Tredici
Il locale, una specie di palestra vuota, brulicava di addetti in divisa e attrezzature. Comandi rapidi, a mezza voce. Gesti consapevoli.
Al centro, il colonnello Andrea Testorri, che era stato capo responsabile del reparto investigativo e ora richiamato in servizio per dirigere quella squadra, un omone di statura di gesti e di voce, indicava a ciascuno il proprio posto, con poche spiegazioni e soltanto quelle che riteneva utili, come se parlare, con quella voce cupa e profonda che gli saliva dallo stomaco, sembrasse una fatica da evitare.
Per iniziare diede alcune spiegazioni tecniche che Roberto Scalzi e Elisa Forte, seduti contro la parete nel gruppo della squadra investigativa che stava lavorando al caso della ragazza senza nome, gli chiesero di ripetere.
«È così… la ragazza è morta in casa. Il professor Sanfelice non poteva essere più preciso. Lui ha detto bene, quando le hanno sparato la ragazza era già morta. Sin qui concordiamo».
«C’è altro?» domandò Elisa Forte.
«Abbiamo rilevato impronte di piedi che hanno tentato di cancellare, strofinando con uno straccio umido. Maschili. Piedi nudi».
«Siamo sicuri?» domandò Scalzi.
Testorri gli lanciò un’occhiata che avrebbe potuto incenerirlo se fosse stato fatto di un’altra pasta. Infatti insistette. «Noi non abbiamo rilevato impronte di piedi nudi, neppure della ragazza…»
«L’hanno portata fuori a braccia, non ci è andata con le sue gambe: era morta». Le parole del colonnello suonarono come uno sfottò.
«Perché a noi non risultano queste impronte? Siamo arrivati prima di voi».
Testorri aprì le braccia, come a dire che non era colpa sua se i RIS erano migliori della squadra investigativa del tribunale. Si permise persino di sollevare un angolo della bocca per un qualcosa che nessuno avrebbe definito sorriso.
«Hanno altre attrezzature» intervenne conciliante Elisa Forte.
«Certo, abbiamo usato il luminol… per ogni traccia biologica, anche se ripulita… E ora vi mostreremo quella stanza in questa stanza…» intervenne opportunamente un’assistente sulla quarantina, infagottata di bianco dalla testa ai piedi. Cioè, alle scarpe.
«Un film?» Scalzi era spazientito.
«Non precisamente. Una ripresa in 3D in dimensione reale, in modo che voi possiate camminarci dentro, vedere le cose come le abbiamo viste noi. Come se foste precisamente là. Un momento, prego…»
Era vero, quella che stavano guardando era la cucina: potevano attraversarla come se ci fossero dentro per arrivare alla camera. Impronte evidenziate di mani sulle pareti, impronte di piedi… quel batuffolo di cotone…
«Sangue della madre, vecchio di almeno due mesi. Probabilmente usato per tamponare un’escoriazione».
«Peli…»
«Ecco, sì. Un uomo alto circa un metro e settantacinque, si è fatto una doccia. Peli, impronte dei piedi e delle mani… dalle foto che ci avete procurato potrebbe essere il fidanzato».
Scalzi fece di sì, con la testa. «Quella mattina?»
«Mi sento di risponderle di sì, arrivandoci per logica. Ma dobbiamo starci sopra ancora un po’ di tempo per esserne assolutamente certi».
Quando spensero le luci e aprirono le finestre, Scalzi si alzò e andò a stringere la mano al colonnello. «Ottimo lavoro».
«Grazie, ma non è finito. Abbiamo cercato di seguire quelle impronte, anche se è logico aspettarsi che per uscire, chiunque fosse, abbia infilato le scarpe…»
«Un momento, colonnello. Quello stesso uomo a piedi nudi, ora con le scarpe, potrebbe aver portato la ragazza morta alla roggia?»
«Questo lo sta dicendo lei, ispettore. Noi siamo rimasti all’uomo che si lava, alla ragazza morta in casa…»
«Come fa a dirlo?»
«Stiamo lavorando sul materasso dove ha dormito. Quindi, per essere precisi, ora dico che la ragazza è stata portata fuori di casa in braccio. Non ci è andata con le sue gambe, mancano le tracce dei piedi».
«Bene… vediamo l’uomo uscire…»
«Sì, lo stesso uomo, stessa statura e stesso peso rilevati dalle impronte delle scarpe, suole di gomma un po’ consumate. Aggravate da un peso maggiore… Il peso della ragazza».
«E arriva alla roggia».
«Più o meno, direi di sì. Ma servono prove certe».
«Anche a me». Gli voltò le spalle per andarsene, ma si rigirò in fretta. «E il colpo di rivoltella?»
«Un altro capitolo, ispettore. Davanti alla roggia ci hanno camminato in lungo e in largo, anche voi, prima di sigillare il passaggio e togliere il cadavere. Ci sono le impronte che abbiamo chiamato Uomo A, ma ormai confuse e pasticciate. Inutilizzabili, a meno di un miracolo». Gli sorrise. «Ma non ci conterei».
Scalzi lo fissò pensieroso. «Ci sono anche impronte di un Uomo B, C, D… oltre a quello quasi certo?»
Andrea Testorri lo fissò con un’espressione compiaciuta, come se a un tratto l’avesse riconosciuto. «L’Uomo B è il vecchio e l’abbiamo scartato. C’è un Uomo C non ancora identificato».
«Già… forse lì potrò aiutarvi io. Vediamo…»
Scalzi si avvicinò a Elisa Forte. «Hai capito, vero?» le disse sottovoce.
«Chiaro, la ragazza ha mentito. Impronte di scarpe, di piedi nudi, peli pubici maschili… il famoso fidanzato. L’ha uccisa lui?» mormorò.
«Il genio, qui, ha ripetuto che la ragazza è morta in casa. Ma se le avesse messo una mano sulla bocca? Bisogna parlare con Sanfelice, la cosa non è chiara». E poi, ad alta voce: «Richiamatemi la ragazzina, è da Gilardi. Ora gli faccio vedere io, la sua protetta, gli faccio vedere…»