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«Et voilà…» Margherita chiuse l’ultima fasciatura con un cerotto. «Guarda qui, che capolavoro!»

Katherine roteò le mani. «Sei un’infermiera provetta.»

«Almeno sono serviti a qualcosa tutti quei corsi di primo soccorso. A Tommaso roderà vedere che il mio bendaggio è migliore del suo.» Rise con gusto. «Che ne dici? Lo avvisiamo della nostra scoperta bomba?»

Katherine sbirciò l’ora sul cellulare. «Sono quasi le sei e un quarto, è strano che non si sia ancora fatto sentire.»

«Telefonagli tu, che a te risponde di sicuro.»

«Proviamo.»

Margherita raccolse le garze sporche e le infilò nel bidone della spazzatura che teneva sotto il lavandino. «È staccato?»

«Suona libero.»

«Sarà ancora infognato con il problema in ospedale.»

«Almeno ci prendiamo una pausa: tu ti rilassi un attimo, io torno in hotel a darmi una sistemata. E se ci chiama, decidiamo quando e dove vederci.»

«Per me è okay.» Margherita sollevò Tremilla dal divano. «Ciao, piccolina.»

Katherine la abbracciò. «Grazie ancora per tutto.»

«Ma scherzi?»

La voce che proveniva dal pianerottolo le distrasse. Margherita aprì la porta: uno dei due agenti era al telefono, visibilmente agitato.

«Qualcosa non va?» domandò Katherine all’altro.

Lui le fece segno di attendere.

«Tutto chiaro… ci penso io…» Dopo avere annuito più volte, il poliziotto chiuse la chiamata. «Era il capo.»

«Ci sono novità?»

«Sarà qui tra un’ora.»

Katherine arricciò il naso. «Stavo per chiedervi di accompagnarmi in albergo. Non ci sono ancora passata da quando ho lasciato l’ospedale stamattina e ho bisogno di rinfrescarmi.»

«Non è possibile.»

«Perché?»

«Il capo vuole parlarle appena arriva.»

«Non ha risposto alla mia telefonata… anch’io avevo urgenza di parlargli: abbiamo fatto passi avanti importanti in queste ore.»

«È impegnato nelle indagini.»

«Può fargli uno squillo, per favore? Gli dica che preferirei se ci incontrassimo più tardi, magari direttamente in hotel.»

«No, mi spiace, dobbiamo aspettare.»

«Katherine?» Margherita le sfiorò il gomito. «Non importa, in qualche modo facciamo.»

Lei scrutò l’agente. «Guelfi le ha comunicato altro?»

«Non sono autorizzato a condividere informazioni… mi capisca, sto eseguendo gli ordini.»

«Certo.» Katherine si morse il labbro e tornò in casa insieme a Margherita. «È successo qualcosa.»

«Perché dici così?»

«Non ti è sembrato troppo categorico?»

«Ma no, sta solo facendo il suo lavoro. E poi, cos’altro potrebbe essere capitato?»

«Forse Tommaso ha scoperto qualcosa da Zeno.»

Margherita alzò le spalle. «Inutile romperci la testa, tra un’oretta lo sapremo.»

Katherine la vide dirigersi in camera da letto.

«Ascolta la mia proposta…» Margherita comparve con in mano un accappatoio. «Ti fai una doccia in santa pace.» La invitò a seguirla in bagno. «Lì ci sono saponi di ogni tipo e shampoo. Quando esci, dai un’occhiata nell’armadio e scegli quello che vuoi.»

Sebbene Katherine volesse limitare il disturbo, sentiva la necessità di buttarsi sotto l’acqua per liberarsi della polvere sollevata al cimitero. Decise di accettare, promettendosi di trovare presto un modo per sdebitarsi.

«Ancora un attimo…» Margherita corse all’angolo cottura e si mise a frugare nei cassetti. Agitò la pellicola alimentare. «Questa fa al caso nostro: la avvolgiamo sopra le fasciature, così non si inzuppano.»

«Giusto.» Katherine resse il rotolo, mentre Margherita ne strappava un pezzo.

«Non è il massimo…»

«Va benissimo, invece.»

«Ma sì, facciamo qualche giro…»

«Passa più in basso. Perfetto.»

«Ecco fatto! Ora dammi l’altra.»

Katherine si rese conto che con la sua semplicità, Margherita aveva il potere di alleggerire ogni tensione. La lasciò armeggiare, godendosi quel momento di spensieratezza.

«Impacchettate per le feste.»

«Grazie.» Mentre si spostava verso il bagno, esaminò la porta scardinata.

«Tranquilla, dico ai due 007 di non entrare in casa.»

«Tu dove vai?»

«A organizzare la cena, visto che rimarremo qui.»

«Aspetta! Ci sarà qualcuno che fa cucina da asporto e che può portarci qualcosa, no? Ci terrei a offrire io.»

Margherita le strizzò l’occhio. «In questa palazzina siamo in pochi, ci conosciamo tutti e ci aiutiamo a vicenda. Al piano di sotto vive una tipa strampalata a cui do lezioni di francese: soffre di depressione e cucina per tenersi impegnata. Spadella notte e giorno e da qualche settimana ha iniziato a fare le pizze, si è anche dotata di un forno professionale… insomma, una delle migliori napoletane che abbia mai mangiato. Adesso mi informo su quanti saremo e le chiedo di sfornare pizze a volontà.»

«Permettimi di pagare.»

«Detto tra noi, io le ore di francese gliele regalo!»

«Dai, su…»

«Poi vediamo.» Margherita si precipitò fuori.

Sbottonandosi la camicetta, Katherine si avvicinò allo specchio. L’immagine le restituiva la stanchezza accumulata. Per un istante si sforzò di dimenticare la stele, Theodore, Guelfi. Ammucchiò i vestiti sporchi in un angolo e notò con dolcezza che Tremilla ci si accucciava sopra.

Entrò nella doccia impaziente di abbandonarsi all’abbraccio dell’acqua calda, ma nella testa continuava a sentire il suono affettuoso della voce di Angelica che parlava alla sua bambina. Lasciava vagare quella visione nella mente, assecondando le sensazioni che generava. Angelica era un guardiano consapevole, impavido, combattivo. Pianificava il futuro con intelligenza. Decideva senza esitazione. Conosceva il proprio ruolo e lo esercitava sconfiggendo il tempo. E lei non aveva percepito fragilità nemmeno quando aveva guardato attraverso i suoi occhi colmi di lacrime. Tanto da associare quella determinazione alla forza di chi ha scelto di lottare da solo per raggiungere l’obiettivo senza mettere in pericolo la vita di altri.

In quello scenario, mai si sarebbe aspettata di vederla mamma.

Chi è il padre? Non nutriva dubbi. Poteva solo essere colui che aveva realizzato il tempio segreto per aiutarla a nascondere il lituo. Un costruttore ingegnoso, che si era spinto in luoghi lontani, fino a conoscere le città cavernose degli ittiti dalle quali aveva preso spunto. Uno stratega potente, con un esercito a disposizione per sventrare un’intera collina. Un uomo innamorato, che aveva convogliato ogni risorsa in quella missione.

Però Angelica non era con lui quando ha partorito… si sentiva braccata. Sarà riuscita a fargli sapere della bambina prima di morire? Le riflessioni la portarono al rogo. Dov’era sua figlia, quando lei è stata condannata al patibolo come una strega? Ricordò gli occhi di Angelica che guizzavano sulla folla: aveva immaginato che cercassero il costruttore stratega per dirgli addio, per condividere paura e dolore. Non cercava lui, ma sua figlia.

Alzò il viso verso il getto d’acqua: l’ultima visione mutava la prospettiva di ciò che aveva scoperto fino a quel momento. I ragionamenti su Angelica e le deduzioni a cui era giunta forse erano sbagliati: il fatto che avesse una bambina apriva la strada ad altre ipotesi. Anche le sue scelte potevano essere lette in modo diverso. Forse il suo sacrificio aveva un altro significato.

Uscì dalla doccia confusa, ma con un desiderio che vinceva su tutti: conoscere il nome della figlia di Angelica.

«Tremilla?»

Si infilò l’accappatoio, lanciando un’occhiata fuori dal bagno. La cagnolina era davanti all’ingresso. «Perché stai lì? Vieni, Margherita arriva subito.»

Dopo avere tamponato i capelli con un asciugamano e tolto il Domopak dalle mani, passò in camera. La foto appesa alla parete calamitò il suo sguardo: cinque donne con lo stesso sorriso si abbracciavano come se niente potesse separarle.

L’armadio era aperto, ma sul letto Margherita aveva appoggiato un paio di jeans puliti e una camicetta blu. Li indossò senza provare altro.

Incamminandosi verso il soggiorno, si accorse che Tremilla era irrequieta. «Cosa c’è che non va?» Spalancò la porta e si stupì nel trovare il pianerottolo deserto. «Margherita?» Anche il vano scale era silenzioso.

Tornò indietro per prendere borsa e cellulare. «Vieni, andiamo a vedere dove sono finiti tutti.»

Scese i gradini, convinta che i poliziotti avessero accompagnato Margherita dall’inquilina del piano di sotto. Non sapeva in quale appartamento vivesse, ma lo suppose dal rigoglioso vaso di basilico di fianco allo zerbino. Suonò il campanello.

«Chi è?»

«Mi scusi se la disturbo, mi chiamo Katherine Sinclaire. Margherita è con lei?»

Udì il rumore delle chiavi nella serratura. Il volto che le si parò di fronte era pallido, reso ancora più allungato dai capelli raccolti in una coda. «È da un po’ che non la vedo, ma mi è sembrato di sentire la sua voce qualche ora fa.»

«Forse ho sbagliato porta… è lei la cuoca? Margherita mi ha parlato delle sue pizze.»

La giovane donna arrossì. «Sì, cucinare è la mia passione.»

«Non è venuta da lei poco fa?»

«No, perché? Le serviva qualcosa?»

«No no, grazie.» Katherine non sapeva cosa pensare. Decise di scendere ancora di un piano per verificare se Margherita e gli agenti fossero nell’atrio della palazzina.

Appena imboccò la rampa di scale, vide una striscia di sangue contro la parete. Strinse Tremilla al petto e avanzò lentamente, fino a scorgere un corpo accasciato al suolo.

«Si chiuda in casa e chiami la polizia!» urlò.

Lo sbattere della porta le confermò che la cuoca aveva capito.

Faticando a tenere il respiro sotto controllo, percorse gli ultimi gradini di slancio. Un proiettile aveva attraversato la fronte del poliziotto che era stato al telefono con Guelfi. Del secondo agente e di Margherita nessuna traccia.

Ma il cellulare e il foglio accanto al cadavere anticipavano il prossimo passo:

MARGHERITA VS STELE