Ventuno
«Quando vi siete accorte che era morta?»
Annagloria fece una smorfia. «Quando ho guardato l’ora, erano le tre meno venti. Mi ha svegliata mia madre, che di notte si alza, va a bere al frigorifero… fa sempre piano. Invece stavolta mi sveglia proprio, scuotendomi…»
«È morta…»
«Ma che dici? Morta chi… ma vattene, va’… stai sognando?»
«La ragazzina… è morta, ti dico. L’ho guardata, ha la bocca spalancata e non respira… ti ricordi in quel film, con lo specchio?»
«Ma è ’na cosa seria o stiamo giocando ai film… sono passate le due, mi fai dormire?»
«Mi stai a sentire? È morta, ti dico. Non respira… Ora chiamo…»
«Sei pazza? Dicono che l’abbiamo ammazzata noialtre… Ora chiamo Ezio, che ci pensa lui. È morta, non l’abbiamo ammazzata noi… fuori di qui. In casa non ce la voglio. E questa volta mi dai retta».
Ezio rispose subito, come se s’aspettasse quella telefonata. Annagloria gli spiegò in fretta quello che era capitato e non rispose a tutte le domande.
«Dopo, Ezio. Ora fai in fretta… quanto ci metti ad arrivare? Vieni, fai presto».
E intanto la spogliarono e la spostarono a terra.
«Che schifo… ha bagnato il materasso».
«Ma è morta…»
«E allora? A me mi fa schifo lo stesso. E mi fa impressione, mi fa…»
Quando sentirono il citofono sobbalzarono, come se fosse stato uno sparo.
«Sei tu?»
«E chi vuoi che sia a ’st’ora? Apri, vai…»
Ezio, che di morti ormai se ne intendeva, confermò: la ragazza era morta.
«Che cosa ha mangiato?»
«Senti, non fare il dottore con noi… ha mangiato quello che abbiamo mangiato noi e siamo vive. Quindi sbrighiamoci, prima che venga la luce… dove la porti?»
«Non in chiesa di certo… non ha un vestito?»
«Non il mio, sei matto? Lo riconoscono. Nuda, che t’importa, chi ti vede? Dove la porti?»
«Vado alla roggia… la metto lì».
«Qui c’è il lenzuolo… guarda che è bagnato. Lo riporti, non lo lasci lì…»
«Ehi, ti sei svegliata comandina? Guarda che so quello che faccio, calmati un po’…»
«Vorrei vedere te, con mia madre che ne fa sempre una…» E finalmente si ricordò che c’era anche sua madre, seduta al tavolo della cucina, con la testa scarruffata tra le mani.
«Stai male?»
«E vuoi star bene? Te la porti a casa perché ti fa pena, le dai da mangiare e ti muore così…» Aprì le mani sulla tavola.
«Ha detto niente?»
«L’avrà detto a voi ragazzi, che le stavate sempre attorno per capire chi era».
«Fred… noi, no. Fred la sa lunga. Fred se l’è fatta, anche se dice di no… figurati».
«Beh, porterà il lutto. Ora vattene e portatela via».
«Ho nascosto lo scooter dietro il muro. La deposito, vi riporto il lenzuolo…»
«Mi raccomando!»
«E poi me ne torno a Sondello. Stanotte altra piccola scossa, allarme, ma non è successo niente… è successo più qui, mi pare. Davvero non l’avete ammazzata voi?»
«Ma ti vuoi sbrigare? Se l’ammazzavamo noi chiamavamo a tte a far da testimonio… non dir scemenze, sbrigati: che ora viene chiaro e qui si muovono presto… vattene, va’!»
Rimaste sole, ripulirono il materasso. «Domani lo metto fuori ad asciugare».
«E la palandrana di quella?»
«La facciamo sparire».
«Sai quanto parleranno di ’sta storia? E tu statti zitta e muta, stiamone fuori…»
«Potremmo andare in televisione».
«Sì, e in galera. Mamma statti zitta, mi raccomando. Noi non c’entriamo, capito? Mai vista».
«Il caffè con me l’ha bevuto, ci hanno viste al bar».
«Era due giorni fa. Se le fanno l’autopsia… a te che piacciono i gialli di Montalbano, lo sanno che è morta stanotte e non due giorni fa. Quindi: un caffè, e buonanotte».
«Un caffè e buonanotte».
Ezio rientrò con il lenzuolo arrotolato sotto il braccio. «Fatto. L’ho messa tra le robbe che c’erano, nuda, coperta dalle cose… Non m’ha visto nessuno, non c’è nessuno in giro. Il mare è grosso, i pescatori ce ne mettono a tornare… Questo, lavatelo, e anche il vestito che portava. Ora mi faccio una doccia, mi date un asciugamano? Puzzo come un cadavere…»
Dopo la doccia e dopo che si era rivestito, accettò il caffè: che sorseggiò in piedi, come se avesse fretta.
«Grazie, sai? Da sole non ce l’avremmo fatta. Così ora siamo tranquille. Ne parleranno sopra e sotto, a destra e a sinistra, ma noi siamo fuori. Grazie… la roggia serve a tutti, la troveranno…»
Ezio diede un bacio sulla guancia a Annagloria e le sorrise. «Tranquilla?»
«Con mia madre? E quando mai? Grazie, sai? Di aver risposto subito».
«Ero in parrocchia quando mi hai chiamato».
«Alzato? A quell’ora?»
Ezio guardò via. «Abbiamo i turni, non lo sai? Ti ho appena detto che abbiamo avuto una scossa, ma mi stai a sentire?»
«Grazie, ciao. Stai attento, vero?»
«E tu, quand’è che ti sbrighi?»
Annagloria stirò le labbra in un sorriso. «Vai, va’… noi abbiamo tempo. Quella ormai, non ne ha più».
Batté una mano contro l’altra. «Finita» disse a bassa voce. Con la voglia di piangere.