Trentotto
Dopo aver chiarito con la polizia italiana e la Farnesina la faccenda della tunica di Bodrum, dopo i contatti e i chiarimenti, le interviste e gli applausi, Gilardi dichiarò che per lui la faccenda doveva essere considerata definitivamente chiusa. Superò con la chiarezza del proprio comportamento gli inevitabili pettegolezzi, le ipotesi, i sospetti. Passò a testa alta davanti a tutti, e finalmente anche i più recidivi si arresero: quella era l’unica verità. Gilardi aveva consegnato al Ministero della Cultura turco la famosa tunica che aveva indossato la ragazza senza nome. La ricompensa era andata alla comunità di anziani di Sondello, come aveva voluto la sorella della Longoni.
Conosceva Sondello, c’era stato da ragazzo, con sua madre. E quando era tornato a Napoli, in quelle estati in cui era rimasto solo, c’era venuto con i suoi ricordi.
Adesso la terra aveva tremato. Quello scossone, più di uno tra la notte e il giorno, aveva seppellito case e uomini. Anche due bambini dei quali restavano due croci davanti alla chiesa. Quando non uccidono, le rovine hanno una narrazione parallela al tempo. Diventano ricordo, azione, miracolo.
Ricordava quella mulattiera di sassi in salita sino al Poggio, che era rimasto intatto: da lì si vedeva il mare. Una volta, sullo spiazzo sotto gli ombrelloni, c’era stato il gelataio. Il ricordo di quei sapori lo emozionò. Ora la strada era sbarrata, ma da lì si potevano scorgere i campi attorno in una dimensione intima, che il tempo che l’aveva fatto uomo aveva ridotto.
La facciata della chiesa era danneggiata e sorretta da impalcature. La torre con l’orologio era stata ripristinata in eccesso. Il campanile ancora sconnesso, muto e inagibile, amplificava il silenzio. Le case attorno ridotte a cumuli di sassi, pareti, travi, legni che erano stati mobili, cose utili a una vita dispersa e disperata. Le immagini del tempo annegano nella terra, il mare è lontano. Le casette nuove, poche in relazione ai danni, sembravano ridicole. In fila, tutte uguali, se è nella diversità che ognuno si riconosce.
Era sembrato strano e impossibile che la terra, in quel tratto tra il ruvido e massiccio Appennino e il mare, potesse tremare e fare vittime.
Le cronache avevano discusso di un vulcano sotterraneo, ricorrendo all’Odissea: fantasia poetica che invece, vendicandosi, aveva procurato vittime. Sulle tombe, nel piccolo cimitero senza muri di protezione, alcuni fiori di campo, le candele accese malgrado il sole. E un fiore solitario, rosa e rosso, stretto tra le macerie e il muro.
E tu, lenta ginestra, / Che di selve odorate / Queste campagne dispogliate adorni…
Sorrise a se stesso e ai suoi ricordi scolastici, Leopardi era stato tra i suoi poeti prediletti.
Fu a quel punto che Laura Licasi lo prese per la giacca. «Tocca a lei».
La cerimonia: semplice, modesta come avevano richiesto, pur ripresa dalle telecamere di televisioni anche straniere. Nunziata Sorrentino, con un tailleur scuro a sottolineare il proprio lutto, don Carlo in gran parata, davanti alla chiesa, senza bandiere, con il sindaco di Sondello che sfoggiava la fascia tricolore, un ministro in rappresentanza del governo e l’assessore alla Cultura di Bodrum. Poche parole, dalle quali si capisse lo stretto necessario e si intuisse che il resto era superfluo. Su richiesta di una giornalista, Nunziata disse, a bassa voce, e fu necessario farglielo ripetere: «Ho chiesto che questi soldi vadano per la mensa degli anziani».
Applausi, fine della cerimonia, altre strette di mano.
Don Carlo volle ringraziare Gilardi.
«Io sono qui e loro sono morte. E non so dirvi ancora perché».
«Non sia troppo severo con se stesso, avvocato. Lasci qualche dubbio anche al buon Dio».
Si sorrisero stringendosi la mano, in una nebbiolina leggera che sapeva di mare.