Sei

Le indagini procedevano, ma lente e confuse perché nessuno aveva dato credito alla Longoni, che non sembrava molto attendibile. Avevano cominciato a mettere insieme le sue frasi da quando l’avevano ammazzata: non con la bomba quasi ridicola collegata al motore dell’auto, ma con una Beretta calibro 38, scaricata con furia. Neppure la stessa che aveva sparato alla ragazza senza nome.

Ora c’era la storia della barca che non convinceva nessuno. La squadra investigativa del commissario Gerolami al porto c’era stata quando era apparsa la notizia. Ora toccava a Scalzi, con la sua squadra al completo: arrivato al porto alle sei di mattina.

«Il comandante» ordinò, entrando in Capitaneria.

«Non c’è, ispettore. Può parlare con me… se posso». La donna, in divisa, era alta e asciutta, rossa di capelli. «Non sarà per la barca di quella trovata morta…»

«Giornalisti?»

«Un’ossessione. Avevo deciso di appendere un cartello fuori dalle sbarre: non c’è nessuna barca, lasciateci lavorare. Abbiamo dovuto chiamare le forze dell’ordine, i responsabili delle barche ancorate non avevano pace… Per fortuna la polizia ci ha dato una mano. Giorni d’inferno».

«Bene, ora lei cerchi di dare una mano a me».

«Guardi che abbiamo già detto tutto a un commissario capo… aspetti». Abbassò il capo sul banco che aveva davanti e con la mano smosse alcuni fogli. «Aspetti…»

«Il commissario Gerolami» l’aiutò Scalzi.

«Sì, quello. Hanno interrogato, visto, rigirato…»

Scalzi lo sapeva, si erano divisi i compiti, Gerolami al porto e lui alla roggia. Non aveva ancora incontrato il commissario, ma sapeva che se avesse scoperto qualcosa li avrebbe riuniti per comunicarlo.

«Lo so, facciamo parte della stessa squadra investigativa». E le mostrò la sua tessera. «So che dalle barche non è emerso niente».

«No, infatti. Quella mattina sono partite due imbarcazioni, abbiamo mostrato i documenti, tutto regolare. Sosta di tre giorni e partenza: una famiglia portoghese che tornava a casa… vuole vedere i permessi di sosta?»

«No, grazie. Non è quello che sto cercando». Dalla tasca prese una foto, poi decise per il cellulare. Cercò l’immagine e la mostrò alla donna dai capelli rossi. «Questa è la ragazza…»

«Mannaggia, ce l’hanno servita in tutte le salse. Sino a ieri sera avevamo quella foto ingrandita davanti alla porta, tutti dovevano vederla e dovevano dirci se l’avevano vista».

«Qualcuno…»

«No» lo interruppe sgarbatamente. «Non so chi abbia messo in giro la voce che fosse in barca. Non è segnata da nessuna parte».

«La mia domanda è un’altra».

«Sentiamo anche questa» e a braccia conserte tornò a sedersi dietro la propria scrivania.

«L’ha mai vista passeggiare in porto?»

«Senta, ispettore: lei ha voglia di scherzare, dica bene. Qui siamo a Napoli, non a Santa Margherita o a Rapallo… ha un’idea di quante barche arrivano e partono ogni ora in questo porto? E secondo lei io so di tutti quelli che ci stanno? Li vado a guardare a uno a uno?»

«Non le ho chiesto questo. Dai documenti di arrivo e partenza quelle cose le avete già dette al commissario Gerolami, altrimenti non vi avrebbe mollati. E sarete stati precisi, giorno, ora e occupanti… sbaglio?»

«No, è così. E da me allora che cosa vuole?»

«Lei o qualcuno di questo ufficio, che ha le vetrate sulla banchina, avete visto per caso camminare una ragazza con un caftano…» S’ingarbugliò, perché quello era un termine che aveva usato Laura. «Uno di quei cosi lunghi che portano le orientali, colorato? Una così, soprattutto se è giovane e carina, la si nota. Qualcuno…»

«Sì, aspetti, ho capito… ma non è detto che fosse in barca, magari è entrata…»

«Vede che ci capiamo? Magari… non potrebbe aver dormito in una barca lasciata incustodita?»

«E come faccio a saperlo?»

«Certo, ma potrebbe?»

«Potrebbe. Però sono chiuse. Può aver dormito al massimo sul ponte… forse».

«Sì, forse. Probabilmente quando parlava di barche intendeva questo. Aveva dormito in una barca lasciata chiusa in porto. E nessuno l’ha vista? Una ragazza così, vestita a quel modo, si nota. Era molto carina…»

«Lei neanche se lo immagina che cosa ci passa davanti al naso, dovessimo guardarle tutte, ci cascano gli occhi… Provo a chiedere ai maschi… quella è roba da maschi, è d’accordo, ispettore?»

Scalzi fece una smorfia e si scostò dal banco. «Una ragazza così, vestita in quel modo, è anche roba da donne…»

«Però con tutto il parlare che ne hanno fatto e le foto mostrate, se qualcuno… me l’avrebbe detto, che male c’è? Quello che voi non capite è che la gente non vuole essere immischiata. Sono qui, devono ripartire, perché dovrebbero immischiarsi in questa storia? Considerate anche questo: la gente non vuole storie».

«E se provassimo a insistere?»

La donna si scostò dalla scrivania. «Ma anche se qualcuno l’ha vista, lei che se ne fa, ora che è morta?»

«Me ne faccio, stia tranquilla. Me ne faccio».

Passarono il resto della mattinata a interrogare tutti gli addetti della capitaneria, maschi e femmine, per raccogliere smorfie di ogni genere tra chi quella quale quando… Ripeterono l’esperimento con i negozianti e gli addetti ai bar e ai ristoranti, da quelli che alzavano le saracinesche sino a quelli che le abbassavano.

E finalmente ne trovarono uno che disse di sì.

Era un ragazzo che serviva in uno dei bar per giovani, di quelli che aprono alle cinque del pomeriggio e chiudono all’alba. Uno studente americano che voleva imparare l’italiano lavorando. Era alto, bruno e spettinato, la maglietta con un’emoticon e la pubblicità del bar sulle spalle, un grembiulino nero e corto legato in vita. Pantaloni bianchi e scarpe da tennis. Disse «Sissignore» e lo disse in italiano.

Scalzi girò una sedia e fece cenno a uno dei suoi ragazzi di avvinarsi: Biagi sapeva l’inglese. Gli mise in mano il cellulare con la fotografia della ragazza. «Chiedigli se l’ha vista, quando e dove era».

Il ragazzo americano gli sorrise. «Ho capito» disse. «Vuole un caffè?»

«Dopo, grazie. Allora: lei mi risponda come può e se non capisce le mie domande, Biagi gliele traduce».

«Grazie, capisco bene». Si sedette. «Posso? Mi chiamo Frederick… Fred, insomma».

«Bene, Fred. Dove hai visto questa ragazza?»

«Qui, dove adesso lei è seduto».

«Quando? A che ora? Era sola?»

Fred sorrise e con la mano gli fece cenno di andare adagio. «Quella mattina ero di pulizie, ero solo ed erano circa sei e mezzo. Noi facciamo pulizia quando non c’è nessuno. Lei era lì e stava dormendo. Si è svegliata, si è spaventata, voleva scappare… e io l’ho fermata».

«Che lingua parlava?»

Fred scosse la testa. «Non capivo… Parlava come una donna che avevo conosciuto, abitava vicino alla mia famiglia. Era malata. Ma io non so se questa era malata… io ho capito, più che altro dai gesti, che era sola e spaventata».

«Come l’hai capito?»

Biagi ripeté la domanda con maggiori dettagli. Fred fece di sì con la testa. «Voleva andarsene, scappare… siamo entrati nel bar, non c’era nessuno. Le macchine erano spente, ma io avevo un thermos con tè caldo, dato e lei bevuto tutto. Allora ho dato cornetti, due… lei mi ha detto che non aveva soldi. Una volta si può fare» e rise.

«Ti ha detto qualcosa di sé? Da dove veniva, perché era in porto a quell’ora?» Mentre chiedeva, Fred scuoteva la testa.

«Non ti ha detto niente?»

«No, non immaginavo che sarebbe morta. Mi sembrava una…» mosse la mano davanti alla fronte, il gesto era eloquente.

«Ti ricordi che giorno era?»

Fred fece di sì con la testa. «Quando ho visto sul giornale, erano tre mattine prima. Non mi sbaglio».

«Ti ha detto dove stava andando?»

«No, niente altro. Io dovevo pulire…»

«Già, e avevi fretta. Grazie, Fred. Ora sì, il caffè». E si sorrisero.