupito dalla tavola e si concentrò sul nostromo. “Scusatemi, senhor, non vi capisco. Che cosa avete detto?”
“Eh?” La bocca del nostromo si spalancò del tutto. Era grasso, con gli occhi troppo vicini e le orecchie grandi, i capelli stretti in una sudicia coda. Al collo portava un crocifisso e le pistole alla cintola. “Eh? Sapete parlare portoghese? Una giapponese che parla un buon portoghese? Dove avete imparato a parlare da persona civile?”
“I padri cristiani me l’hanno insegnato.”
“Che io sia maledetto! Una fiore-san che parla da essere civile!”
Blackthorne fu colto da un nuovo conato di vomito e tentò debolmente di alzarsi e uscire.
“Potete… per favore… aiutare il pilota?” Mariko indicò la cuccetta.
“Sì, se questa scimmia mi dà una mano.”
“Chi? Mi spiace, cosa avete detto? Chi?”
“Lui, il giappo.”
Le parole dell’uomo la colpirono con violenza e le occorse tutta la sua forza di volontà per restare calma. Fece un cenno al samurai. “Kana-san, prego, volete aiutare questo barbaro? Bisognerebbe mettere l’Anjin-san là sopra.”
“Con piacere, mia signora.”
I due uomini insieme sollevarono Blackthorne ed egli sprofondò nella cuccetta, con la testa troppo pesante per alzarla, muovendo inutilmente la bocca.
“Bisognerebbe lavarlo,” disse Mariko in giapponese, ancora sbalordita per come il nostromo aveva definito Kana.
“Sì, Mariko-san. Ordinate al barbaro di chiamare i servi.”
“Sì.“ Il suo sguardo incredulo tornò alla tavola. ”Ma davvero mangiano così?“
Il nostromo seguì quello sguardo. A un tratto si chinò, strappò una coscia di pollo e gliela offrì. “Avete fame? Qui, piccolo fiore-san, è buono. È fresco,“di oggi… vero cappone di Macao.”
Lei scosse la testa.
La faccia rugosa del nostromo si aprì in un sorriso ed egli tuffò la coscia nel grasso pesante, poi gliela mise sotto il naso. “Il grasso lo rende anche migliore. Ehi, è bello parlare a modo, eh? Mai fatto prima. Forza, vi darà energia… dove serve! È cappone di Macao, vi dico.”
“No. No, grazie. Mangiare carne… è proibito. È contro la legge, e contrario al buddismo e allo scintoismo.”
“A Nagasaki no!” Il nostromo rise. “Un sacco di giapponesi mangiano sempre carne! Ogni volta che riescono ad averla, e si bevono anche il nostro grog. Siete cristiana, eh? Forza, provate, donnina! Come potete saperlo se non provate?”
“No, no, grazie.”
“Un uomo non può vivere senza carne. Questo è cibo vero. Vi dà forza, così potete chiavare come un ermellino. Qua,” offrì la coscia di pollo a Kana. “Vuoi?”
Kana scosse la testa, altrettanto nauseato. “Iyé!”
Il nostromo si strinse nelle spalle e gettò il pezzo di pollo sul tavolo. “E iyé sia. Cosa vi siete fatta al braccio? Vi siete ferita nello scontro?”
“Sì, ma leggermente.” Mariko mosse il braccio per dimostrarlo e dominò il dolore, inghiottendo.
“Povera cosina! Che cosa volete qui, senhorita, eh?”
“Vedere l’An… il pilota. Mi ha mandato Toranaga-sama. Il pilota è ubriaco?”
“Il povero bastardo ha mangiato e bevuto troppo in fretta. Ha mandato giù mezza bottiglia in un sorso solo. Gli ingeles sono sempre uguali: non tengono il grog e non hanno cojones.” La percorse da capo a piedi con lo sguardo. “Non ho mai visto un fiorellino piccolo come voi. E non ho mai chiacchierato finora con un giappo che parlasse da persona civile.”
“Tutte le signore e i samurai giapponesi li chiamate giappo e scimmie?”
Il marinaio scoppiò in una risata. “Via, senhorita, mi è scappato! Lo diciamo per la gente qualunque di Nagasaki, ruffiani e puttane. Non è per offendere. Non avevo mai parlato con una senhorita civilizzata e, perdio! neanche sapevo che ne esistessero.”
“Nemmeno io sapevo, senhor. Non avevo mai parlato prima con un portoghese civilizzato, se non con i santi padri. Noi siamo giapponesi, non giappo, ne? E le scimmie sono animali, non è vero?”
“Certo.” Il nostromo esibì i suoi denti spezzati. “Voi parlate come una dama. Proprio. Senza offesa, senhorita.”
Blackthorne cominciò a borbottare e Mariko si avvicinò alla cuccetta e lo scosse gentilmente. “Anjin-san! Anjin-san!”
“Sì? sì…” Blackthorne aprì gli occhi. “Oh, salve… mi spiace…” Il peso alla testa e le vertigini lo costrinsero a riadagiarsi.
“Senhor, prego, mandate a chiamare un servitore. Bisogna lavarlo.”
“Ci sono degli schiavi, ma non per questo, senhorita. Lasciate perdere l'ingeles… cosa volete che sia un po’ di vomito per un eretico come lui?”
“Niente servitori?” esclamò lei sbalordita.
“Abbiamo degli schiavi, bastardi negri, ma sono pigri… io non mi lascerei mai lavare da uno di loro,” commentò con una smorfia.
Mariko capì di non avere scelta. Toranaga-sama poteva aver bisogno dell’Anjin-san da un momento all’altro, e quello era il suo dovere. “Allora mi serve un po’ d’acqua,” disse. “Per lavarlo.”
“Ce n’è un barile di sotto. Sul ponte inferiore.”
“Portatemene un poco, senhor.”
“Mandateci lui.” Il nostromo puntò un dito verso Kana.
“No. Portatemela voi. E subito.”
Il nostromo guardò Blackthorne. “Siete la sua pupa?”
“Come?”
“La pupa dell’ingeles?”
“Che cos’è una pupa, senhor?”
“La sua donna. La sua compagna, capite, senhorita? La bella del pilota. Pupa, insomma.”
“No. No, senhor, non sono la sua pupa.”
“Allora la sua? della scim… del samurai? O forse del re, di quello che è salito a bordo? Tora-qualchecosa? Siete una delle sue?”
“No.”
“Di nessuno che sia a bordo?”
Lei scosse la testa. “Per favore, volete portarmi un po’ d’acqua?”
Il nostromo annuì e uscì.
“È l’essere più brutto e puzzolente che abbia mai avvicinato,” osservò il samurai. “Che cosa diceva?”
“Ha domandato… se… ero una concubina del pilota.”
Il samurai si avviò alla porta.
“Kana-san!”
“Vi chiedo il diritto di vendicare questo insulto in nome di vostro marito. Subito! Come se voi poteste convivere con un barbaro!”
“Kana-san! Chiudete la porta, vi prego!”
“Voi siete Toda Mariko-san! Come osa insultarvi? L’insulto deve essere vendicato!”
“Lo sarà, Kana-san, e vi ringrazio. Ve ne do il diritto, sì, ma adesso siamo qui per ordine di Toranaga-sama. Sarebbe errato che voi agiste senza il suo permesso.”
Riluttante, Kana richiuse la porta. “Lo ammetto. Ma vi prego formalmente di rivolgere la richiesta al Nobile Toranaga prima di andarcene.”
“Sì. Grazie per la cura che vi prendete del mio onore.” Che cosa avrebbe fatto Kana, se avesse saputo tutto quello che sapeva lei? si chiese, spaventata. Che cosa avrebbe fatto Toranaga-sama? O Hiro-matsu? O mio marito? Scimmie? Oh, Madonna, aiutami a restare calma e a far funzionare la testa. Per placare l’ira di Kana, cambiò argomento. “L’Anjin-san ha un’aria così distrutta. Sembra un bambino. A quanto pare i barbari non reggono il vino, come alcuni dei nostri uomini.”
“Già. Ma non è il vino, non può essere. È per quello che ha mangiato.”
Blackthorne si agitò, lottando per riprendere piena coscienza.
“Non ci sono servi sulla nave, Kana-san, perciò devo prendere il posto di una cameriera dell’Anjin-san.” Cominciò a spogliare Blackthorne, a fatica per via del braccio ferito.
“Lasciate che vi aiuti.” Kana era molto abile. “Lo facevo per mio padre, quando il sakè lo vinceva.”
“A un uomo fa bene ubriacarsi ogni tanto. Lo libera dagli spiriti cattivi.”
“Sì, però il giorno dopo mio padre stava molto male.”
“Anche mio marito sta molto male, dopo. Per giorni interi.”
Dopo un momento, Kana esclamò: “Che Budda conceda al Nobile Buntaro di fuggire!”
“Sì,” rispose Mariko, guardandosi intorno. “Non capisco come possano vivere in un simile disordine. È peggio che nelle case della nostra gente più povera. Nell’altra cabina quasi svenivo per il puzzo.”
“È rivoltante. Non ero mai salito prima su una nave barbara.”
“Io non ero mai stata in mare.”
La porta si aprì e il nostromo depositò un secchio. La vista di Blackthorne nudo lo sconvolse e subito tirò fuori una coperta, da sotto la cuccetta, e lo coprì. “Morirà, così. E a parte questo… è una vergogna ridurre un uomo in questo modo, perfino uno come lui.”
“Come?”
“Niente. Come vi chiamate, senhorita?” Gli brillarono gli occhi.
Mariko non rispose. Tolse la coperta e lavò Blackthorne, lieta di poter agire, detestando la cabina e la presenza sudicia del nostromo e chiedendosi che cosa stesse accadendo nell’altra cabina. Sarà al sicuro il nostro padrone?
Quando ebbe finito, raccolse in un fagotto il chimono e il perizoma sporchi. “Questa roba si può far lavare, senhor?”
“Eh?”
“Bisogna pulirli subito. Potete chiamare uno schiavo, per favore?”
“Sono un branco di pigri bastardi, ve l’ho detto. Gli ci vorrà una settimana, o più. Gettateli via, senhorita, non valgono un centesimo. Il nostro pilota Rodrigues ha detto di dargli dei vestiti decenti. Ecco.” Aprì una cassa. “Ha detto di prenderli da qui.”
“Non so come vestire un uomo con questa roba.”
“Gli serve una camicia e dei calzoni e le brache e calze e stivali e una giubba.” Il nostromo li tirò fuori, mostrandoglieli. Poi lei e il samurai, insieme, cominciarono a rivestire Blackthorne, ancora semincosciente.
“Come si mette questo?” Mariko teneva alzate fra le mani le brachette, triangolari, con i lacci penzolanti.
“Madonna! Si portano davanti, così,” rispose il nostromo, imbarazzato, indicandolo su se stesso. “Gliele legate sopra ai calzoni, così.” Mariko osservò quelle del nostromo, e lui, sentendosi così esaminato, si mosse a disagio. Poi la donna mise le brachette a Blackthorne, accuratamente e, fra lei e Kana, gli passarono i lacci fra le gambe e glieli legarono alla vita. Mariko disse piano al samurai: “È il modo di vestire più ridicolo che abbia mai visto.”
“Dev’essere molto scomodo,” rispose Kana. “Anche i preti le portano, Mariko-san? Sotto le vesti?”
“Non lo so.”
Si tolse dagli occhi una ciocca di capelli. “Senhor, adesso l’Anjin-san è vestito nel modo giusto?”
“Sì, salvo gli stivali. Eccoli qua, ma possono aspettare.’’ Il nostromo le si avvicinò e Mariko strinse le narici. L’uomo abbassò la voce, voltando le spalle al samurai. “Ne volete fare una svelta?”
“Come?”
“Mi piacete, senhorita, eh? Che ne dite? Nella cabina vicina c’è una cuccetta… mandate di sopra il vostro amico. L’ingeles per un’altra ora è partito. Pagherò la solita tariffa.”
“Che cosa?”
“Un pezzo di rame… anche tre se ci sapete fare, e proverete il gallo migliore tra qui e Lisbona. Eh, che ne dite?”
Il samurai vide la faccia inorridita di Mariko. “Che succede, Mariko-san?”
Incespicando Mariko si allontanò dal nostromo e dalla cuccetta. Balbettò: “Lui… ha detto… ha detto…”
Kana sguainò immediatamente la spada, ma si trovò davanti alle canne di due pistole. Si preparò ugualmente a colpire.
“Fermo, Kana-san!” esclamò Mariko di scatto. “Toranaga-sama ha proibito qualunque attacco senza suo ordine!”
“Avanti, scimmia, vienimi addosso, pezzo di merda! Voi! Dite a questa scimmia di metter via la spada o si ritrova morto senza nemmeno accorgersene!”
Mariko era a trenta centimetri dal nostromo. Teneva la destra ancora nell’obi, con il manico dello stiletto chiuso nel palmo. Ma si rammentò del suo dovere e sfilò la mano. “Kana-san, vi prego, ringuainate la spada. Vi prego. Dovete obbedire al Nobile Toranaga. Tutti e due dobbiamo obbedirgli.”
Con uno sforzo supremo, Kana ripose la spada nel fodero.
“Ho voglia di mandarti all’inferno, giappo!”
“Vi prego, scusate lui e me,” disse Mariko, cercando di apparire cortese. “È stato un errore…”
“Quella scimmia bastarda ha tirato fuori la spada. Non era un errore, Cristo!”
“Vi prego, scusatelo, senhor. Mi spiace molto.”
Il nostromo si leccò le labbra. “Vi perdono, se sarete gentile, fiorellino. Andiamo nell’altra cabina e dite a questa scim… ditegli di restare qui e io dimenticherò tutto.”
“Come… come vi chiamate, senhor?”
“Pesaro. Manuel Pesaro. Perché?”
“Niente. Scusate l’errore, senhor Pesaro.”
“Andate nell’altra cabina. Subito.”
“Che cosa succede? Che cosa…” Blackthorne, senza capire se era sveglio o in un incubo, avvertiva il pericolo. “Che succede, perdio?”
“Questo giappo puzzolente mi si voleva gettare addosso!”
“È stato… un errore, Anjin-san,” intervenne Mariko. “Io… mi sono già scusata con il senhor Pesaro.”
“Mariko? Siete voi, Mariko-san?”
“Hai, Anjin-san. Honto. Honto.”
Gli si accostò. Le pistole del nostromo erano sempre puntate su Kana.
Mariko dovette sfiorarlo passando e le costò uno sforzo enorme non estrarre il pugnale e infilarglielo nel petto. In quel momento si aprì la porta ed entrò il giovane timoniere con un secchio d’acqua. Emise un’esclamazione soffocata alla vista delle pistole e fuggì.
“Dov’è Rodrigues?” chiese Blackthorne, cercando di rimettere in funzione il cervello.
“Di sopra, dove deve stare un pilota,” rispose il nostromo, con voce rauca. “Questo giappo mi ha minacciato, perdio!”
“Aiutatemi a salire in coperta.” Blackthorne si aggrappò ai bordi della cuccetta. Mariko lo prese per un braccio, ma non riuscì a sollevarlo.
Il nostromo agitò una pistola in direzione di Kana. “Ditegli di aiutarlo. E ditegli che se c’è un dio in cielo, prima che cambi la guardia penzolerà dal pennone.”
Santiago, primo ufficiale in seconda, tolse l’orecchio dallo spiraglio segreto nella parete della sala, sentendosi riecheggiare nel cervello le parole conclusive di Dell’Aqua: “Allora è tutto sistemato.” Scivolò senza rumore attraverso la cabina scura, poi in corridoio, chiudendo silenziosamente la porta. Era un uomo alto, magro, con la faccia scavata, i capelli raccolti in una coda impeciata. Era vestito bene e stava a piedi nudi, come quasi tutti i marinai. In fretta corse fino al cassero, dove Rodrigues stava parlando con Mariko. Chiese scusa, poi si chinò vicinissimo all’orecchio di Rodrigues e gli riferì tutto quanto aveva sentito (era stato mandato apposta a sentire).
Blackthorne sedeva in coperta, appoggiato alla falchetta, con la testa sulle ginocchia. Mariko sedeva eretta di fronte a Rodrigues, alla giapponese, Kana era vicino a lei, con un’espressione cupa sul viso. Dappertutto si aggiravano marinai armati, e al timone ce n’erano più di due. La notte era ancora limpida, ma la pioggia non era lontana. A un centinaio di metri la galea dondolava, di murata, alla mercé dei suoi cannoni, con i remi ammarati, salvo due per parte che la tenevano in posizione. I pescherecci carichi di arcieri nemici erano più vicini, ma non ancora addosso.
Mariko stava osservando Rodrigues e l’ufficiale. Non poteva udirli, e anche se avesse potuto la sua educazione le avrebbe imposto di turarsi le orecchie. Nelle case di carta la riservatezza era impossibile, se non c’era rispetto e cortesia, e senza la riservatezza non sarebbe esistita vita civile, per cui i giapponesi erano abituati a udire e non ascoltare. Per il bene di tutti.
Quando lei era salita in coperta con Blackthorne, Rodrigues aveva voluto sentire le spiegazioni del nostromo e poi le sue: che c’era stato un equivoco sulle parole del nostromo e perciò Kana aveva estratto la spada per proteggere il suo onore. Il nostromo aveva ascoltato sogghignando, con le pistole sempre puntate contro la schiena del samurai.
“Ho chiesto solo se era la pupa dell’ingeles, perdio! dato che si occupava tanto di lui e lo lavava e gli infilava i coglioni nelle brache.”
“Metti via le pistole, nostromo.”
“È pericoloso, vi dico. Legatelo!”
“Ci penso io. Fila!”
“Questa scimmia mi avrebbe ammazzato, se non fossi stato più svelto di lui. Appendetelo al pennone. È quello che faremmo a Nagasaki!”
“Non siamo a Nagasaki. Fila via! Subito!’’
Dopo che il nostromo si fu allontanato, Rodrigues domandò a Mariko:
“Che cosa vi ha detto, senhora? Veramente.
“È stato… niente, senhor. Vi prego.”
“Mi scuso per l’insolenza di quell’uomo verso di voi e verso il samurai. Per favore, chiedete scusa anche al samurai a nome mio. E vi chiedo formalmente — a entrambi — di dimenticare le ingiurie del nostromo. Creare guai a bordo non servirebbe al bene né del vostro feudatario né del mio. Vi prometto che a tempo debito mi occuperò io di lui.”
Mariko aveva riferito a Kana e alla fine egli aveva accettato.
“Kana-san dice che va bene, ma che se trova il nostromo Pesaro sulla spiaggia, gli taglierà la testa.”
“È giusto, perdio! Domo arigato,” disse Rodrigues con un sorriso. “E domo arigato goziemashita, Mariko-san.”
“Parlate giapponese?”
“Oh, no, solo due o tre parole. A Nagasaki ho una moglie.”
“Oh! Siete da molto in Giappone?”
“Questo è il mio secondo viaggio da Lisbona. In complesso ho passato sette anni in queste acque — fra qui, Macao e Goa.” Poi aggiunse: “Non badategli. È un eta. Ma Budda dice che anche gli eta hanno diritto a vivere. ne?”
“Certo,” rispose Mariko, con quel nome e quella faccia incisi per sempre nella memoria.
“Mia moglie parla un po’ il portoghese, ma nemmeno lontanamente bene come voi. Siete cristiana, vero?”
“Sì.”
“Mia moglie è convertita anche lei. Suo padre è samurai, anche se poco importante. Il suo feudatario è il Nobile Kiyama.”
“È fortunata ad avere un simile marito,” disse garbatamente Mariko, ma si chiese, attonita, come si potesse sposare un barbaro e viverci insieme. “La signora vostra moglie mangia carne, come… come quella in cabina?” “No,” rise Rodrigues, mostrando i bei denti bianchi e forti. “E in casa mia a Nagasaki nemmeno io mangio carne. La mangio in mare e in Europa. È il nostro uso. Mille anni fa, prima che venisse Budda, anche voi ne avevate l’usanza, prima che Budda indicasse il Tao, tutti mangiavano carne. Anche qui, senhora. Adesso abbiamo imparato, ne? Almeno alcuni di noi.”
Mariko rifletté, poi domandò: “Tutti i portoghesi ci chiamano scimmie? E giappo? Dietro le nostre spalle?”
Rodrigues si tirò l’orecchino. “Voi non ci chiamate forse barbari? Anche in faccia? Eppure siamo civili, almeno così crediamo, senhora. In India, nel paese di Budda, chiamano i giapponesi ‘diavoli dell’Est’ e non permettono a un giapponese di sbarcare armato. Voi chiamate gli indiani neri e non-umani. I cinesi come chiamano i giapponesi? E voi come chiamate i cinesi? Come chiamate i coreani? Mangiatori d’aglio, ne?”
“Non credo che il Nobile Toranaga sarebbe contento. Né il Nobile Hiro-matsu, né il padre di vostra moglie.”
“Gesù benedetto disse: ‘Prima di cercare la pagliuzza nell’occhio del vicino, guarda la trave che è nel tuo.’ ”
Mariko rifletté di nuovo, mentre osservava l’ufficiale che bisbigliava agitato nell’orecchio del pilota. È vero: deridiamo gli altri popoli. Ma noi siamo cittadini del Paese degli Dei, e quindi prescelti dagli dei. Noi soli, fra tutti i popoli, siamo protetti da un imperatore divino. Noi siamo dunque assolutamente unici e superiori a tutti? E se sei giapponese e cristiana? Non lo so. Oh, Madonna donami la capacità di capire. Questo pilota Rodrigues è strano come il pilota inglese. Perché sono così speciali? È forse per l’insegnamento che hanno ricevuto? È incredibile quello che fanno, ne? Come possono viaggiare intorno alla terra e camminare sul mare come noi sulla terra? La moglie di Rodrigues saprebbe la risposta? Mi piacerebbe conoscerla e parlarle.
L’ufficiale abbassò ancor di più la voce.
“Che cosa ha detto?” esclamò Rodrigues, con un’imprecazione incontenibile. E Mariko, nonostante tutto, cercò di ascoltare, ma non riuscì a udire la risposta dell’ufficiale. Poi li vide guardare entrambi Blackthorne e fu turbata dalla preoccupazione evidente nel loro sguardo.
“Che altro è successo, Santiago?” chiese con cautela Rodrigues, consapevole della presenza di Mariko.
L’ufficiale parlò sussurrando, dietro una mano.
“Quanto resteranno di sotto?”
“Stavano brindando a vicenda e all’affare concluso.”
“Bastardi!” Rodrigues afferrò l’ufficiale per la camicia. “Non una parola di tutto questo, perdio! Sulla tua vita!”
“Non c’è bisogno di dirlo.” Rodrigues guardò di nuovo Blackthorne. “Sveglialo!”
L’ufficiale andò a scuoterlo, rudemente.
“Che succede, eh?”
“Dagli una botta!”
Santiago gli tirò un ceffone.
“Per Gesù Cristo, io ti…” Blackthorne balzò in piedi, col viso in fiamme, ma ondeggiò e ricadde.
“Maledizione, svegliati, ingeles!” Rodrigues chiamò due timonieri. “Buttatelo in acqua!”
“Eh?”
“Subito, perdio!”
Mentre i due uomini si affrettavano a tirare in piedi Blackthorne, Mariko gridò: “Pilota Rodrigues, non dovete…” ma prima che lei o Kana potessero intervenire, i due marinai avevano già buttato fuori bordo l’inglese. Precipitò per venti metri, atterrò di pancia fra una nuvola di spruzzi e scomparve. Dopo un istante ricomparve in superficie, sputando e ansimando, battendo le mani sull’acqua, mentre il gelo gli schiariva la mente.
Rodrigues si stava faticosamente alzando dal seggiolino. “Oh, Madonna, datemi una mano!”
Uno dei marinai accorse e l’ufficiale gli infilò una mano sotto l’ascella. “Cristo, state attenti, pensate alla mia gamba, imbecilli!”
Lo accompagnarono ad affacciarsi: Blackthorne stava ancora tossendo, ma mentre nuotava verso la fiancata della nave imprecava a gran voce contro chi lo aveva gettato in acqua.
“Due punti a dritta!” ordinò Rodrigues. La nave si allontanò leggermente da Blackthorne e il pilota urlò: “Stai lontano dalla mia nave!” Poi, in fretta, disse al primo ufficiale: “Prendi la lancia, raccogli l’ingeles e portalo a bordo della galea. Svelto. Digli…” Abbassò la voce.
Mariko si sentì lieta che Blackthorne non stesse affogando. “Pilota! L’Anjin-san è sotto la protezione del Nobile Toranaga. Io vi chiedo che venga subito riportato a bordo!”
“Un momento, Mariko-san,” e Rodrigues continuò a sussurrare qualcosa a Santiago, che annuì e corse via. “Mi spiace, Mariko-san, gomen kudasai, ma era urgente. Bisognava svegliare l’ingeles a ogni costo, e io sapevo che era capace di nuotare. Deve stare molto sveglio e all’erta!”
“Perché?”
“Io gli sono amico. Non ve l’ha mai detto?”
“Sì, ma Inghilterra e Portogallo sono in guerra. E anche la Spagna.”
“Sì. Ma i piloti dovrebbero tenersi al di sopra delle guerre.”
“Verso chi avete dunque dei doveri?”
“Verso la bandiera.”
“Non verso il vostro re?”
“Sì e no, senhora. Io ero debitore di una vita all’ingeles.” Rodrigues seguiva con lo sguardo la lancia. “Continua così… adesso mettila al vento,” ordinò al timoniere.
“Sì, senhor.”
Rodrigues attese, controllando e ricontrollando il vento e il fondale. “Scusate, senhora… che cosa dicevate?” Per un momento la guardò, poi tornò a occuparsi della nave e della lancia. Anche Mariko seguiva con lo sguardo la lancia: i marinai avevano tirato Blackthorne fuori dall’acqua e si dirigevano rapidamente alla galea, remando seduti e non in piedi. Non riusciva più a scorgerne i volti con chiarezza. L’Anjin-san si confondeva con l’uomo accanto a lui, quello a cui Rodrigues aveva sussurrato i suoi ordini. “Che cosa gli avete detto, senhor?”
“A chi?”
“A lui. Al senhor che avete mandato con l’Anjin-san.”
“Solo di salutare l’ingeles, fargli gli auguri e sbrigarsi.” La risposta suonò fredda e indifferente. Mariko tradusse per Kana.
Quando vide la lancia affiancata alla galea, Rodrigues respirò. “Santa Maria, Madre di Dio…”
Salirono sul ponte il capitano-generale e i gesuiti e, dietro a loro, Toranaga con le sue guardie.
“Rodrigues! La scialuppa! I padri scendono a terra,” disse Ferriera.
“E poi?”
“E poi partiamo. Per Yedo.”
“Perché laggiù? Dovevamo dirigerci su Macao,” rispose Rodrigues, con l’espressione dell’assoluto candore.
“Portiamo Toranaga a casa, a Yedo. Prima.”
“Che cosa? E la galea?”
“Resterà qui o si aprirà la strada.”
Rodrigues prese un’aria ancor più sorpresa e guardò la galea, poi Mariko. Vide l’accusa negli occhi di lei.
“Matsu,” le disse piano.
“Come?” intervenne Alvito. “Pazienza? Perché pazienza, Rodrigues?” “Recitare avemaria, padre. Dicevo alla signora che insegna la pazienza.” Ferriera stava osservando la galea. “Che fa la nostra lancia laggiù?”
“Ho rimandato a bordo l’eretico.”
“Cos’avete fatto?”
“Ho rimandato indietro, l’ingeles. Che c’è, capitano-generale? L’ingeles mi ha offeso e l’ho buttato a mare, il fetente. L’avrei lasciato affogare, ma sa nuotare, perciò gli ho mandato la lancia a ripescarlo e ricondurlo sulla sua nave, dato che sembra sotto la protezione di Toranaga-sama. Che c’è di male?”
“Riportatelo a bordo.”
“Dovrò mandare una pattuglia armata, capitano-generale. È quello che volete? Stava bestemmiando e coprendoci d’insulti. Questa volta non tornerà indietro di sua volontà.”
“Lo rivoglio a bordo, qui.”
“Ma perché? Non avete detto che la galea deve o restare qua o aprirsi la strada? E allora? L’ingeles è nella merda fino al collo. Benone! E chi ha bisogno di lui? I padri preferiscono certo non averlo sotto gli occhi. Eh, padre?”
Dell’Aqua non rispose e Alvito neppure. Era una mossa che guastava il piano proposto da Ferriera e accettato da loro e da Toranaga: i preti dovevano scendere subito a terra per placare Ishido, Kiyama e Onoshi, affermando di aver creduto alle asserzioni di Toranaga sui pirati e di non sapere che egli fosse “fuggito” dal castello. Nel frattempo la fregata si sarebbe diretta all’imboccatura del porto, lasciando la galea a distrarre i pescherecci. Se la fregata fosse stata attaccata, si sarebbe risposto con le cannonate e il dado sarebbe stato tratto.
“Ma non dovrebbero attaccarci, i pescherecci,” era stato il ragionamento di Ferriera. “Hanno la galea da prendere. Spetta a voi, eminenza, convincere Ishido che non avevamo altra scelta. In fin dei conti, Toranaga è presidente del Consiglio dei reggenti. E, ultima cosa, l’eretico resta a bordo.”
Nessuno dei due gesuiti aveva domandato perché e Ferriera non aveva dato spiegazioni.
Il padre visitatore posò una mano sul braccio del capitano-generale e voltò le spalle alla galea. “Forse è bene che l’eretico sia là sopra,” disse, pensando quanto siano strane le vie di Dio.
No, avrebbe voluto gridare Ferriera, io voglio vederlo affogare. Un uomo in mare alle prime luci dell’alba, senza tracce, senza testimoni, tutto così facile. Toranaga non ne avrebbe mai saputo di più: un tragico incidente, per lui. Era il destino che Blackthorne si meritava. Anche il capitano-generale conosceva l’orrore dei piloti davanti alla morte in mare.
“Nan ja?” chiese Toranaga.
Padre Alvito gli spiegò che il pilota si trovava sulla galea, e il perché. Toranaga si rivolse a Mariko, che annuì e aggiunse quello che Rodrigues le aveva detto in precedenza.
Toranaga si affacciò al parapetto e scrutò nel buio. Altri pescherecci stavano partendo dalla riva nord e il precedente gruppo era quasi arrivato a destinazione. Sapeva che politicamente l’Anjin-san rappresentava una difficoltà e in quel modo gli dei gli offrivano una facile via d’uscita, se gli fosse piaciuto liberarsi di lui. Lo desidero? Certo i preti cristiani si sentiranno molto più contenti se scompare, pensò. E anche Onoshi e Kiyama, che lo temevano tanto da aver organizzato, forse insieme o forse singolarmente, gli attentati contro di lui. Perché ne avevano tanta paura?
È il karma che vuole adesso l’Anjin-san sulla galea e non qui al sicuro. Così l’Anjin-san forse scomparirà con la nave, insieme a Yabu e agli altri e alle armi. E anche questo è karma. I cannoni posso perderli, Yabu posso perderlo. Ma l’Anjin-san?
Sì. Perché ho altri otto di questi strani barbari, di riserva. Forse il loro sapere, riunito tutto insieme, sarà pari o superiore a quello di quel solo uomo. L’importante è tornare a Yedo il più presto possibile, per prepararsi alla guerra, che è inevitabile. Kiyama e Onoshi? Chissà se mi appoggeranno. Forse sì, forse no. Ma un pezzo di terreno e qualche promessa non sono niente in confronto all’avere dalla mia parte la forza dei cristiani, entro quaranta giorni.
“È il karma, Tsukku-san. ne?”
“Sì, mio signore.’’ Alvito osservò il capitano-generale, molto soddisfatto. “Toranaga-sama suggerisce di non fare niente. È la volontà di Dio.”
“Lo è davvero?”
Bruscamente sulla galea il tamburo cominciò a rullare, e i remi affondarono vigorosamente nell’acqua.
“Che cosa sta facendo, in nome di Cristo?” gridò Ferriera.
E mentre tutti guardavano la galea allontanarsi da loro, la bandiera di Toranaga scese lentamente dall’albero maestro.
“Guardate come stanno avvertendo ogni dannato peschereccio che Toranaga-sama non si trova più a bordo!” esclamò Rodrigues.
“Che cosa farà?”
“Non lo so.”
“Davvero?” chiese Ferriera.
“No. Ma se fossi al suo posto, punterei verso il mare aperto e lascerei noi in questo buco… o almeno proverei. Adesso l’ingeles ha indicato noi. Che cosa si farà?”
“L’ordine è di raggiungere Yedo.” Il capitano-generale avrebbe voluto aggiungere: e se investi la galea, meglio. Ma non lo disse, perché Mariko ascoltava.
I gesuiti se ne andarono a terra nella scialuppa.
“Senhora, dite al Nobile Toranaga che sarebbe meglio se scendesse di sotto. Sarà più al sicuro,” suggerì Ferriera.
“Vi ringrazia, ma dice che starà qui.”
Ferriera si strinse nelle spalle e si sporse dal cassero. “Caricate tutti i cannoni! Preparate la mitraglia! Ai posti di combattimento!”