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Il disegno di Meg Forman – la barca dondolata dolcemente da un mare tranquillo, il sole caldo. Il posto in cui Genko voleva stare, alla fine di tutto.

Il paradiso perfetto nella mente di una bambina.

Quel luogo immaginario era un rifugio ambito, ma ancora non poteva andarci. Perché devo restare qui e guardare cosa c’è nel film, si disse.

Posizionò il proiettore sullo sgabello di Bunny il custode, sistemò la pellicola e lo orientò verso il muro. Poi spense la lampada. Nei pochi istanti di buio, prese un profondo respiro.

Quindi diede inizio allo spettacolo.

I primi fotogrammi erano a vuoto, ma presto si incominciò a intravedere qualcosa. La ripresa in Super8 era amatoriale, l’operatore non riusciva a mettere bene a fuoco. Poi l’immagine divenne più nitida.

Un interno: un elegante salotto con poltrone di cuoio, parquet e boiserie in legno scuro. La luce color seppia era concentrata soprattutto nella parte centrale dell’inquadratura, mentre le porzioni inferiore e superiore erano in ombra. Il risultato era che le persone erano perfettamente visibili soltanto dalle ginocchia al mento.

Uomini con completi eleganti – in abito gessato con panciotto, col fazzoletto nel taschino o un garofano nell’occhiello della giacca. Avevano quasi tutti un drink in mano oppure fumavano il sigaro. Conversavano amabilmente e sorridevano, mentre dei camerieri in livrea bianca passavano in mezzo a loro con vassoi di bicchieri e canapè.

Sembrava di vedere una scena d’altri tempi, pensò Genko. Un club frequentato da gente rispettabile e altolocata. Bruno aveva temuto il contenuto della bobina, ipotizzando chissà quale scena nefanda. Stava per ricredersi.

Poi lo scenario mutò improvvisamente.

Esterno. Una fitta boscaglia. L’obiettivo cercava qualcosa nella vegetazione. La trovò, mimetizzata fra i cespugli. Una ragazzina dai capelli biondi, scalza. Il vestito azzurro strappato, braccia e gambe graffiate dai rami. Si udivano solo i suoi passi sulle foglie secche. Poi un rumore, la ragazza si voltò, impaurita. Qualcuno rise.

Genko si sporse in avanti per cercare di capire chi fosse la giovane, ma il film mutò di nuovo.

Ancora un bosco, ma stavolta era un cartone animato che sembrava risalire agli anni Quaranta. Un grande coniglio con gli occhi a forma di cuore in mezzo a un grande prato. Bunny era seduto su un tronco e spiegava qualcosa a due bambini che si erano accomodati sulle sue grandi zampe. Una farfalla passò sulle loro teste, il vento smosse le foglie di un albero.

Uno stacco improvviso. Gemiti.

Una donna nuda impegnata in un rapporto sessuale con due uomini incappucciati. Era distesa su un grande altare di marmo circondato da candele e da coltelli. La donna aveva i capelli sciolti sulle spalle, la pelle ricoperta da una sottile patina di sudore. Teneva gli occhi chiusi mentre i due uomini la penetravano a turno, violentemente. Nelle grida di piacere si celavano parole incomprensibili. Una specie di invocazione o di preghiera.

Un nuovo stacco, un altro ambiente.

Una stanza illuminata dalla luce del giorno, una sedia vuota. Sul muro la scritta «Amore». L’operatore indugiava inspiegabilmente sulla scena. Poi, di colpo, la stanza diventò buia. Sulla sedia era legato un uomo nudo, il capo abbandonato in avanti. La scritta alle sue spalle era appena visibile. L’operatore avanzò velocemente verso il prigioniero, aveva in mano qualcosa, forse una lama. L’uomo sollevò il capo, urlò.

Genko si ritrasse come se stesse succedendo a lui. Ma la scena tornò di giorno. La sedia era di nuovo vuota. Tutto tranquillo.

Altro stacco.

Il cortile di una scuola. Bambini coi calzoni corti che giocavano a rincorrersi. L’operatore li seguiva a distanza, nascosto dietro un’inferriata. Puntò uno dei ragazzini. Era diverso dagli altri. Era albino. Quello si fermò, come se un sesto senso lo avesse avvertito di un pericolo. Si guardò intorno, ma poi riprese a giocare come se niente fosse.

Un frenetico montaggio di sequenze. Una donna anziana che allattava al seno un neonato. La tenda di un circo piantata in mezzo a una pianura desolata. La parola «Rosso». Un uomo senza gambe che si trascinava cantando. Un televisore che trasmetteva la vecchia reclame di un detersivo. La parola «Orgasmo». Due donne con indosso cappucci neri si accarezzavano e si toglievano i vestiti. La parola «Luce». Un funerale sotto la pioggia. Ancora pornografia. Sangue. Simboli di morte. Genko era stordito dal continuo cambio di scena. Ma anche profondamente inquietato dalle immagini. Si interrogava su cosa esattamente stesse guardando e sul perché il custode di una parrocchia possedesse quel filmato.

Altra scena.

Un luogo indefinibile, buio profondo perforato dal raggio polveroso di una torcia. L’operatore stava camminando su un pavimento sconnesso, si sentiva solo il rumore dei suoi passi, ruvidi e pesanti, che si perdeva nell’eco di una grande sala vuota. Stava cercando qualcosa, ma intorno a lui non c’era nulla. Si fermò, in ascolto. Si udì un brusio di piccole voci lontane. L’operatore scartò verso la propria destra, la torcia si mosse velocemente, perlustrando l’ambiente. Mentre il fascio scorreva su una parete di mattoni, per un attimo Genko vide apparire un brulicame. La torcia si bloccò e tornò indietro per inquadrare meglio. In un angolo, scovò un gruppetto di occhi spaventati. Ragazzini a torso nudo che si stringevano fra loro cercando di sottrarsi al loro inseguitore. Sette o forse otto, sui dieci anni. L’operatore s’incamminò con calma verso di loro. Ma stavolta non era solo.

Dalle sue spalle avanzarono delle ombre scure. Figure umane che lo superarono e andarono incontro ai ragazzini...

Il proiettore ingoiò l’ultimo pezzo di pellicola e le immagini scomparvero dal muro, lasciando Genko con un mucchio di domande e una sensazione sgradevole nell’anima.

Ciò a cui aveva assistito era a dir poco surreale. E malvagio – sì, malvagio. Quale mente disturbata aveva concepito una cosa del genere?

Nel seminterrato della chiesa, al buio, Bruno si pentì di aver iniziato l’indagine, e d’essersi incaponito a tenere fede a un patto stretto quindici anni prima con i genitori di Samantha Andretti e anche con lei. Non era così che avrebbe voluto concludere la propria vita, avrebbe preferito non conoscere l’assurda e dolorosa verità. Cioè che la natura umana era capace di genio e bellezza, ma anche di generare abissi oscuri e nauseabondi come quello che si era appena richiuso davanti ai suoi occhi.

Per fortuna gli uomini muoiono, si disse. E William il custode stava appunto morendo. Ma prima che la dea nera trovasse entrambi, Genko doveva fare una chiacchierata con Bunny.

L'uomo del labirinto
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