Ventitré
Alle sette di sera in casa c’era una gran confusione. Erano arrivati anche Alice e Sergio con Anja. Annagloria e Laura. Paola e Olga che impartivano ordini.
«Mangiamo qui o per strada?»
«Non lo so, Olga». Quando Gilardi si grattava la fronte, passando e ripassando con la punta delle dita, bisognava lasciarlo stare. Era preoccupato.
«Quanto ci mette?» Era la terza volta che lo chiedeva a Laura, e si riferiva a Elsa Bruni che doveva tornare da Sondello con il vestito della ragazza senza nome.
«L’ha trovato… mi ha telefonato, l’ha trovato e sta tornando. Perché è importante quel vestito?»
Parlavano sottovoce, in un angolo dell’atrio, lontano da tutti.
«Non lo so… avrà un’etichetta, tutti i vestiti hanno un’etichetta. Oppure il tessuto, magari è speciale. Spero di avere qualche risposta. Ti rendi conto che è l’unica cosa che abbiamo? Se la ragazza ha detto la verità… troppo spaventata per mentire, loro non c’entrano niente. Il ragazzo… forse. Non mi piace, ma non basta. Quel Fred al porto… non può dirci più niente, l’hanno fatto tacere. Ecco, è questo che mi preoccupa: perché vogliono totale silenzio intorno a questa storia? E chi sono?»
Laura rispose al telefono, disse due volte di sì e chiuse la comunicazione. «Sta arrivando. Andiamo in studio?»
«Sì, lo dico a Olga».
Scesero agitati, come cospiratori in attesa di una brutta notizia. Elsa Bruni arrivò subito dopo di loro. Sembrava preoccupata.
«Eccomi, scusate… c’era un tale disordine in quei fagotti, da perdere la testa».
Allungò verso Gilardi un rotolo di tessuto verde e viola.
«Questo è il vestito. Si trovava dove ha indicato la ragazza, in fondo a una scatola da scarpe…»
Aveva appeso la giacca di velluto alla spalliera della sedia.
«Mi dice che cosa cerca in quella tunica?»
Gilardi le sorrise: non aveva mai creduto alle sue doti divinatorie. Poteva ammettere che si potesse leggere nel pensiero degli altri, con molte eccezioni: e il fatto di essere una mentalista non era un’eccezione.
«Lei che cosa mi dice di questa tunica?»
«Che è turca, potranno non piacere il disegno e i colori, ma è realizzata in cotone giza, grezzo, ritorto. Tra i tessuti più pregiati al mondo».
«Esperienza o divinazione?»
«Parliamo seriamente, avvocato. Mi sono informata su internet. Questo straccio, tunica o caftano che sia, è qualcosa di unico, l’ho scoperto mentre io e Giacomo tornavamo a Napoli. Guardi qui, sul bordo davanti… vede questi fili d’oro, li segua…»
Gilardi prese il tessuto per guardarlo. «Sembra una scritta, non un disegno».
«Appunto, legga… Zeki Müren…»
«E chi è?»
«Il più grande musicista turco, morto nel 1996. Musicista, attore, cantante… alla sua morte gli hanno dedicato un museo, a Bodrum. Non so come abbia fatto ad averla, quella ragazza, ma secondo me chi ha ucciso cercava questa tunica».
Si passò una mano sulla fronte.
«Se penso che quella donna l’ha pure lavata…» Sorrise, finalmente spianando il viso che aveva mantenuto corrucciato come se temesse che Gilardi non volesse crederle.
«Forse l’ha soltanto passata sotto l’acqua, per fare in fretta. In lavatrice l’avrebbe distrutta».
Si alzò. «So che ne farà buon uso, ma stia attento, avvocato. E vada a Bodrum, se le piace il mare».
«Grazie».
Ora erano in piedi in uno strano contrasto che li rendeva complici e unici allo stesso tempo.
«Suo marito?»
«Bene, dopo un periodo da separati in casa…»
Stavano ridendo mentre si stringevano la mano.
Sulla porta dello studio Elsa Bruni incontrò Laura.
«Allora, quella tunica?»
«Molto speciale».
«Speciale, come?»
«Speciale… preziosa… Gli dica che è pericolosa» e uscì, accostando piano la porta.
Gilardi aveva aperto la tunica e, presa dalle spalle, la stava rigirando, scuotendola.
Laura fece una smorfia.
«Che cosa ha di strano?»
«Questa tunica, che forse è un caftano o chissà che cosa, arriva da Bodrum in Turchia, ed è realizzata in un tessuto prezioso… Che cosa ha detto, quella? ‘Qualcosa di unico’».
«‘Pericolosa’ ha detto. Intanto sappiamo che forse la ragazza senza nome era turca, o veniva da lì…»
«Vabbe’, ci pensiamo domani. Di sopra stanno scalpitando. Grazie, se ti viene in mente qualcosa… vuoi portarla a casa tu?»
«Vado in studio e la chiudo in cassaforte, dia a me». Laura prese la tunica e l’arrotolò.
«Forse non è vero, ma quando la Bruni parla, a me vengono i brividi. Mi ha detto di dirle che è pericolosa, di stare attento».
«Aspettavo lei» e si fece una risata.
«Grazie, Laura. Vuoi restare a cena con noi? È tardi…»
«No, grazie. Mio fratello mi aspetta per la pizza, poi cinema».
«Starò via sino a martedì. Ti ricordi di telefonare a Mavilla per l’interrogatorio?»
«Vada tranquillo, avvocato. Qui è tutto a posto. Buona vacanza…»