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Guelfi abbassò lo sguardo verso il petto: la forza con cui si era scaraventato contro lo spigolo della teca di vetro aveva distrutto la telecamera sul giubbotto esplosivo.
L’uomo con i dreadlocks stava salendo le scale: doveva essere veloce. Spietato. E sperare che non fosse arrivata la sua ora.
Costretto a camminare lungo il perimetro, aveva perlustrato l’intero piano, valutato spazi e calcolato tempi. Le possibilità di successo erano minime, ma non avrebbe aspettato che Roger decretasse il suo destino.
Prima di agire aveva considerato i rischi. Ed era giunto alla conclusione che se Roger li aveva risparmiati era perché gli servivano. Consapevolezza che lo rassicurava sulla decisione di intervenire: qualora il suo attacco fosse fallito, avrebbero fatto saltare in aria solo lui.
Ferri era diventato una pedina strategica per negoziare con la polizia. Non sapeva cosa avessero in mente per De Luca, ma era certo che non potessero permettersi di perdere due ostaggi in un colpo.
Corse a nascondersi nel vano accanto agli ascensori, lontano dal raggio degli occhi elettronici. Era questione di attimi: se nessuno avesse avvisato il Falco, sarebbe riuscito ad aggredirlo di sorpresa.
La vita era stata benevola con lui, si augurò che non cambiasse idea proprio in quel momento.
«Cuore Impavido?»
Si è fermato al piano sotto. Guelfi imprecò tra sé.
«Che cazzo vuoi, femminuccia?»
De Luca, non provocarlo… non adesso…
«Hai sentito cos’ha detto il capo? BUM!»
«Vieni a succhiarmelo!»
Guelfi si rese conto di non avere scelta. Entro pochi secondi qualcuno avrebbe controllato gli schermi dei computer e scoperto che la sua telecamera era fuori uso. Si precipitò giù dalle scale.
Il Falco aveva lasciato il pianerottolo e procedeva deciso verso l’interno della sala. Gli dava le spalle. Non avrebbe voluto coinvolgere De Luca, ma con il suo aiuto sarebbe stato più facile, visto che entrambi avevano i polsi ammanettati dietro la schiena.
Appena De Luca si accorse di lui, alzò i toni.
«Ti piacciono i cazzi, non è vero? Con quei capelli da fighetta…»
«Adesso vediamo chi è la fighetta.»
De Luca arretrava lentamente. E quando Guelfi fu a una distanza ragionevole, iniziò a salterellare sul posto come un pugile. «Me la fai una sega, stronzo?» Dopo avere ondeggiato a destra e a sinistra, balzò indietro per attirare l’avversario verso di sé.
Guelfi si lanciò in avanti con uno sgambetto: mentre il Falco muoveva il passo, con il piede gli agganciò la caviglia e gliela spinse con violenza contro l’altra.
Il Falco perse l’equilibrio e cadde. Nell’istante in cui toccò terra, De Luca lo colpì con un calcio alla faccia. Nel dubbio che l’osso nasale non fosse penetrato nel cervello, gli sferrò una pedata ancora più forte per spezzargli il collo.
«Riprendi a camminare!» disse Guelfi, mentre si chinava sul cadavere alla ricerca delle chiavi per aprire le manette.
De Luca esitò.
«Sbrigati!»
«Okay.»
Le chiavi erano nella tasca posteriore dei pantaloni. Una volta liberati i polsi, Guelfi individuò le telecamere e trascinò il corpo in un angolo buio, dietro la teca che conteneva un sarcofago mummiforme decorato con lamine d’oro. Gli sottrasse anche il cellulare. Sebbene fosse bloccato da una password, se lo infilò in tasca, prima di impugnare l’MP5 e tornare da De Luca.
Aspettò che fosse di spalle per sganciargli le manette.
«Rimani qui, qualsiasi cosa succeda.»
«Vengo con te!»
«Non discutere, è un ordine.»
Mentre correva verso l’ascensore, pensò alla mossa successiva.