Diciotto

La stanza di Scalzi era ancora in disordine, come se ci avessero lavorato sino a tardi. In tanti.

«Scusa… c’è un po’ di casino… Prendi una sedia e mettiamoci qui, davanti alla finestra: c’è persino un po’ d’aria… Caffè?»

«No, grazie». Si sedettero, uno di fronte all’altro come se fossero al bar, ma senza tavolino in mezzo. «Che cosa ha detto?»

«Stiamo verificando. Aspetta…» Pochi tocchi sul tablet, con il piede avvicinò una sedia e ce l’appoggiò sopra. «Ecco, qui…»

«Verso le tre di notte la mia ragazza mi ha chiamato, sembrava agitata. Con lo scooter sono arrivato qui a Napoli e di corsa su in casa… la ragazza era morta…»

«Lei è medico, infermiere…»

«No, ma ne ho visti tanti… li tiravamo fuori dalle macerie e sapevamo che erano morti, non respiravano più… neppure questa… Allora l’ho presa in braccio e l’ho portata fuori di casa, per la mia ragazza, non volevo che lei e la madre ci andassero di mezzo… Il vestito era ancora umido, era nuda… la roggia era il posto più vicino, non c’era nessuno… l’ho messa lì…»

«E i sacchetti in mezzo alle gambe?»

«Erano lì, a terra…»

«E a quell’ora non c’era nessuno in giro?»

«No, faceva caldo, io ero sudato… sono tornato, ho fatto una doccia e sono ripartito. Ero sicuro che nessuno avrebbe pensato a loro… invece quella, che è andata dall’avvocato e tutto il resto… colpa sua. L’hanno ammazzata…»

«Perché l’hanno ammazzata, secondo lei?»

«La madre? Perché parlava troppo… secondo me. Noi siamo stati zitti a bocche cucite… Ora, la mia ragazza, non so neppure dov’è… non corre pericoli, vero?»

«Nessun pericolo. E dopo?»

«E dopo, niente. Gliel’ho già detto, mi sono rinfrescato, rivestito e sono tornato a Sondello… fine della storia».

«Non ha niente da aggiungere?»

«E che cosa? Io questo so».

«La sua ragazza…»

«Lasci stare quella, non sa niente e s’inventa cose per darsi importanza. Come sua madre. Questo è quello…»

«Conosceva il ragazzo americano del bar del porto?»

«Parole… lui serviva e noi bevevamo… Ora fanno girare tutto attorno a quella ragazzina, lui se la conosceva se la teneva per sé… Lui serviva e noi bevevamo…»

«Quindi non avete mai parlato della ragazzina?»

«Non sapevamo neppure che la conosceva…»

«Sapevamo… lei e chi?»

«La mia ragazza…»

«Il nome, prego».

«Annagloria Longoni. Chiedete anche a lei, non sapevamo niente. La madre… chissà se con lei parlava… Comunque era morta quando l’ho presa in braccio, la ragazza era morta…»

Scalzi spense l’apparecchio. «Poi continua a ripetersi, racconta che vive presso la parrocchia di Sondello, che il prete lo conosce bene, che sposerà Anna… come si chiama, appena finisce la scuola… e altre balle del genere. Impressione?»

Gilardi storse la bocca. «Chiacchiere, che potrebbero persino essere vere. Non l’ha uccisa lui…»

«Un cuscino sulla bocca?»

Si grattò il mento per consentirsi di pensare alla risposta. «Chiediamo a Sanfelice, lui lo sa di certo. Perché non si dichiara e non tira fuori un referto? Altri dubbi?»

«Un paio di giorni… non capisco che cosa stia cercando».

«Mentre questo Ezio, con tutti i morti estratti dalle macerie, forse un minimo di esperienza se l’è fatta… La pistola?»

«Altro rebus. Americana, ma non appartiene a quel Fred… Sappiamo calibro e modello, manca la pallottola e chi ha sparato. Questo Ezio?»

Gilardi fece una smorfia e si alzò. «Difficile, direi. Mi sembra un dropout».

«Che sarebbe, per uno come me nato a Iseo?»

«Uno che conta poco, che ha mollato». Avviandosi alla porta, domandò: «Lo trattenete?»

«Sì, accertamenti… Ti sei reso conto che la ragazza ci ha raccontato un sacco di balle? Perché?»

«Per paura. Di solito si mente per convenienza o per paura. Scegli tu».

«La rivoglio qui e voglio la sua versione, da confrontare con quella del ragazzo».

«Chi ce l’ha in cura?» Un modo tra loro per indicare l’avvocato d’ufficio.

«Tale Creatini: conosci?» Con un gesto della mano nell’aria cancellò la domanda: «Tu, solo papaveri… e questo è un piscialletto…»