La Donna Nell'armadio

La farsa fu rappresentata il 24 maggio 1957 (con repliche fino al 2 giugno) al Teatro Gobetti di Torino, regia di Enrico Romero, quindi, in novembre, al Teatro Arlecchino di Roma, regia di Luciano Lucignani, interpreti Gianni Agus, nei panni di Antonio, e Gianni Bonagura, in quelli del commissario.

Il testo era apparso il 30 aprile dello stesso anno su "Il Mondo" e fu successivamente ripubblicato, nel 1958, in "Sipario". Dell'episodio, come per tutte le farse qui edite, si conserva anche la versione narrativa rappresentata dall'Inchiesta, un testo lasciato inedito da Flaiano.

Anche per questo atto unico ci sono state conservate delle note di regia che Flaiano inviò a Luciano Lucignani, in una lettera del 16 novembre 1957:

L'inizio e la fine sono lenti. Agus deve dire il suo monologo iniziale più in fretta e con un tono più scherzoso. Tu dici che è una tragedia moderna, io penso che sia una farsa moderna. Accontentami.

Il blocco centrale va benissimo: recitato molto bene, Agus e Bonagura sono ottimi e li ringrazio.

La fine; stringere, mi raccomando.

I tempi sono, a mio avviso, questi:

Saluti tra Agus e Bonagura, molto mimati.

Usciti gli agenti, Agus sorridente e lieto perché tutto si è risolto bene va a prendere subito la sega e apre subito l'armadio. Vediamo la donna. Subito: suono di campanello. Non sono passati cinque secondi dall'uscita delle guardie.

Agus fa un gesto come se gli avessero piantato un palo nella schiena. Poi, senza guardarsi attorno, lasciando l'armadio aperto, va alla porta e apre subito. Dialoghetto con la guardia, così allegro com'è adesso.

Via la guardia, Agus ritorna al centro della scena allegro e pensoso. Sta rimuginando i suoi versi. Guarda la donna nell'armadio, guarda il soffitto, guarda il pubblico e dice i versi sorridendo. Poi si inchina al pubblico e si avvia verso l'armadio. Qui cala la tela, rapidamente.

Ossia: evitare lentezze e languori, esiziali per questo genere di farse. Agus non si infila il grembiule, né accende la sigaretta, perdiamo tempo. Agus deve agire rapidamente, alla fine. Desidero che la Donna nell'armadio venga vista prima del dialogo con la guardia perché questo scarica la tensione. Meglio farla vedere subito, capito? Il pubblico mediterà su questa visione di donna immobile col volto coperto dai capelli. Va bene? E Agus non la tira fuori dall'armadio. Non ne avrà il tempo, perché cala la tela. È molto importante

 

 

Personaggi

 

ANTONIO, giovane poeta

IL DOTTORE

LA CAMERIERA

PRIMO AGENTE

SECONDO AGENTE

LA DONNA, che non parla

 

 

Lo studio di Antonio. Tavoli, quadri, un grande armadio e una pendola che segna le due. Ci sono anche due poltrone, su una delle quali siede Antonio, sfogliando un album di fotografie.

 

ANTONIO Un giorno o l'altro dovrò decidermi a strappare queste fotografie. Coi tempi che corrono è imprudente conservarle. Ammettiamo che io sia implicato in qualche affare o, peggio, che io abbia successo. Perché escluderlo? Ecco i giornali che stampano questa fotografia in cui appaio nudo, a sei mesi d'età, sdraiato col culetto all'aria su una pelle d'orso. O quest'altra: io vestito da bersagliere, a quattro anni. O questa con la cravatta d'artista e lo sguardo sognante. (Pausa.) La verità, caro Antonio, è che la paura ti insidia. È cominciato un periodo nella tua vita in cui hai paura dite stesso. È forse la paura di non conoscerti profondamente? O di ciò che la gente può pensare, immaginare di te, soltanto se guardasse queste prove iconografiche del tuo passato? Ecco, qui sono troppo gaio, autorizzo l'ipotesi di una frivolezza di carattere che potrebbe essermi rimproverata, che io stesso mi rimprovero, se ci penso bene. In quest'altra sono triste, tetro, chiuso, un vero misantropo (o misogino? peggio!), capace di ogni eccesso per difendere la mia solitudine. (Si alza.) Signori, in questa fotografia dobbiamo cercare la verità dell'imputato: egli odiava il prossimo come se stesso. (Siede.) Qui, sottobraccio a... come si chiamava? Eppure l'ho amata. Non ha importanza il nome, forse era un diminutivo. Dicevo, sottobraccio a questa giovane donna sorridente, posso esserne ritenuto il seduttore dal modo calmo e freddo che ho di guardarla. E questa? Ahi! Con un amico, sottobraccio, mentre brindiamo. Eccomi nel più sospetto dei pervertimenti. E questa? Con una barba posticcia! Tanto vale urlare che sono stato io. (La pendola suona le due.) Le due. Ritorna puntualmente ogni dodici ore. Bene, soltanto gli orologi fermi hanno un'idea esatta del Tempo. E lo dimostrerò. Abbiasi un orologio fermo, per esempio alle ore due, e si consideri un qualsiasi parallelo, diciamo l'equatoriale. Ora tutti i punti si troveranno, incessantemente, uno alla volta, alle ore due: il che dimostra che quest'ora esiste continuamente e che l'orologio fermo ha ragione da vendere a non muoversi. Per questo noi diciamo che il Tempo è galantuomo. O che il Tempo è denaro. O che il Tempo è variabile. Ma qui entriamo nella meteorologia. (La pendola ripete le due e ha uno scatto da ferrovecchio.) Brava, non muoverti, ripeti, insisti. (Pausa.) Tornando alle fotografie, sarà bene strapparle, o bruciarle. Beninteso, assieme alle lettere, a tutta la cianfrusaglia che ingombra i cassetti. Non dovrebbero trovare niente. Certo è che viviamo allo scoperto, i biografi stanno appestando l'umanità. È persino imprudente morire. Basta, adesso lavoriamo. (Si alza.) Il bollettino di spedizione? Ah, eccolo. È la parte più noiosa. Mittente, destinatario, peso, qualità della merce, bollo dell'ufficio, data del giorno in cui viene fatta la spedizione e il tutto tradotto in francese: poids, qualité de la marchandise, nom de l'expéditeur... Sacré nom de l'expéditeur! Ah, sono incorreggibile. Tutti i miei pensieri, gira e rigira, tornano a Dio. Ho un bell'agire bassamente, i miei pensieri volano in alto. (Suono di campanello. Antonio resta immobile, folgorato. Un altro suono di cam-panello.) Hanno suonato. Un telegramma? Un tale che ha sbagliato porta? Un venditore di tappeti? Un amico d'infanzia, che ha avuto l'indirizzo da un altro amico d'infanzia? Al giorno d'oggi tutto è possibile. (Va alla porta, guarda attraverso l'occhio di bue, indietreggia, sconvolto.) Sono tre. Dio mio, tre amici d'infanzia? E se fossero "loro"? Nascondiamo questo bollettino. Io non apro. (Suono di campanello insistente.) No, impossibile. Impazzirei. Stai calmo, Antonio, e sorridi. Non assumere subito l'aria del colpevole, ma sorridi e ricorda che negando tutto si insinua il dubbio. (Antonio apre la porta. Entrano il Dottore e due Agenti. Mentre il Dottore va al centro della stanza, i due Agenti si dispongono uno accanto alla finestra, l'altro accanto alla porta, in pose indolenti.) Desiderate? (A parte) Debbo mantenermi calmo e sorridere. (Al Dottore) Desidera? Un telegramma?

DOTTORE Lei aspetta un telegramma?

ANTONIO (sorridendo) Oh, no, ma i telegrammi arrivano quando uno meno se l'aspetta. Dicevo così. Forse loro devono fare qualche verifica, non so, il gas, il telefono. Io non ho telefono.

DOTTORE Qualche verifica... Bah. In un certo senso. La ricerca si sta facendo lunga e difficile e ognuno deve assumersi la sua parte di responsabilità.

ANTONIO Ah, capisco. Ma non vedo come io...

DOTTORE Lei non vede perché non possiede tutti gli elementi.

ANTONIO Quali elementi?

DOTTORE Elementi. Perciò, se lei consente, io le farò una domanda semplice, cordiale, non insidiosa e lei avrà la bontà di rispondermi. Può anche rifiutarsi di rispondere. Ma perché dovrebbe rifiutarsi? Le conviene? Ci guadagna qualcosa? In sostanza, la domanda è questa. (Cava di tasca un foglio.) Come ha occupato lei il pomeriggio del giorno 13 scorso, sabato?

ANTONIO (a parte) Quest'uomo non sa niente. Mi mostrerò leggermente sorpreso e indignato. (Al Dottore) Sabato scorso, 13? Be', bah, boh... io sono veramente sorpreso. Con chi ho l'onore?

DOTTORE Guardi questa tessera.

ANTONIO (guarda la tessera) Vuol darmi, prego, l'ombrello? (Prende l'ombrello del Dottore e lo mette nel portaombrelli accanto alla porta.)

DOTTORE Prima risponde e meglio è. Non ho soltanto lei da interrogare. Ma, ripeto, può anche rifiutarsi di rispondere.

ANTONIO No, no, no... Vediamo, vediamo. (A parte) Sono stato a letto sino all'una, ma chi lo crederebbe? E poi, passerei per un ozioso. (Al Dottore) Sabato 13. Ora ricordo. Mi sono alzato alle otto, come ogni giorno, di eccellente umore. Infatti, mi piace svegliarmi.

DOTTORE M'interessa soltanto il pomeriggio.

ANTONIO Anche il pomeriggio mi sono alzato di eccellente umore. Lei non riposa il pomeriggio?

DOTTORE Le domande le faccio io... (A parte)... pupa! (Ad Antonio) Che cosa ha fatto dalle due alle tre? Ricorderà, immagino. Ci sono ricordi che non si cancellano.

ANTONIO (pensa) Dovrei ricordarlo. (A parte) È meglio non fornire subito l'alibi perfetto. Prudenza. (Al Dottore) Sono passati appena otto giorni. Vediamo, vediamo.

DOTTORE Dalle due alle tre. Era... era in casa?

ANTONIO Ma certo! Ero in casa.

DOTTORE Così non va. È infantile. Io debbo supporre che lei non era in casa, e averne le prove? Ma come? Ebbene, cominciando con ordine. (Un Agente cava di tasca un taccuino dove annoterà le risposte di Antonio. L'altro fornisce la matita.) E cominceremo! Tornò a casa per la colazione, sì o no?

ANTONIO Non mi sono neanche mosso, ma è meglio non complicare. (Al Dottore) Sì, tornai a casa per la colazione.

DOTTORE (guardando un quadro) Ne è certo o pensa che ha fatto colazione solo perché abitualmente la fa tutti i giorni?

ANTONIO Sì, faccio colazione tutti i giorni, eccetto casi rarissimi.

DOTTORE (dolcemente) Quali casi?

ANTONIO Non so, inappetenza, affari che mi trattengono in città.

DOTTORE (indicando un quadro bianco) Questo è un falso. Peccato, perché è abbastanza riuscito. È caduto sulla preparazione. Troppo gesso. In questura ne abbiamo una dozzina, così. Lei come ha avuto questo?

ANTONIO Me l'ha regalato l'autore.

DOTTORE Allora, è un falso d'autore. Lei è amico di artisti, di intellettuali.

ANTONIO (gesto di vaga modestia) Bah, così.

DOTTORE Quindi lei non esclude che sabato 13 abbia rinunziato alla colazione. Per colazione non intendo il caffelatte, ma il pranzo. Attenzione.

Gli Agenti ridono.

ANTONIO Tutto sommato, posso escluderlo. Qualche volta mi è successo di non fare colazione, di non pranzare, ma sono convinto che sabato 13 sì.

DOTTORE La sua convinzione può essere provata? Ha qualche testimonio? Resti di cibo? Per esempio, vediamo il libro dei conti. Non ha un libro dei conti?

ANTONIO Ho un libro dei conti, ma perché mettere in piazza queste miserie?

DOTTORE Ne farò un uso riservato. E poi la verità è fatta anche di queste miserie, che discorsi!

Antonio prende un libro e lo consegna al Dottore, che lo passa all'Agente senza taccuino. L'Agente sfoglia il libro e legge.

PRIMO AGENTE (leggendo) Sabato, 13. San Firmino. "Quando ho fatto del bene e si viene a sapere io mi ritengo punito invece che ricompensato": Chamfort.

DOTTORE Salta gli aforismi.

PRIMO AGENTE (leggendo) Pane, cipolla, frutta, filetto, uova, formaggio, segatura. Ci sono le cifre a fianco. Debbo leggerle?

ANTONIO (si torce le mani) Ma così si distrugge un uomo!

DOTTORE (prende il libro, lo guarda) È lei che fa la spesa?

ANTONIO No, la mia cameriera, una donna a ore, naturalmente. Persona anziana, di cui mi fido ciecamente.

DOTTORE E dov'è la sua cameriera?

ANTONIO Lascia questa casa verso l'una e mezzo. Rientrando, io trovo la tavola imbandita, il caffè sul fornello, ma non acceso, spento, e tutto in ordine. È triste, lo so, ma è la soluzione ideale per uno scapolo.

DOTTORE E così può impiegare meglio il suo tempo, vero?

ANTONIO Non capisco.

DOTTORE (ai due Agenti) Non capisce. (I due Agenti ridono.) Lei ama la solitudine?

ANTONIO Amarla? L'uomo saggio non è mai solo, ma l'uomo solo non è sempre saggio.

DOTTORE Sono lieto di sentirglielo dire. (Ride.) Così, insiste nell'affermare che fece colazione qui?

ANTONIO Ne sono convinto. Sabato, sabato... sì.

DOTTORE La sua convinzione può essere altrimenti provata?

ANTONIO E come? Vivo solo. Sono passati otto lunghissimi giorni. Non ho telefono. Del resto, è abbastanza provata, dal libro.

DOTTORE Apparentemente. Un libro si fa presto a riempirlo, dopo. (Pausa.) Quindi, è possibile che lei dapprima abbia deciso di pranzare in casa e impartito ordini alla cameriera in questo senso, che ha eseguito le sue disposizioni, fornendole "ciecamente" – vecchia com'è e piena di fiducia nel suo datore di lavoro – un... un... Non indovina? Un alibi. Eh già. Un alibi. (Duro) Ma che poi lei abbia deciso di rinunziare al pranzo, per motivi poco chiari, evitando di rientrare.

ANTONIO Perché avrei dovuto rinunziarvi?

DOTTORE L'ho detto. Per motivi poco chiari. Oppure, se vogliamo: per inappetenza, per affari che l'hanno trattenuta in città. Lo ha ammesso lei, io non ho aggiunto una parola.

ANTONIO Io dicevo in linea generale.

DOTTORE Secondo quel che lei afferma, e che ribadisce la precedente ammissione, già gravissima, l'inappetenza e gli affari che la trattengono in città rientrano in una linea generale della sua condotta?

ANTONIO Non ho detto questo. Ho detto che talvolta, raramente e comunque mai di sabato, ho inappetenza e che un affare può trattenermi in città. Ma sabato 13 tornai a casa. Il filetto! Ecco. Mangiai il filetto!

DOTTORE Questo punto non può essere chiarito. Noto però che lei si va gravemente contraddicendo, perché prima aveva aggiunto: "E comunque mai di sabato."
Che cosa significa? Sabato è un giorno come un altro, o lei per motivi religiosi lo considera festivo, sacro? No, vero? E allora? Non le converrebbe ammettere, confessare?

ANTONIO Che cosa dovrei confessare? Che non ho mangiato il filetto? Mai e poi mai.

DOTTORE Suvvia, non faccia lo sciocchino.

ANTONIO Io non faccio lo sciocchino!

DOTTORE (sorridendo) Lei non si controlla più. Sbraita, nega, mi offende. Meglio. (Pausa. Rivolto al pubblico) Prima saltano il pranzo e poi se la prendono con me.

ANTONIO (imbronciato) Io non ho saltato il pranzo.

DOTTORE Ma certo, lo sto forse negando? (Si avvicina all'armadio, lo osserva.) Bello, quest'armadio.

ANTONIO È un armadio di famiglia.

DOTTORE Tutti i vecchi armadi sono di famiglia. È un modo come un altro per insinuare che si è avuta una famiglia, più o meno benestante, o anche ricca, a seconda del valore dell'armadio. (Tocca l'armadio.) Non è certo un pezzo da catalogo, ma abbastanza curioso, direi.

ANTONIO Lei s'interessa d'antiquariato?

DOTTORE Non creda di distrarmi.

ANTONIO Io non voglio distrarla affatto.

DOTTORE No, lei tenta di distrarmi. La smetta di tirarmi per le falde della giacca. È l'armadio che m'interessa. (Vi picchia con le nocche, poi di colpo duro) Dov'è la sua vecchia cameriera?

ANTONIO È tornata a casa sua. (Si sente un rumore di chiave che gira nella toppa della porta. Tutti si voltano. La porta si apre ed entra la Cameriera, una vecchia in cappellino, trascinando un sacco a metà pieno. Antonio raggiante) No, eccola!

CAMERIERA Sono tornata perché passando ho visto che il carbonaio era aperto e allora ho detto: "Meglio, così ritiro la segatura e non ci penso più." Lei ha visite, signorino, me ne vado subito.

DOTTORE No, aspetti. Lei è la cameriera?

CAMERIERA Sì. (Vede un mozzicone di sigaretta, lo raccoglie.) In questa stanza ci sono tre portacenere, mica uno, e non ci sono per bellezza.

DOTTORE Scusi, signora.

CAMERIERA Chi si scusa o l'ha fatta o la sta per fare.

DOTTORE Vorrei farle una domanda. Sabato scorso, 13, il signor Antonio ha fatto colazione qui in casa?

CAMERIERA Certo che l'ha fatta. I piatti li ho lavati io, dopo, lunedì, mica li ha lavati lei, o lui, o lui.

ANTONIO (contento) Bene, dopotutto lei è pagata per questo.

CAMERIERA Non c'è bisogno di rinfacciarmelo.

ANTONIO Non le rinfaccio niente, volevo sottolineare che lei ha lavato i piatti. Ho usato una frase infelice, d'accordo. Ma che cosa prova? Prova che se lei ha lavato i piatti, io li ho sporcati.

DOTTORE Non deviamo la discussione. E soprattutto non portiamola su un terreno così realistico. È possibile che ogni idea di dignità, di bellezza, di... di poesia sia morta in questo paese? Tutto sta diventando volgare, utilitario, inerente, probatorio. E infinitamente basso. Aria, aria, respiriamo. (C'è un lungo silenzio. Il Dottore che passeggia su e giù, urta contro il sacco della segatura e gli dà un calcio. La Cameriera fa grandi cenni ad Antonio.) Perché fa quei gesti?

ANTONIO Oh, niente, vuol dire che deve andarsene. (Alla Cameriera) Vada, vada pure.

CAMERIERA Volevo anche dire che la segatura io non l'ho pagata.

ANTONIO (ridacchia) Non importa, carissima, non importa, passo io dopo dal carbonaio. Non si disturbi.

CAMERIERA Ecco tutto. Buonasera. (Esce.)

Un silenzio. Il Dottore passeggia, pensieroso, si ferma, guarda il sacco.

DOTTORE Perché tanta segatura?

ANTONIO (a parte) Si può essere più sfortunati. Proprio adesso doveva venire quella stupida con la segatura! (Al Dottore) Immagino, immagino... che serva per le pulizie... per le grandi pulizie.

DOTTORE (a parte) Non è sciocco, il signorino, ha una risposta per tutte le mie domande. Cercherò di distrarlo. (Ad Antonio) Quali sono gli affari che generalmente la trattengono in città?

ANTONIO Non dovrei dirlo, ma lei mi costringe. Io sono un poeta e ho sempre affari.

DOTTORE (ammirato) Lei è poeta? Cosicché scrive versi. Vorrei leggerne qualcuno. Posso frugare tra le sue carte? (Va al tavolo da lavoro e prende un quaderno, prima che Antonio possa impedirglielo.)

ANTONIO Oh, ma sono ancora allo stato grezzo, appunti.

DOTTORE Crede che non possa capire, apprezzare? La prego, sia buono.

ANTONIO Se mi prega, io non so che dirle.

DOTTORE (leggendo)

"Quando la luna varca la città

Da levante a ponente

Io la guardo e mi piace

La sua pallida puntualità."

"Pallida puntualità." E un'immagine graziosa. Bene.

ANTONIO Sì, non è male. Legga questa.

DOTTORE Mi lasci, faccio io. Giù le mani. (Legge)

"Quante cose guardiamo in realtà,

Che non valgono il tempo d'esser viste.

Questo si chiama: l'infelicità."

Come è vero. Si perde un sacco di tempo a guardare, guardare. Poi mi piace perché è breve.

ANTONIO (levandogli il quaderno) Ma ce ne sono di migliori. Per esempio questa:

"L'orto dei frati era l'orto del lupo mannaro

Dietro la siepe trovarono disteso il morto.

La luna si specchiava nel pozzo dell'orto.

Il freddo era quello dei bambini.

E la campagna, quella che io ricordo".

DOTTORE Ah, ma lei è un poeta. Dia a me! (Afferra il quaderno e legge)

"Una parola, un'altra parola,

Un'altra parola.

Come il pensiero vola avanti

E come uccide la parola al passaggio!"

Se non traviso il suo pensiero, lei vuol dire che noi parliamo, parliamo, ma il pensiero ci precede e ci aspetta.

ANTONIO O, forse, che il pensiero precede la parola e l'aspetta in un'imboscata.

DOTTORE Sì, è ciò che intendevo dire. Del resto, è vero. (Riprende a leggere)

"Il poeta dice no alla verità.

Egli ne ha un'altra più rara – ma solo metà."

Ah, qui ci siamo veramente. Bravo. Bravo.

ANTONIO (lusingato) Ne ho tante. Legga questa.

DOTTORE (cambiando tono) Che cosa fece dopo pranzo, sabato 13, sempre ammettendo che lei abbia pranzato.

ANTONIO (sorpreso) Leggiamo prima le poesie.

DOTTORE Prima risponda, poi leggeremo. Che cosa fece?

ANTONIO Va bene. Feci ciò che faccio di solito. Bevo il caffè, fumo qualche sigaretta, leggo il giornale.

DOTTORE Contemporaneamente? Cosicché lei in dieci minuti, fornito com'è di una non comune intelligenza, può aver compiuto le tre distinte operazioni?

ANTONIO Dieci o venti minuti.

DOTTORE Signore! In venti minuti, una tazza di caffè si fredda inesorabilmente.

ANTONIO Ma resta il giornale, caldo, cioè no...

DOTTORE Lei si sta impappinando.

ANTONIO Io? Affatto. In cinque minuti bevo il caffè, soffiandoci sopra, nei quindici minuti che seguono fumo e leggo il giornale.

DOTTORE Lei si sta contraddicendo. Prima ha ammesso che eseguiva queste tre distinte operazioni contemporaneamente, ora ritratta e offre un'altra versione. Cioè, prima beve il caffè, poi fuma e legge il giornale. Dove arriveremo? Glielo domando.

ANTONIO Ripeto. Prima il caffè, poi la o le sigarette e, contemporaneamente, il giornale.

DOTTORE Bene, a questo punto io debbo chiederle come compie le suddette operazioni. In piedi?

ANTONIO No, di solito in quella poltrona.

DOTTORE Non le succede mai di mettersi in quest'altra poltrona?

ANTONIO Mi succede, ma non do mai importanza alla scelta di questa o di quella poltrona.

DOTTORE Perché non dà importanza alla scelta? Perché lei, che è persona di cultura, e che certamente regola le sue azioni, le determina, non dà importanza a questa scelta?

ANTONIO Mi sembra che non ne abbia. È appunto perché i miei interessi sono determinati che io, per le sciocchezze, mi affido all'umore. Una poltrona vale l'altra.

AGENTE ANZIANO (ridacchia) Primo errore.

ANTONIO Non capisco.

DOTTORE No? Strano. "Una poltrona vale l'altra." E così l'abbiamo colta in contraddizione. Se una poltrona vale l'altra, come mai lei, di solito, siede in questa poltrona e solo raramente in quest'altra?

Gli Agenti ridono.

ANTONIO Debbo veramente rispondere?

DOTTORE (ridendo) La scongiuro. Ah, è troppo divertente. Una poltrona vale l'altra. E la pri... è la prima volt... volta che sen... No, è troppo bella.

ANTONIO E se io mi rifiutassi di rispondere?

DOTTORE (serio) Ma lei non è tanto sciocco da rifiutarsi. Lei sa bene che deve rispondere.

ANTONIO (dopo una pausa) Ripensandoci, perché questa poltrona mi piace di più. Io sposto la questione sul piano del gusto.

DOTTORE Perché le piace di più?

ANTONIO È più larga, e più comoda.

DOTTORE (guarda il soffitto) Le piacciono dunque le donne un po' grasse? Non ha torto.

ANTONIO Non ho detto questo. Non ho nemmeno parlato di donne. Ho detto che mi piace di più questa poltrona perché è più larga e più comoda.

DOTTORE Ma certo, non si ecciti.

ANTONIO Io non mi eccito.

DOTTORE Chi ha la coscienza tranquilla non si eccita.

ANTONIO E infatti io non mi eccito.

DOTTORE La comprendo. Lei ha i nervi scossi e si eccita. (Pausa.) Lei pensa che io voglia farle del male? Sbaglia. Giustamente lei dice che il poeta rifiuta la verità corrente, perché egli ne possiede un'altra, più rara. Ma purtroppo ne possiede solo metà e tutta la sua vita è quindi un'affannosa ricerca dell'altra metà. Non invidio il poeta. Io mi accontento della verità corrente, ironia vuole che sia pagato appunto per appurare questa verità. E compiango chi deve cercare la metà di una verità più rara. Dove la cercherà? Me lo domando. Io non sarei capace. Per me due e due fanno cinque. Dunque, mi aiuti. La sua regola di giudizio vale anche per altri oggetti?

ANTONIO (pensa) Ma sì. Dirò tutto. Per il letto, anche.

DOTTORE Le sono grato. Spieghi perché.

ANTONIO Credo che sia nella mia natura un po' pigra di preferire letti ampi e morbidi. Ma non è una colpa.

DOTTORE La colpa è un insieme di piccoli indizi. Continuiamo. Dopo essere stato nella poltrona larga, morbida e bionda, che cosa ha fatto sabato 13?

ANTONIO Le faccio osservare che la poltrona non è bionda.

DOTTORE Perché mi fa osservare che la poltrona non è bionda? Io non le ho chiesto se la poltrona è bionda o è bruna. È lei che lo insinua. (Una lunga pausa.) E così, richiamandosi a un particolare tanto allusivo, anzi determinante, lei mi autorizza a pensare che la poltrona sia effettivamente bionda.

Si sente un rumore di chiave che gira nella toppa. Tutti si voltano. La porta si apre e sulla soglia appare la Cameriera trascinando una cassa da imballaggio.

CAMERIERA Oh, buona sera. Sono tornata perché passando ho visto che il falegname era aperto e allora ho detto: "Meglio, così ritiro la cassa." Naturalmente non l'ho pagata. Paga lei dopo, vero?

Antonio aiuta la Cameriera a trasportare la cassa da imballaggio.

ANTONIO Sì, certo, grazie! (A parte) Proprio adesso doveva portarmi la cassa, questa stupida! (Alla Cameriera) Sarei passato io, inutile incomodarsi.

CAMERIERA Lei ha sempre la testa per aria. Se non ci fossi io... (La Cameriera guarda il Dottore e invece di uscire per la porta che dà sulle scale esce per la porta dei servizi.)

Il Dottore guarda la cassa, pensieroso.

ANTONIO (resta immobile) Che cosa mi stava dicendo della poltrona bionda?

Il Dottore tace. Rientra la Cameriera portando una sega a manico che consegna ad Antonio.

CAMERIERA Ecco, e non la lasci sempre in giro e poi dà la colpa a me.

Antonio allibito prende la sega, balbetta un grazie e mette la sega nella cassa.

DOTTORE Signora, ha finito?

CAMERIERA Sì, ho finito. Sa come dicono al mio paese? Chi s'impiccia, gli si arriccia. Buonasera. (Esce.)

Antonio sposta la cassa verso l'armadio, quasi per levarla alla vista del Dottore.

DOTTORE (irritato) E lasci stare la cassa. Prima la vecchia, adesso ci si mette anche lei. Stia buono. Mi fa perdere il filo. Venga qui. (Una lunga pausa.) Vuol sedersi nella poltrona? Segga comodo, si abbandoni, non abbia paura; grazie. E ora mi dica, perché è diventato rosso?

ANTONIO Lei mi sta fissando, mi sento a disagio.

DOTTORE Di bene in meglio. Lei si sente a disagio in una poltrona larga e morbida e che preferisce alle altre per motivi non ancora chiariti ma tuttavia intuibili. (Vede l'album di fotografie e comincia a sfogliarlo. Antonio fa un gesto. Vorrebbe impedirgli di sfogliare l'album.) Che cosa vuole? Perché ha fatto quel gesto?

ANTONIO (ansioso) Io? Oh, niente. Parliamo, che cosa mi stava dicendo? Mi faccia altre domande.

DOTTORE Sono sue queste fotografie?

ANTONIO Sì, fatte male, da dilettanti, non mi somigliano affatto.

Una lunga pausa.

DOTTORE (guarda le fotografie e Antonio alternativamente) No, le somigliano. Però il suo viso in fotografia appare sempre scialbo e inespressivo.

ANTONIO (raggiante) Ma io sono scialbo e inespressivo! Lo sono realmente.

DOTTORE (chiude l'album) No, lei è cattivo e bugiardo. (Di colpo punta un dito sul naso di Antonio e grida) A che ora si levò da questa poltrona per uscire di casa?

ANTONIO Non so. Forse alle due e tre quarti, alle tre.

DOTTORE (incalzante) Non crede invece che fossero le due, le due un quarto?

ANTONIO Di solito non controllo l'ora quando mi alzo dalla poltrona, ma se la controllassi sarebbero le due e tre quarti, le tre.

DOTTORE Di solito! Comodo invocare un'abitudine. Ma quel giorno?

ANTONIO Nemmeno quel giorno.

DOTTORE (medita, poi riprende dolcemente) Ha pranzato, oggi? (A parte) Ora lo farò cadere, il signorino.

ANTONIO Sì.

DOTTORE Dopodiché, lei si è seduto in questa poltrona come ogni giorno, ha bevuto il caffè, fumato la sua sigaretta, letto il giornale?

ANTONIO Lo ammetto. Stavo appunto facendolo quando voi siete arrivati.

DOTTORE E adesso lei si leverebbe, se noi non la trattenessimo. Sono trascorsi più di venti minuti. Non avrebbe infatti nessun motivo di restare nella sua poltrona dopo aver compiuto ad abundantiam le operazioni integrative della sua colazione.

ANTONIO Si, mi preparerei a uscire. Sono quasi le due e tre quarti.

DOTTORE Le due e tre quarti? Sciagurato, guarda! (Indica l'orologio, fermo alle due.)

ANTONIO Le due! Non è possibile.

DOTTORE Tu neghi l'evidenza? Neghi la prova di un oggetto meccanico che non ha interesse a mentire per noi, e nemmeno per te? Neghi? Tu sabato 13 sei uscito alle due. Ecco quel che volevo sapere. E l'ho saputo.

ANTONIO Questo è troppo. Tutto congiura contro di me. Un momento, ascoltiamo. (Urla) Ma è fermo!

Tutti ascoltano, l'orologio è fermo.

AGENTE ANZIANO Sì, è fermo, purtroppo. Sono le due e mezzo.

ANTONIO (ridendo convulsamente) È fermo... è fermo! (A parte) Questa è una prova di più che il mio sofisma è giusto.

DOTTORE Non canti vittoria. L'orologio è fermo, ma questo non cambia nulla. Oggi non è sabato 13. Lei ha detto che non ha controllato l'ora quando si levò da questa poltrona, sabato 13, è vero. Lo conferma?

ANTONIO Lo confermo.

DOTTORE Però ricorda di non averlo fatto! Questo è il punto. Se ricorda di non averlo fatto, lei deve avere un motivo preciso per ricordarlo. Quale? Il motivo è che lei guardò l'ora, ma distrattamente, e questo particolare le permette adesso di affermare che non guardò l'ora, soltanto perché non la ricorda. Dunque, ammette che erano le due e un quarto al massimo quando si levò per uscire?

ANTONIO No. Non ammetto nulla.

DOTTORE Non vuole o non può?

ANTONIO Non voglio, perché direi una menzogna, anche se di un minuto. Non posso, perché non ricordo se erano le due e mezzo o le due e ventinove. Accetto la sua verità, ma sino in fondo. Sino a spaccare il minuto.

DOTTORE Cosicché, se fossero state, mettiamo, le due e trentuno, ricorderebbe?

ANTONIO Non posso giurarlo.

DOTTORE Le due e trentadue?

ANTONIO (lirico) Non giuro sul tempo trascorso.

DOTTORE La sua reticenza è deplorevole. Le sto offrendo una possibilità di incontro e lei la rifiuta. (Passeggia e si ferma davanti a un quadro. Lo guarda.) Ben disegnato. Il disegno è definizione. Voglio dire che il disegno è anche l'unica autobiografia dell'artista, la sola che valga. Ci si riconosce, come nelle linee di una mano le sue aspirazioni, il suo destino. Un po' come le impronte digitali.

ANTONIO Sono d'accordo. Il disegno è il rilevamento  trigonometrico degli spazi bianchi.

DOTTORE Eccellente definizione. (All'Agente giovane) Annotala. Me la copierò.

ANTONIO Come prova della mia colpa?

DOTTORE No, della sua intelligenza. Che, in fondo, è la stessa cosa. (Guarda un altro quadro.) I mediocri pittori d'un tempo provavano sempre una delusione quando trasportavano i loro disegni sulla tela, e non se ne davano una spiegazione... Non si accorgevano che quel trasporre era un camuffare in bello la propria vita. Così, pittori che dai quadri giudicheremmo pedanti, come questo signore, mostrano un volto nuovo, spesso amabile, nelle loro cartelle di studio, quando raccontano senza sentirsi ascoltati.

ANTONIO Lei dipinge?

DOTTORE Nelle ore libere.

ANTONIO Interessante. Immagino che sarà una pittura interrogativa, senza risposte.

DOTTORE Non sempre. La vera arte consiste nel porsi domande facili.

ANTONIO Com'è vero! Sarei molto lieto di possedere un suo quadro o un suo disegno.

DOTTORE E come? Vorrebbe per caso acquistarlo?

Un silenzio.

ANTONIO (guarda i tre, pensoso, poi) Ah, no!

DOTTORE Bravo! Risposta esatta. Così lei non vuole, non desidera corrompermi?

ANTONIO Ah, no.

DOTTORE (a parte) Abile, abile il signorino. (Ad Antonio) Potrei regalarglielo, se lei è buono con me. Ne sarei onoratissimo.

ANTONIO Anch'io. Onoratissimo.

DOTTORE La pittura, la pittura... bah! (Pensa, poi cambiando improvvisamente tono) E dopo essersi levato da quella poltrona alle due e un quarto, che cosa fece?

ANTONIO (desolato) Siamo daccapo. Bene, quel che faccio tutti i giorni. Uscii di casa.

DOTTORE (si getta su Antonio e lo afferra per il colletto) Ci sei cascato, imbecille! Tu dunque ammetti di essere uscito alle due e un quarto!

ANTONIO (dibattendosi) Non lo ammetto! No, dottore, soffoco, mi lasci! Soff... Voglio parlare! (Il Dottore lascia un po' la sua presa. Antonio, ansante, parla) Uscii di casa, sì, lo rammento, ma non alle due e un quarto. Ricord... Ricordo bene che prima dovetti togliere un cadavere dall'armadio, segarlo, metterlo nella cassa, riempire il bollettino di spedizione! Ha mai riempito un bollettino di spedizione? Se ci vuole un quarto d'ora solo per riempirlo! Come potevo umanamente uscire di casa alle due e un quarto? Come potevo?

Lungo silenzio. Il Dottore lascia la presa e guarda i due Agenti. Antonio guarda tutti, ansante.

PRIMO AGENTE Certo è che sono bollettini antiquati.

ANTONIO (lamentoso) E in triplice copia! Si parla sempre di snellire, snellire ma provate a spedire una cassa!

SECONDO AGENTE Non me ne parli. Io ho traslocato un mese fa.

ANTONIO E nome del mittente, e nome del destinatario, e qualità della merce, e peso, e velocità, e data del giorno di spedizione... Non si finisce mai, non si finisce mai!

Un silenzio. Il Dottore medita. Poi si volge, ancora severo, ad Antonio.

DOTTORE Ha almeno la ricevuta del bollettino?

ANTONIO Come no, dottore! Sono ordinatissimo. (Dà un foglietto al Dottore.) Naturalmente il nome del mittente è falso, ciò è dettato dalla più elementare prudenza, ma il resto è vero.

DOTTORE (esamina attento la ricevuta e poi la riconsegna ad Antonio) Va bene. Vogliamo allora dire che lei non può essere uscito prima delle due e tre quarti, le tre?

ANTONIO Le tre, dottore. Facciamo le tre.

DOTTORE Sono lieto che tutto si chiarisca. Ci scusi del disturbo, ma che vuole? È il nostro dovere e qualcuno, dopotutto, deve farlo.

Saluti e convenevoli. Escono il Dottore e i due Agenti. Rimasto solo, Antonio si alza, si toglie la giacca, mettendosi un grembiule. Prende il sacco, lo trascina accanto alla cassa e da questa toglie la sega. Quindi va all'armadio e lo apre. Nell'armadio, in piedi, ben sistemato, c'è il cadavere di una giovane donna. Suono di campanello. Antonio resta immobile, esita, poi senza chiudere l'armadio va alla porta e l'apre. Sulla soglia c'è il Secondo Agente.

SECONDO AGENTE Il dottore ha lasciato l'ombrello.

ANTONIO (premuroso, dandogli la sega) Che distratto, il dottore. L'ombrello!

SECONDO AGENTE Non la sega, signore. L'ombrello.

ANTONIO (dandogli l'ombrello) Che distratto, mi scusi, la sega!

(Il Secondo Agente va via. Antonio chiude la porta. Prende il bollettino di spedizione che aveva nascosto, lo liscia, lo mette sul tavolo. Va all'armadio, afferra delicatamente il cadavere della donna, lo posa sul pavimento accanto alla cassa. Sparge il fondo della cassa con un po' di segatura. Afferra la sega e guardando dapprima il cadavere e quindi il pubblico, declama:)

L'altra metà,

Che il poeta non ha,

La sanno soltanto i morti — Nell'Aldilà.

Ma non la possono dire.

Qui tutto il loro morire.

 

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