Quadro Primo

Studio dello Scrittore. Palcoscenico disadorno. Un divano, poltrone, tavoli, tutto vecchio e alla rinfusa. Scene accatastate sul fondo. Tre uomini di varie età, il Poeta, lo Scrittore e il Regista, sono seduti o sdraiati, in pose annoiate. Il Poeta ha tra le mani un piumino per spolverare. Un silenzio.

POETA Non so. Ecco, per esempio, questo piumino. Mi piacerebbe cominciare con un cameriere che spolvera i mobili di un salotto e parla da solo, raccontando l'antefatto. Potrebbero essere un cameriere e una cameriera. Si sente lo squillo di un campanello e lui dice: "Hanno suonato, dev'essere il notaio." Esce e ritorna col notaio e parlano della signora contessa. (Si ferma, in ascolto.) Hanno suonato?

REGISTA No.

POETA A me piaceva il teatro, quello di una volta, un po' miserabile ma pieno d'orgoglio. La sfacciata presunzione della grandezza. Ignobili drammi di famiglie benestanti, figli naturali, il passato che torna, agnizioni, sacrifizi sublimi. Con le scene di carta, le quinte, le porte che si gonfiavano come vele, il precipitare del sipario. Molta paccottiglia. E le luci della ribalta che schiacciavano la scena, niente luci psicologiche. Non si potrebbero avere le luci di ribalta?

REGISTA (verso l'interno) Date le luci di ribalta!

Si accendono le luci di ribalta.

POETA Oh! La prima volta che vidi l'Amleto, in un teatro ambulante, avevo otto o nove anni, nella parte di Ofelia la figlia del capocomico, una ragazza incinta. Incinta di sette, otto mesi. Me ne innamorai di colpo perdutamente. Ho continuato a credere che questa fosse la realtà di Ofelia.

SCRITTORE (sbadiglia) Sì, ma a che serve il teatro? Mio nonno entrò in un teatro cinque volte in tutta la sua vita, mio padre diciamo cinquanta, io ogni settimana, da anni. Eppure abbiamo commesso tutti e tre gli stessi errori. Non sto a dirvi quali, ma gli stessi. E se penso a loro, li vedo più responsabili, più densi di me. Più uomini. (Pausa.) Bene, lavoriamo.

REGISTA Cerchiamo di costruire attorno a un'idea. Non fidiamoci delle storie, non ci credo. La vita è fatta di scene non necessariamente legate tra di loro. Se l'idea è buona, impone da sé la costruzione. I personaggi allora parlano da soli. (Suono di campanello.) Dev'essere il notaio.

Lo Scrittore esce.

POETA Il teatro allora viaggiava come un popolo nomade, carico di proposte esemplari, di vizi e di virtù... di esistenze eroiche... di sogni folli e scadenti. Il Principe di Danimarca accoglieva i comici al castello come una liberazione, come un'alternativa all'esistenza quotidiana. E piangeva con loro sul dolore di Ecuba, su un fatto che non li riguardava.

REGISTA Eh, già.

POETA L'ultima sera tagliavano le battute, il treno passava poco dopo la mezzanotte e loro dovevano prenderlo, o perdevano una piazza. I bauli pieni di stracci erano pronti, bastava soltanto struccarsi e correre alla stazione. Quella era vita!

Lo Scrittore rientra con lettere e giornali. Apre una lettera e lascia il resto su un tavolo.

REGISTA Ti scrive ancora?

POETA Io invidio chi scrive lettere. Non sarei capace. Dico, di spedirla. Una volta ho scritto una lettera di otto pagine, la rileggo, andava bene. Allora ho cancellato la data e il "carissima" e l'ho mandata a... a... La pubblicarono come racconto.

SCRITTORE Già, è inutile. A meno che uno non scriva per l'epistolario. Ma figurati se è il caso. Poi, il telefono ha ucciso l'epistolario.

Un silenzio. Lo Scrittore mette la lettera in tasca.

REGISTA Hai finito? (Sospira.) Allora. Primo: il personaggio, il protagonista. Chi è, che cosa vuole, qual è il suo scopo determinante, urgente. The urgent desire. Chiaro? Se non rispondiamo a questa prima domanda, ci fermiamo qui.

SCRITTORE Sono io. E anche tu. E anche lui.

POETA Tra voi e me c'è una differenza.

REGISTA Vorrei qualcosa, un caffè.

SCRITTORE Anche tu? (Verso l'interno) Caffè per tutti. Ehi,

bottega! Caffè per tutti. (Pausa.) Un uomo è a letto.

POETA Non cominciamo con due a letto o me ne vado.

SCRITTORE Ho detto: un uomo è a letto. In una di queste nuove case di periferia, dai muri sottili. Sente sospirare. Credendo che sia sua moglie, dice: "Che hai cara, non puoi dormire?" Dall'altra parte del muro gli risponde la moglie di un altro: "Non ho sonno." Sai, avevano i letti accostati ai due lati dello stesso muro e ognuno credeva di parlare con l'altro coniuge. Il nostro uomo con sua moglie e l'altra donna con suo marito.

POETA Abbiamo capito benissimo.

SCRITTORE Lui, allora, il nostro uomo, dice piano grattando il muro – ma tieni presente la periferia, i grandi silenzi notturni, le strade ancora in disordine, i vicini che si ignorano tra di loro, la solitudine della campagna poco lontana – lui dice piano grattando il muro: "Sono qui. Buonanotte." Quell'altra ride. Gratta il muro anche lei. Trovano la cosa molto eccitante, entrano nei particolari, sempre a bassa voce, hanno praticamente un orgasmo. Questo è il quadro. Finiranno col conoscersi, diventeranno amanti? Non lo so. Per farvela breve, da un mese, quando vanno a letto, o si svegliano, danno un colpetto al muro, o grattano.

POETA La condizione dell'amore.

SCRITTORE Esatto. La condizione dell'amore in una società di massa. Basta amplificare il messaggio.

REGISTA Ammettiamolo. Ma come finisce?

SCRITTORE E perché dovrebbe finire? Continua da un mese. Sono felici. La sera, dopo una giornata di lavoro brutale, non vedono l'ora di andare a letto. E sono anche saggi. Poiché gli ingressi dei loro appartamenti danno su strade diverse, non si conoscono nemmeno. Cercano anche di allontanare il momento dell'incontro. Perché solo nell'immaginazione è la purezza dell'innocenza.

REGISTA Volevi dire masturbazione.

SCRITTORE Immaginazione! Nella realtà questi due amanti sublimi sono di una modestia scoraggiante. Forse brutti, piccoli, pelosi, sprovvisti di spirito, inutilizzabili alla luce del sole.

REGISTA Questo lo aggiungi tu. Nella realtà sono gente normale. Ma non vedo la conclusione. A meno che gli altri due coniugi, una sera, non entrino anche loro, con lo stesso equivoco, nel gioco.

SCRITTORE Ah, no! Ti proibisco una soluzione così smaccata! Pensa invece al quartiere in costruzione, all'attività edilizia, ai tristi negozi nuovi – tintoria, supermercato, vini e oli, fioraio, casalinghi, latteria, tutti in fila – e loro due che cercano di riconoscersi tra la folla delle strade sconnesse, delle automobili arrampicate sui marciapiedi. (Al Poeta) Non parli?

POETA Sto pensando. Grattano il muro.

Entra la Cameriera, col vassoio del caffè. È visibilmente incinta. Serve il caffè. Il Poeta la guarda sorpreso, ammaliato. Il Regista trattiene invece una mano della Cameriera tra le sue.

REGISTA Carissima. Fermati. Non mi saluti più? Non mi vuoi più bene?

CAMERIERA Il bene?

SCRITTORE Che miseria. Dio mio, dio, dio.

REGISTA Sei cattiva.

CAMERIERA E lei sarà buono.

REGISTA Me lo daresti un bacio?

CAMERIERA No.

REGISTA Neanche se mandiamo via questi due?

CAMERIERA Neanche. (Di colpo, si china a baciare il Regista.) Addio. (Esce.)

SCRITTORE Che orrore. Tutto dovrà finire, tutto.

POETA Ma l'ultima volta che sono venuto qui non era incinta.

SCRITTORE Di chi stai parlando?

POETA Lei, lei, la ragazza.

SCRITTORE Un anno fa. In un anno!

POETA Chi è stato?

SCRITTORE Non lo sa neanche lei. Non ha saputo mai dire di no a nessuno. Credo che qui l'abbiano avuta tutti. Persino nell'ascensore. È un personaggio. Le giornate di libertà le passava battendo gratis il marciapiede. È il suo lato migliore, in cucina è un disastro. (Lamentandosi) Dio, dio, dio.

POETA (indignato) Ma una donna così andrebbe sposata immediatamente! Ha bisogno di sicurezza, di stabilità. (Si alza.) Qui possiamo parlare di innocenza, questo sì che è un fatto d'amore, pieno, assoluto. Se non vivessi solo, la sposerei io. Se non altro per riparare i torti di quel buffone, di quel refoulé di Amleto! Chiamala, falla stare qui con noi. (Chiama) Ofelia!

REGISTA (allo Scrittore) Straordinaria quando racconta i suoi amori, ricordi? Quella volta che se ne fece otto in un fosso. Potrebbe essere un personaggio, come dice lui, un'innocente.

SCRITTORE Per favore, non mischiamola.

POETA Perché non viene? Che sarà di lei? Del bambino?

SCRITTORE È tutto previsto. Resteranno con noi.

POETA Potrei sposarla io, dare un nome a questo bambino, lavorare per loro. Potrei rivedere i miei appunti, mettere insieme un paio di volumi tra saggi e prose scelte. Ho i cassetti pieni.

SCRITTORE Sempre a patto che la ragazza resti con noi.

POETA Una vita che non serve a niente e a nessuno! Utilizzarla almeno così. (Pausa.) Oppure, andare in India. O comunque verso l'Oriente, dove la vecchiaia è rispettata.

REGISTA La laida turpe vecchiaia, un tempo venerata dalle fanciulle. (Un silenzio.) Cerchiamo di costruire attorno a un'idea.

Un silenzio.

SCRITTORE (a fatica) Un tale, un tale... ha un'amante, una giovane signora. Sto cercando un inizio. Com'è triste, vedo già l'ambiente, le cene, gli amici, sento i discorsi, la vaga paura esistenziale che plana su tutti. Il denaro e il prestigio come traguardo...

REGISTA Continua.

SCRITTORE Mah! Un pomeriggio il marito di lei esce di casa, lei gli telefona, è sola, arriva lui, si spogliano.

POETA (brontola) Mmmmmh.

SCRITTORE (deciso) Si spogliano! Decidono di farsi la doccia. Sai, giochi erotici, eccetera, che tristezza, ma non importa, andiamo avanti, servono per sottolineare il vuoto della loro condizione. Intanto, il marito sbriga subito i suoi affari, anzi torna a casa perché dice di non sentirsi bene. L'amante fa appena in tempo a ficcarsi in un armadio.

POETA Bagnato.

SCRITTORE Sì, bagnato, naturalmente! E pieno di sapone! Il marito dunque si sente poco bene, ma vedendo la moglie nuda e affannata, qualcosa si risveglia in lui, la spinge sul letto.

POETA E le scuote il pelliccione per un'ora.

SCRITTORE Oh, no, basta! L'infinita tristezza, non senti l'infinita tristezza della nostra condizione? E la vigliaccheria?

POETA Fantasmi. Perché questi fantasmi debbono infilarsi nel nostro lavoro? Torniamo a Ofelia.

SCRITTORE Ma è una proposta! Vorrei arrivare al fondo del problema, descrivere una società merdosa che si crede libera, arrivare a una conclusione vuota, vuota, capisci? tragica, senza abbandonare il tono della pochade, l'unico che conviene a certa gente. È una proposta in cui siamo immischiati sino al collo, bagnati, nudi in un armadio, anche noi!

Suona il telefono.

REGISTA (al telefono) Sì, sono io. Ciao, qui tutti bene, lavoriamo. (Agli amici) Vuoi sapere a che punto siamo con la storia. (Al telefono) Stiamo andando avanti daccapo. Sì, sì. Non prima di una settimana. Sì, sì. Ciao. (Chiude il telefono.) Dio mio, dio mio, dio mio. (Si torce come preso dai crampi. )

SCRITTORE Che ti succede?

REGISTA Vorrei vomitare. Tutto. Non badate a me. Ammettiamo che questo sia l'inizio. E poi?

SCRITTORE (offeso) E poi, e poi, e poi.

REGISTA Bisogna costruire attorno. E come finisce?

POETA Non mi preoccuperei per ora di come finisce. I finali non esistono, li fa il tempo. Per avere un vero finale di una storia bisognerebbe che morissero tutti i protagonisti, e non basterebbe nemmeno. Ci sono gli eredi. Tra cento anni, nasce uno che somiglia al protagonista, che commette (accenna allo Scrittore) gli stessi errori del protagonista, e la cosa dovrebbe continuare. Se vogliamo essere strettamente coerenti. (Pausa.) Ho un'idea.

I due lo guardano meravigliati.

REGISTA Bene.

POETA La giornata di un uomo solo in una città che non è quella dove risiede normalmente. (Aspetta invano l'effetto delle sue parole.) Ma è una tragedia! Per esempio: conversazioni col portiere dell'albergo, col padrone di un negozio, col tassista, col cameriere, tutte persone che vede per la prima e l'ultima volta. Non vi fa tremare? Scambi di luoghi comuni sul tempo, la vita, il passato e il futuro. Solo al ristorante, occupa un tavolo. Mangia per non deludere il cameriere. Compra giornali. Compra oggetti che non gli servono e non gli piacciono. E libri che getterà via dopo le prime pagine. Si studia a lungo nello specchio del bagno. Di sera, una ragazza sotto i portici lo guarda e gli dice: "Baffetto," per adescarlo. Lui va per la sua strada. Torna in albergo, non succede niente.

REGISTA Già, non succede niente.

POETA Benissimo. Ho dell'altro. Un tale, trovandosi a New York...

REGISTA Sei mai stato a New York?

POETA Che discorsi! No. Ci mancherebbe altro.

REGISTA Allora, un tale, trovandosi a New York?

POETA Compra un orologio da un robivecchi. Un orologio da polso. Lo fa riparare. Aprendolo scopre che è stato dedicato da una certa Kitty a un certo Bob. Per un seguito di strane combinazioni, un libro che stava leggendo, ricerche, eccetera, viene a scoprire che questo Bob, quarant'anni prima, era stato un giovane attore, molto bello e amato dalle donne, morto poi in estrema miseria, suicida. Qui la storia si fa strana. Continuando a indagare sulla vita di quest'attore, comincia ad avere anche lui rapide, folgoranti avventure. Donne che gli si offrono di colpo, senza pudore. Ma questo soltanto quando ha l'orologio al polso.

Suona il telefono.

REGISTA (al telefono) Sì, sono io. Ah, bene. No. No. Mi dispiace. Più tardi, sto lavorando. Certo, va bene. Ciao. (Chiude il telefono.) Allora, soltanto quando ha l'orologio.

POETA Sì, quest'orologio lo inquieta.

REGISTA Capisco. E poi?

POETA Vedremo perché.

SCRITTORE Apre la strada a una sola ipotesi. La ripetizione della storia. Diffidare di questi orologi. Non esistono.

POETA (scaldandosi) Ecco l'orologio! Eccolo, eccolo! E vuoi forse mettere in dubbio ch'io morirò in estrema miseria?

SCRITTORE Ma non suicida. Tu sei immortale. E tutto quello che racconti è falso, inventato, mostra la corda, sa di letture infantili. Le avventure! Chi ha più avventure? Tu, che t'innamori due volte al giorno?

Un silenzio.

POETA (offeso) Un tale, sì un tale va con una ragazza in una stanza d'albergo, una di queste stanze immobili, commemorative, quelle dei dizionari di una volta alla voce camera da letto. Un catalogo di mobili. C'è tutto. Il letto, il comodino, il comò, l'armadio, lo scendiletto, il tappeto, le tende, le tendine, la poltrona, il puff, la specchiera, l'abat-jour, una carta da parati, paesaggi svizzeri! E il caminetto, con gli alari, il parafuoco. Vecchia stanza confortevole, ma repugnante. Da assassinio.

SCRITTORE E lui ammazza la ragazza.

POETA No. Poco dopo il cielo occupa tutta la parete, la ragazza entra nuda nella stanza da bagno e non torna.

SCRITTORE Annegata.

POETA No. Vana ricerca di questa ragazza. Infila anche lui la porta della stanza da bagno e si ritrova su una spiaggia.

Un silenzio di disapprovazione degli altri due.

SCRITTORE Sono cose che succedono tutti i giorni. Che albergo era?

POETA L'hotel d'Angleterre a Lione.

REGISTA Appunto, evitiamo il surreale quotidiano.

POETA (accalorandosi) Una penna comprata ad Amsterdam lo spinge a scrivere storie estremamente licenziose, finché lo portano al manicomio, dove gli affidano la biblioteca. Oppure, volando sull'Atlantico si accorge che il jet è pieno di persone morte che vanno verso il nulla.

SCRITTORE Domande senza risposta, tutto estremamente probabile.

Un silenzio.

REGISTA Vogliamo vederci domani?

Il Poeta si alza e passeggia nervosamente.

POETA Vedo una gabbia, in un giardino zoologico. E dentro la gabbia, al posto del solito leone, o scimmione, al posto del melanconico orango che medita sul suo destino e sbadiglia, c'è un uomo che suona il violino. Così viene scoperto da una scolaresca in visita. E, naturalmente, irriso.

REGISTA Bene. E poi?

POETA Com'è entrato quest'uomo nella gabbia? Non lo sapremo mai. Sapremo soltanto che non ne vuole uscire. Se il guardiano si accosta troppo, ringhia. Non parla, si limita a ringhiare. E a suonare il violino. Per ora, non vedo altro.

SCRITTORE Com'è vestito? Ha una valigia con sé?

POETA È vestito semplicemente, direi rozzamente. Non ha nessuna valigia, solo un violino. Età, direi, trent'anni.

SCRITTORE Mi sembra d'aver capito. Curiosità dei visitatori dello zoo. Simpatie femminili. Offerte di noccioline. I guardiani chiamano il direttore, il quale chiama la polizia, che chiama quelli della Neuro. Nessuno può far niente. Neanche l'autorità giudiziaria può far niente.

REGISTA Ha una protesta precisa da esprimere?

SCRITTORE No, poiché non parla. Si fanno varie ipotesi. È un senzatetto, uno che chiede lavoro, un vanesio, un semplice esibizionista in cerca di pubblicità. Ma ogni ipotesi resta tale, anzi viene smentita dal misterioso contegno di quest'uomo. Sembra che il suo solo scopo sia di occupare la gabbia, di essere lasciato in pace.

REGISTA Tuttavia, devono nutrirlo. Poi arrivano i fotografi. E quasi contemporaneamente i cronisti. Escono i giornali con la notizia. "Orfeo allo zoo", "Chi è l'uomo dello zoo?", eccetera.

SCRITTORE Arrivano anche quelli della pubblicità, coi loro prodotti, che offrono. Ognuno cerca di utilizzare quest'uomo che suona il violino.

REGISTA Strumentalizzare.

POETA La radio ne parla. Alla televisione improvvisano una tavola rotonda. Per queste cose hanno sempre pronti uno psicologo e un sociologo. Si fanno catastrofiche previsioni. Dove va l'Uomo? L'Umanità al bivio?

REGISTA La folla intanto invade lo zoo.

POETA E l'uomo seguita a strimpellare il suo violino. Perché, sarà meglio dirlo subito, suona male. Infine scende la notte. Gli altri animali sono inquieti. È probabile che una donna riesca a entrare anche lei nella gabbia.

REGISTA Si spoglia!

POETA Vengo subito a te. Si spoglia. Lo spettacolo che danno è insieme animalesco e sereno. Si riprodurranno. Col tempo.

Un silenzio. Tutti pensano. Il Poeta siede, placato.

SCRITTORE Escluderei lo zoo di Roma. Piuttosto New York. Ma sento che manca la caduta drammatica. Non si libra, non vola. Alt, ci sono. Se uno sceriffo infuriato uccidesse sia l'uomo che la donna proprio mentre si accoppiano?

POETA Vuoi sempre spaventarci.

Entra la Moglie dello Scrittore.

MOGLIE Buongiorno, non vi disturbo? Avete bisogno di qualcosa?

SCRITTORE Vieni. Una soluzione tragica riporterebbe il racconto nella realtà, nella sua dimensione attuale.

REGISTA (alla Moglie) Carissima. (La bacia.) Siedi con noi. Qui.

Il Poeta si serve da bere, torvo.

MOGLIE Ma io vi disturbo, voi state lavorando. (Siede.)

REGISTA La conversazione con tuo marito diventa sempre più penosa. Perché l'hai sposato?

MOGLIE Non so. (Ride.) Per una serie di equivoci. Una volta mi dette uno schiaffo, me ne innamorai. Speravo che mi picchiasse. Tutte le ragazze ai miei tempi sognavano un vero uomo.

SCRITTORE Siamo daccapo. (Al Regista) E tu le dai corda.

MOGLIE Adesso si arrabbia. Caro, volevo dire un uomo da  salvare, da proteggere. Uno di quelli che la sera vanno a bere con gli amici e la moglie deve andare a ritirarli, verso l'una, ubriachi.

SCRITTORE Tutto si svolge nella pianura padana.

REGISTA Continua.

MOGLIE E poi picchiano la moglie, non sempre, il sabato, o quando sono assaliti dalla malinconia della loro condizione. Era questo per me il matrimonio, come lo immaginavo da bambina, tutta la gente del cortile dove abitavo io si comportava così.

REGISTA Perché non la picchi mai?

SCRITTORE Detesto la violenza.

REGISTA Eppure una misurata violenza può alimentare la fiamma coniugale. Se per violenza si intende anche dedizione. Richiede una certa fatica. (Alla Moglie) Bevi con noi. Continua.

MOGLIE Che devo dire?

REGISTA Continua sul matrimonio.

MOGLIE Niente. Dicevo, io penso spesso di essere una di quelle donne del popolo di una volta. La domenica mio marito, serio, rasato, con qualche taglio sulle guance, mi porterebbe fuori porta nei prati, o in una balera. E la sera, dalla finestra sul cortile, vedrei passare i treni.

REGISTA Abitavi vicino alla stazione?

MOGLIE (sorpresa) No, anzi. Ma il treno passa dappertutto, e io mi sarei sentita felice, in attesa di scendere e di ritrovare il mio uomo ubriaco.

REGISTA Il treno col vagone ristorante e la gente che mangia, tutta illuminata.

MOGLIE No, un treno qualsiasi, anche un treno merci, io non vorrei evadere. Mi piacerebbe tutto: mio marito, il cortile, il treno. Qualche volta scendo e lo trovo che parla con degli amici. Parlano di cose profonde, anche di Dio, di libri che hanno letto.

REGISTA Come può una donna di sentimenti così puri vivere con te?

POETA (si alza) Ecco, io sono completamente ubriaco. Era questa la donna che avrei dovuto incontrare, accidenti... Adesso, è troppo tardi. Io ormai finito nell'alcool, lei di un altro. (Alla Moglie) Ma tu puoi ancora salvarti, ritrovare quella bambina, essere quella che io sognavo. Qualcosa di più di una donna! (Con voce normale) È già stato detto?

MOGLIE Io sono felice. Ma pensavo a un uomo che la sera tornasse stanco, sporco, e che si lavasse in cucina.

REGISTA Ferroviere? Minatore?

MOGLIE E che trasalisse a ogni suono di campanello. Un uomo di un certo passato.

REGISTA Evaso? Fuggiasco?

Un silenzio.

MOGLIE Vi lascio lavorare. Arrivederci. (Esce.)

Un silenzio.

REGISTA Lui, naturalmente, sarebbe un ex anarchico, oppure... (Si alza.) Bene, domani non posso, ci vediamo dopodomani qui alla stessa ora. Per voi va bene? Andiamo, Poeta.

POETA (svagato) Eh?

REGISTA Andiamo, è ora di andare a letto, sempre qui a  perdere tempo, su, forza, basta parlare di politica, sono le undici. (Fa alzare il Poeta e sorreggendolo va con lui verso il fondo.)

POETA (fingendosi ubriaco) Donna, le mani a posto, so camminare da solo, addio compagni, accidenti, perché io. Viva la libertà!

Regista e Poeta escono ridendo. Lo Scrittore sbadiglia. Buio.