Ventiquattro
«Ehi, voi! La volete smettere? Quello è l’armadietto di Annagloria, cose sue… smettetela! Basta, ho detto! Venite, don Carlo, e ditegli di smettere…»
Stava strillando, in mezzo alla stanza, rossa in viso come non l’avevano mai vista. Don Carlo fece segno ai due ragazzi che stavano frugando nell’armadietto di Annagloria di andare verso la porta.
«Ora basta, l’avete sentita. Sono già venuti a prendere le cose di Annagloria che era a Napoli senza niente… l’hanno portata via come era in casa…»
«Meno male che siete venuto voi, don Carlo! Che maniere sono?»
«Hanno preso soltanto la sua biancheria?» domandò uno dei due, il più basso e tarchiato, rosso di capelli.
«Quello». Stava mentendo, senza neppure rendersene conto.
«E la tunica che aveva la morta, dov’è?» chiese il secondo ragazzo, scostando con la mano il ciuffo di capelli neri che aveva sugli occhi.
«E a me lo chiedete? Qui di tuniche non ne ho viste… È tutto lì e io di tuniche non ne ho viste».
«Bene, andiamo… Nunziata, devi capirli questi ragazzi… sono amici di Ezio…»
«Sono amici di chi vogliono, in casa mia non ci vengono, mi spiego? La prossima volta, invece di chiamare voi chiamo i carabinieri, mannaggia… vedete qua che disordine. Li ha mandati Ezio, dicevano. Bastava chiedere, mannaggia… fuori, ora, e non fatevi più vedere perché vi ricevo con la scopa».
«Calma, Nunziata… volevano aiutare il loro amico…»
«Ma che amico e amico, e a me ora mi tocca rimettere tutto a posto… che cosa cercavano, poi…»
«Sono giovani… fuori, andiamo. Buonanotte, Nunziata… Nel nome del Padre…»
Nunziata chiuse la porta con fracasso e girò tre volte la chiave nella toppa. «Altro che Spirito Santo…» borbottò.
Rimise a posto per modo di dire. Infilò alla rinfusa nell’armadietto la biancheria e qualche blusa che avevano preso e buttato sul divano e lo richiuse, girando la chiavetta che sfilò dalla serratura e si mise in tasca. ‘La tunica’ pensò…
Quella signora, poche sere prima, che era arrivata di corsa che sembrava inseguita dal diavolo.
«Dov’è la roba di Annagloria?»
Le aveva mostrato l’armadietto che era in quella cucina-soggiorno, ma la signora non l’aveva neppure guardato.
«No, il fagotto delle cose di sua madre…»
«In camera mia, in fondo al mio armadio, non l’ho neppure guardato…»
Pochi istanti, forse due minuti. Era uscita dalla stanza stringendo tra le mani una cosa viola e verde, arrotolata. Aveva fretta di andarsene.
«Un sacchetto?»
«No, grazie… serve a sua nipote… grazie». Ed era sparita.
Ora, ripensandoci, non saprebbe neppure dire com’era, quella signora. Com’era vestita. Come parlava… le era sembrata straniera.
«Sta bene, Annagloria?» aveva chiesto, quando già era sulla porta.
«Oh, sì…»
Ed era sparita dentro una macchina grande e nera, guidata da un uomo.
Forse a qualcuno doveva dirlo. Se ci fosse stato Ezio a lui l’avrebbe detto. Ma se ci fosse stato Ezio, invece di farsi mettere in galera per un delitto che non aveva commesso – e quanto ci mettono a tirarlo fuori se è innocente? Anche in televisione hanno detto che è innocente – Annagloria le sue cose le avrebbe chieste a lui, invece che a quella tale. Che non aveva neppure guardato nel mobiletto di Annagloria, anche questo avrebbe dovuto dirlo a qualcuno. Diretta in camera nel mucchio tra lenzuola, coperte, asciugamani e vestiti della madre, che erano sul fondo dell’armadio. Aveva frugato come se sapesse, e se ne era uscita con quel rotolo in mano.
Che cosa cercavano i due ragazzi? Avevano parlato di tunica… era una tunica quella che stringeva in mano la signora di Napoli?
Nunziata si fece il segno della croce. Maria Santissima, aiutami Tu… di chi mi posso fidare… E per maggiore sicurezza andò a controllare che la porta fosse ben chiusa e anche le tapparelle, chiuse con il fermo. Non gli abbasta il terremoto a questi… ci vogliono morti… già seppelliti senza fatica…
Non guardò la stanza, che era rimasta in disordine anche se le cose di Annagloria erano sparite nell’armadietto. Si sedette al tavolo, scosse la caffettiera per capire se c’era rimasto del caffè, senza chiedersi se sarebbe stato ancora caldo, e se ne versò nella tazza. Senza zucchero, dicono che fa male e ce n’è poco… Sorseggiò il caffè, ormai tiepido, sciacquandosi la bocca a ogni sorso.
A qualcuno doveva dirlo.
A qualcuno doveva dirlo.
A qualcuno, chi? Che non conosceva nessuno, tranne quelli che le giravano attorno, sempre a chiedere qualcosa, senza mai dire grazie, tra un’Ave Maria e un Pater Noster…
A qualcuno, chi?