Studio dello Scrittore, al mattino. La Cameriera sta spolverando i mobili col piumino.
CAMERIERA In questa casa è tutti un po' balordi. La signora se alza alle sette e esce perché dice che la casa la mette in tristezza. Il dottore è un po' languido. Se alza alle dieci, alle undici, non ha orario e quando mi incontra manco me saluta. Poi se chiude qui e parla coi soi amici. Io aspetto questo bambino, ma preferisco una femminuccia. E poi, fa caldo. Si spicciasse a venire l'estate, così non se ne parla più. (Suono di campanello.) E questo, adesso? Ah, ecco lui. (Entra lo Scrittore in ciabatte e vestaglia. Sbadiglia.) Buongiorno.
SCRITTORE Ah, stavi qui. Buongiorno. Il caffè?
CAMERIERA Subito. (A parte) Mi sembra stralunato. (Esce.)
Lo Scrittore va al tavolo, siede, sospira e prende una grossa cartella. Mette a posto i fogli.
SCRITTORE Ho perso un po' di vista i miei personaggi. Se ben ricordo, nell'ultimo capitolo li ho lasciati a letto. Ah, ecco. E adesso, come riprenderli? Continuare, descrivere il loro risveglio? Non indulgo in queste scene erotiche? Che posso farci? Sono i personaggi che scelgono il loro narratore, si amano, si odiano, io non aggiungo niente, io registro i fatti. Raggiungere la verità, tono su tono.
Entra la Cameriera portando la colazione.
CAMERIERA La colazione.
SCRITTORE Lascia lì.
CAMERIERA La signora mangia fuori. Lei che vuoi mangiare, oggi?
SCRITTORE Qui non si parla che di mangiare. (Mangia un biscotto.) Non lo so.
CAMERIERA S'è alzato con la scuffia storta. Io vado. (Si ferma a guardare un quadro.) Perché la gente non va nuda come nei quadri?
SCRITTORE Non lo so.
CAMERIERA Lei non sa mai niente. (Esce.)
SCRITTORE (aziona un registratore e parla al microfono) Capitolo dodicesimo punto a capo. Al risveglio Marcello sentì la nausea salirgli alla gola come un cattivo vino che aggiungesse il malessere all'ebbrietà punto. Era stanco e per un attimo stentò a capire dove si trovava due punti poi la stanza la forma nuda e distesa accanto a lui gli ridettero la memoria della notte trascorsa punto. E ora le voci acute, che venivano dal cortile gli davano la certezza che niente era cambiato... Ampliare sulla pagina il sentimento della noia... Un raggio di sole o meglio una lama di sole entrando dalla finestra socchiusa... Controllare se la sera prima l'aveva lasciata socchiusa... andò a colpire come in certi quadri d'altare, no cancellare, andò a colpire il seno di Irene che così schiacciata e scomposta nel suo stesso sonno sembrava... Che sembrava? sembrava gettata da un naufragio su una riva deserta punto. Ma quando anche lei si stiracchiò e disse con la sua voce rauca di bambina due punti virgolette che fai, vieni qui, chiuse le virgolette, egli provò un sentimento di fastidio per quella carne su cui il sole stava mettendo per gioco un accento di desiderio punto... (Pausa.) Ma che volete da me? (Pausa.) Le schiacciò i capezzoli e al grido sorpreso di lei rispose con un zitta punto esclamativo così cattivo che Irene tacque stringendo le pupille o le palpebre, non mi ricordo mai come si chiamano. (Ferma il registratore, beve il caffè, tamburella il tavolo con le dita.) E adesso? Comincia un'altra giornata. Posso descrivere il cortile, oppure la lenta toletta di lei che entra nel bagno e parla. O divagare sui sentimenti di lui. (Guarda un foglio.) Centodieci pagine. Marcello, Irene, che nomi da commedia! Se provassi a cambiarli subito? Ma questo è un trastullarsi con le inezie, devo andare avanti o perdo lo slancio. Ci vuole un'idea. Posso rimettere a letto Marcello e Irene, nomi provvisori, farli litigare e poi farli ruzzolare abbracciati sullo scendiletto. I vantaggi? Un'ossessionante variazione del tema. Gli svantaggi? Un senso, forse, di noia. Dio mio, dio mio, perché scrivo? In fondo, non mi piace. (Aziona il registratore, parla al microfono) Marcello si distese accanto a lei sempre fissandola... (Ferma il registratore.) Non ho già fatto qualcosa di simile? Bisogna controllare. Già. Ma è a furia di controllare che l'ispirazione va a farsi fottere. (Suono di campanello.) Chi sarà adesso?
CAMERIERA (entrando) Di là c'è un bel ragazzo. Dice per l'intervista che sa lei.
SCRITTORE Non ti ha detto il nome?
CAMERIERA Angiolino.
SCRITTORE Forse, Tavolino.
CAMERIERA Si, mi pare che ha detto così.
SCRITTORE Ci mancava anche Tavolino. Io vado a vestirmi, fallo entrare. (Esce.)
Anche la Cameriera esce e ritorna poco dopo accompagnando un giovane, il giornalista Tavolino, che ha una borsa da avvocato.
CAMERIERA Il dottore adesso viene. Stava ancora in vestaglia. Lui la mattina scrive sempre in vestaglia, nudo sotto. Vuole un caffè anche lei?
TAVOLINO No, grazie, signorina.
CAMERIERA Non vuole niente?
TAVOLINO No, grazie.
CAMERIERA Peccato che devo andare di là, sennò gli tenevo compagnia.
Entra lo Scrittore, sempre in vestaglia, ma coi pantaloni e le scarpe.
SCRITTORE Ah, Tavolino, buongiorno. Ma non doveva confermare per telefono?
TAVOLINO Infatti, volevo scusarmi proprio di questo. Ma al suo numero risponde sempre una macelleria.
SCRITTORE Ancora? C'è un'interferenza, si vede. Segga, la prego.
CAMERIERA Bene, io vado. Lui non vuole niente. (Esce.)
TAVOLINO (siede e porge un foglio) Grazie. Ecco le domande per l'inchiesta che lei sa. Praticamente hanno risposto tutti. Tutti quelli che contano.
SCRITTORE (prende il foglio, legge) Ah. Sulla condizione dell'intellettuale. (Pensa, mentre Tavolino guarda la stanza.) Oggi volevo lavorare, ma cercherò di accontentarla. Ah, ah! Prima domanda: La condizione dell'intellettuale nel mondo d'oggi! Questa non è una domanda, è il tema di un saggio. (Sorride.) Bene, per non essere da meno di lei in fatto di spudoratezza le risponderò con una sola parola: assurda. È una condizione assurda. Vogliamo svolgere l'argomento? (Tavolino cava di tasca un taccuino.) Non prenda appunti, la prego, mi innervosisce.
Tavolino rimette in tasca il taccuino. Un silenzio.
TAVOLINO (a parte) Quante arie si dà. C'è un odore di gatto. (Annusa) Mi ricorda Marcella. Devo confermare l'appuntamento per oggi alle quattro. Speriamo che questo tipo non la faccia lunga.
Un silenzio.
SCRITTORE Dunque, condizione assurda e rischiosa, dicevamo. E perché? Perché all'intellettuale, uomo libero per definizione – il sale della terra, e se il sale diventa sciapo con che lo saleremo? – il mondo d'oggi garantisce questa libertà a prezzo di una schiavitù più sottile: la schiavitù dell'anticonformismo.
TAVOLINO Giusto. (A parte) La solita storia.
SCRITTORE L'intellettuale oggi deve schierarsi per forza dall'altra parte, cioè dalla parte dove si sta scomodi. A lungo andare... (Suona il telefono. Lo Scrittore stacca la cornetta.) Mi scusi. (Al telefono) Come? Stanza 42? Signora, mi dispiace. Non è la Clinica Villa Gioia. Riprovi, signora, e spinga bene il disco. È essenziale. La prego. (Chiude il telefono.)
TAVOLINO Io scriverò: anticonformismo, sua servitù e grandezza.
SCRITTORE (pensieroso) Sì. Che noia il telefono, caro amico. Penso sempre di toglierlo, ma passerei per un originale, e questo mi frena. Aggiunga che da noi pochi sanno telefonare. So di gente che non conosce i numeri e telefona lo stesso convinta che facendo ruotare il disco risponda la persona che cerca. (Ride.) Questo succede nel Sud, specialmente, dove la fede nel soprannaturale quotidiano è più viva. Ma anche qui a Roma. Mi svegliano di notte per chiedere di Patrizia e di Adalgisa, oppure di buttare giù le chiavi del portone. Qualcuno mi chiama: mamma.
TAVOLINO (ride contento) Ah, sì anche a me una volta.
SCRITTORE Ma questo è niente. Ci sono i lavoratori del telefono, quelli che combinano affari telefonando. E io, al telefono, non so dire di no. Ma torniamo a noi. La condizione dell'intellettuale diventa sempre più rischiosa. Eccolo a lottare contro se stesso per rendersi libero, libero dai grandi poteri, voglio dire la massa, il governo, i potentati. Ma non è... (Suona il telefono, stacca il ricevitore.) Pronto. (Scuote la testa ammiccando.) Vuole ancora la stanza 42? No, signora, lei evidentemente non ha seguito il mio consiglio, non ha spinto bene il disco. Sì capisco, suo marito. Mi dispiace. (A Tavolino) Il marito si è rotta una gamba scendendo le scale. (Al telefono) Non è grave, ecco, le faccio i miei auguri. La prego.
TAVOLINO (ride) Mi domando come può lavorare col telefono accanto.
SCRITTORE Ho provato a metterlo di là, è peggio, devo correre e un giorno sono scivolato. (Guarda con astio il telefono.) Certe volte mi fa paura. Ma perché mai la nostra epoca, e questo si potrebbe ricollegare al nostro discorso, vive sotto l'incubo di macchine utili e stupide come questo telefono? Suona e noi rispondiamo! Assurdo. Chi può essere? Ce lo domandiamo, sperando in una gradevole sorpresa. Ma alla mia età le sorprese sono sempre sgradevoli. Anche nelle voci amiche, al telefono, c'è una sfumatura di minaccia. Per esempio, ti domandano: "Che cosa fai stasera?" Ora, santo Dio, come faccio a saperlo, se non so nemmeno che cosa farò tra dieci minuti? Se il presente è un continuo cedere al futuro, che nell'attimo dopo è già passato? Le prime volte rispondevo: "Niente." Errore! Mi toccava andare in qualche posto, oppure dopo cena in casa di gente ricca, il che è insopportabile. Adesso invece rispondo: "Ho da fare."
Un silenzio.
TAVOLINO (a parte) Le undici. Oggi convincerò Marcella a fare l'amore nella vasca da bagno. Devo scioglierla.
Il telefono squilla impazzito.
SCRITTORE Oh, insomma! (Stacca il ricevitore con furia.) Pronto? Sì! (Improvvisamente calmo) Qui Clinica Villa Gioia. Stanza 42? il 42 è uscito. (A Tavolino) Dice che si meraviglia perché suo marito è ingessato. (Al telefono) Non so, signora, è uscito. (Chiude il telefono. Tavolino ride.) Lei ride? Ma che dovevo fare? Il guaio è che non posso staccarlo, aspetto una chiamata da Milano. (Si alza, va su e giù nella stanza, riflettendo) La minaccia. Io ho sempre pensato che l'interrogatorio degli imputati dovrebbe farsi per telefono. Come si può celare la verità a un nero cornetto, a una voce che ti domanda se hai ucciso, rubato, fornicato? È certo un residuo, rimasto nel nostro subcosciente, del terrore che le voci sovrumane, diciamo divine per capirci, incutevano nei primi uomini. Lasciamo stare la Bibbia, tutta piena di voci celesti. Ma pensi soltanto al senso di disagio che le può dare il suo nome pronunciato ad alta voce, da un amico indelicato, nell'atrio di un albergo, in un caffè, in una strada. Per un attimo pensi: Eccomi scoperto! Ed è la stessa sensazione che dovette provare Adamo. Inutile, il profeta della nostra epoca è Kafka. Ora che cosa fa il telefono in più? Ti chiama con un lungo squillo... (Come evocato, il telefono squilla a lungo, incerto, poi tace.) Lo sente? Lo sente?
TAVOLINO È incredibile.
SCRITTORE Falso allarme. Ci sono giorni in cui il telefono continua a ricordarti che non puoi sfuggirgli, che ti chiamerà a suo comodo, quando ne avrà voglia. Un solo squillo, forse un contatto, ma è quel che ci vuole. La stessa angoscia deve provare l'assassino che incontra il poliziotto incaricato di pedinarlo e questi gli lancia ogni volta una breve occhiata, niente di più.
TAVOLINO È incredibile. (Un silenzio.) Il telefono favorisce dunque lo sviluppo del senso di colpa nella massa, in noi? È dunque un'arma confessionale?
SCRITTORE (storce la bocca) Non arriverei a tanto. Ma io non sopporto la voce della coscienza, e credo che essa lo sappia, perché si serve di altre voci, di voci amiche, di semplici conoscenti, di gente che sbaglia numero. E in ogni voce c'è l'ipocrisia della buona coscienza addolorata. Come stai? Che cosa fai? Intanto, questo continuo indagare! Io sto come sto e faccio quello che faccio. Voci senza pudore arrivano a chiederti: Mi ami?... Ti odio, vorrei rispondere, perché tu vuoi denudarmi?
TAVOLINO (pensando a Marcella) È come farsi vedere nudi in una vasca da bagno.
Squilla il telefono.
SCRITTORE (rapido, al telefono) Il 42 è tornato adesso con una signora, s'è chiuso nella stanza, non vuoi essere disturbato. Ah, sei tu? Bene, bene. Adesso ho da fare. Ci vediamo alle quattro, avvisa tu il Poeta. No, niente idee. E tu? Va bene. (Chiude il telefono.) Idee! Questo, per esempio, vuoi sapere se ho qualche idea.
TAVOLINO (a parte) Chi lo ferma più?
SCRITTORE Ecco il mondo moderno e dimmi tu se l'intellettuale può vivere tra gente simile, che sembra avere il solo scopo di infastidirsi reciprocamente. Anche l'amore è fastidio, anzi il fastidio supremo. (Si ferma, folgorato da un'idea.) Questo è il tema del romanzo che sto scrivendo. "Fastidio e fastidio." Le piace? È la storia di due amanti che vanno continuamente a letto, sino a uccidersi reciprocamente.
TAVOLINO Un bel tema. (A parte) Stai a vedere che mi legge un capitolo.
SCRITTORE Non ci sono bei temi, ci sono temi indispensabili. L'intellettuale deve proporsi la verità delle cose, dei fenomeni, delle leggi che agitano la massa e se stesso. E, se è un artista, quale compito l'attende! Non può farsi schiavo di questa massa, ma nemmeno abbandonarla. E la massa lo stringe da presso, come tigre affamata, chiedendo sempre cibo, romanzi, racconti, quadri, sinfonie, balletti, storie. Mangia di tutto. Tu ti studi allora di dargli qualcosa che non possa piacergli, come il mio romanzo, la quintessenza del tuo animo, dei tuoi pensieri, il nocciolo del mistero che si agita in te. Pensi che al primo boccone se ne trarrà disgustata, o resterà stecchita. Errore, mangia tutto.
TAVOLINO (a parte) Vanitoso, l'amico.
SCRITTORE E spesso decreta al tuo cibo lo stesso successo che riserba al cibo più volgare. E una volta che ti ha invischiato in questa cosa immonda che è il successo, devi denudarti e raccontare chi sei, che cosa vuoi fare, se ami le donne o gli uomini, da che parte sei schierato nella lotta tra le due masse di cretini che vogliono impadronirsi del mondo per ridurlo peggio di quella fogna puzzolente che è. Se la godano, questa miserabile palla!
TAVOLINO (pensando ad altro) Palla, palla, l'adorabile palla.
SCRITTORE Come dice?
TAVOLINO Niente. Lei smetterà dunque di scrivere?
SCRITTORE No, non posso. Oggi all'intellettuale si aprono due strade. Quella del successo, a condizione che scriva roba di consumo. C'è poi la strada delle ricerche. Scelgo la seconda strada. Oggi si può continuare a scrivere solo a patto di essere illeggibile. Ma anche in questo c'è il suo tranello. Il successo ti arriva dall'altra parte. (Prende una rivista illustrata, la dà a Tavolino.) Ecco Gios, poveretto. Credeva di aver scritto un libro illeggibile e sulle scene di New York gliene fanno una riduzione con musiche e danze. Oppure Prù. Se ne leggono sì e no due volumi, gli altri restano nello scaffale. E se ne può parlare, fingersene annoiati, entusiasti. Tutti i profeti sono applauditi in patria, ogni genio è compreso.
TAVOLINO (tanto per dire qualcosa) E i protagonisti del suo romanzo sono di sesso diverso? Oppure due uomini. O due donne?
SCRITTORE (resta folgorato) Come? Non lo so. (Prende un appunto.) Già. Non ci ho ancora pensato. Forse. Non vedo perché... (Squilla il telefono.) Ah, ma è troppo! (Afferra il ricevitore) Pronto? Sì, Clinica Villa Gioia. Il 42? Un momento, le passo la direzione. (A Tavolino) Risponda lei.
TAVOLINO Ma che devo dire?
SCRITTORE Che è morto. (Al telefono) Il 42 signora, ho il dolore di annunciarle che il 42 è morto in questo momento. (Chiude il telefono. C'è un silenzio impacciato.) Speriamo che abbia capito, questa stronza.
TAVOLINO (a parte) Che sciocco. È proprio uno sciocco.
SCRITTORE Insomma, scrivere è difficile, e spesso inutile. Bene, tempo due giorni, le manderò le risposte scritte. Devo pensarci un po'. È meglio. Adesso mi scusi, non sto bene, ho... come una nausea. (Si alza.)
Lo Scrittore gli è di fronte. Esita, sembra preso da uno strano malessere. Afferra una mano di Tavolino.
SCRITTORE Lei... lei ha bellissime mani.
TAVOLINO (sorpreso) Dice?
SCRITTORE Bellissime. E poi... lei, che idea stupenda! (Senza rendersi conto di quel che dice) Tavolino, ti amo. (Abbraccia e bacia Tavolino che, stupefatto, non reagisce.)
Tavolino indietreggia verso il fondo della scena, esce. Lo Scrittore si accascia esausto sul divano, asciugandosi il sudore della fronte, affannato. Squilla il telefono. Lo Scrittore lo lascia suonare senza muoversi, fisso in una luce accecante che gli ripropone Marcello e Irene nel letto dove li aveva lasciati.
SCRITTORE (mormora) Marcello e Marcello. O Irene e Irene. Forse.
Buio.