Tre
Da Peppino, scelse il tavolo d’angolo in fondo alla sala, l’unico tavolo rotondo della trattoria. Era il loro tavolo, quando pensavano che avrebbero potuto vivere insieme: Laura non l’aveva mai rimpianto, Roberto Scalzi forse sì.
Si sedette e ordinò una panaché, quella birra allungata con la gazzosa: fresca, frizzantina e leggera. E aprì il giornale, completamente assorbita dalle notizie che arrivavano dall’America su un presunto golpe.
«Sono in ritardo?»
Laura alzò gli occhi e gli sorrise. «Non più del solito, ciao».
Ordinarono vino bianco.
«Vuoi l’impepata di cozze e una fritturina di gamberi mentre…» Scalzi si rivolse a Peppino, che in piedi accanto al tavolo sembrava quasi sull’attenti. «Come stiamo oggi ad aragoste?»
«Ispettore, ma che cosa mi dice? Per lei… pescata stanotte, vuole vederla e rendersi conto?»
«No, va bene anche per te?»
«Sì, grazie. Vorrei finire con un’insalatina…»
«Dell’orto, signorina, ve la preparo io, con le mie mani… Porto subito la fritturina, ispettore. Subito». E alzando la voce per farsi sentire: «La fritturina per l’ispettore, avanti…» Batté le mani. «Svelti, coraggio…»
Roberto Scalzi, attraverso il tavolo, strinse la mano di Laura. «Come stai?» Non volle sentire la risposta, sapeva che era guarita ma che doveva sottoporsi a continui controlli. «Il nostro tavolo… ci pensi qualche volta? Io sì!»
«Non vai bene con tua moglie?»
«Lei, sì. È una brava donna… la figlia è da prendere a sberle… viziata. Ora vuole andare un mese a Londra a imparare la lingua. Qualcuno dovrebbe dirle che non sono un generale… Andrà a Londra» aggiunse con un sospiro, come se l’avessero obbligato.
Laura sorrise. «Magari le servirà per ottenere un lavoro migliore».
«Così dice». Si scansò leggermente per lasciare spazio al cameriere che li stava servendo. «Così dice…» Mise in bocca un gambero fritto e caldo al punto giusto, e sorrise a Laura. «Con te sarebbe stato diverso».
Soltanto quando incrociarono le posate sul piatto dove avevano mangiato l’aragosta, Roberto Scalzi fece la domanda che l’aveva portato sin lì. «Allora, quel nome?»
Laura lasciò che il cameriere sparecchiasse, si inumidì le labbra con il vino frizzante, si asciugò la bocca nel tovagliolo e appoggiò le spalle alla sedia. «È venuta da noi una donna che dice di sapere chi è la morta della roggia di Sanpietro».
«È sospetta?»
«Ma no, te l’ho detto. Voleva conoscere Gilardi, l’aveva visto in televisione qualche sera fa a Porta a Porta per il processo Sebastiani-Menconi, ne fanno un gran parlare. Ci ha detto di conoscere quella donna, lei sa chi è».
«E chi è?»
«Te lo faccio dire da lei…» Gli raccontò dell’incontro con Beatrice Longoni in studio, delle sue chiacchiere e dell’atteggiamento di Gilardi. Di lei che l’aveva accompagnata a casa, per farla parlare.
«Napoletana?»
«No, di Sondello. Il terremoto le ha distrutto la casa, lei e la figlia sono vive per miracolo, ripescate tra le macerie. Invece di star lì ad aspettare che le dessero una casetta nuova, dopo mesi passati in tenda a dare una mano a quelli che ne avevano bisogno, ha raccolto le poche cose che le erano rimaste ed è arrivata a Napoli, un po’ a piedi e un po’ con mezzi di fortuna. Lei che era stata operaia di un cotonificio distrutto ha imparato a pulire. E appena arrivata ha avuto la fortuna di trovare, nella zona bassa del mercato, dove era andata a cercare un tetto, una casa di tre piani, sette inquilini, che cercavano una donna: per le parti in comune e per qualcuno dei loro appartamenti. Con due localini all’ultimo piano, vuoti. Così in un colpo solo ha trovato casa e lavoro. È una donna sveglia. Ora la figlia non vuole continuare a studiare, preferirebbe lavorare e tornare al paese, non importa se ci sono ancora le macerie e forse non avrà una casa. Forse la ragazza al paese ha lasciato un pezzetto di cuore». E gli sorrise.
«E la donna della roggia?»
Tra una fragola e l’altra e un sorso di vino bianco frizzante, gli raccontò quello che Beatrice Longoni le aveva detto a proposito di quel cadavere. «Ha opposto molta resistenza, ma sono riuscita a convincerla: parlerà con te. Poiché non sembrava darsi pace che io non fossi pazzamente innamorata di Gilardi, le ho detto che sono pazzamente innamorata di te, che siamo stati fidanzati». Le riuscì di ridere. «Ha funzionato, ora ha accettato di parlarti».
«Me la porti in Questura domattina dopo le nove?»
«Lavora… come te la porto? Devi aspettare sabato pomeriggio che è a casa».
«Ma da voi è venuta!»
«Ma tu non sei affascinante come Massimo Gilardi. O sì?»