Quadro Settimo

Una tiepida notte di fine dicembre. Lo stesso luogo del primo quadro, ornato di festoni natalizi. Sui vari piani della scena, sedie e tavolini da caffè, vuoti, tra i quali passano signori e signore, giovinastri, ragazze. Un cameriere in marsina viene ogni tanto a controllare. Un solo tavolo di proscenio è occupato da Adriano – che legge un libro volgendo le spalle agli altri tavoli – e da Orlando, Amalia e Oliviero. Tutti i personaggi in scena cantano:

La canzone delle 52 settimane.

 

I.

Il lunedì mi riposo,

martedì non comincio mai niente,

mercoledì, che giorno noioso...

Muoversi, giovedì, chi se la sente?

Mi dici: Facciamo qualcosa.

  Che cosa — ti dico — facciamo?

Muoviamoci — dici — su, andiamo...

Ma dove? — ti dico. — Calmiamoci.

Andare, levarsi? E fare

che cosa? Tu dici: Qualcosa!

Alziamoci, almeno proviamo — tu dici.

Io dico: Calmiamoci.

 

II.

Il venerdì sono superstizioso.

Di sabato non si combina niente.

La domenica è giorno di riposo.

Il calendario non è divertente.

Partire? E come? E fare

che cosa? Se tutto è già fatto!

Tu dici? Io dico: Nel letto tornare.

Tu dici: Perfetto.

Ma gli anni – tu dici – che passano...

Gli anni, va bene, è finita.

Svegliamoci – dici – Che vita!

Io dico: Ma no, addormentiamoci.

 

Un silenzio. Riprende il viavai.

ORLANDO Ma non sentite che caldo, stasera, eppure siamo già a Capodanno. Voi che cosa fate per Capodanno?

OLIVIERO Non parlare sempre di feste, sono nauseanti.

ORLANDO Lo dici a me? Io le odio! Il Natale a Stoccolma è tutto diverso; intanto fa freddo e la gente sa divertirsi. Roma ha un clima infernale e la gente si annoia.

AMALIA Chissà come passa le feste il marziano.

OLIVIERO Il marziano! Ma non sapete?

ORLANDO (ride) No, no, racconta.

OLIVIERO Sembra dunque che ha fatto amicizia con un giovinastro, un attorucolo, e che vive nella preoccupazione di apparire politicamente ortodosso agli occhi dei suoi complanetari, che certamente lo sorvegliano, coi mezzi che posseggono loro e di cui a noi non ci frega niente. Dunque, sembra che il marziano, adesso abita qui dietro, un giorno, dopo essere rimasto nella sua stanza con questo giovinastro si è levato in piedi e, proprio con l'aria di chi si rivolge a un ascoltatore invisibile, oddio, oddio, avrebbe detto ad alta voce, scandendo bene le parole: "Ma tu perché non vieni a vivere su Marte, paese della vera democrazia?" Oddio, oddio, non è bella?

ORLANDO Ma no, questa è enorme! Ah, ah!

AMALIA Io trovo che è commovente, mi fa piangere. Ha sentito, Adriano?

ADRIANO No.

ORLANDO Sembra che gli hanno sequestrato l'aeronave. I fornitori, i debiti.

OLIVIERO Bene, io non rido più. (Ride.) No, no. Ieri Alessio mi ha fatto ridere tutto il giorno. Si parlava delle cose italiane e ha avuto una battuta geniale. "Ma per quale ragione," ha detto, "per quale ragione sarebbe dovuto scendere proprio qui? Io dico che non c'è venuto di proposito, c'è cascato." Oddio, oddio! (Serio.) Tutta la sera non ho fatto che ridere, ripensandoci. Cascato!

ADRIANO Il marziano è un caso tipico di idolatria dell'ignoto e finirà linciato. Non parliamone, vi prego.

Fred attraversa la scena. È molto cambiato, ha gli occhiali, veste male. Entra il re d'Arcadia in marsina e al braccio di una signora vistosa, seguito da due guardie del corpo.

ORLANDO Il re d'Arcadia! Simpatico, come porta bene il suo esilio.

Musica. Il re d'Arcadia canta:

La città dormiente.

 

RE D'ARCADIA

L'Oriente ha un suo mistero profondo

che l'Occidente non ha – non ha.

Una donna è venuta al mondo,

per dare un mistero alla vanità.

Così fondo è il mistero

di una donna d'Oriente,

così vago, insincero,

così dolce e indolente!

L'uomo che scende in questo mare,

non torna – non torna a navigare.

Una città è una donna di pietra,

ti scalda ma sangue non ha – non ha.

E resta una statua di pietra

che ti schiaccia mentre si dà.

Così fondo è il piacere

di una città dormiente!

Ha le pose lubriche e severe

di una donna d'Oriente.

L'uomo che scende in questo mare

non torna – non torna a navigare.

(Esce col seguito.)

Amalia e Oliviero si alzano e si avviano.

ORLANDO Mi accompagnate a casa? O andiamo in un night? Cerchiamo di divertirci, ciao Adriano, aspettatemi, voi! Oliviero, ma è appena l'una, dove andiamo?

Escono. Entra il Marziano, esita, siede a un tavolo centrale. È molto cambiato. Indossa un duffel-coat, appare stanco. Adriano, che gli volge le spalle, non si accorge di lui.

MARZIANO Eccoci qua, tra poco la fine e già la soluzione sembra ovvia, inutile come lo stesso problema. Nella vita contano i fatti della giovinezza, e i pensieri dell'età di mezzo, ma niente sostituisce la gioia di scoprire la vita giorno per giorno e di sapersi forte. Viviamo o ci sembra di vivere? Ora la stanchezza si insinua come un ladro in una casa deserta. Che guaio. Ora l'amore è fastidio, il vivere una certezza che peggiora, il sonno un agitarsi tra larve senza luce, e il giorno arriva, per ricominciare tutto daccapo. Dovrei rivedere i miei appunti. Mah, siamo al punto che anche scrivere è già stato fatto, tuttavia vediamo... (Scrive su un taccuino.) "I pensieri si mangiano tutto il raccolto." Sì, non è male. "Oggi il cretino è specializzato." Che cosa vorrà dire, mah, scriviamolo lo stesso. (Entra Fabrizio, frettoloso.) Fabrizio, carissimo, vieni!

FABRIZIO Ciao, Kunt. Non posso sedermi, ho una persona che mi aspetta, che ore sono, l'una e un quarto, ma sono contento di vederti. Che fai? Scrivi? Bravo, un giorno mi farai leggere. Come va?

MARZIANO Benissimo, vedi.

FABRIZIO Malissimo, vuoi dire? Mi dispiace. Non puoi aspettare domani?

MARZIANO Ma non ho chiesto niente, solo un saluto. Siedi.

FABRIZIO Un momento, Kunt. (Va verso Adriano.) Ciao, carissimo Adriano, vedo che finalmente hai imparato a leggere. Una vittoria morale. Senti, dimentichiamo il passato, sotto il triste aspetto economico, devo partire assolutamente, mi servono cinquantamila lire. Quaranta. Trenta. Guarda, che sotto venticinque non scendo, non farti illusioni. Perché non rispondi? Mi porti il broncio, non mi ami più? Venti? Sembriamo due clown. Su, Giacomino, venti! Oh, Toni!

ADRIANO Diecimila. Non ho altro.

FABRIZIO Sono molto deluso. Grazie comunque, Adrianuccio, scappo, ho un appuntamento. Un bacetto? Domani ti telefono, pensami. (Torna verso il Marziano.) Ecco Kunt, ti bastano cinque?

MARZIANO Ma sei sempre il caro adorabile amico! Grazie.

FABRIZIO Io scappo. Bello il Natale, vero? Che aria di festa di bambini, e anche questo caldo irragionevole, confortante, che ti assolve, così doveva essere il Natale a Betlemme, un Natale con i palloncini e il castagnaccio, e la gente che fa confusione, i pastori abruzzesi... Ciao, ciao, ciao. Telefonami! (Bacia il Marziano ed esce.)

Entra Fred, vede il Marziano, va al suo tavolo, felice.

FRED Dottore... cercavo proprio di lei. Sono passato, prima.

MARZIANO Sieda, Fred. Quanto tempo! Ho saputo che lei è stato fuori.

FRED Sì, ho viaggiato un po'. Riparto domani e volevo salutarla.

MARZIANO Organizza qualcosa? Un balletto? Le sue mille attività!

FRED No, vado in giro. Non posso vedermici, fermo. Così, viaggio.

MARZIANO Viaggia? Nel Sud?

FRED Anche. Sono stato in un'isola, uno scoglio, giù, un mese e mezzo. Non c'era niente, ma è difficile spiegare. Qualche vecchio, bambini, cani. Mi annoiavo? No. Sono tornato, ho venduto la macchina e riparto. Chiudo un periodo. Sto meglio, mi sembra di aver trovato una certa calma e allora ho detto: seguitiamo. Ho anche ripreso un po' i vecchi studi, leggo...

MARZIANO Che studi? (Pausa.) È vero che lei da giovane voleva fare il missionario?

FRED (sorride) Una delle tante idee. Sì, un anno di seminario, poi niente. Chi glielo ha detto?

MARZIANO Anna, credo. O Fabrizio.

FRED Da ridere, no? Un ragazzo. Mi piaceva l'Africa, l'idea di viaggiare, di convincere... Fissare la gente negli occhi e convincere. Poi, niente, un bel giorno piantai lì.

MARZIANO A volte si cambia idea.

FRED No, io impazzivo. (Pensoso.) Cercavo la Causa prima.

MARZIANO La Causa prima?

FRED Succede, nei giovani. Così piantai tutto e cominciai a ballare. Poi feci il venditore di automobili, l'attore e l'ipnotizzatore. Ah, ma perché rivanghiamo? (Pausa.) Dicevo: siamo nati già morti, siamo granelli di sabbia nell'universo, che è morto anche lui: che senso ha tutto questo imbroglio? Chi lo muove? Chi ha interesse? Abbiamo un bell'alzarci sulla punta dei piedi... i nostri capelli sono già contati, contati e morti. Non avevo la forza di continuare, e neanche l'intelligenza. La sproporzione era tra la mia intelligenza e i problemi. Ma a che dovrebbe servire l'intelligenza se non a capire proprio che non serve? Se sbaglio, mi corregga. Una sigaretta? (Pausa.) È strano, a ricordarli, quei giorni, la mia pazzia... non crede che la cosa che io cercavo era proprio dentro di me e si muoveva in quel senso, giù, fino in fondo? Ero un morto che portava un vivo. Lo sono anche adesso, ma è consolante saperlo, perché... (Pausa.) E lei?

Entrano Ercolani, Alessio, Bellario e Lazzaro. Siedono all'altro tavolo di proscenio.

MARZIANO (rigido) Parte domani, professore? Dove va?

FRED Ho tutto il tempo per pensarci. (Pausa.) Anna, sta bene? Mara? Patrizia?

MARZIANO Non le ha viste? Sono sempre da queste parti. Anna è a casa, credo.

FRED Me le saluti tanto. (Sospira.) Insomma, abbiamo passato dei bei momenti, insieme. Quei giorni... io me li ricordo, in fondo devo tutto a lei, dottore. Grazie. (È commosso.) Io penso spesso a lei, sa?

MARZIANO Vattene, Fred. Buon viaggio. Vattene!

Fred esita e sorride, sorpreso, poi va via rapido e dignitoso. Un silenzio.

ERCOLANI C'è il marziano, vi prego non cominciate.

LAZZARO Dicono che sta scrivendo un libro.

ALESSIO Un libro. Roma è piena di sciagurati che scrivono un libro. Invece di comprarli e di leggerli, che farebbero meglio.

LAZZARO (al Marziano) Buonasera. Come va? Allora, che notizie ci dà di questo suo libro di cui si parla tanto? Vedo lì un taccuino.

MARZIANO Questo? Sì, prendo qualche appunto.

LAZZARO Appunti? Il signore prende appunti, avete sentito? Interessante. Non pensa di pubblicarli? Io potrei aiutarla, se crede.

MARZIANO Sono semplici appunti.

LAZZARO Mi faccia vedere. (Si alza, prende il taccuino.) Posso? (Il Marziano non risponde, è disfatto.) Vedo, vedo. State a sentire, lei permette? Sono riflessioni, pensieri. "Felici gli antichi che credevano il cielo a tremila metri, e tenevano i loro Dei su un monte alto meno di tremila metri. È l'Infinito che ci distrae." Bello! Che monte era? Il Gran Sasso?

ALESSIO Ma che bambino questo Lazzaro.

LAZZARO Ah, l'Olimpo. La memoria! Senti, Ercolani, questo è per te: "Quando la vanità si placa, l'uomo è pronto a morire e comincia a pensarci." Preparati!

ERCOLANI Sono ancora vanitosissimo! Ma il pensiero è profondo, mi piace.

BELLARIO Siamo sul piano di Pascal.

LAZZARO "Un gatto fa quello che io vorrei fare, ma con meno letteratura." Delizioso. Veramente. "3 ottobre. Oggi sulla spiaggia deserta un giovane e una ragazza che giocano a lanciarsi una palla. Corpi pieni di grazia, quasi nudi" oh! oh! "vascolari. Dare, se possibile, la purezza di questo spettacolo senza turbamento." Qui ci scappa il racconto. O una poesia.

ALESSIO Per favore, è diventato impossibile venire al caffè.

LAZZARO Tieni, leggi tu, Alessio.

ALESSIO Preferirei di no. (Prende il taccuino.) Non ci vedo bene. "Conosci te stesso. Dopodiché ti diventerà impossibile vivere con te stesso." Qui andiamo in profondità. Complimenti.

Il Marziano non ascolta. Entra Anna e va al suo tavolo, senza sedersi.

ANNA Ciao. Non prendi troppo freddo? Hai la sciarpa, almeno?

MARZIANO Siedi, sta qui, non fa freddo. Siedi.

ANNA (siede) Devo andare. Se hai fame, nella ghiacciaia c'è il bollito. Ci sono anche le uova e il formaggio. Vino ce n'è poco. Non ci ho pensato. Mi perdoni?

MARZIANO Non ho fame, ma forse più tardi. Devo lavorare stanotte.

ANNA Comunque, non aspettarmi. (Gli fa una carezza.) Ha telefonato un tale, ma non ho capito bene il nome. Ritelefona domattina. Dice che deve vederti. Insisteva... Che cielo, le nuvole non somigliano a niente, sembra una coperta. To' una stella, una stella rossa. (Il Marziano guarda il cielo. Un silenzio.) Gennaio, febbraio, e poi anche l'inverno sarà finito. Povero inverno. (Si alza.) Ciao, amore. Ah, ricordati di lasciare fuori il gatto.

MARZIANO Ciao, ti aspetterò. Buonanotte.

ANNA Buonanotte. (Esce.)

ALESSIO Anche questo non va male, è azzeccato, mi sembra. "Condannato alla pena di vivere. La grazia, respinta..." "Il successo si paga con lo spogliarello." Ah, spiritoso!

Adriano volge il capo, un attimo, e vede il Marziano.

MARZIANO Datemi quel taccuino, per favore.

LAZZARO Ancora uno, questo: "Che fanno i leoni aspettando il domatore? Ripassano la parte." Acuto, fine.

ALESSIO Una certa finezza, sì.

MARZIANO (sfinito) Il taccuino, prego.

LAZZARO Ecco, grazie. Complimenti.

Passano tre Giovinastri, uno dei quali ha una tromba.

PRIMO GIOVINASTRO Aoh! Er marziano. Guarda.

SECONDO GIOVINASTRO Pija er fresco, sotto le feste.

TERZO GIOVINASTRO Quant'è buffo. Me fa ride.

PRIMO GIOVINASTRO Forza, ragazzi, circolare.

Escono. Gli altri si alzano.

ALESSIO Andiamo dentro, fa freddo. Buonasera.

ERCOLANI Tra due giorni, Capodanno. Buonasera.

BELLARIO Buonasera.

LAZZARO Arrivederla, Kunt. I suoi pensieri sono precisi, hanno un certo nerbo, sì veramente. Domani sera, se ci vediamo, mi fa leggere gli altri, così, da amico, sono anch'io nella stessa barca...

MARZIANO (secco) La prego. Buonasera.

LAZZARO Mi scusi. Buonasera.

Escono.

MARZIANO (sfoglia il taccuino e legge) "Amare il prossimo è la forma più raffinata di..." Oh, basta. (Chiude il taccuino.) Perché ridevano? Perché sono così spietati? Perché volevo amarli? Perché mi abbandonano? Vado a casa.

VOCE A marziano!

Il Marziano si ferma. Il silenzio è squarciato da una pernacchia e da uno stridulo suono di tromba.

ALTRA VOCE Marzianoooooooo!

TERZA VOCE Marzianoooooooo!

Un altro suono di tromba, comico, straziante, offensivo, modulato di fiorettature. Nel silenzio che segue, una risata.

MARZIANO (grida) Mascalzoni! (Risponde la tromba più forte, e un coro infernale di sconce risate, che man mano si allontana. Silenzio. Il Marziano mormora) Mascalzoni... canaglie... (Getta via il taccuino e siede affranto, la testa tra le mani.)

Entrano tutti i personaggi della commedia, disponendosi variamente. Adriano raccoglie il taccuino, lo sfoglia e legge.

ADRIANO "Il profeta riceve tutti i giorni, eccetto il venerdì, in cui viene ucciso."

Musica. Si declamano:

Le strofe della conclusione.

FABRIZIO

La cosa significa tutto

e niente. E soltanto un rito.

Sta a voi darle un costrutto,

fingendo di aver capito.

MARCO

Io fisso ciò che risplende.

La mia arte è puntualità,

souvenir. Ciò che oggi vi offende,

domani ci commuoverà.

FRED

Quando ha perduto il padrone,

al cane non serve abbaiare.

Non serve attorno girare,

non serve nemmeno il nome.

ANNA

Resto una puttana riscattabile,

e così voi mi sopportate —

voi, che avete una moglie abile

e quella altrui desiderate.

ADRIANO

Vivo con qualche riluttanza,

nel dubbio del dovere.

Un uomo senza importanza

può rifiutare il piacere?

MARZIANO

Tutto si muove nel mondo

verso un eterno amplesso.

Anche toccare il fondo

fa parte del successo.

 

Musica cambia: La città dormiente. Tutti cantano:

TUTTI

Così fondo è il piacere

di una città dormiente!

Ha le pose lubriche e severe

di una donna d'Oriente.

L'uomo che scende in questo mare,

non torna — non torna a navigare!

 

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La Guerra Spiegata Ai Poveri

 

Con questo atto unico venne inaugurata, la sera del 10 maggio 1946, nella sede del Circolo dell'Arlecchino, la stagione del Teatro Tascabile, che prevedeva (ma il club ebbe vita breve) rappresentazioni di soli atti unici in cui doveva trovare spazio la satira morale, politica e sociale. Tra gli attori di quella sera: Vittorio Gassman (L'Usciere), Carlo Mazzarella (Il Giovane), Ninì Pirandello (Ninì), l'antiquario Tanino Chiurazzi (Il Ministro). La farsa venne poi rappresentata, nelle serate del 9 e 10 novembre, a Milano, al Teatro Excelsior, per la rassegna del "Festival degli autori italiani".

Il testo della commedia uscì sulla rivista "Il Dramma" del 1° settembre dello stesso anno.

Flaiano aveva aperto la serata al Circolo dell'Arlecchino con un discorso che venne poi pubblicato sulla "Fiera Letteraria" del 23 maggio 1946, presentando così la farsa:

 

La commedia è quella che è. Siamo convinti che se lo stesso autore si mettesse in platea troverebbe anche lui da ridire. Ammirate almeno il suo coraggio. Egli vi addita, nelle peggiori delle ipotesi, la via dell'insuccesso, che è una via feconda, credetelo. Si comincia sempre di lì, quando non si finisce. L'autore, insomma, brucia la sinistra perché la destra ha sbagliato. Per anni ha scritto delle critiche sui giornali, senza cavarne altro che inimicizie ed errori tipografici. Ascoltate, dunque, serenamente la commedia perché non è obbligatorio divertirsi e soprattutto tenendo conto che tra un'ora al massimo avranno inizio le danze e che quindi non vi avremo scomodato del tutto invano.

 

Interessanti suggerimenti per la regia, utili per conoscere quale significato Flaiano attribuisse al proprio testo, si leggono in una lettera che l'autore inviò il 24 marzo del 1947 al direttore della Filodrammatica di Cremona2 che gli aveva chiesto l'autorizzazione a mettere in scena la farsa:

 

A Milano [...] hanno travisato le mie intenzioni, riferendo tutto ad avvenimenti troppo recenti. Mi raccomando, non caschi anche lei nel tranello. Faccia parlare gli attori semplicemente, li faccia vestire ancora più semplicemente. [...] Per me, quei personaggi sono eterni potrebbero vestire come antichi romani, o come pellirosse: l'essenziale è di non vestirli come vorrebbe o come si aspetta lo spettatore. Voglio dire che il GENERALE non deve vestire da generale, ma deve indossare una vestaglia. In testa, una bombetta. Il PRESIDENTE deve avere una tuba, uno stiffelius e scarpe da tennis. Il PERITO RELIGIOSO non deve vestire da prete, anche per lui basterà uno stiffelius. Gli metta un fiore all'occhiello e un paio di guanti neri con le dita tagliate. La SIGNORA deve vestire come una regina madre, un po' démodé. L'AMBASCIATORE vesta elegantemente. Il suonatore di clarino vesta in smoking o meglio in frac. E suoni un segnale di caserma, sempre lo stesso, ma non il "silenzio", che è troppo patetico: meglio "caporale di giornata". NINÌ vesta di bianco, in tulle, molto scollata e dipinta. L'AUTORE può essere lei stesso, il Direttore della filodrammatica, in maniche di camicia. Deve aver l'aria di un direttore che controlla se tutto è a posto. Mentre parla, accomoda la cravatta ad un attore, dà un colpetto da modista alle piume della SIGNORA, mette a posto una sedia.

Ci siamo capiti? La scena deve essere sobria, ottocentesca. Non cada nei bei tranelli del moderno, esageri nel gusto ottocentesco, con tendaggi, poltrone, poggiapiedi. Non metta assolutamente cartelli con frasi storiche o pseudo storiche, come hanno fatto a Milano, rovinando tutto. Immagini il salotto della nonna. Se le dò questi consigli è perché nella rappresentazione romana ho avuto agio di constatarne la giustezza. Tenga alla recitazione un tono svagato, molto garbato. Per esempio, il GENERALE sarà fatuo, svagato, puntiglioso. La SIGNORA, tutta evanescente. Il PRESIDENTE serio, buon uomo, onesto. Il MINISTRO sarà come un cattivo avvocato di pretura. Si deve avere l'impressione di essere capitati in una clinica per malattie nervose, dove però i clienti siano troppo bene educati per essere volgari. Un sospetto di pazzia e nient'altro. Ricorda quella novella di Poe: Il sistema del dottor Piuma e del Prof. Catrame? Ecco, una cosa del genere.

Vedrà che se terrà questo tono, potrà riempire le lunghe pause dell'azione, specie nel primo tempo. Si attenga del resto alle didascalie, che sono state aggiunte dopo la recita.

Spero che Lei non si sarà né offeso né annoiato di questa lunga chiacchierata. Spero anche che non si annoieranno i suoi attori. Si ricordi di mettere una mascherina bianca al suonatore di clarino. È molto importante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Personaggi

 

IL PRESIDENTE

IL GENERALE

LA SIGNORA

IL PERITO RELIGIOSO

L'AUTORE

L'USCIERE

LO STUDENTE

NINÌ

L'AMBASCIATORE

UN CLARINO

UN TAMBURO

 

 

Un palco da cerimonie addobbato con stemmi e bandiere. Una poltrona nel centro. A destra, in fondo, una pedana con una poltroncina e una vittoria alata in bronzo. A sinistra una panchina e un leone impagliato. In fondo a sinistra un monumento ai Caduti della penultima guerra, con un cartello così concepito: "Progetti a richiesta".

Al levarsi del sipario si ode una fanfara di clarino e tamburo. In piedi sulle poltrone, spalle rivolte alla platea, sono il Presidente, la Signora, il Generale e il Perito religioso. Agitano fazzoletti e cappelli, salutando truppe immaginarie che partono. L'Autore si tiene discosto, presso la ribalta, e osserva. La fanfara si allontana, finisce. Allora i quattro personaggi, con un elegante salto, scendo-no e si voltano. Respiro di sollievo.

 

PRESIDENTE Un pensiero di meno!

SIGNORA Che ufficiali perfetti!

GENERALE A un soldato mancava un bottone!

PERITO RELIGIOSO Però il cappellano andava al passo.

PRESIDENTE Concludendo: sono partiti.

L'Autore si fa avanti. Tutti prendono pose ufficiali.

AUTORE Allora ci siamo, signor presidente!

PRESIDENTE Sì. Il dado è tratto. Dichiarata questa guerra, non abbiamo adesso che uno scopo: vincerla o, perlomeno, continuarla. Mentre si spegne nelle strade l'eco della manifestazione di gioia degli interventisti e gli studenti, ripiegate le bandiere, si dirigono verso le più economiche case di tolleranza, noi ci siamo qui riuniti per discutere i nostri piani. Desidera altro?

AUTORE Sì, eccellenza. A che ora precisamente sono cominciate le ostilità?

PRESIDENTE Il generale, ministro della guerra, le darà tutte le informazioni del caso.

GENERALE Le ostilità propriamente dette sono cominciate alle ore 10.25 di stamane. Ma possiamo affermare che il nemico, sdegnando ogni leale condotta, le ha iniziate con un intenso lancio di sassi e di materie fecali contro un nostro doganiere alle ore 7.15: quindi tre ore e dieci minuti prima che noi sparassimo il rituale colpo di fucile.

AUTORE Come si chiama il soldato che ha sparato il primo colpo?

GENERALE Per una gentile tradizione il primo colpo viene sparato da persona estranea al conflitto. Si sceglie, di solito, una personalità dell'arte o della scienza oppure un'attrice o uno sportivo di fama. Debbo aggiungere però che il primo colpo viene sparato in aria.

AUTORE Bene, chi ha sparato questa volta?

GENERALE La signora.

SIGNORA Sì, è stato davvero emozionante.

AUTORE Il conflitto s'inizia, dunque, sotto gentili auspici. E, generale, cosa pensate di questa guerra?

GENERALE Ogni generale è un pochino poeta. (Si ode un segnale di caserma.) E i poeti non danno spiegazioni. Dirò che le guerre si sentono ed è inutile spiegarsele. Io sento profondamente questa guerra. Anche il nostro popolo sente profondamente questa guerra e non importa se sinora ne ha perdute parecchie. Ciò che conta è che non abbia perduto la fiducia nella guerra in sé.

PERITO RELIGIOSO Volete dire: nel suo spirito di giustizia. La guerra è un giudizio di Dio. (Si ritira verso il fondo e s'inginocchia davanti alla Vittoria.)

PRESIDENTE Se noi riusciamo a mantenere vivo nell'individuo il concetto che la guerra è il contrario della pace e che questa esiste soltanto in contrapposto a quella – ergo: deve esistere, altrimenti non avremmo mai pace – il più è fatto.

AUTORE Il morale dell'esercito?

GENERALE Altissimo. È partito cantando, coi fucili infiorati e doppia razione di sigarette. Tornerà cantando e con qualche malattia della pelle. È inevitabile.

SIGNORA Del resto, caro signore, l'unica maniera di smuovere i nostri soldati è di prospettargli le guerre dal lato erotico. Questo spiega il favore incontrato dalle nostre ultime campagne coloniali. Ma, con i nuovi sistemi di cura, è inutile preoccuparsi. Sono giovani, bisogna lasciarli fare.

AUTORE (preoccupato) Non si rendono dunque conto della necessità di questa guerra?

SIGNORA A loro modo, sì. Est modus in rebus.

Tutti ridono.

GENERALE Non reputo assolutamente necessario che i miei soldati sappiano perché si fa questa guerra. Se cominciassi a dare spiegazioni, me ne chiederebbero sempre di più particolareggiate e arriveremmo al giochetto dei perché. La guerra, oh, per molti resterà la più bella avventura della vita!

SIGNORA Esclusa una percentuale di intolleranti, il resto della truppa farà il suo dovere. Ogni soldato racconterà a casa – a guerra finita – come e quanto il suo capitano gli volesse bene e lo tenesse in considerazione. Ve lo dico in confidenza: le guerre si fanno amando il capitano e odiando il colonnello.

AUTORE Com'è vero!

USCIERE Il presidente dell'associazione nazionale studenti chiede di conferire.

PRESIDENTE Fatelo passare.

Entra lo Studente. Indossa il frac.

STUDENTE Signor presidente, a nome del consiglio dell'associazione della quale mi onoro essere presidente, vengo a porgerle i miei auguri e le mie felicitazioni per il passo compiuto contro il nostro secolare nemico. Nello stesso tempo vengo a chiarire un equivoco che, perdurando, diventerebbe increscioso. Negli ultimi tempi, noi studenti abbiamo trascurato non poco gli studi per la preparazione psicologica di questa guerra. Ora il conflitto è avviato. Paghi del nostro contributo e dello stesso volgere degli eventi, noi dichiariamo di disinteressarci, a questo punto, della guerra che, diventando un mero fatto tecnico, viene a perdere quegli squisiti caratteri di polemica con cui ci aveva attratti. Noi, dunque, gelosi custodi degli ideali della nazione, ritorniamo ai nostri studi.

PRESIDENTE Non andrete alla guerra? È seccante.

STUDENTE Il governo potrà sempre contare su di noi per dimostrazioni e cortei, in occasione di vittorie parziali e totali, ritirate, rivendicazioni territoriali, rettifiche di confine, riprese cinematografiche, eccetera.

PRESIDENTE Allora va bene. Riferite al vostro consiglio che mi adoprerò favorevolmente. Arrivederla.

STUDENTE Grazie, signor presidente. Ossequi. (Esce.)

PRESIDENTE Sono fatti così. Non vogliono mai fare la guerra in corso ma sempre quella che verrà.

AUTORE Tutto è a posto, mi sembra. Posso andarmene. Vuol fare altre dichiarazioni?

PRESIDENTE Sarà bene che si sappia che il presidente è calmo e ha fiducia nel popolo e nell'esercito. E che la guerra durerà molto.

AUTORE Quanto, se è lecito?

PRESIDENTE (elusivo) Niente è più deleterio di un conflitto che si risolve rapidamente: e niente è più antieconomico dell'incertezza. Se annunciamo invece una guerra lunga ognuno potrà guardare con una certa tranquillità al futuro.

SIGNORA Abbiamo, del resto, esempi illustri. La guerra dei Trent'anni, detta anche di Successione. Troia, che durò dieci anni, grazie a una donna. Abbiamo le non mai abbastanza ricordate guerre puniche, che durarono complessivamente... quanto, generale?

GENERALE Oh, moltissimo.

PRESIDENTE E abbiamo le prime quattro guerre mondiali, delle quali la terza veramente lunga.

PERITO RELIGIOSO Scusate se intervengo. Penso che una guerra troppo lunga possa contribuire a minare il già traballante istituto familiare. Per esempio, un marito che lascia la moglie fatica poi a ritornarvi. Anche in questo campo abbiamo esempi illustri: Ulisse...

PRESIDENTE D'accordo, ma la maggior parte dei mariti va volentieri alla guerra proprio per il motivo da lei accennato. Da noi la guerra sostituisce il divorzio. Caro ministro, è il caso di dirlo: lei non può pretendere la moglie ubriaca e la botte piena.

Tutti ridono.

SIGNORA D'altro canto abbiamo già approntato un piano per la completa e decisiva ammissione della donna nella vita militare.

PERITO RELIGIOSO Deploro questo piano.

SIGNORA Sostengo invece che bisogna inserire l'elemento femminile nello sforzo bellico. Non si annoierà aspettando che la guerra finisca. Senza contare che in guerra la donna porta una nota di gentilezza.

GENERALE Marte e Venere di nuovo insieme. Che guerra!

PRESIDENTE L'incidente è chiuso. Anche in questa faccenda potremo dire ormai: cherchez la femme. (Tutti ridono.) Ma ora cerchiamo di ricapitolare i nostri piani.

AUTORE Allora vi lascio. Chi potrà fermarvi, se non le ali della Vittoria? Ossequi, signora. (Esce.)

PRESIDENTE Arrivederci. Signori, un poco d'attenzione. Eccovi, grosso modo, i miei piani. (Svolge sul pavimento tre carte geografiche.) Inutile dirvi che rispecchiano anche il pensiero del generale. Ecco: in un primo tempo noi attaccheremo qui, difendendoci qui e qui. Il nemico dovrà controbattere qua e qua, inutilmente. Riuscita questa prima manovra lasceremo che il nemico lanci la sua offensiva qua e qua. Noi lo contrattaccheremo qui e qui, vittoriosamente. Conquistate le posizioni chiave, svolgeremo la penetrazione qua e qua (si avvicina alla lampada da tavolo, l'accende. Poi indica un punto sul paralume coperto da una carta geografica del Settecento), sempre tenendo agganciato il nemico qui e qui, affinché non distolga forze. Chiaro? Per questo primo piano prevedo due anni di guerra. Nel frattempo noi prepareremo i piani per gli anni successivi.

SIGNORA Ma perché invece di attaccare qui non attacchiamo qua?

GENERALE Signora, il nemico è convinto che attaccheremo qui. Noi, allora, facciamo finta di attaccare qui e attacchiamo qui. Capito?

SIGNORA Ma se il nemico se l'aspetta, perché attacchiamo?

GENERALE Ma è questa la sorpresa, signora.

USCIERE (annunciando) L'ambasciatore nemico in visita di congedo.

PRESIDENTE Mettiamo via questi piani. Fate entrare. (Spegne la lampada da tavolo mentre il Generale piega le carte geografiche.)

Entra l'Ambasciatore.

AMBASCIATORE Buongiorno, signor presidente. L'irreparabile è accaduto, eccomi in visita di congedo. (Legge un foglio) "Nel porgerle i miei deferenti omaggi lasci che esprima la speranza che in un prossimo avvenire i nostri due paesi possano riallacciare quei legami di amicizia e di... di..."

PRESIDENTE (guarda il foglio) Di cooperazione.

AMBASCIATORE "... di cooperazione, che nel passato hanno sortito sì buoni frutti. Nei secoli trascorsi i nostri due paesi avevano una sola lingua e una sola bandiera. Studi recenti hanno infine accertato che i nostri due paesi combatterono più d'una guerra contro lo stesso nemico, alfine distruggendolo. Eccetera, eccetera..." (Piega il foglio.)

Il Generale e la Signora si addormentano sulla panchina.

PRESIDENTE La Storia non cessa di sorprenderci, signor ambasciatore. Ma ove i nostri ricordi sostassero, là sarebbe la morte della stessa Storia. I nostri paesi sono certamente fatti per intendersi e si intenderanno. Nulla ci divide, eccetto questa guerra, terminata la quale riprenderemo i nostri buoni rapporti d'una volta e faremo scambi di intellettuali, mostre d'arte, viaggi in comitiva di giornalisti, eccetera.

AMBASCIATORE A chi la responsabilità di questo conflitto? Non a noi, immagino.

PRESIDENTE Forse a noi, allora?

AMBASCIATORE La nostra versione ufficiale è che se ne poteva fare a meno.

PRESIDENTE La nostra è, invece, che non se ne poteva fare a meno appunto per il vostro voler permanere nell'equivoco. (Siede sul pavimento.)

AMBASCIATORE (lo imita) In confidenza, se ne poteva fare a meno.

PRESIDENTE Non ne vedo il perché. Il primo colpo di fucile ha segnato la fine di un periodo. Ieri tremavamo per l'inevitabile catastrofe, oggi pensiamo già a organizzare la pace. Leviamoci questo dente e non se ne parli più. E poi, se ci combattiamo c'è di sicuro una ragione. Per esempio: la diversa qualità delle sigarette. Conquistateci e noi fumeremo il vostro tabacco. Inoltre, lei è biondo e io sono bruno. Lei crede che Dio ha la barba e noi neghiamo questo particolare. E poi c'è l'abitudine. Negli ultimi due secoli ci siamo battuti sette volte.

AMBASCIATORE E con questa, otto. Vi rinnovo dunque i miei voti personali, che non impegnano perciò il mio governo, e vi chiedo il permesso di ritirarmi. Non vi nascondo che mi duole lasciare questo paese, dove ho trascorso anni così belli.

PRESIDENTE Duole anche a noi, creda. Comunque ci rivedremo alla fine del conflitto, no?

AMBASCIATORE Ma certo. S'è mai dato il caso di una guerra che abbia ucciso un diplomatico?

PRESIDENTE (stringendogli la mano) Caro ambasciatore, la guerra non porta pene. Le auguro buon viaggio.

AMBASCIATORE Grazie e ossequi a tutti. (Esce, svegliando il Generale e la Signora.)

SIGNORA (camminando come negli esercizi di portamento) Le guerre hanno un unico inconveniente, dobbiamo  riconoscerlo. Si portano via i migliori giocatori di bridge.

GENERALE E non parliamo del golf.

Entra l'Usciere.

USCIERE Un giovane chiede d'esser ricevuto.

PRESIDENTE Che cosa vuole?

USCIERE Si rifiuta di partire per la guerra, a quanto ho potuto capire, e vorrebbe esporre le sue ragioni.

PRESIDENTE Siamo qui per questo, fatelo entrare. (Entra il Giovane.) Avanti, giovanotto. Niente paura. Dunque, mi dicono che non volete partire per la guerra. Siete per le soluzioni di compromesso? No? Parlate, dunque. Vi ascoltiamo.

GIOVANE Io non posso andare alla guerra perché...

PRESIDENTE Su, avanti.

GIOVANE Non posso dirlo.

PRESIDENTE Suvvia, al presidente si deve dire tutto. Siete innamorato?

GIOVANE No.

PRESIDENTE E allora? Coraggio.

GIOVANE La faccenda è semplice: non so che cosa sia la guerra.

PRESIDENTE Che? Avete voglia di scherzare. E proprio mentre siamo occupati coi nostri piani, le visite e tutto il resto?

GIOVANE Non so cos'è la guerra. Non lo so. Vogliate spiegarmela.

PRESIDENTE Se non si tratta che di questo. Vediamo...

USCIERE (annunciando) Il ministro della superproduzione.

PRESIDENTE Fatelo accomodare. Dunque, giovanotto, parlavamo della guerra.

Entra il Ministro della superproduzione.

MINISTRO (gioviale) Buona sera a tutti.

PRESIDENTE Buona sera. Accomodatevi, giungete a proposito, ho alcuni appunti che vorrei controllare. Caro giovane, dovete avere un poco di pazienza. Ecco, mettetevi là, sono a voi tra un secondo. Dunque, signor ministro della superproduzione, come va?

MINISTRO Ottimamente. Si può dire che abbiamo persino un eccesso di superproduzione.

PRESIDENTE Non mi dispiace. Anzi, ascoltatemi. La filologia ci dà la chiave di molte verità. Vediamo, cosa occorre secondo lei a un esercito per avanzare?

MINISTRO Un buon generale.

PRESIDENTE Non è tutto. Pensateci bene.

MINISTRO Per avanzare... per avanzare... Diavolo! Ah, ecco: occorre che il nemico indietreggi.

PRESIDENTE In un certo senso, sì. Ma principalmente occorre che la truppa abbia le sue brave scarpe. Diciamo infatti: mettersi sul piede di guerra. Sul piede, non sulle mani. Noi abbiamo dunque bisogno di scarpe. Per un esercito di dodici milioni di uomini. Durata massima della guerra: quindici anni. Quindici per dodici: centottanta. Per due: trecentosessanta. Occorrono trecentosessanta milioni di paia di scarpe, considerato che ogni soldato ne adopra un paio l'anno e rivende l'altro. Siamo attrezzati per questo sforzo?

MINISTRO Sì.

PRESIDENTE Ogni paio di scarpe avrà bisogno di due paia di lacci. Potremo noi produrre settecentoventi milioni di paia di lacci da scarpe?

MINISTRO Non è semplice, ma vedremo.

PRESIDENTE Ogni scarpa ha dieci buchi. Possiamo noi garantire sette miliardi e duecento milioni di buchi?

MINISTRO Bisogna fare un piano. Ma suppongo di no.

PRESIDENTE Non voglio supposizioni. Mi farete un rapporto su questa faccenda dei buchi. E uno. Ora a voi, generale. Avete medaglie a sufficienza?

GENERALE (si batte il petto) Sì, signor presidente. A ogni modo se sua eccellenza vuol riconoscere i miei meriti e i servigi resi alla patria...

PRESIDENTE Parlo dei depositi di medaglie. Abbiamo medaglie a sufficienza per premiare i nostri valorosi soldati?

GENERALE Non preoccupiamoci. Li premieremo secondo le disponibilità e il ritmo della superproduzione.

PRESIDENTE Ora diamo un'occhiata all'esercito. Abbiamo 5500 generali. Alcuni sono tiranneggiati dalle mogli, altri scrivono racconti per la Nuova Antologia: su tutti costoro non si può fare affidamento. Dobbiamo perciò conservare il più a lungo gli altri. Dopo trenta anni di servizio, un generale costa allo Stato per educazione ricevuta, stipendi, indennità, trasferte, soprassoldo, decorazioni, danni al casermaggio, attendenti, cavalcature ed errori tattici più di mezzo miliardo. Vi faccio notare che abbiamo anche generali con quaranta anni di servizio e più.

GENERALE (aggiustandosi il pince-nez) Propongo di dividere i generali in due categorie. Quelli che hanno il "pince-nez" e quelli che non l'hanno. Voi sapete che non c'è vera strategia senza occhiali. E ormai accertato che le guerre si vincono a tavolino. Propongo dunque di affidare la condotta della guerra a generali forniti di "pince-nez". E, agli altri generali, la condotta delle battaglie. (Lirico) Ogni battaglia è in fondo un malinteso.

PRESIDENTE Non ho nulla in contrario. Veniamo ora alla contabilità. I miei esperti hanno calcolato che avremo circa 90.000 morti ogni anno, che non sono troppi. In definitiva si riducono a circa 250 morti al giorno, cifra che possiamo permetterci largamente, dato che andrà suddivisa e ripartita in un numero venti volte maggiore di comuni. Sorge piuttosto un grave dubbio. Possiede il nostro ministero della guerra l'attrezzatura telegrafica sufficiente per comunicare le notizie alle famiglie dei caduti?

GENERALE Sì, possiamo spedire 1300 telegrammi il giorno. In caso di offensive e ritirate, faremo dei telegrammi concordati, come per le feste pasquali.

PRESIDENTE C'è dunque un largo margine. Le mie apprensioni erano infondate. Comunque, dovevo preoccuparmi. Dimostreremo subito che noi facciamo tutto il possibile per venire incontro ai giusti desideri delle famiglie. Da domani desidero che comincino a partire i primi telegrammi.

SIGNORA Predisponiamo anche un piano per l'invio di falsi annunci in modo che, facendosi poi vivi i militari dati per morti, ne sortirà un benefico effetto propagandistico, specie nei piccoli comuni. Resta però il problema dei feriti. Dobbiamo affrontarlo? Non chiedo che di essere utilizzata.

PRESIDENTE Con la massima decisione, cara signora, ma senza preoccuparci. I feriti, per la maggior parte non protestano e conservano della guerra un buon ricordo. Molti conservano tra l'ovatta persino la pallottola che li ha colpiti. Alcuni poi sposano infermiere, altri scrivono diari. La soddisfazione di aver fatto il proprio dovere ripaga tutti del sacrificio compiuto. Noi dobbiamo invece preoccuparci di coloro che, dopo due o tre anni di guerra, non sono stati feriti e tanto meno sono morti. Costoro sono i più turbolenti, perché affezionati alla loro incolumità. Ma sapremo individuarli e comunque non c'è fretta. Lei vuol parlare?

MINISTRO (si alza in piedi) Vorrei fare alcune dichiarazioni relative alla guerra. (Solenne) Signori, siamo su una falsa strada. La guerra, così com'è ancora concepita, è un assurdo che disonora l'ingegno dell'uomo. Vi confesso che pensando a quanto va sprecato in una guerra, io mi sento pacifista. È ridicolo, lasciatemelo dire, è ridicolo che il mondo ricorra così spesso alla guerra e non abbia ancora pensato a soggiogarne l'energia. Si risolverebbe in pieno il problema che tanto tormenta i migliori statisti, cioè l'alto costo delle guerre. Quante nazioni non possono ricorrere alla guerra per mancanza di mezzi? Troppe, signori. Ed è perciò che intendo parlarvi della mia concezione della guerra-autonoma, ovverossia guerra semiperpetua.

GENERALE Straordinario; seguitate.

SIGNORA Oh, non si può dire che perdiamo il nostro tempo!

MINISTRO Il sogno degli antichi fisici era il moto perpetuo. Affinché questo sogno si realizzasse è sempre mancata ai fisici una forza altrettanto perpetua da assoggettare. Io oggi non esito a dire che la soluzione non è fuori di noi, ma in noi. Io propongo l'uovo di Colombo: l'uomo. L'uomo è composto di due entità, come il perito religioso qui presente c'insegna. Di queste due entità, l'anima – incorruttibile – è la più pregevole. Non discuto, ma non è di essa che voglio occuparmi. Ammesso che l'anima, una volta distaccatasi dal corpo, ritorni alle regioni da cui s'era partita, è chiaro che non potremmo utilizzarla. Ci resta però il corpo, un deposito di elementi che un vecchio pregiudizio ci impone di ignorare come energia in potenza, anzi – risum teneatis – di onorare. E come si onora quest'energia in potenza? Occultandola, miei signori. E vi sembra giusto? Una volta ucciso l'uomo – con tutto il rispetto per il caduto – la morale lasci il posto all'economia, la pietà ceda alla superproduzione. Soltanto l'economia ha il diritto d'indicarci come dobbiamo utilizzare le nostre sventure, atteso che un uomo che muore è una sventura per la società – su questo non c'è dubbio – e volgerle a nostro profitto. Datemi, signori, un milione di cadaveri e io...

SIGNORA (bruscamente) Ma che razza di idee! A questo modo finiremo per distruggere ogni poesia in una guerra.

PRESIDENTE Lo zelo nel servire la Patria vi ha fatto dimenticare che il nostro popolo sin dalle più remote età si distinse per le sue pratiche inumatorie. La tradizione è pur sempre la tradizione. E anche il sentimento vuole la sua parte.

MINISTRO A sentimentale, sentimentale e mezzo! Si seppellisca di ogni caduto il solo cuore, oppure la mano che impugnò la vindice arma. Si troverà pure il precedente nella nostra mitologia! Mi dite che il culto dei defunti è peculiare del nostro popolo. Bene, e qual modo migliore di onorare un caduto che quello di renderlo utile?

GENERALE (conciliante) La guerra che si alimenta da sé è certo la più grande invenzione dopo la guerra dei Cent'anni. Praticamente abolisce la pace e tutti gli inconvenienti che ne derivano. Io, in linea di massima, approvo.

MINISTRO Non venite poi a chiedermi calcio, fosforo, lecitine, grassi, ferro e proteine. Sapete che cosa vi risponderò: bacioni cari!

SIGNORA Certo, la proposta, a considerarla meglio, è seducente. Senza contare che le nostre armate saranno così utilizzate due volte.

GENERALE Volete dire che le porterò tutte al massacro? Birichina!

SIGNORA Siete spronato a fare del vostro meglio, ora, caro il mio napoleoncino.

PRESIDENTE Silenzio, signori. Noto in voi la tendenza a ironizzare gli avvenimenti e le proposte. Sembra di stare al caffè!

PERITO RELIGIOSO (si alza e interviene) Ero distratto e non ho capito bene. Ma, se non sbaglio, parlavate di caduti. Tengo a farvi notare che essi sono accolti senza distinzione nella gloria del Signore, quando combattono per una causa giusta, ossia necessaria.

PRESIDENTE La nostra causa è giusta, secondo lei?

PERITO RELIGIOSO Se è nostra non può essere che giusta. E necessaria.

PRESIDENTE Allora siamo a posto anche da questo lato.

PERITO RELIGIOSO En passant, lasciate che vi dica che una guerra senza religione disonorerebbe l'umanità. Altro – come pretende la critica storica – che guerre per i commerci e per le vie di comunicazione! Concedetemi che l'uomo non sarebbe tanto sciocco da battersi per le vie di comunicazione. Le vie del commercio sono infinite. E quelle del Signore, misteriose. La differenza, vi prego di notarlo, è sostanziale.

PRESIDENTE Giustissimo. Iddio. Sì, questo è un punto delicato. Il nostro popolo sa che il Signore è dalla nostra parte e condivide pienamente il punto di vista del governo. Ma non ripeteremo mai abbastanza che Iddio è con noi.

SIGNORA (candida) Probabilmente, a furia di ripeterlo, convinceremo anche lui.

PERITO RELIGIOSO Eretici impenitenti! Noi diciamo che Iddio è con noi, volendo significare che noi siamo con lui. La cosa è diversa. Ma se lasciamo l'iniziativa al nemico...

SIGNORA Ma Iddio non prenderà sul serio il nostro nemico. Se ci battiamo appunto contro il nostro nemico!

PERITO RELIGIOSO Bisogna allora stabilire subito che il grave fardello impostoci dalla Storia è portato da noi in gloria di Dio. E per lui che combattiamo, per stabilire e riaffermare i suoi principi.

PRESIDENTE Ecco, capisco, ma è proprio qui il punto delicato. Dobbiamo capovolgere l'affermazione e dire che è per noi che Iddio combatte. Del resto, non scopro niente di nuovo, io!

MINISTRO Dopodiché lanceremo un prestito nazionale. Sicuro! Il popolo associa volentieri l'idea della guerra con quella del prestito. Metteremo anche due nuove tasse. Una sulla bellezza e una sull'intelligenza. Non vi nascondo che le pagherò anch'io.

GENERALE Anch'io.

SIGNORA Anch'io.

PRESIDENTE Anch'io.

PERITO RELIGIOSO Poiché parliamo di tasse nuove, pigliamo due piccioni con una fava. Serviamo i buoni costumi e l'economia. Io sono per l'inasprimento della tassa sui vini e per una nuova tassa sui rapporti sessuali.

SIGNORA Dissento fermamente. La nostra politica di questi ultimi anni ha molto influito sul carattere del popolo. Il popolo non si ubriaca più e non fa più quella cosa con l'entusiasmo di una volta. Rischiamo poi di allontanare la simpatia popolare da un oggetto di largo consumo. La donna – anche sua eccellenza è d'accordo, immagino – non bisogna renderla troppo preziosa. I nostri giovani sono già così propensi a farne a meno!

GENERALE L'alcool è poi necessario per le industrie di guerra.

MINISTRO Possiamo, volendo, estrarre l'alcool dai cereali.

PRESIDENTE Buona idea. E da che cosa estrarremo i cereali?

MINISTRO Volendo, dall'alcool.

PRESIDENTE Ma siamo al circolo vizioso!

MINISTRO Non so proprio che farci! Anche la superproduzione ha un limite. Ma noi possiamo porre termine al conflitto quando ci parrà, se dovesse venirci a mancare l'essenziale.

GENERALE Giusto. Il termine di quindici anni ce lo siamo imposto come preventivo. Possiamo far cessare subito la guerra, se vogliamo: abbiamo le armi segrete.

PRESIDENTE Sono contrario all'uso di queste armi.

GENERALE La cosa mi riesce nuova. Perché?

PRESIDENTE Perché sì.

GENERALE (irritato) Come vedete, cari colleghi, un umanitario è a capo di questa nazione in guerra!

PRESIDENTE Mi lasci finire. Queste armi segrete offrono indubbiamente un vantaggio strategico, ma presentano anche uno svantaggio politico. Eliminando totalmente i reduci e i mutilati – perché altamente distruttive – esse vengono a porre il paese sconfitto sulla soglia di un dopoguerra ideale, senza problemi di politica interna. Ora noi domineremo le vie di comunicazione soltanto a patto che una certa discordia operi all'interno dei paesi sconfitti. Chiaro? Voi fate bene a preoccuparvi della guerra; ma lasciate che io mi preoccupi del dopo-guerra. Debbo perciò insistere: pane, ossia cereali. E, ricapitolando: scarpe, telegrammi, guerra semiperpetua, Iddio, prestito, nuove tasse, pane. D'accordo? E non pensiamo più alle armi segrete.

PERITO RELIGIOSO Sì, le armi segrete sono altamente condannabili. A meno che il loro uso non diventi palese.

GENERALE (ripensandoci) A non contare che una guerra senza grande impiego di fanteria è un controsenso. Ma bisognerà pure trovare qualcosa per combattere il nemico con qualche vantaggio.

SIGNORA Posso parlare?

PRESIDENTE Ma s'immagini. Dica pure.

SIGNORA Vorrei farvi una proposta. Io dico che bisogna cambiare il nostro motto. Non più: odiamo il nemico, ma: salviamolo!

PRESIDENTE Venga a qualcosa di concreto.

SIGNORA Ci sono. Mettiamo i nostri nemici nella condizione di ammirarci e di invidiarci. Ho pensato che questo risultato si potrà raggiungere soltanto facendogli intravedere la straordinaria ricchezza e abbondanza di cui gode il nostro paese. Poiché non è la forza del nemico che ci avvince, ma la sua prosperità. Ho immaginato, dunque, primo: bombardamenti aerei di generi alimentari e di prima necessità. Si tratta di lanci dei nostri più pregiati prodotti sulle principali città nemiche. Noi possiamo lanciare paste alimentari, conserve, tessuti, sughero, caramelle, bachi da seta, fazzoletti ricamati, oggetti di precisione. Secondo: lancio di intellettuali. I nostri maggiori pittori e scultori, nonché scrittori e conferenzieri, verranno immediatamente lanciati a mezzo di paracadute sul territorio nemico e potranno così diffondere la nostra arte e la nostra concezione della vita. Noi veniamo così ad avvincere il nemico e a liberarci per tutta la durata della guerra di elementi che, ottimi in tempo di pace, diventano in tempo di guerra dannosi per il loro spiccato individualismo. Terzo...

PRESIDENTE Le sue idee sono preziose, signora. Ma non vorrei che dalla loro attuazione ne uscisse snaturata l'idea stessa della guerra. "Finché sarà ritenuta malvagia la guerra conserverà sempre il suo fascino. Quando sarà ritenuta volgare cesserà d'essere simpatica." Sono parole di uno scrittore che non aveva preconcetti sulla guerra, esclusa la guerra dei sessi. Voglio dire: Oscar Wilde. Scusi, signora.

SIGNORA Prego, ma insisto sulle mie idee. È ora che la guerra acquisti un non so che di magico. Immagini lei come rimarrebbero male i nostri nemici vedendo arrivare tutta quella grazia di Dio.

PRESIDENTE Già.

SIGNORA Ci procureremo le simpatie dei neutrali, convenitene. Tutti vorranno copiarci. Vi assicuro che i popoli neutrali saranno presi dalla vergogna di non usare la guerra come le contadinelle si vergognano di non usare lo spazzolino da denti.

PRESIDENTE Ne sono convinto. (Si alza. Tutti avanzano verso la ribalta. Il Giovane si siede sulla poltrona del Presidente.) Noi abbiamo oggi gettato le basi per la nostra Vittoria. Ancora un piccolo sforzo e potremo dichiararci soddisfatti. Trascorsi i primi tempi, sempre difficili, la guerra andrà avanti da sé e vi terrà occupati pochissimo. Si tratta però di incanalarla bene. Ora dunque vi chiedo: perché combattiamo?

PERITO RELIGIOSO Ma è stato detto che combattiamo per il Signore. Non vedo la necessità di ritornare sull'argomento.

PRESIDENTE Un motivo di più non guasta mai, creda.

GENERALE Io propongo, allora, di combattere per la libertà.

SIGNORA Mi associo alla geniale trovata del nostro amato generale.

MINISTRO Anch'io. Però c'è un guaio. Da indiscrezioni trapelate, posso assicurarvi che anche il nostro nemico intende combattere per la libertà.

GENERALE Che importa? Il nostro nemico combatte per la nostra libertà. Noi invece combatteremo per la libertà del nostro nemico. Quando avremo fatto prigioniero il suo esercito e occupato il suo territorio, il nemico potrà godere delle libertà che noi godiamo da secoli. Mi sembra persino ovvio.

PRESIDENTE Sì, è la soluzione migliore. Restiamo dunque intesi che combattiamo per la libertà. (Tutti tolgono di tasca bicchieri e brindano. Volgendosi, il Presidente vede il Giovane) E voi che fate, se è lecito?

GIOVANE Io? Nulla, aspetto. Sono quel tale della guerra.

PRESIDENTE Ah, voi siete quel tale della guerra. Già, dunque voi non volete andare in guerra senza prima... Bene. Avete ascoltato, per caso, quanto abbiamo detto? Sì? Allora adesso sapete perché vogliamo combattere.

GIOVANE Per la libertà, se non sbaglio.

Entra l'Usciere. Siede in disparte.

PRESIDENTE Suppongo che ne siate lieto. Non è vero?

GIOVANE Lo sapevo, ma volevo sentirmelo ripetere. In confidenza, io amo la libertà.

PRESIDENTE Allora, non c'è altro. La Storia è la storia della lotta per la libertà. Dunque, alla guerra! Ninì!

Entra Ninì, in abito da sera. È una bella ragazza, molto provocante.

NINÌ Sì, signor presidente.

PRESIDENTE Indicate a questo bravo giovane la via del fronte.

NINI Con piacere, signor presidente.

GIOVANE Però la guerra non me l'avete spiegata.

PRESIDENTE E va bene. (Il Giovane torna a sedersi sulla poltrona del Presidente. Una pausa.) Farò un esempio semplicissimo. Dunque, vediamo: hai un fratello?

GIOVANE Sì.

PRESIDENTE Ti dispiacerebbe se uno sconosciuto te lo ammazzasse?

GIOVANE No.

PRESIDENTE I soliti interessi di famiglia. Allora: ti dispiacerebbe se i nemici invadessero il nostro territorio, la tua casa, e violassero tua madre e le tue sorelle?

SIGNORA Suvvia, giovanotto, rispondete. Vi dispiacerebbe?

GIOVANE Signora, i nostri nemici sono notoriamente impotenti.

PRESIDENTE (irritato, alla Signora) Ecco gli inconvenienti della vostra propaganda!

SIGNORA Della mia? Della nostra, volete dire.

PRESIDENTE L'impostazione è vostra. Insomma, giovanotto, la guerra si fa per difendere la Patria. E la Patria siamo noi, principalmente, e poi tu, la tua casa, la tua famiglia, tua moglie.

SIGNORA Non ci siamo.

USCIERE (ad alta voce) Passa il tempo a difendersi da queste cose e non capisce perché dovrebbe difenderle.

PRESIDENTE È un bruto, ma non dispero di cavarne un bravo soldato.

GENERALE (lirico) Capirai la santità della guerra quando, vedendo passare le lacere bandiere che ritornano dal fronte alla testa dei loro reggimenti, ti verrà un groppo alla gola e vorrai gridare, ma i singhiozzi te lo impediranno. Capito, ora?

USCIERE (come sopra) Tempo sprecato. Eccesso di pudore patriottico. Però è simpatico.

MINISTRO Andiamo con ordine. C'è guerra e guerra, giovanotto. Sfatiamo una buona volta gli sciocchi pregiudizi del popolino sulla guerra. Oggi non c'è migliore investimento di capitale.

PERITO RELIGIOSO Non ostinatevi, figliuolo. Certe occasioni non si presentano più di due o tre volte nella vita di un uomo.

GIOVANE È un investimento necessario?

MINISTRO Ma leggete, sì o no, le statistiche della superproduzione?

GIOVANE Io odio combattere. È immorale.

PRESIDENTE Allora è immorale la lotta che fate ogni mattina per prendere il tram. Allo stesso titolo. Il perito non vuole che si dica, ma noi ci battiamo appunto per le vie di comunicazione. Immorale la lotta? Non fatevi sentire. La lotta è l'unica garanzia che Dio ha di perpetuare un'umanità forte e selezionata. Dio e Darwin dissentono sul fine, ma sul mezzo sono d'accordo.

GIOVANE Io mi ostino egualmente a non capire cos'è la guerra.

PRESIDENTE Siamo in presenza di un sentimentale anarchico. Un tipo molto diffuso nel nostro paese, causa la cattiva alimentazione.

GENERALE (calmo) Fuciliamolo.

SIGNORA No, può sempre essere utilizzato nell'amministrazione.

GENERALE È più prudente fucilarlo.

PERITO RELIGIOSO Non prima di aver salvato la sua anima. (Prende un libro, lo apre, comincia a leggere. Tutti spiano l'effetto che la lettura produrrà sul Giovane.) "Meraviglioso spettacolo, visto dalla nostra posizione. La compagnia era disseminata sulla collina. Un vero fuoco d'inferno batteva l'osservatorio, alzando nuvole di terriccio e di fumo. `Non ce la caviamo,' disse il tenente sottovoce; poi, pentito, sorrise: `Passami il cognac.' Gli passai la borraccia. Un sibilo e un urto alla mano. Non mi resi conto lì per lì che cosa fosse successo. `Accidenti, porca pu...' fece il tenente. `La mano!' Mi guardai la mano. Un fiore rosso si allargava sulla palma. Ero quasi allegro." (Il Perito guarda il Giovane che non reagisce.)

Silenzio.

MINISTRO (prende un altro libro) "Fango e pidocchi, pidocchi e fango sino all'orizzonte. Un soldato cantava. Il capitano entrò nella buca, triste e accigliato. `Che fai qui?' 'Dormo. Davanti al sonno siamo tutti uguali, no?' `Già, anche davanti alla..."Lasci stare, la Vecchia non ci fregherà." 'Ne ero convinto,' rispose. Tacque, si passò una mano sulla fronte: poi con un gesto brusco mi tese il portafogli. `Tieni, è meglio che lo conservi tu.' Presi il portafogli senza parlare. Il capitano guardò l'orologio. Mi feci animo: `Lei ha paura,' dissi piano. Mi poggiò la larga mano sul capo: `Dormi', disse, `ti sveglierò a tempo!' Ci sdraiammo vicini. Lui fumava, gli occhi rivolti verso il soffitto della buca. `Quanti pidocchi ci saranno qui?' mi chiese improvvisamente gaio. `Un milione,' risposi."

Il Giovane tace sempre.

PRESIDENTE (prende a sua volta un altro libro) "Era di fronte al fiume. Com'era bello quel posto! Sembrava la passeggiata scolastica al momento di tirare fuori la colazione. Noi stavamo tutti con la cicca in bocca, aspettando. Saltare il muretto, arrivare a quella casa, scacciarne quei porci. Nient'altro. E il ta-ta-ta della mitragliatrice. Vicino a me un soldato, uno dei nuovi, con la testa grossa. Mi guardava con certi occhi. `Pensi alla mamma?' 'Non tengo la mamma,' rispose. Mi guardò a lungo coi suoi occhi umidi di buon montanaro. Ma che mamma e mamma! La casa di fronte e il segnale: non dovevo pensare ad altro. Arrivarci. Un gioco anche questo, ma terribile come un gioco che deve riuscire alla prima volta." (Tutti guardano il Giovane, che tace. Il Presidente si alza, sospira, getta il libro.) Non so proprio che farci.

Delusione di tutti.

GENERALE (ha un'idea) Parliamogli il linguaggio del soldato! Giovanotto, in guerra si mangia gratis, si va a letto con le ragazze – scusi signora. Avrai cognac, sigarette, maglie di lana, cartoline in franchigia, pomata mercuriale, assistenza morale e ogni tanto riceverai un pacco dal peso non superiore ai cinque chili.

SIGNORA Allora, vuoi andarci alla guerra?

Un silenzio gravido di speranza.

GIOVANE (si alza sorridendo) No.

GENERALE (urlando) Fuciliamolo, vi dico, o convincerà anche noi!

PRESIDENTE Un momento ancora! Giovanotto, cerca di capire bene la situazione. Tutti i giovani della tua età ci vanno in guerra, e persino con la macchina fotografica per fissarne i ricordi. Ah, se io avessi vent'anni! Come puoi mancare di delicatezza a tal punto, da rifiutarti al nostro appello?

Pausa.

GIOVANE (pensa) Ora ne fate una questione di delicatezza.

PRESIDENTE Ma certo, ne facciamo una questione di delicatezza.

SIGNORA Sì, piccolino, una questione di delicatezza.

PERITO RELIGIOSO Una questione di delicatezza.

MINISTRO ....stione di delicatezza.

Entra di corsa lo Studente, si ferma davanti al Giovane.

STUDENTE ...di delicatezza! (Esce di corsa.)

Lunga pausa.

GIOVANE Se ne fate una questione di delicatezza, allora ci andrò... (Sospiro generale.) ... ma senza convinzione!

SIGNORA È sempre meglio che niente.

PRESIDENTE (abbracciando il Giovane) La guerra è come la birra. La prima volta non piace. Vedrai che in seguito non potrai farne a meno. Ninì, accompagnalo.

Ninì, che per tutto il tempo ha letto il giornale, si alza, stanca, ancheggiando.

NINÌ Sì, signor presidente. Vado e torno. Su, andiamo bel giovanotto, non aver paura, non ti mangio. (Esce.)

Il Giovane si ferma. Tutti trattengono il respiro. Infine il Giovane si decide ed esce.

PRESIDENTE (sospira) Purtroppo molti giovani dell'ultima generazione mancano di ideali. Finiti quei tempi che in guerra ci andavano persino i poeti.

SIGNORA Ma si può sapere che cosa piace oggi ai poeti? Donne, nix! Guerra, nix!

PERITO RELIGIOSO Signora, voi giudicate leggermente. Io, per esempio, scrivo versi. Il generale anche. Il ministro da giovane ha scritto un poema. Il presidente ne ha scritti tre, ora introvabili. La politica sublima il poeta... Possiamo anzi dire che ogni poeta è un politico mancato.

PRESIDENTE La guerra, questa gran divoratrice, si regge con le idee e con sempre nuove trovate. Ma ora, signori, non vi trattengo o finiremo fatalmente a parlare di letteratura.

Il Generale prende a cavalcioni la Signora.

SIGNORA Ora che ci penso, abbiamo taciuto a quel simpatico giovanotto che in guerra si rischia di morire. Abbiamo fatto male?

GENERALE Bisognerà che qualcosa la impari da sé. In questi casi niente vale come l'esperienza personale.

Escono.

PERITO RELIGIOSO (prende a cavalcioni il Ministro) E non è detto che debba necessariamente morire. Molti si salvano.

MINISTRO Le statistiche dimostrano che il traffico stradale ne uccide quanto le guerre. Abbiamo inoltre ancora quattro milioni di soldati della guerra scorsa.

Escono. Tutti sono usciti meno il Presidente e l'Usciere.

PRESIDENTE La guerra scorsa. Come passa il tempo. Bah!

La luce si attenua. Rullo lontano di tamburi. Fanfara. Il Presidente resta fermo in piedi vicino alla poltrona.

Pausa.

USCIERE (con voce da imbonitore) Signori e signore, il presidente non ha orario d'ufficio come la maggior parte dei mortali. Egli dedica anche le ore del riposo allo studio dei più delicati problemi. Il presidente si concede un solo svago. La lettura di libri... ci siamo capiti. Egli possiede ottime edizioni, con illustrazioni dei migliori pittori. Un verismo impressionante. Mentirei se dicessi che il presidente non è un uomo generoso. Bisogna vederlo come si commuove quando bacia le vedove.

PRESIDENTE Usciere.

USCIERE Comandi, signor presidente.

PRESIDENTE Non trovo più un libretto che avevo messo qui... Ah, eccolo, aiutatemi, grazie.

USCIERE Ora sta leggendo qualcosa di piccante. State a sentire.

PRESIDENTE "La guerra è il taglio cesareo dell'umanità." Bellissima questa donna con la pancia aperta.

USCIERE Va pazzo per le figure.

PRESIDENTE "La guerra è la corroborante cura di ferro dell'umanità." Che petto, questa donna! La guerra sviluppa il seno. Usciere portatemi il come si chiama.

USCIERE Subito, signor presidente. (L'Usciere reca un mappamondo.)

Carillon.

PRESIDENTE Io ho una piccola teoria sulle guerre. Le guerre diventarono più cruente quando la Terra apparì agli uomini non più come una cosa piatta, ma come una cosa tonda. Non si scherza con le cose tonde. Per conto mio, trovo che questo mappamondo non può non eccitare un bravo condottiero. Ma ora ci siamo. Sono convinto che, con l'aiuto di Dio, olieremo l'asse terrestre in modo che non si dovrà più sentire il menomo scricchiolio. E non dubito che, dopo, la Terra potrà girare più svelta e i giorni essere di ventidue o anche di venti ore. Così la nostra non sarà stata una guerra vana. Ma ora leggiamo. C'è forse qualcosa di meglio di un buon libro per ingannare l'attesa?

Il carillon si ferma. Rullo di tamburo.

USCIERE Lasciamolo alle sue letture scolastiche. I giorni intanto trascorrono rapidamente e la guerra si svolge con alterne vicende, previste da entrambi i contendenti. Ma è una guerra che incontra e i critici militari sono d'accordo nel definirla la più importante, soprattutto dal lato tecnico. Però il campionato di calcio non è stato interrotto. Si nota nelle donne una certa tendenza alla liberalità nei rapporti sociali. Esse sanno bene che la festa si fa sempre per loro. Cinque anni sono passati e non ce ne siamo nemmeno accorti. Non abbiamo nemmeno tagliato le pagine ai molti libri acquistati, ma ci ripromettiamo di farlo con calma, a pace fatta. Intanto la posta distribuisce regolarmente i telegrammi di Stato e le tintorie lavorano. Il ministro della superproduzione ha calcolato, del resto, che il nero, attirando i raggi solari, contribuisce al risparmio del combustibile.

PRESIDENTE Ogni epoca è divisibile in anteguerra, guerra e dopoguerra. Bello questo bambino impalato. Sembra vero.

USCIERE La guerra terminerà tra pochi giorni. È durata quindici anni, come previsto.

Rullo di tamburo.

Ninì entra e si pone vicino al Presidente con una corona d'alloro in mano.

PRESIDENTE Usciere, che notizie ci sono?

USCIERE È deceduto in seguito a gravi ferite quel giovane che si rifiutava di andare alla guerra. Ricordate?

PRESIDENTE No. E poi?

USCIERE Siamo agli sgoccioli, ormai.

PRESIDENTE Già, ancora cinque giorni e poi l'armistizio. Non vedo l'ora di andarmene in vacanza. Che si dice della vittoria? Che dice il popolo, che vinceremo?

USCIERE I pareri sono discordi.

PRESIDENTE E voi che ne pensate?

USCIERE (sospira) Io? Nulla.

PRESIDENTE Voi, il mio più fedele collaboratore, giungere a questo punto. Vi ordino di dirmi chi vincerà, secondo voi, la guerra. Avanti!

USCIERE Non posso, signor presidente. Ho anch'io la mia piccola teoria sulla guerra. Le guerre si fanno. Quanto a vincerle o a perderle, sono faccende che non mi riguardano.

PRESIDENTE Non vi riconosco. Ho visto poco fa un'ombra passare sulla vostra fronte e da quel momento andate vaneggiando. Ma pure voglio insistere.

USCIERE Vi prego, non ne fate una questione di delicatezza. Non ci cascherei. Io odio la parola vittoria come voi odiate l'ipotesi della sconfitta.

PRESIDENTE Usciere, vi sbagliate. Io non odio la sconfitta. Nemmeno la temo. Sappiate che il popolo ama le vittorie ma si affeziona soltanto alle sconfitte. In ogni caso basterà una canzone per ristabilire l'equilibrio. Piuttosto, voi odiate la logica. Se una guerra si fa, qualcuno deve vincerla. E a voi non costa nulla, piccolo verme irresponsabile, dire che la vinceremo noi. Tra qualche giorno la Storia si incaricherebbe di mettere le cose a posto.

L'Usciere si alza in piedi, solenne. Tamburo. Pausa.

USCIERE Perché avete nominata la Storia? Se proprio volete saperlo, sono io, la Storia. Che sorpresa, eh?

PRESIDENTE Voi la Storia? Bugiardo, vi ho preso sul fatto. E costei la Storia. Non è vero, Ninì?

NINÌ (atona) Sì, signor presidente.

PRESIDENTE Avete sentito? Io non riconosco che costei.

USCIERE Sono io la Storia. Tanto per intenderci, sono la Storia anche dal punto di vista cartaginese.

PRESIDENTE Non ci intendiamo egualmente. Io non conosco che una Storia. Cara Ninì... Cos'hai in mano?

NINÌ Una corona d'alloro.

PRESIDENTE Per me?

NINÌ Vedremo.

PRESIDENTE Ninì, sei un tesoro. Chi siamo noi, Ninì?

NINÌ (atona) Noi? Un popolo posto felicemente dalla Natura al centro delle vie di comunicazione mondiali. Un popolo sano, fiero, onesto, laborioso, nemico della guerra ma fortissimo, di antica civiltà, eccetera...

PRESIDENTE L'avvenire ci addita una meta. Quale?

NINÌ Il dominio degli altri popoli che sono per ora disonesti, irreligiosi, golosi, nazionalisti, e politici. E deboli.

PRESIDENTE Perché sono deboli?

NINÌ Per vari motivi.

PRESIDENTE Dimmi i principali.

NINÌ Perché coltivano le arti decadenti e la pederastia. E perché sono dediti ai commerci.

PRESIDENTE Abbiamo mai perso una guerra?

NINÌ Mai, signor presidente. Cioè, ne abbiamo perse alcune, ma per colpa del nemico.

PRESIDENTE Un'ultima domanda: chi può portare la durata del giorno a ventidue e forse anche a venti ore?

NINÌ Soltanto il nostro popolo, signor presidente. (Pone la corona d'alloro sul capo del Presidente.)

PRESIDENTE Eccovi servito galantuomo. Grazie, tesoro.

USCIERE (ride) La vostra Ninì è carina, non lo nego. Ma ha le carte in regola? Io le ho, per esempio.

PRESIDENTE Ammesso e non concesso. Vi arrogate comunque una funzione che non sapete espletare.

USCIERE Faccio del mio meglio. Credetemi, non sono ancora riuscito ad ammaestrare me stesso.

PRESIDENTE Oggi nessuno fa più volentieri il suo dovere, né il suo mestiere, questa è la verità. Sospettavo da tempo che la Storia non fosse all'altezza degli avvenimenti, ora ne ho la certezza. Però avevo preso le mie misure: Ninì. Che almeno ha il vantaggio su di voi di avere delle belle gambe. Vi compatisco. E potrei anche chiedervi: dove avete messo la Vittoria? Non esiste più la Vittoria?

USCIERE La Vittoria? Il mio primo amore. So che si fa mantenere da qualcuno. Odia vivere alla giornata come ai tempi in cui nacque, quando si cavava pure i suoi béguins. Oggi le sue ali le servono per dormirci al caldo coi commendatori della superproduzione.

NINÌ Voi insultate una signora!

USCIERE La colpa è vostra che seguitate a battervi come se questa signora avesse ancora le ali.

PRESIDENTE Volete cavarvela con poco. Comodo davvero! Quel che conta oggi sono gli avvenimenti. E le vostre melanconiche considerazioni lasciano il tempo che trovano.

USCIERE Quel che conta è altro per me. Non darei un'unghia del più sporco cuciniere di un reparto per tutti i vostri avvenimenti, che purtroppo ho dovuto seguire.

PRESIDENTE Ogni giorno nuove sorprese. La Storia si fa frate! Intanto, io vi licenzio.

USCIERE Meglio così. Addio. (Si alza e fa per uscire.)

PRESIDENTE Addio, dilettante! Addio, rubastipendio!

USCIERE (ritorna sui suoi passi, rapido, i pugni serrati. Pausa) Perché? Non mi diletto davvero. E che abbia rubato il mio stipendio, è una calunnia volgarissima. Io ho fatto il mio lavoro come voi il vostro. Se per tanto tempo il mio lavoro è dipeso dal vostro – e ne ho perciò la nausea – la colpa non è mia.

PRESIDENTE Un lavoro come un altro. Inutile lamentarsene.

USCIERE Praticamente si riduce a segnare i nomi dei morti. Lo trovate divertente?

PRESIDENTE Non è meno noioso segnare i nomi dei vivi. È la stessa cosa. E poi, anche noi li registriamo i nomi dei morti, e li onoreremo. Fortunatamente, abbiamo più scultori che disfattisti.

USCIERE Il caso mio è diverso. Che lavoro cane! Non era questo che immaginavo quando mi presentai a prendere servizio, fiero della nomina. Sempre nomi! Vi dirò che non posso fare a meno di impararli a memoria. E più forte di me. Non faccio nessuno sforzo, ne ho la testa piena. Potete chiedermi il nome del più stupido soldato morto nella più trascurabile scaramuccia e io ve lo dirò. So il nome di coloro che sono morti il primo giorno della guerra. E il nome di quelli che morirono con la licenza in tasca. Eh, ma non finirei più. So anche il nome del soldato ignoto.

Ninì scoppia a piangere.

PRESIDENTE (si alza in piedi e la consola) Non fare così, tesoro, non dargli retta. Su, da brava.

NINÌ Mandalo via! Ih! ih!

PRESIDENTE (irato) Maledetto usciere. Dovreste vergognarvi. Voi fate del sentimento come gli assassini, che poi piangono al cinematografo. Vi siete ridotto in basso. Calma, Ninì. Dovreste vergognarvi!

USCIERE È l'unica speranza che mi rimane. (Entra il fantasma del Giovane. E ubriaco. Passando vicino al monumento ai Caduti, volta il cartello e appare la scritta: "Tutto esaurito".) Ecco, uno dei tanti nomi che ho dovuto imparare a memoria.

Il Presidente e Ninì si alzano impauriti. Una lunga pausa.

GIOVANE Buona sera. Come va, eccellenza? Ciao, Ninì.

NINÌ (ripigliando animo) Ciao.

PRESIDENTE Buona sera, figliolo. (Pausa.) Sono dolente di quanto vi è accaduto. Proprio dolente. Si ha un bell'essere avvezzi, ma certe cose dispiacciono. Spero di potere esservi utile in qualche modo. Contate pure su di me.

NINÌ Anche su di me.

GIOVANE Non mi serve nulla. Grazie.

PRESIDENTE Lo dite per confondermi maggiormente.

GIOVANE Ma vi pare. Non crediate che sia venuto qui per far chiasso o per la liquidazione degli arretrati. La guerra mi ha insegnato tante cose. Mi ha insegnato, per esempio, a essere un fantasma discreto. Se non vi dispiace, mi metto a sedere qui. Ho tutto il tempo libero. Be', come va la guerra? (Siede.)

PRESIDENTE Bene. Siamo agli ultimi giorni.

GIOVANE Spero che gliele suonerete a quei porci. Seguitate pure i vostri discorsi.

USCIERE Stavamo parlando di morti, speravo che il presidente si rendesse conto che egli è uno dei responsabili. Perché non parlate voi?

GIOVANE Che debbo dirvi? Il presidente è un brav'uomo. Quando vedevo sul giornale la fotografia della sua famiglia riunita, mi venivano le lagrime agli occhi.

USCIERE Spero che vogliate capire, signor presidente, come questa generosità sia più dura di una accusa. Povero giovane. Eri così sfornito di idee generali e odiavi tanto la guerra! Meritavi di nascere in Svizzera o addirittura sulla Luna. La tua fine mi ha addolorato particolarmente. T'ho visto traballare sotto la doppia spinta del cognac e delle pallottole di quella mitragliatrice. Povero ragazzo. Perché ti sei ubriacato?

GIOVANE Be', lasciamo andare. Ma era un cognac veramente cattivo.

PRESIDENTE Mi sorprende. Il cognac della nostra sussistenza è ritenuto ottimo dallo stesso nemico. Tuttavia ordinerò un'inchiesta.

GIOVANE Sapeva di benzina. Poi, quando si beve senza mettere niente nello stomaco sono guai. Ma figuratevi se avevo voglia di mangiare. Eppure di roba ce n'era a strafottere. Ah, voi non potete immaginare com'era bello quel posto. Sembrava la passeggiata scolastica, quando è il momento di tirar fuori la colazione. Noi aspettavamo con la cicca in bocca. Adesso che ci penso: molti se ne vanno con la cicca in bocca. Ma la cosa più importante era questa: sembrava di essere già morti, finalmente, senza responsabilità. Poi l'ordine di uscire, la corsa sino a quel bar. Bisognava arrivare a quel bar e sloggiare quei porci. Non i clienti, quelli erano già andati via da un pezzo. Arrivarci. Un giuoco anche questo: forse sarebbe bastato toccare la porta del bar, toccare la reclame del vermouth e avremmo vinta addirittura la guerra. Almeno io l'avrei vinta. Colpa mia. Il regolamento militare parla chiaro: l'ubriachezza non è un'attenuante. Dunque io sono morto senza attenuanti. Ma non parliamone più o mi metterete nei pasticci. (Si sdraia sulla panchina.)

PRESIDENTE (solenne) Alla luce del sacrificio vi rivelate un eroe modesto e pieno di idee sensate. Che lezione per questa Storia. Darò il vostro nome a una scuola di avviamento tecnico. Non è vero Ninì?

NINÌ Sì, il suo sacrificio va ricompensato.

GIOVANE Una scuola di avviamento tecnico? Eppure sono un sentimentale. Sparando si diventa sentimentali. Anzi, se un giorno troverete il mio caro e amato cadavere, sulla tomba scriveteci: "Fu convinto con le buone." Ah, che sonno.

Entra la fanfara clarinetto e tamburo – che suona un segnale di caserma, il Giovane si addormenta.

NINÌ (siede sulle ginocchia del Presidente e accende una sigaretta) Che bravo ragazzo. Il suo nome finirà sulle copertine dei quaderni, vicino alla Tavola pitagorica. Non è vero, signor presidente?

PRESIDENTE Sì, Ninì, quei quaderni che i ragazzi adoperano per la bella copia. Sono vecchio, ormai, eppure quando ne vedo uno mi commuovo, ancora. Che bell'età, l'infanzia. (Accetta la sigaretta da Ninì e fuma. Poi si volge all'Usciere) Come vedete, noi possiamo sempre fare affidamento sulla nostra gioventù, domani e sempre.

USCIERE Domani e sempre?

PRESIDENTE Prendete esempio voi dagli uomini e smettetela di rifarmi il verso. Smettetela anche coi vostri pettegolezzi. Non sarà la vostra memoria che fermerà la Terra nel suo giro intorno al Sole.

USCIERE Per ora scrivo nomi e li imparo a memoria. Povero giovane, consolati. Molti bambini nascono e non sanno nemmeno che nei magazzini militari del paese amico c'è già pronta la pallottola per loro. Addio.

PRESIDENTE Fermatevi. Avete accennato ai morti che verranno. Ci saranno allora altre guerre?

USCIERE Signor presidente, siete un bell'ipocrita. (Si toglie la parrucca bianca e la livrea, con la quale copre il corpo del Giovane.)

PRESIDENTE Perché? Credete che io mi diverta, a farle? Avete detto prima di non sapere se una guerra si vince o si perde. Vi concedo che la cosa ha poca importanza. Fra qualche giorno avrò delle belle onoranze nazionali oppure sarò costretto a dimettermi. E non escludo che qualcuno vorrà impiccarmi. Nel qual caso io lascerò fare, si tratterà di un proforma. Impiccheranno semmai la Sconfitta, non la Guerra. E io sono abbastanza vecchio per non farne una questione personale. Anche il mio successore conosce il segreto di questa poltrona. Bando agli scherzi, amico mio, vi consiglio di cambiar mestiere. La vostra posizione polemica è addirittura infantile. Come spiegarvi? Dopotutto le guerre, compreso i nomi che voi andate segnando, come un commesso viaggiatore segna le spese che si farà rimborsare – con la stessa burocratica avidità –, e compreso questo bravo giovane, dopotutto le guerre si fanno! Vi meravigliate di quello che succede nel mondo? Ma guardate cosa succede in una goccia d'acqua o quello che succede tra l'erbetta di un praticello, uno di quei praticelli che, ci scommetto, vi riposano lo spirito. La guerra è dappertutto. Quella che noi vediamo è forse la migliore, la più economica, la più decorativa. Voi adesso fate il pacifista in ritardo. Ma anch'io amo la pace!

NINÌ Bravo, gliel'hai cantata!

PRESIDENTE Zitta, Ninì. Sì, amo la pace. Figuratevi, dunque, che cosa può importarmi del vostro pronostico. Ci sputo sopra. Non è questa la guerra che mi interessa, caro il mio dilettante, ma...

USCIERE Ma?...

Il Presidente si alza in piedi, il clarino suona l'"attenti".

PRESIDENTE La prossima.

Il clarino suona il "riposo". Un rullo di tamburo.

 

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