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«Cerca di riposare.»

«Prometto che ci provo.» Katherine strizzò l’occhio a Guelfi.

«L’hotel non è di lusso, ma è sicuro. I proprietari sono miei ex colleghi e hanno allestito qualche camera per ospiti speciali: porta blindata, vetri antiproiettile… e buona parte del personale ha un addestramento militare. Comunque, lascio un paio di agenti all’ingresso.»

«Grazie.»

«Passo a prenderti domani alle sei. Nel frattempo, qualsiasi cosa ti venga in mente o ti serva, chiamami.»

«Adesso voglio solo un materasso.»

Guelfi grattò un orecchio a Tremilla. «Buonanotte anche a te, piccolina.»

Katherine aspettò di vederlo svanire oltre il corridoio, prima di girare la chiave nella serratura. Il letto sommerso dai cuscini bianchi aveva l’aria comoda, ma il vassoio appoggiato al tavolino era più invitante. Mangiò una fetta di pizza, poi affondò la forchetta nella crostata di frutta e si diresse in bagno con la bocca piena. Dopo essersi svestita, frugò nel contenitore accanto al lavandino alla ricerca di una cuffietta. Ne trovò due e le usò per impacchettare le mani. Entrò nella doccia desiderosa di lavare via la tensione accumulata nelle ultime ventiquattro ore. L’acqua tiepida che le lisciava i capelli le sembrò una conquista: rimase immobile sotto il getto per godersi quella sensazione di solitudine e silenzio.

Con un asciugamano avvolto a turbante sulla testa e la pelle ancora umida, tornò a finire la torta. Anche il sapore dell’uva con cui concluse il pasto era un toccasana per l’umore.

«Lo vuoi un po’ di pollo?»

Tremilla non si mosse dal tappeto.

«Sei stravolta pure tu…» La prese in braccio per metterla sul letto. «Ci facciamo una bella dormita, ti va? Dammi solo dieci minuti che chiamo la nonna.»

Afferrò il cellulare, ma cambiò subito idea. Non se la sentiva di telefonare alla madre. Prima di partire per l’Elba l’aveva informata della morte di Theodore, senza entrare nei dettagli. Si era limitata a dirle che le cause del decesso erano ancora ignote e che si sarebbe recata sul posto. Non le aveva nemmeno raccontato di avere riportato ferite nel tentativo di salvare Jessica. Sebbene negli ultimi anni lo stato psichico di Ellen fosse migliorato, il suo equilibrio continuava a essere labile. Spiegarle l’accaduto significava allarmarla. E quand’era in ansia, diventava ingestibile. A chilometri di distanza e nel mezzo di un’indagine non sarebbe stata in grado di prendersi cura di lei. Per stasera vediamo di fare in un altro modo.

Si distese vicino a Tremilla. Sforzandosi di sorridere, scattò un selfie. Glielo mandò con scritto: “Giornata estenuante, ma finalmente siamo in hotel. Ti chiamo domani”. Chiuse con un cuoricino e si augurò che bastasse.

Era in momenti come quello che il vuoto creato dalla morte del padre si faceva immenso quanto un abisso. Ellen non aveva mai accettato che un incidente glielo avesse portato via. In autostrada un camion si era ribaltato e aveva invaso la corsia opposta, travolgendo parecchi veicoli e facendo esplodere un furgone. Quelle fiamme che non le avevano restituito un corpo su cui piangere le davano l’illusione di sentire Vincent ancora accanto a lei. Katherine capiva il tentativo di sopravvivere al dolore, ma non sempre aveva lo spirito di averci a che fare. E se in passato era suo padre a infonderle energia e ad appianare i picchi emotivi di Ellen, da tempo aveva imparato ad affrontare un doppio abbandono. Per l’ennesima volta si chiese come sarebbe stato avere una madre meno focalizzata su se stessa e più disposta ad ascoltare, a condividere. A essere di supporto.

Perché mi lascio schiacciare sempre dalla solita amarezza?

Si alzò per prendere della biancheria pulita. Guelfi aveva appoggiato un sacchetto sopra la valigia. Ci sbirciò dentro: erano i libri trovati nella cassetta di sicurezza di Theodore. Provò malinconia nel vedere l’ultimo scritto di suo zio vicino al proprio. E si sentì in colpa per non averlo letto. Per non avere mai letto niente di suo.

Dalla borsa tirò fuori i due soldatini e l’orologio da tasca. Mise tutto sul letto.

Tremilla iniziò ad annusare.

«Sei incuriosita? Questo è “ciò che non è andato perso”, secondo Theodore.»

Il naso della cagnolina pulsava come quello di un segugio.

«Sapeva dell’esistenza dei guardiani della storia. Se ha sfogliato i miei libri, ha scoperto che anch’io li conosco.» Riempì un bicchiere con del succo d’ananas. «Si sarà domandato il motivo? Guardando i miei occhi, si sarà fatto venire il dubbio che potessi essere una di loro?»

Tremilla drizzò le orecchie, come faceva ogni volta che si rivolgeva a lei.

«Eppure mai una parola.» Bevve un sorso. «Ha dovuto morire per parlarmi dei guardiani. Che senso ha?»

La chihuahua scodinzolava.

«Hai ragione: è ora delle coccole, il resto può aspettare.» Si sedette, lanciando un’occhiata al saggio sull’ultima campagna di Napoleone. «Sai cosa mi preoccupa?»

Tremilla le saltò sul petto, e lei si lasciò cadere all’indietro.

«Theodore non voleva solo svelarmi che Napoleone era un guardiano. Mi ha portata sulla punta dell’iceberg perché vuole che scopra il mondo che ci sta sotto.»

Si svegliò di soprassalto appena Tremilla balzò giù dal letto. Non si era neanche accorta di essersi addormentata.

«Cosa c’è?» La seguì con lo sguardo fino all’ingresso.

La cagnolina non abbaiava. Spingeva il muso contro la fessura della porta e grattava con la zampa.

«Sì, ho sentito…»

Il rumore era costante, sembrava che qualcuno bussasse. Capì solo quando udì un guaito.

Non fece in tempo ad aprire, che Maat era già dentro.

«Ehi, come hai fatto a trovarci?» Mentre si chinava per salutarla, notò che la taschina della felpa era gonfia: conteneva un foglio di carta piegato in quattro. Le parole erano scritte in stampatello, con una matita.

CIAO, OCCHIONI. NEL CORRIDOIO DELLA SPA C’È UNA FINESTRA CHE DÀ SUL RETRO: RAGGIUNGI LA SPIAGGIA E VAI VERSO LE LUCI. LASCIA IL TUO CANE IN CAMERA.

A Katherine non piaceva Zeno. Ma era amico di suo zio, Maat ne era la prova. Se voleva fare un passo avanti nelle indagini, non poteva ignorarlo. Informare Guelfi l’avrebbe messa tranquilla, ma temeva di mandare in fumo l’abboccamento. Ripiegò il biglietto e lo inserì nel libro di Theodore. Margherita e Guelfi erano presenti quando Zeno l’aveva chiamata “Occhioni”: se fosse scomparsa, sarebbero risaliti a lui.

Si spazzolò i capelli scorrendo l’opuscolo dell’hotel per individuare il centro benessere. Dopo avere indossato una camicia di jeans, ruppe un biscotto e lo spartì tra le cagnoline.

«Siete pronte a farmi da guardie del corpo?»

Senza ripensamenti, infilò Tremilla nella borsa. Agganciò il cartellino “Non disturbare” alla maniglia esterna e uscì dalla stanza.

Appena le porte dell’ascensore si spalancarono nel seminterrato, sporse la testa per verificare che non ci fosse nessuno. Le luci si accesero di colpo, controllate dai sensori. Nonostante la spa fosse chiusa, il profumo di oli essenziali invadeva il piano.

Le finestre che si affacciavano sul giardino erano tre. Provò ad aprirle, ma una sola non era bloccata. Prima di scavalcarla, sollevò Maat sul davanzale.

«Scommetto che sai dove andare.»

Maat attraversò il prato di corsa.

Tenendosi lontana dai lampioni, Katherine si lasciò l’edificio alle spalle e costeggiò la siepe in direzione del mare. Voci maschili la costrinsero a rallentare. Camminò circospetta, finché scorse un gruppetto a bordo piscina. Non riusciva a capire se fossero ospiti o personale della struttura. Scartando l’ipotesi di rientrare, decise di attendere. Quando una donna si gettò in acqua tirando gli altri dentro con sé, ne approfittò per imboccare il vialetto che scendeva verso riva sotto i pini marittimi.

I faretti incastonati nelle passatoie di legno aiutavano la luna a illuminare la spiaggia. Solo uno degli ombrelloni era aperto: contò cinque ragazzi, stravaccati a bere e a fumare sui lettini. Erano sul lato in cui il golfo pareva chiudersi tra gli scogli. Si affrettò dalla parte opposta.

I piedi che affondavano nella sabbia producevano un suono leggero, che in una circostanza diversa avrebbe apprezzato. Dovette percorrere un lungo tratto di battigia buia, prima di incontrare altri lampioni.

Maat si dimenava sul muretto che separava la spiaggia da un sentiero sterrato. Saltava su e giù, zampettando intorno a un chiosco con le serrande abbassate.

«Ma quanta vitalità hai?» Katherine la raggiunse. «Dobbiamo fare ancora tanta strada?»

«Avevo scritto di mollare il cane in camera.»

Katherine sobbalzò, mentre Zeno spuntava da dietro il chiosco.

«La vuoi smettere di spaventarmi?»

Tremilla ringhiava.

«Volevo sincerarmi che non fossi seguita. Perché hai portato il cane?»

«Si chiama Tremilla.»

«La domanda non cambia.»

«Tempo fa mi hanno ucciso il gatto. Ho promesso a me stessa di non lasciare mai più i miei cuccioli da soli.»

Zeno superò il muretto per raggiungere una Honda Africa Twin. «Non ho un casco della sua misura.»

Lei rimase di stucco. «Devo salire lì?»

«Sì. E questo te lo devi mettere in testa.»

Katherine lanciò un’occhiata al casco che Zeno le tendeva con la mano sinistra, mentre con la destra spalancava il bauletto sul parafango posteriore della moto per sistemarci Maat.

«Non credo sia una buona idea…»

«Chiudi la cerniera della borsa e tienila davanti, contro la mia schiena.»

«Non hai capito. Io non…»

«Strano, avrei giurato che fossi una sportiva.»

Lei gli strappò il casco dalle dita. «Dove andiamo?»

«Sali.»

Prima di posizionare la borsa sul sedile tra lei e Zeno, Katherine si assicurò la tracolla al collo. E sperò che il viaggio durasse poco.

Una volta abbandonato lo sterrato, la guida prudente del sacerdote le consentì di calmarsi. Pur stando attenta a risparmiare oscillazioni a Tremilla, allentò la tensione delle braccia e spostò lo sguardo sul tragitto. Non conosceva la destinazione: cercava di memorizzare i cartelli e di fissarsi dei punti di riferimento.

Si accorse che si stavano dirigendo verso l’entroterra quando la strada iniziò a salire. Tornante dopo tornante raggiunsero un agglomerato di case arroccato su una collina. I bagliori della costa erano lontani, si intravedevano tra le piante. Procedettero lungo i muraglioni di pietra che nascondevano viuzze anguste e gradoni medievali, per poi girare attorno al borgo e arrampicarsi ancora.

Fiancheggiarono un’antica fortezza. A Katherine non sfuggì che le abitazioni si erano diradate e le curve si susseguivano strette e ripide in una vegetazione sempre più rigogliosa. La rete che accompagnava il sentiero scosceso non le dava alcuna sicurezza. Ma appena si interruppe, la rimpianse.

Dai sobbalzi intuì che fosse finito l’asfalto. Un salto deciso la costrinse ad aggrapparsi a Zeno: il contatto con i suoi addominali tonici aumentò la sensazione di disagio. Ritrasse le mani.

Aveva ricominciato ad agitarsi: Zeno conduceva la moto tra sassi e buche, in un continuo accelerare e rallentare. Microcambi di potenza e di direzione che la irrigidivano. Le vibrazioni, il fondo sconnesso e l’oscurità mettevano a dura prova il suo sistema nervoso. Era in preda alle contrazioni muscolari, e ogni volta che le ruote perdevano aderenza, temeva di venire sbalzata via dalla sella.

Quando l’enduro si fermò di fronte a una cappella della Via Crucis, ebbe l’impressione di avere viaggiato per ore e per centinaia di chilometri.

«Sei tutta intera?»

«Più o meno.» Katherine aprì la borsa per accertarsi che lo fosse anche Tremilla.

Zeno accese una torcia. «Andiamo.»

Katherine seguì Maat che, scesa dalla moto, stava tornando indietro sul sentiero da cui erano arrivati.

«Non di lì… di qua» la richiamò lui.

«Pensavo…»

«Maat va a controllare che non ci sia nessuno.»

Katherine non era sicura di avere colto il senso e rimase a fissare la cagnolina che veniva inghiottita dalla notte.

«Tuo zio le ha insegnato molte cose.»

«Non mi hai detto da quanto vi conoscevate.»

«Fa differenza?»

«Per me sì.»

«Il tempo non è discriminante.»

Katherine si morse la lingua: era impossibile dialogare con lui. Sembrava provasse piacere nel farla sentire fuori luogo. Ma lei non aveva intenzione di stare al gioco. Camminò in silenzio, in attesa di scoprire il motivo di quella trasferta.

«Fare la permalosa non ti si addice.»

«Ho capito che non ti va di parlare. E di non starti simpatica. Che altro dire? Lo rispetto.»

«Il mio parere non conta.»

«Però mi hai cercata. Mi hai portata qui.»

«Me l’ha chiesto Theodore.»

«Perché?»

«Lo devi sapere tu.»

«Balle! Non conosco questo posto.»

Senza replicare, Zeno allungò il passo. Appena la boscaglia sfumò su una radura, rivolse la torcia contro un muretto. Su una lastra di pietra era stato scolpito il nome del sito.

Katherine lo lesse a voce alta: «Santuario della Madonna del Monte».

Più avanti la luna rischiarava una chiesetta. La sua attenzione fu rapita dalla torre merlata del campanile.

«No, non è vero… ci sono già stata.»

«Sei stata ovunque, devi solo avere voglia di ricordare.»