32
«Da quanto tempo ci conosciamo?»
«Il tempo non è discriminante.»
«Zeno, per la miseria.» Guelfi si appoggiò alla sponda del letto. «Ti sto solo chiedendo di essere collaborativo.»
«Mi stai chiedendo di dirti cose che non ricordo.»
«Allora partiamo dall’ultimo ricordo che hai.»
«Una promessa mantenuta.»
«Theodore ti aveva pregato di portare Katherine alla Madonna del Monte e tu l’hai fatto, me l’hai già detto. Entrate in chiesa, scambiate due parole e poi esci, per tornare a prenderla poco dopo perché sta arrivando qualcuno.»
«Questo te l’ha raccontato lei. Per conto mio non siamo nemmeno arrivati lassù: era scocciata e non le andava di salire in moto. Io sono fermo lì.»
«Però?»
«Però so che ci siamo arrivati, perché a un tratto correvo via dalle fiamme e dal fumo ed ero preoccupato per lei.»
«Vedi che qualcosa ti ricordi.»
«Una sensazione.»
«Sono dotato di pazienza: aspetterò che le sensazioni si trasformino in immagini e venga tutto a galla.»
«Uomo virtuoso.»
«C’era qualcuno oltre a voi?»
«Il suo cane e quello di Theodore. Come stanno?»
«Katherine è stata soccorsa da due uomini bardati da vigili del fuoco, li hai visti?»
«Ne ho visti quattro, quelli che hanno soccorso me.»
«Non mi stai aiutando.»
«Se l’interrogatorio è finito, firmo le dimissioni e me ne vado dall’ospedale. Ho le messe da celebrare.»
«Perché Theodore voleva che Katherine si recasse al santuario?»
«Da quanto ci conosciamo?» La voce cantilenante di Zeno sottolineò lo sguardo ironico. «A sufficienza per sapere entrambi che tu sei uno che fa tante domande e io uno che si fa i fatti propri.»
«Apro e chiudo parentesi: sparatoria a Villa San Martino. Se non hai memoria di ieri notte, potremmo parlare di cosa ci facevi nel bosco intorno alla residenza nell’istante in cui uno dei miei veniva ammazzato e un altro gravemente ferito.»
Zeno premette il pulsante di chiamata degli infermieri. «Risparmia il fiato e arrestami subito. Oppure togliti dalle scatole e lasciami andare dai miei parrocchiani.»
«Non voglio arrestarti, cazzo! Voglio risposte.» Guelfi alzò il tono.
«Strano, avrei giurato che ti fossi già fatto il tuo film.»
«Va bene, vuoi il mio film? Sapevi che Theodore aveva nascosto un messaggio per Katherine in quella chiesa, hai aspettato che lei lo scoprisse e poi hai appiccato il fuoco per metterla in difficoltà e poterglielo rubare.»
Zeno staccò la schiena dal cuscino per tendersi verso di lui. «È davvero questo che pensi?»
A Guelfi sembrò che la sua maschera altezzosa si crepasse sotto il peso di un’espressione smarrita. Insistette. «Ho qualche dubbio sul seguito: continua tu, per favore.»
«Katherine cosa dice?»
«Ne stiamo discutendo tu e io.»
«Non ci crede.»
Guelfi non smise di scrutarlo. Il parere di Katherine gli sta a cuore. Decise di fare leva su di lei. «Katherine non si fida di te.»
«Voglio vederla.»
«Per cosa?»
Il suono intermittente di un allarme coprì ogni altro rumore.
Guelfi si voltò verso la porta, ma non fece in tempo ad aprirla che si trovò di fronte un operatore sanitario.
«Sono uno degli addetti del piano alla gestione delle emergenze, vi chiedo di rimanere dentro la stanza.»
«Tommaso Guelfi, capo della Squadra Mobile.» Mostrò il distintivo. «Cos’è successo?»
«Abbiamo in atto un’evacuazione parziale nell’altra ala dell’ospedale… il reparto di ortopedia è invaso dal fumo.»
«Un incendio?»
«Non lo sappiamo, ma il problema sembra isolato. In attesa che arrivino i vigili del fuoco, è stato deciso di liberare tutto quel piano.»
«Dove portate le persone?»
«La squadra di primo intervento sta spostando gli allettati e i disabili su questo lato, mentre gli altri addetti all’emergenza hanno il compito di guidare i pazienti in grado di deambulare due piani sotto.»
«Non li fate uscire?»
«Al momento sono stati condotti fuori solo quelli che erano qui per esami, visite, ritiro esiti… ma siamo pronti a un’evacuazione progressiva verso aree sicure all’esterno, qualora i vigili del fuoco lo ritengano opportuno.»
«Serve aiuto?»
«Credo di sì…»
Le teste iniziavano a sporgersi dalle porte.
«Stiamo seguendo per filo e per segno il programma di evacuazione… fortuna che abbiamo fatto una simulazione proprio la scorsa settimana e le nozioni sono ancora fresche.»
«Chi è il coordinatore?»
«Il dottor Vitali, l’ho visto correre verso l’ortopedia.»
I pazienti si erano riversati in corridoio.
«Perché suona l’allarme?» domandò qualcuno.
«Stiamo andando a fuoco?» fece eco un altro.
«Fuoco? Dove?»
«Restate nelle vostre camere» disse uno dei medici, sollecitando l’assistenza di tutti gli infermieri. «Non c’è alcun pericolo, l’allarme suona perché trasferiremo qui dei degenti da altri reparti.»
«Quindi c’è davvero un incendio!»
«Perché portate qua altra gente? Fate uscire noi!»
Guelfi si rese conto che la paura dilagava in fretta.
«Dobbiamo evitare il panico.» Zeno si era vestito e li aveva raggiunti. «Posso dare una mano: sono un sacerdote e so come gestire iperemotività, alterazioni dei comportamenti e reazioni di ansia a catena.»
L’infermiere accettò senza esitazione. «È quel che ci vuole, la ringrazio.»
Guelfi sapeva che il supporto di Zeno avrebbe potuto essere determinante e non si oppose. Lo osservò avvicinarsi al gruppetto che aveva appena parlato. I suoi modi erano rassicuranti.
«Ho bisogno di voi» esordì Zeno. «Tra poco arriveranno pazienti che hanno subito interventi importanti, non autosufficienti, con problemi motori. I soccorritori li condurranno qui e poi torneranno a prenderne degli altri.» Con tono pacato, indicò la porta da cui era uscito. «Sono ricoverato in quella stanza, ma non ho niente di serio. Chi di voi pensa di essere nelle condizioni di rendersi utile, si unisca a me: dobbiamo fare in modo che i malati non si agitino e si sentano protetti.»
«Zeno…» Guelfi lo chiamò.
Il sacerdote inclinò la testa.
«Vado a vedere da dove è partito l’allarme. Voglio trovarti al mio ritorno.»
Zeno resse lo sguardo senza rispondere.
«Vitali, ha detto?» Guelfi si rivolse all’infermiere.
«Sì, sulla sessantina, capelli bianchi e occhiali spessi…»
«Okay.» Si avviò deciso.
Conosceva bene l’ospedale e la disposizione dei reparti: per più di un anno c’era stato ricoverato un isolano affetto da varie patologie, indagato insieme al figlio con l’accusa di avere ucciso la moglie e distrutto il cadavere.
Mentre correva, telefonò al commissariato.
«Capo, ti abbiamo cercato ma…»
«Avevo il cellulare in silenzioso. Sono in ospedale…»
«Siamo stati avvisati, due minuti e le squadre sono lì.»
«Massimo coordinamento con le altre forze dell’ordine.»
«Confermo.»
Gli ascensori erano stati bloccati per ragioni di sicurezza e dalle porte spalancate sulle scale sgorgava un flusso continuo di persone. Zigzagando tra medici e degenti, raggiunse il piano inferiore dove la situazione era ancora più congestionata.
Si sentiva come un pesce che nuota controcorrente.
«Ehi, lei… non può andare da quella parte!»
Capì che la voce femminile ce l’aveva con lui. Si girò nell’attimo in cui la giovane dottoressa dai capelli con i ciuffi rosa lo afferrava per un braccio.
«Sono un agente di polizia e sto cercando il dottor Vitali.»
Lei non mollò la presa, finché lui non estrasse il distintivo.
«Mi scusi, ma oggi ne sono capitate troppe.» Gli fece cenno di seguirlo. «Anch’io sto andando dal dottor Vitali per vedere se le sorprese sono finite.»
«Cosa intende?»
«Non lo sa? Allora cosa ci fa qui?»
«Ero già in ospedale… stavo interrogando un sospettato, quando è scattato l’allarme e un infermiere mi ha informato del problema di fumo su questo lato.»
«Con il dottor Vitali abbiamo preferito avvertire subito la polizia e i pompieri senza diffondere la notizia internamente per non generare ulteriore preoccupazione: qualcuno si è divertito a dare fuoco a un letto.»
Guelfi si fermò di colpo.
«Ha capito bene.»
«Vuoto, spero.»
«Sì, uno dei pazienti era stato dimesso, l’altro camminava in corridoio… è stato lui a urlare una volta rientrato in camera.»
«È per questo che avete deciso di evacuare il reparto?»
Mentre allungava il passo, il medico assunse un’aria corrucciata. «Le fiamme sono state appiccate anche agli scaffali di una delle stanzette di servizio.»
«Nessuna idea di chi possa averlo fatto?»
«No, ma quando abbiamo visto il fumo che usciva dai bagni, ci siamo convinti che ci fosse un pazzo in giro. Abbiamo dato l’allarme e spostato tutti.» Chiamò un collega che procedeva nella direzione opposta insieme a due anziani, uno spingeva il deambulatore e l’altro trascinava una piantana con la flebo. «Sono gli ultimi?»
«Sì.»
«Ottimo.»
Appena imboccarono il corridoio alla loro destra, Guelfi riconobbe il dottor Vitali. Sbirciava attraverso i battenti accostati di una porta di metallo, accanto a lui si muovevano nervosi un uomo in divisa e un altro in camice bianco.
«Polizia, sono Guelfi.»
«Grazie a Dio!»
«La dottoressa mi stava mettendo al corrente.»
«L’abbiamo chiuso dentro, quello squilibrato.»
«Chi è?»
«Non lo so, ma è nei bagni delle donne.»
Guelfi si voltò, udendo il frastuono di passi concitati. Il primo a comparire fu Ferri, seguito da altri tre dei suoi uomini. Precedevano la squadra dei vigili del fuoco.
«Mi racconti tutto.»
«Ha incendiato un materasso, lo spegnevamo e le fiamme uscivano già dal ripostiglio, e poi i bagni… mai visto tanto fumo così.»
«Stia calmo, prenda fiato.»
«Era impossibile entrare, però ho sentito dei rumori… ho gridato per capire se ci fosse qualche paziente… non mi ha risposto nessuno, ma i rumori continuavano, allora ho chiuso la porta a chiave… però il fumo passava da sotto e avevo paura che la facesse saltare…»
«Ha chiuso nonostante il fumo? E se ci fosse stato dentro uno dei suoi? O un ricoverato?»
«Poteva esserci solo il piromane… abbiamo fatto l’appello dei degenti… e comunque in bagno c’è una finestra.»
Guelfi sospirò. «Adesso allontanatevi.»
«Tenga…» Il medico gli tese la chiave.
«Abbiamo circondato l’edificio» lo aggiornò Ferri. «Anche se le finestre sono talmente in alto che dai bagni puoi scappare solo se hai le ali.»
«Entriamo tu e io.» Mentre impartiva ordini agli altri, Guelfi afferrò la maschera che gli porgeva uno dei vigili del fuoco.
Si infilò tra i due battenti con la Beretta in pugno. Il corridoio era deserto e non percepì fumo. Spostandosi cauto contro la parete alla sua sinistra, fece cenno al collega di muoversi sul lato opposto.
Tutte le porte erano spalancate, tranne una verso la fine della corsia. Indicò a Ferri di coprirgli le spalle ed entrò nella prima camera per sincerarsi che fosse vuota. Quando uscì, Ferri perlustrò quella dalla propria parte. Proseguirono così, stanza per stanza.
A metà corridoio trovarono a terra gli estintori usati per spegnere l’incendio nel locale di servizio. I bagni erano qualche metro più avanti.
Guelfi rimase in ascolto. Dall’interno non proveniva alcun suono. Dopo avere annuito al collega, inserì la chiave e fece irruzione con un calcio.
Di fronte a una fila di lavandini si affacciavano quattro porte chiuse. La finestra non era stata aperta.
«Cos’è questo odore?»
Ferri scosse la testa.
Senza abbassare la guardia, Guelfi spinse una delle porte.
Capì subito cosa fossero gli oggetti sul pavimento, ma aspettò di aprire i gabinetti successivi prima di raccoglierne uno.
Ferri lo fissò confuso. «Ma che cazzo?…»
«Fumogeni.»
«Non c’era niente che bruciava…»
Osservando il tubo cilindrico che aveva in mano, Guelfi ripose la pistola nella fondina. «Chiunque sia stato, ha dato le fiamme al letto e allo sgabuzzino per innescare il panico. Poi gli sono bastati questi.»
«Però il fumo ha continuato a uscire anche se qui non c’era nessuno.»
«Timer, batteria e servocomando.» Guelfi gli mostrò il dispositivo.
«Cristo…»
«Fumogeni usati come bombe a orologeria: qualcuno li ha appoggiati sopra i water e se n’è andato, lasciando che si attivassero uno dopo l’altro.»
«A quale scopo?»
«Bella domanda.» Guelfi tornò in corridoio. «Relaziona la squadra e i vigili del fuoco. Poi sentiamo personale e pazienti per verificare se hanno notato qualcuno che si comportava in modo ambiguo.»
Ferri assentì.
«Io vado a parlare con il dottor Vitali e con i responsabili della struttura.»
Si allontanò inquieto: avrebbe potuto essere un atto di vandalismo, una rivalsa, un semplice dispetto. Sebbene si sforzasse di allargare il campo delle ipotesi, una sola conclusione gli martellava nella testa. È stato un diversivo.
Mentre si dirigeva verso l’altro lato dell’ospedale, pensò a Zeno. Si chiese se l’avrebbe trovato ancora nel reparto. Un dubbio scalzato da un sospetto più grave: quanto era accaduto c’entrava qualcosa con lui?
«L’avete preso?»
La voce arrivò prima che dalla porta in fondo al corridoio spuntasse la dottoressa dai capelli striati di rosa.
«Non c’era nessuno in bagno, la situazione è tranquilla.»
«Come ha fatto a scappare, se era chiuso dentro?»
Lui corrugò le labbra. «Ha usato dei fumogeni controllati da timer. È probabile che il rumore avvertito dal dottor Vitali fosse quello dei servocomandi che muovevano le linguette di attivazione.»
«Temo di non avere capito.»
«Qualcuno ha inscenato un incendio, e dobbiamo scoprire perché. Sa dove sia il dottor Vitali?»
«L’hanno chiamato in medicina. La accompagno, ma mi dica come posso esserle d’aiuto: non ho avuto tempo di presentarmi, sono la dottoressa Egger e sono il direttore sanitario.»
Guelfi si lasciò sfuggire un’espressione stupita.
«Fate tutti la stessa faccia, e non mi è chiaro se sia per via dei capelli rosa o perché sono una donna.»
«Per quanto mi riguarda, né per un motivo né per l’altro… è solo molto giovane per un incarico del genere.»
Lei rise. «Fingo di crederci.»
«Ho bisogno di riunire tutti i medici e i responsabili dei reparti affinché venga steso un inventario.»
«Potrebbe essere stato rubato qualcosa?»
«Avete mai subito dei furti?»
«Sì, uno proprio un paio di mesi fa: sono scomparsi parecchi farmaci, per la maggior parte anestetici e dopanti. I carabinieri hanno aperto un’indagine e noi abbiamo qualche sospetto, ma finirà in niente.»
«Altro?»
«Ogni tanto spariscono siringhe, garze, forbici… stiamo aumentando la sorveglianza.»
«Le viene in mente qualcosa di valore che avete in ospedale e che potrebbe interessare a qualcuno?»
«Abbiamo attrezzature costose, ma non sono facilmente trasportabili.» Il medico infilò le mani nelle tasche del camice. «Però, ora che mi fa riflettere, lo scorso anno ci hanno ripuliti di quattro sonde ecografiche in dotazione degli ambulatori di ostetricia e ginecologia. Un bel problema: avevamo la coda delle donne incinte e ci sono voluti giorni per riprendere regolarmente tutte le attività diagnostiche.»
Guelfi ragionava. «Può chiedere ai suoi colleghi di controllare se mancano materiali vari nelle aree di loro competenza?»
«Sì, certo. Pensa che abbiano messo in piedi quel casino per distrarci?»
«Non lo so, ma non possiamo trascurare nulla.»
La corsia di medicina era sovraffollata. I degenti nei letti e sulle sedie a rotelle provenienti da altri reparti erano stati allineati contro entrambe le pareti. In mezzo a loro si affaccendavano camici bianchi e verdi. A Guelfi fu sufficiente un’occhiata per percepire il senso di smarrimento dei ricoverati e quello di confusione del personale.
«Il dottor Vitali è là!»
Con lo sguardo, Guelfi seguì la direzione indicata dal dito della Egger. Scorse Vitali sulla soglia di una delle camere, intento a parlottare con un altro medico dall’aspetto inconfondibile.
«Venga» disse la dottoressa. «Le presento il nostro anatomopatologo, Filippo Levi.»
«Ci conosciamo.»
Appena il giovane incrociò i suoi occhi, trasalì. La pelle diafana avvampò, mentre collo e braccia iniziavano ad agitarsi in modo scoordinato. «Non mi spiego come possa essere successo.»
«Cosa?» chiese Guelfi.
«Il corpo del signor Sinclaire è sparito.»