Trentuno
Il cellulare era ancora lì, in mezzo al tavolo. Non l’aveva toccato nessuno. Da quando era tornata con la bara di Annagloria e avevano fatto il funerale in chiesa, nessuno era entrato in casa sua, neppure il prete.
Per la prima volta da quando erano arrivati a casa sua, mise le mani nei fagotti e nelle scatole che Annagloria aveva accumulato in fondo al suo armadio. Dove avevano frugato. Dove quella signora della polizia aveva preso un rotolo verde e viola, in fretta, sapendo dove cercare, senza neppure fare disordine. Dove quegli amici di Ezio avevano fatto confusione. Che cosa cercavano? Tutti quella pezza verde e viola?
Doveva raccontarlo a qualcuno.
Stese sul letto gli abiti di sua sorella che non avrebbe mai potuto mettere, troppo diversi per misure e per gusto.
Li darò in chiesa, a qualcuno serviranno.
Le scarpe, che a lei erano grandi. E anche il cappotto, che a sua sorella l’aveva regalato la signora del secondo piano, ma era ancora in buono stato. Contò le lenzuola e gli asciugamani: e li mise da parte, quelli potevano servire. Arrotolò invece la biancheria personale in un fagotto che avrebbe gettato nei rifiuti, in fondo alla strada.
Qui non c’è niente di strano…
Passò poi all’armadietto di Annagloria. Con lo stesso criterio separò i grembiuli, i golf, i jeans dalla biancheria. Mise da parte i libri, quelli alla chiesa per i ragazzi che andavano a scuola. E le scarpe ancora buone.
Qui non c’è niente di strano…
Tutto quello che avrebbe dato alla parrocchia lo trascinò fuori dalla porta, sotto il portichetto. In bell’ordine, perché a differenza di sua sorella lei era ordinata.
Si mise sulle spalle un golf nero, era in lutto, e in testa un velo, e cominciò a scendere piano verso la chiesa, dove stavano ancora lavorando.
«C’è don Carlo?» domandò a uno dei muratori.
«Non so, era qui… ah, eccolo, con quei ragazzini… glielo chiamo?»
«Sì, per favore… sono Nunziata, ho bisogno di parlargli… solo un momento».
A qualcuno devo dirlo… non a lui, era con quelli l’altra sera… che cosa volevano a casa mia? Non a lui…
Don Carlo arrivò, raccogliendo di lato la tonaca, con la mano, a passi lunghi sopra i massi che non potevano ancora essere tolti, mostrando i piedi nudi nei sandali. Sorrideva a bocca larga. «Nunziata, finalmente ti si vede… povera te, come stai?»
«Come volete che stia… da povera vecchia ormai sola…»
«Non vieni più in chiesa, sentiamo la tua mancanza».
«Me l’immagino, avanti…» Un sorriso, arrossendo. «Volevo dirvi… che ho messo davanti alla porta le cose di mia sorella, a qualcuno faranno comodo. Roba buona, pulita… sono lì».
«Che fretta c’era? Magari una di queste sere venivo a trovarti e ne parlavamo… comunque te le mando a ritirare… fuori della porta?»
«Sì, fuori della porta, sotto il portico. Se piove non si bagna».
«Ti pare che piova, beata te? Siamo a trenta gradi… comunque le mando a prendere e le distribuisco a chi ne ha di bisogno, sia benedetta…»
«Io vado a Napoli, volevo dirvelo».
«Che ci vai a fare a Napoli, con questo caldo?»
Se l’inventò sui due piedi.
«La casa di mia sorella… mi hanno chiesto, sapete come sono queste cose».
Non lo sapeva neppure lei, ma il prete le disse di sì, lui lo sapeva.
«E la banca, c’era qualcosa…»
«E quando ci vai?»
«Magari domani».
«Ti accompagna qualcuno?»
Rizzò la testa con orgoglio.
«Ci vado da sola, me la cavo».
«Se hai bisogno… magari uno dei ragazzi con lo scooter… stai attenta, dimmelo». Nell’aria fece a gesti un segno della Croce. «Stai attenta, vedi che cosa è successo a tua sorella?»
«Sto attenta, don Carlo, non vi preoccupate. Un’amica di mia sorella mi aiuta». S’inventò anche l’amica.
«Ecco, bene… e quando torni mi dici se è tutto a posto, altrimenti chiediamo qui al sindaco…»
«Grazie, non ce n’è bisogno, grazie don Carlo… La roba, m’ arracumann’».
Mentre saliva verso casa guardò l’ora al campanile, che avevano da poco restaurato: le tre e venti, e il sole era alto.
Le tre e venti. Domani era lontano, c’era una notte di mezzo. Ora aveva paura.
A qualcuno devo dirlo…
Entrando in casa, si richiuse la porta alle spalle addirittura usando la chiave.
Sul tavolo della cucina c’era il telefono di Annagloria. Era ancora lì, nessuno l’aveva toccato. Lo prese, se lo rigirò tra le mani… l’ultima chiamata ricevuta. Aveva premuto un tasto con il telefonino disegnato, era uscita l’ultima telefonata. Un numero. Era stata Annagloria a chiamare, quando l’avevano rapita. Di chi era quel numero?
Zia, sto bene!
Un numero che iniziava con lo zero…
Non era difficile, bastava premere quel tasto… Sentiva e poi premeva di nuovo.
Non era difficile. A qualcuno doveva dirlo.
Premette quel tasto e si portò il cellulare all’orecchio.
Ora riattacco… ora se non risponde nessuno riattacco… ora…
«Studio avvocati Gilardi Russo Licasi, buongiorno». Una voce di donna.
«Buongiorno, sono la zia di Annagloria Longoni, chiamo da Sondello». L’aveva detto bene, se l’era preparato.
«Buongiorno, signora. Le passo l’avvocato Laura Licasi?»
«Quella signorina bionda che è venuta con me all’obitorio?»
«Sì, quella… è ancora in studio. Un momento… e condoglianze, signora». Un clic e un’altra voce. Di donna. «Pronto? Sì… Sono Laura, buongiorno, signora…»
«Vorrei parlare con voi. Ma sono a Sondello».
«Vengo da lei?»
«Non qui, i muri sono di cartapesta…» e sorrise.
«Vuole venire a Napoli? Vengo a prenderla?»
«Oh, no… tutto questo disturbo per me… no, mi arrangio».
«Avanti… qui non c’è più nessuno, siamo in vacanza. Mi lasci arrivare… mi ripete l’indirizzo e il numero della palazzina? Sì, dica, sto scrivendo… quarantuno, sì… Mi aspetti, che arrivo… Verso le cinque, cinque e mezza sono lì. Come? Sì, questo è lo studio dell’avvocato Gilardi, ma lui è ancora in vacanza. Stia lì quieta che arrivo».
«Grazie, sapete? Vi aspetto…»
Ora si sentiva più tranquilla. Ora sarebbe arrivata quella signorina bionda, dell’avvocato, che all’obitorio aveva fatto marciare tutti sull’attenti. Se lui, l’avvocato, era in vacanza, poi tornava. Lei lo avrebbe aspettato, sarebbe andata a dormire dalle suore, che non erano come don Carlo, quelle non facevano affari ma misericordia. Dopo aver bevuto un caffè con un po’ di pane in fretta si mise ad aspettarla sulla porta, appena socchiusa.
Passò la Giuseppina del pollaio.
«Che è tutta ’sta roba, Nunziata? Vendete stracci?»
«Roba di mia sorella per chi la vuole».
«Ihi… qui han tirato su la cresta, dove vivete? Voglio vedere a chi va, questa roba. Voglio proprio vedere… Niente pollo?»
«No, grazie, sto andando a Napoli. Per mia sorella» aggiunse in fretta.
«Capisco, mi dispiace, sapete? Mannaggia, salvate dal terremoto e morte in quel modo… ma dove si erano cacciate?»
«Da nessuna parte, e dove? Una lavorava e l’altra studiava… cacciate dove?» Era risentita.
«Nunziatina, attenta a voi… sapete come si dice, vero? Non c’è due senza tre». Stava ridendo, la stupida. E Nunziata dietro le spalle le fece le corna.
«Tie’!»
«Buon viaggio, e quando tornate, se volete… sapete che io di polli ne ho».
«Grazie, sì…» e tra sé aggiunse: ‘Strozzati!’
La distrasse il clacson di una macchina verde bottiglia che si era fermata un po’ avanti della porta, e una mano dal finestrino che la salutava. Si sporse per vederla meglio e quando decise che era proprio quella signorina dell’obitorio, chiuse la porta, girò la chiave e si affrettò verso la portiera aperta.
Ora era salva.
«Buongiorno. Grazie, sapete…»
«Buongiorno… vede che ce l’ho fatta? La strada non è ancora a posto, ma sono riusciti a renderla percorribile, sono stati bravi… A Napoli?»
«Sì, grazie. Non sapete come mi dispiace che vi siate disturbata…»
«Ha un posto dove andare a Napoli?»
«Dalle suore, ci ho dormito anche quando sono venuta per mia sorella e per Annagloria, sono buone».
«Vediamo. Se arriviamo a Napoli prima che lo studio chiuda, andiamo lì e poi decidiamo. Lei come sta?»
La fece parlare. Le fece raccontare del giorno in cui le avevano assegnato la casa, la cerimonia, la commozione. Lei era stata una delle prime, molto raccomandata dal prete. I suoi rapporti con la comunità, lei che cuciva per tutti quelli che ne avevano bisogno. Poi i suoi rapporti si erano allentati, anche con don Carlo.
«Un trafficone. Magari lo fa per accontentare tutti, ma non è chiaro. C’è sempre di mezzo lui…»
Dopo doveva dirglielo: era qui per questo. Stava andando a Napoli perché a qualcuno doveva dirlo.