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Katherine sapeva di non dovere inquinare la scena del crimine. Ma sapeva anche che quel cellulare era il mezzo con cui i sequestratori si sarebbero messi in contatto con lei. E non voleva correre il rischio che la polizia bruciasse l’unico filo che poteva condurla da Margherita. Lo infilò nella borsa.
Ho uno svantaggio di dieci minuti, massimo quindici. Senza esitare, cercò le chiavi dell’auto nelle tasche del poliziotto. Le capitò in mano il telefono. Valutando che avrebbe potuto esserle utile, prese anche quello.
La pantera era parcheggiata sul lato opposto della strada. Salì, lanciando Tremilla sul sedile del passeggero. Il pensiero di commettere un reato era secondario rispetto all’urgenza di salvare Margherita.
Mentre si avviava nella direzione che portava fuori dal paese, selezionò dalla rubrica dell’iPhone un numero che non chiamava da mesi.
«Katherine!»
«Ciao, ispettore Norris. Scusami se mi faccio viva solo quando ho bisogno.»
«Speravo mi invitassi alla presentazione del tuo nuovo best seller.»
«Lo farò, promesso.»
«Come posso aiutarti?»
«Proteggi mia mamma. Lei però non deve accorgersi di nulla.»
«In che casino ti sei cacciata?»
«Non ho tempo di spiegarti… mio zio si è tolto la vita in circostanze sospette per custodire segreti legati alle scoperte di Napoleone: passato e storia mi perseguitano.»
«Andiamo bene! In quale parte del globo?»
«Isola d’Elba.»
«Posso raggiungerti e chiedere aiuto a Baldi.»
«La polizia locale si sta dando da fare. Tu tieni d’occhio Ellen.»
«Contaci. Se non ti sento entro le prossime dodici ore, mi materializzo sull’isola con i rinforzi.»
«Grazie.»
Chiuse la chiamata per iniziarne un’altra. Guelfi non rispose. Provò una seconda volta. E una terza. Cazzo! Tirò una gomitata al finestrino.
Sebbene fosse stretta, la strada che stava percorrendo fungeva da circonvallazione. Alla sua destra sfilavano edifici a ringhiera, a sinistra lo sguardo si perdeva nel blu del mare.
Il telefono suonò dopo pochi minuti.
«Tommaso, hanno rapito Margherita!»
«Cosa stai dicendo? Ho parlato con la scorta mezz’ora fa.»
«Mobilita tutte le forze: servono pattuglie, posti di blocco, controlli a tappeto!»
«Sto arrivando.»
«Non c’è tempo! Un poliziotto è morto, l’altro è sparito insieme a lei.»
«Dove sei?»
«Sulla volante.»
«Fermati immediatamente!»
«Ascoltami: non so se l’altro agente fosse coinvolto, o se abbiano sequestrato pure lui. Comunque sia, avranno usato un furgone.»
«E tu cosa credi di fare?»
«Posso beccarli! Sono quella più vicina. E il furgone è lento rispetto a me…»
«Fermati, ho detto! Non sai nemmeno che strada prendere.»
«Se fossi in loro, mi allontanerei dal centro del paese e terrei la provinciale per spostarmi velocemente.» Katherine sentì Guelfi comunicare l’emergenza alla radio e organizzare gli interventi. Ne approfittò per riflettere: l’incrocio che immetteva sulla provinciale era davanti a lei. Riconobbe il vivaio di piante sull’angolo dove De Luca aveva svoltato e proseguì in quel senso. La carreggiata larga le consentì di accelerare.
«Katherine, sei ancora lì?»
«Sì.»
«Spegni il motore, vengo a recuperarti e gestiamo tutto insieme.»
«Lo stiamo già facendo. Ho appena superato un ristorante dal tetto rosso, con le bandiere all’ingresso e un parchetto giochi per bambini.»
«Per la miseria! Vuoi fermarti?»
«C’è qualcuno di voi qui? No. E allora non rompere i coglioni e muoviti! Finché non vi vedo, io vado avanti.»
«Ti rendi conto che potrei arrestarti?»
«E tu ti rendi conto che chi doveva proteggere me e Margherita ci ha fottute? Di chi credi sia la colpa se siamo in questa situazione? Tu dov’eri, quando uno dei tuoi ci tradiva?» Katherine viaggiava a velocità sostenuta. Senza distrarsi dalla guida, guardava in ogni slargo, piazzola e strada che incrociava.
«Non puoi affermarlo con certezza.»
«No, è vero. Però hanno rapito Margherita sotto il mio naso, e non me ne starò ad aspettare che la ammazzino mentre voi siete impegnati a rincorrere qualche deficiente in ospedale!»
«Ora calmati e dimmi cos’è successo.»
«Volevo tornare in hotel, ma i tuoi avevano l’ordine di trattenermi da Margherita, così lei mi ha proposto di fare una doccia. Quando sono uscita, l’agente con cui avevi parlato al telefono era in fondo alle scale con un proiettile in testa. Dimenticavo: l’ho preso io il suo cellulare.»
«Ma ti sei bevuta il cervello? Perché stai facendo tutte queste stronzate?»
Katherine raggiunse un altro bivio. «Portoferraio o Porto Azzurro?»
«Fermati!»
«Allora?»
«Basta! Fermati!»
«Porto Azzurro è sulla costa, seguo per Portoferraio.» Katherine si lasciò alle spalle una Fiat 500 e altre tre automobili. «Accanto al cadavere c’era un biglietto che credo fosse indirizzato a me: la vita di Margherita in cambio del luogo in cui si trova la stele.»
«Ma la stele non è a Londra?»
«Con Margherita abbiamo fatto un passo avanti: Napoleone se n’è andato dall’Egitto trafugando la parte superiore della pietra, quella che si pensava fosse stata distrutta o persa.»
«E tu sai dov’è?»
«Non ancora.» Katherine si sporse verso il parabrezza per guardare in alto. «Sento il rumore di un elicottero, almeno avete fatto in fretta.»
«Era già in volo, stavamo cercando un’ambulanza.»
«È così che il piromane è scappato dall’ospedale? Su un’ambulanza?»
Guelfi non replicò.
«Spero tu abbia cambiato gli ordini. Hai spiegato a tutte le unità che adesso devono cercare un furgone?»
«Segnaleranno ambulanze e furgoni.»
«Nel furgone c’è Margherita! Lei viene prima di tutto!»
«Nell’ambulanza c’è Theodore.»
Katherine reagì a quell’affermazione come se avesse ricevuto un pugno in faccia. Sterzò di colpo, accorgendosi che stava per investire uno scooter.
«Gli incendi e il fumo in ospedale erano dei diversivi per portare via il corpo.»
«E voi ci siete cascati?»
«Sì.»
«Cazzo!» Katherine sbatté entrambe le mani contro il volante. «Non siete nemmeno riusciti a proteggere un cadavere? È questo che mi stai dicendo?» La rabbia le pulsava negli occhi. «Io mi sono fidata… mi sono fidata di te!»
«Stiamo facendo l’impossibile per…»
«Ma sei serio?» La voce si tramutò in urlo. «Un altro dei tuoi è appena stato ucciso, Margherita rapita, mio zio…» Le si contrasse lo stomaco e chiuse la comunicazione.
Sentiva il bisogno di respirare a pieni polmoni. Di vomitare. Si concentrò per non rendere vana quella corsa contro il tempo e schiacciò il piede ancora più a fondo sull’acceleratore. La strada piegava morbida ora a destra e ora a sinistra in mezzo alla vegetazione. Non incontrava più case da qualche minuto, solo campeggi e punti di ristoro. Pareva che anche i semafori fossero svaniti, e con loro i cartelli stradali.
«Sono una stupida! Una stupida!» Ho lasciato Theodore nelle loro mani… dovevo fotografarlo, me lo sentivo che dovevo fotografarlo. Mi sono fidata e l’ho perso… lui, i tatuaggi, ciò che rappresentano…
La circolazione stava rallentando: una ventina di metri più avanti i veicoli erano quasi fermi. Mentre si spostava verso il centro della carreggiata per capire a cosa fosse dovuto l’ingorgo, notò una roulotte uscire imprudente dalla fila.
Una roulotte, certo!
Accese lampeggianti e sirena e si buttò nella corsia di sorpasso. La raggiunse su un rettilineo. Alla guida dell’auto che la trainava c’era un uomo con degli occhiali scuri. Gli fece segno di accostare e continuò a fiancheggiarlo fino a quando non si incanalò su un sentiero sterrato che si apriva a bordo strada. Inchiodò l’auto davanti alla sua.
Non era armata, e il conducente avrebbe potuto colpirla, spararle. Ucciderla. Si pentì di non avere preso la pistola dell’agente a terra.
«Polizia!» Non faticò a usare un tono grave: collera e paura parlavano al posto suo. Si augurò di essere credibile, sebbene non indossasse una divisa.
«Mi sono accorto tardi del limite e…»
«Cosa trasporta?»
«Niente. Sono con mia moglie e mio figlio, siamo in vacanza.»
«Mi mostri i documenti e apra dietro.»
«C’era quel trattore che faceva da tappo…»
La donna che spiava dalle tendine dell’oblò aveva in braccio un bambino.
«Non mi tolga i punti, la prego! Per lavoro sono sempre in macchina.»
«Ha sentito cos’ho detto? Scenda e faccia scendere anche gli altri.»
«Sì, sì… subito.»
Katherine salì appena spalancarono la porta. Tra il disordine e l’odore di cibo avariato non c’era nessuno. Imprecò tra sé.
«La patente l’ho rinnovata il mese scorso, e questo è il libretto.»
Lei mantenne un’espressione accigliata. «Viaggiava oltre i novanta chilometri orari, con un limite di settanta.»
«Ha ragione, però…»
«Veda di fare più attenzione la prossima volta.»
L’uomo tentennò, con i documenti tra le dita.
«Non mi faccia cambiare idea, vada!»
«È stata una svista, glielo assicuro.»
Katherine tornò in auto. Attese che la roulotte si allontanasse per chinare la testa contro il volante, consapevole di quanto disperato fosse stato il suo tentativo di salvare Margherita. Non sapeva chi fossero i sequestratori, né che veicolo guidassero. E nemmeno quale strada avessero imboccato. Aveva rincorso un fantasma. Mentre il senso di impotenza le devastava la mente, il dolore per la perdita la svuotava di ogni forza. Si piegò fuori dall’abitacolo e vomitò.
Guelfi continuava a chiamarla. Si stupì che non fosse ancora comparso, seguendo il segnale del GPS della vettura. Le voci alla radio si alternavano con messaggi simili: una squadra era arrivata all’abitazione di Margherita e aveva trovato il collega. L’elicottero aveva avvistato un’ambulanza che non rispondeva alla centrale e si muoveva verso nord. Un’altra ambulanza era stata fermata a Cavoli. Più squadre erano dirette ai porti.
Strinse Tremilla tra le braccia, cercando di riappropriarsi della concentrazione. La baciò sulla testolina, finché non mise a fuoco la mossa successiva.
«Per prima cosa, evitiamo che ci localizzino.»
Spense il proprio iPhone e con l’ago che aveva nel portafoglio estrasse la SIM. Così la polizia non può tracciarmi attraverso le celle telefoniche. Tolse la scheda anche dal cellulare che aveva sottratto all’agente ucciso e la infilò nella tasca della borsa insieme alla sua. Formattò il dispositivo per assicurarsi che non contenesse alcuna app di geolocalizzazione. E due. Afferrò il terzo telefono. La polizia non era al corrente di quel numero, quindi la SIM non era tracciabile. Ma temeva che i sequestratori riuscissero a identificare la posizione dell’apparecchio. Devo liberarmene. Tirò fuori la scheda e la inserì nel cellulare del poliziotto, per potere ricevere eventuali chiamate. Poi scese dall’auto e lanciò quello anonimo in un fosso.
«Adesso possiamo andare in hotel.»
Un quarto d’ora più tardi parcheggiava nel cortile interno, dietro la siepe.
«Bentornata!» Uno dei proprietari la accolse sorridendo. «Ho saputo delle sue disavventure alla Madonna del Monte…»
Niente in confronto alle ultime. «Me la sono cavata.»
«Non la aspettavamo per cena.»
«Sono di passaggio. Posso avere la chiave?»
«Certamente! Vuole che la accompagni?»
«Sì, per piacere.» Così non avvisi subito Guelfi.
Una volta in camera, mise in un sacchetto i due libri che le aveva lasciato Theodore. «Fatto!»
«Se ne va già?»
«Toccata e fuga. Sarebbe così gentile da chiamarmi un taxi?»
«Ci vorrà una decina di minuti.»
«Nessun problema, attendo fuori.»
«Posso offrirle qualcosa da bere, intanto?»
«Sono a posto, grazie.» Gli tese le chiavi dell’auto. «Però le chiedo un altro favore.»
«Volentieri.»
«Informi Guelfi che la pantera è qui.»
«La pantera?» L’ex poliziotto la scrutò.
«L’ho lasciata sul retro, vicino alle aiuole.»
Katherine uscì, sforzandosi di apparire tranquilla.
Aveva intravisto un bar poco lontano. Appena fu certa di essere fuori dal campo visivo del proprietario e dei suoi collaboratori, allungò il passo.
Assi di legno sostituivano le panche davanti a tavoloni coperti con tovaglie di plastica. I clienti erano quasi tutti uomini, molti dei quali intenti a giocare a carte. Accanto al banco frigo alcuni ragazzi si sfidavano a calcio balilla bevendo birra.
«Per cinquanta euro, chi di voi mi dà uno strappo?»
Quello con i capelli rasati sopra le orecchie rispose per primo: «Miss, per cinquanta euro la porto in capo al mondo».
«Allora muoviamoci, sono di fretta.»