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Non gli sarebbe sfuggito. Guelfi rincorreva Lagrange nonostante il dolore al braccio. Fingeva di non ricordarsi di essere una bomba vagante: finché non avesse messo in pericolo la vita di altri, non si sarebbe fermato. Sapeva che era l’ultima occasione per catturarlo: se non ci fosse riuscito, Lagrange avrebbe cambiato identità e sarebbe espatriato verso un Paese senza estradizione. E lui non voleva dedicare il resto dei suoi giorni a inseguire un fantasma.
Avanzava chino, dietro la fila di auto parcheggiate. Lagrange procedeva sul marciapiede opposto e sparava verso di lui. Gli sembrava che si muovesse con andatura instabile. Non ha ancora minacciato di farmi saltare in aria. L’idea che fosse ferito e avesse perso il cellulare durante la collisione nutriva l’aspettativa di sopraffarlo.
Mentre cercava di ridurre la distanza, guardava il fiume. Aveva sentito Katherine urlare un attimo prima che il camper precipitasse. D’istinto si sarebbe tuffato, ma con un solo braccio e imbottito di esplosivo non avrebbe potuto fare niente per salvarla. Quando aveva visto che l’uomo misterioso alla guida dell’Hummer si era lanciato in acqua, si era convinto che l’unico modo per dare valore a quegli istanti fosse concentrarsi su Lagrange.
«Tommy, non hai ancora capito che io vinco e tu perdi?»
Guelfi valutò il contesto per prevedere le sue intenzioni. Non era una via trafficata e gli edifici avevano i portoni chiusi. Ma in qualsiasi momento la situazione avrebbe potuto mutare: doveva bloccarlo prima che prendesse degli ostaggi, o che raggiungesse le strade parallele.
Si sporse da dietro un SUV. Il proiettile frantumò il finestrino.
«Perché non vai a vedere come sta la tua amica?»
Guelfi lanciò un’altra occhiata verso il punto in cui c’era stato lo schianto. Si erano allontanati parecchio, ma scorgeva delle persone. Ed era sicuro di udire Tremilla abbaiare.
«Forse perché hai già la certezza di avere anche lei sulla coscienza, dopo Cuore Impavido, il negoziatore e gli altri sbirri.»
Ferri… Acquattato, tirò una testata alla carrozzeria che gli faceva da scudo. Aveva voluto illudersi che almeno lui fosse sopravvissuto. La rabbia gli urlava dentro, era una molla che lo spingeva all’azione. Ma si sforzò di non assecondarla. Di mantenere il controllo.
«Come ci si sente a sapere che i buoni sono tutti morti?»
La risata di Lagrange infieriva sulla sua forza di volontà. Scattò in avanti. Con le spalle curve si gettò all’inseguimento. Gli spari tagliavano l’aria, e lui correva veloce, superando un veicolo dopo l’altro. Si buttò a terra prima che un proiettile attraversasse il parabrezza. Un secondo in più gli sarebbe stato fatale.
Le grida dall’altra parte della strada fecero da eco alle scariche della semiautomatica: una donna si era affacciata da un portone a pochi metri da Lagrange.
«Dentro!» sbraitò Guelfi, mentre Lagrange si precipitava verso la palazzina.
La donna ebbe la prontezza di chiudere, e Lagrange atterrò con entrambe le mani sui battenti di legno.
Guelfi ne approfittò per avvicinarsi ancora. Schivò un paio di proiettili, rotolando sull’asfalto fino ai cassonetti dell’immondizia.
«Ti ha mai detto nessuno che la tua mira fa schifo?»
«La giornata non è ancora terminata.»
Guelfi strisciò la schiena contro il cassonetto per raggiungere l’altra estremità. Sbirciò dallo spiraglio che lo separava dalla campana del vetro: Lagrange aveva ricominciato a correre, ma trascinava una gamba ed era piegato sul fianco per la fatica. Cinquanta metri ed è all’incrocio. Calcolò che aveva esploso tredici, forse quattordici colpi. Mentre rifletteva su quale fosse la mossa più efficace, il suono delle sirene gli suggerì lo spunto.
Uscì allo scoperto. «È finita!»
Senza rallentare, Lagrange orientò la pistola verso di lui. «Sei impaziente di andare all’inferno?»
«Vedi i lampeggianti laggiù? Stanno venendo a prenderti.»
«Vorrà dire che ti troveranno morto.»
«Hai solo un colpo, usalo bene.»
Lagrange tese il braccio.
Guelfi lesse stanchezza e dolore sul suo volto sudato. Allungò il passo. «Sparami subito, prima che sia troppo vicino. Perché vista la tua mira, rischi di beccare in pieno il giubbotto e di esplodere insieme a me.»
Lagrange esitò.
«Alza la mano.» Guelfi indicò la propria fronte. «Punta qui.»
«Ho capito il tuo gioco.» Lagrange scoppiò a ridere. «Furbo, ma non abbastanza.»
«Spara!» incalzò Guelfi, recuperando terreno.
«Se ti ammazzo, offrirò alle pattuglie che stanno arrivando la prova della pistola fumante. È questo che vuoi, vero? Perché contro di me c’è solo la tua parola.» Lagrange abbassò la Beretta. «Verrò arrestato, ma nessuno della tua squadra può testimoniare dall’aldilà. Invece, i miei avvocati troveranno il modo di dimostrare che io non ho ucciso nessuno. Non ho dato alcun ordine. Sono stato una pedina. Dietro a quanto accaduto c’è il piano di una potente organizzazione, di cui posso fornire nomi e dettagli. Due sono i bracci operativi: Anna Borgia, che ha condotto la spedizione costata la vita a Theodore Sinclaire. E il suo compare, Giancarlo Manfredi, il prefetto di Milano. Posso documentare ogni cosa, esibire prove dei loro incontri, delle loro decisioni. Io sono stato una vittima, tenuto sotto scacco dal ricatto. La mia unica colpa è quella di avere rapporti commerciali illegali con altri Paesi, ragione per cui ho accettato di aiutarli a rubare la stele, in cambio del loro silenzio. Mai avrei pensato che un furto si trasformasse in una strage.»
Guelfi gli era quasi di fronte.
«Ho i migliori legali al mondo e una forte influenza sulla magistratura: risulterò estraneo ai fatti.» Si appoggiò al muro per lasciarsi scivolare a terra. «Quindi no, Tommy. Non premerò il grilletto per mandare a monte il mio brillante futuro… me la caverò con una condanna a qualche anno di carcere. Nel caso peggiore, la sconterò agli arresti domiciliari, perché non ho precedenti penali e non sono un soggetto socialmente pericoloso.»
«Testimonierò contro di te e non ti darò tregua finché non schiatterai dietro le sbarre.» Le auto della polizia non erano distanti. Guelfi subiva la pressione del tempo, ma aveva chiaro l’obiettivo.
«Perché invece non accontentarti di prendere il merito della mia cattura? Ti promuoveranno.» Lagrange mise la pistola sul marciapiede e la spinse verso di lui con un calcio. «Mi arrendo.»
Guelfi avvertì il muscolo della guancia contrarsi per la tensione. In una manciata di secondi le volanti sarebbero state troppo vicine.
Si chinò per afferrare la Beretta.
«Non fare quella faccia» ridacchiò Lagrange. «Devi rassegnarti: io vinco sempre.»
«Non questa volta.» Gli sparò dritto al cuore.
Quando i poliziotti sopraggiunsero, trovarono Guelfi a terra, ferito. Sotto il peso del corpo di Lagrange. Aveva rischiato la vita per disarmarlo e durante la colluttazione era partito un colpo. L’ultimo nel caricatore.