Quaranta

Fu necessario coinvolgere Laura, telefonare a Scalzi, chiedere permessi e appuntamenti.

Fu necessario tutto quello che occorreva. E la salma di Timothy, ricomposta in una bara dignitosa, fu pronta al viaggio. Laura accompagnò la signora. L’assistette durante il funerale, sulla tomba scrissero soltanto Timothy e le date di nascita e di morte.

Don Carlo benedisse con parole accorate questo piccolo straniero che si univa ai loro morti.

Gli raccontarono brevemente la storia e la ragione di quella sepoltura.

Gli raccontarono il dolore di quella madre. Che assisteva al rito con le labbra serrate e gli occhi chiusi, sforzandosi di non piangere.

«Dio è grande» declamò il prete a braccia spalancate.

Dio è grande…

Quando tutto sembrò sistemato, la donna più bella del mondo si presentò nuovamente nello studio di Massimo Gilardi, avendo in Laura una complice affettuosa.

Era ancora vestita di nero, ancora con il viso struccato sotto quella massa di capelli colore dell’oro liquido.

«Volevo ringraziarla, avvocato».

«Ha fatto tutto da sola».

Ora stava ridendo, sembrava più giovane. Accettò il bicchiere di whiskey e si sedette davanti al leone imbronciato.

«Sono d’accordo con l’avvocato Licasi, le rimborserò tutto quello che ha anticipato per me, mio marito…» Sorrise stirando appena le labbra. «Mi ha sgridata perché ho voluto fare questa cosa da sola, e naturalmente è d’accordo in tutto con me».

Un’ombra le sfiorò il viso. «L’avvocato Licasi mi ha detto che lei non vuole darmi una nota dello studio, perché?»

«Abbiamo fatto due chiacchiere e abbiamo bevuto un whiskey insieme: c’è un prezzo per questo? Non in questo studio».

«Lei è davvero molto speciale, avvocato… come quel leone là dietro. La ringrazio, non parlavo di mio figlio in questo modo da anni… Ha ragione, non posso vivere la sua morte come una colpa. Gli altri nostri figli, tre dopo Timothy, sono sani, intelligenti, simpatici, spiritosi».

Un attimo e aggiunse con un sorriso: «Bellissimi».

«Somiglieranno a lei».

«Un complimento? Ma allora è capace di farne, la credevo duro e freddo come la pietra. Lei ha figli?»

«Due» e girò verso di lei la foto di Paola con Sergio e Alice. «Ora sono cresciuti e la signora al centro…»

«Un momento, ma io la conosco. È stata a casa nostra… non è Paola Gretel di Tiffany?»

«Sì, è lei, ma ora non è più mia moglie».

«Una donna fantastica, pazza ma geniale… Abbiamo in casa due sue sculture straordinarie e io ho alcuni dei suoi gioielli esclusivi. Che strana coincidenza. È venuta da noi all’inizio di dicembre dello scorso anno con un amico».

«Non siamo più sposati, io ho un’altra moglie».

«Succede… a volte».

«Il suo matrimonio?»

«Bene, per fortuna. Sarei disperata, io non sono Paola Gretel». Si guardò le mani, aprendole sulla scrivania. «Le mie mani…» e fece una smorfia.

«Chi è suo marito?»

Aprì la borsetta, prese il cellulare, e lo girò verso Gilardi. «Questi sono i nostri figli…»

«Bellissimi, tutti biondi come lei».

«George, il mio secondogenito…» e ingrandì un fotogramma a tutto schermo «diventerà uno scienziato. Serio e studioso…» Ora rideva. «Andrea… sì, lo so che in Italia è un nome maschile, ma lei si chiama così. Andrea è bizzarra, dipinge, scrive… e Thomas suona la chitarra».

«Anche mio figlio… sta diventando una professione, speriamo redditizia».

Ora stavano ridendo entrambi, e la donna gli mostrò nuovamente lo schermo.

«Questo è Micha, mio marito».

Capelli folti e precocemente bianchi, un bel viso sorridente. Gilardi lo riconobbe, spesso le cronache finanziarie si occupavano di lui: un cognome impronunciabile seguito da uno ‘Starkjs jr’. Miniere, grattacieli, alberghi, strutture che collaboravano con la NASA o con laboratori scientifici, e molto altro anche nel settore della new economy.

«Sono stata molto fortunata» disse, mentre rimetteva nella borsa l’apparecchio. «Lei che genere di avvocato è? Penale, tributario, broker, fusioni, trading, matrimonialista…»

«Ha una vera cultura in materia».

«Con mio marito… Allora?»

«Penale».

«Peccato» fece una smorfietta. «Abbiamo già uno studio penale».

«Lasci andare, sono cose da uomini… La prima volta che lei è entrata in questo studio, io ho pensato guardandola di avere di fronte la più bella donna del mondo… ma lei è anche altro».

«Avanti, non mi faccia arrossire».

«Gliel’avranno già detto». Le sorrise. «La bellezza è un dono. Ma essere belli è un’arte».

«Grazie… la porterò sempre nel mio cuore, avvocato. Mai avrei immaginato di poter incontrare una persona come lei. Davvero speciale». Alzò gli occhi verso di lui: ora stava ridendo come quella ragazza che stava imparando a ridere. «Invidio sua moglie» mormorò.

«Grazie, io invidio me stesso per averla convinta a essere mia moglie». E stava pensando a Olga.

Nel giro di poche settimane arrivarono i saldi delle varie note con assegni firmati dal marito più ricco del mondo. E un regalo, firmato da lei per ‘sua moglie’: un cofanetto lavorato in oro e argento di gradevolissima fattura. Nel biglietto era scritto: Per lei, signora fortunata, che non ho conosciuto. La firma, Charlize, uno svolazzo incomprensibile. Il cartoncino allegato del gioielliere avvertiva: Questo cofanetto proviene dai tesori di Bodrum.

Naturalmente una riproduzione fedele, con pietra centrale, sulla quale era pronta a spiccare il volo una libellula trasparente.

«Devo preoccuparmi?» gli chiese Olga, leggendo il biglietto.

«Mai. Mai dovrai preoccuparti per me. Sarei l’uomo più infelice della terra».

C’era una volta una ragazza senza nome…

Ora un nome ce l’hai. Ti chiami Timothy.

E hai una lunga veste di giza bianca che ti ha fatto la tua mamma.

Nessuno saprà mai se sei riuscito a fuggire o se ti hanno liberato i tuoi sequestratori perché tuo padre non avrebbe mai pagato il tuo riscatto.

Nessuno saprà mai perché di tutte le barche che erano in porto tu hai scelto proprio quella. Non sapevi che era una barca di ladri diretta a Napoli.

Ma tu hai scelto quella. E non sapevi neppure dov’era Napoli.

Sei salito, per andare dove la barca e il mare ti avrebbero portato. Ma lontano da lì.

In quella barca hai trovato un angolo buio e puzzolente dove nasconderti. E un omone vestito di bianco che ti ha dato da mangiare in silenzio e di nascosto.

E quando la barca si è fermata, tu non sapevi dove, ti sei tolto la camicia sporca di sangue, hai preso una tunica che era arrotolata in un sacco accanto a te, l’hai indossata e sei sceso.

Nessuno si è accorto di te: quella era Napoli, ma tu non lo sapevi.

La barca è ripartita e tu l’hai guardata andar via senza di te.

Era notte fonda.

Non sapevi dov’eri.

Non capivi.

Non parlavi.

Nel porto, a piedi nudi, hai camminato rubando dai tavolini dei bar avanzi di cibo. E quel ragazzo che parlava la tua lingua, che voleva toccarti e tu sei fuggito.

La gente ti guardava e rideva.

Quella donna rideva.

Quella ragazza rideva.

La regina delle carte... invece piangeva.

E all’improvviso il tuo cuore s’è fermato.

Ora un nome ce l’hai. È scolpito su una pietra azzurra, venuta da lontano.

Su quella pietra tutte le mattine si ferma un uccello nero dal becco giallo: che riprende il volo…

Tu che invece rimani qui.