Due

Da giorni la stampa e le televisioni si occupavano di quella ragazza senza nome trovata nella roggia di Sanpietro. Che da anni non era più una roggia, perché non ci passava un filo d’acqua. Era soltanto un fosso profondo pieno zeppo di rifiuti, non soltanto lattine e scatole e avanzi di cibo, ma anche catini vecchi, pentole, sedie rotte.

E una ragazza.

L’aveva trovata un vecchio, la mattina presto. Era andato a rovistare se poteva trovare qualcosa di utile e spostando uno sgabello e un secchio aveva visto un braccio, poi la testa. E si era messo a urlare.

Mentre la squadra, che era arrivata quasi un’ora dopo, stava lavorando per sgomberare il posto e occuparsi del corpo di quella femmina, l’uomo era stato ricoverato in stato di choc al Policlinico, che era nei pressi.

«Non so niente» continuava a ripetere. «Era lì…» E poiché piangeva, avevano continuato a interrogarlo supponendo che mentisse, che sapesse più di quello che diceva. Ci volle l’intervento duro e determinato dell’ispettore Roberto Scalzi, della squadra investigativa, perché smettessero di tormentarlo.

«Volete farlo morire? Che cosa può sapere? A quanto pare è stata ammazzata con un colpo di pistola: gli avete trovato una pistola? Ne possiede una? Lasciatelo stare, mannaggia. Non possiamo attaccarci a tutto, pur di far parlare i giornali. Lasciatelo stare».

«Il vecchio si chiama…»

«Non mi interessa come si chiama. Non c’entra niente. Avrà il suo momento di gloria, e lo maledirà, per aver trovato questa ragazza. Punto, mi sono spiegato? Di questo vecchio non voglio più sentir parlare…»

«Sissignore». Il ragazzo in divisa che l’aveva seguito perché aveva guidato la macchina era scattato sull’attenti.

Scalzi strinse le labbra: ma non gli insegnavano a questi a dire Signorsì? Fece un gesto e tornò a guardare la roggia. Sporca, puzzolente, sembrava un pozzo senza fondo di porcherie accumulate da mesi, forse da anni. Che cosa cerchi, in un posto così?

Di Donato, uno dei ragazzi più svegli della sua squadra, in attesa di promozione, lo raggiunse correndo. «Forse è questa» gridò eccitato, sventolando una busta di plastica che conteneva una pallottola.

Scalzi prese la busta e fece una smorfia.

«Non va bene, ispettore? È una pallottola calibro…»

«Risparmia il fiato. Uccidono una ragazza con una pistola, qui, in questo punto» e lo indicò con il braccio teso, «e il proiettile è a venti metri di distanza. Supponendo che il proiettile non sia rimasto nel corpo, e ce lo faremo dire, l’assassino prende la pallottola che ha ucciso la ragazza e invece di gettarla a mare, la va a depositare a venti metri dal cadavere. Un genio».

«Magari gli è caduta scappando».

«Magari. Chiama il dottor Sanfelice e chiedigli se ha trovato una pallottola. Digli che per il momento voglio sapere soltanto questo, altrimenti si chiude come un riccio. Se c’è la pallottola, se è rimasta nel corpo. Soltanto questo. Così ci togliamo il pensiero e decidiamo se l’assassino è davvero un genio».

Sentì suonare il suo cellulare privato e girò le spalle mentre lo portava all’orecchio: era Gilardi.

«No, Roberto: sono Laura. Possiamo vederci?»

«Qualcosa…»

«No, lavoro. Forse ho un’informazione per te. C’è una donna che non vuole parlare con la polizia… riguarda la ragazza della roggia di Sanpietro».

«Come sarebbe che non vuole parlare con la polizia? La vado a prendere e la trascino per i capelli… chi è?»

«Se ti calmassi un momento...»

«Come faccio a calmarmi, ci stanno tutti addosso».

«Una pizza insieme?»

«Laura, non scherzare, fammi ’sto piacere. Chi è ’sta donna, dov’è e come la trovo? Sei un avvocato… è tua cliente? È lei l’assassina?»

«No, dice soltanto di sapere chi era la vittima. Forse serve a poco, ma forse ti serve».

«Va bene, ho capito. Non scuci una parola. Gilardi lo sa?»

«Certo che lo sa».

Scalzi guardò l’ora. «Alla una e mezza da Peppino?»

«Alla una e mezza da Peppino. E vieni calmo, la storia è lunga».

«Ciao, grazie».

«Ciao».