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«Venga dietro di me e stia attento a dove mette i piedi.»
Tamitria Wilson aveva aperto una botola nel pavimento di un ripostiglio, svelando una scala che conduceva nel sottosuolo. Munita di una torcia, aveva cominciato a scendere lentamente i gradini col bastone. Genko la seguiva, ma aveva anche paura che cadesse.
«Mi spiace, ma qui sotto non c’è corrente» si scusò lei mentre puntava la luce. «La fattoria va in pezzi, ma non ce la faccio più a mandarla avanti. Ci ho provato, ma un giorno ho deciso che la casa sarebbe invecchiata insieme a me. Siamo entrambe piene di acciacchi, ma nessuno può farci niente.»
Bruno collegò il pensiero di un’anziana sola in una grande casa con quello del telefono che non funzionava. Se si fosse sentita male o avesse avuto un incidente, Tamitria non avrebbe nemmeno potuto chiamare i soccorsi. I suoi adorati cagnolini avrebbero banchettato col cadavere.
«Avrei dovuto andarmene da un pezzo» disse la vecchia. «Ma questo è l’unico posto che conosco.»
Intanto Bruno si teneva al corrimano e sentiva scricchiolare le assi di legno a ogni passo. Non riusciva a capire dove stessero andando. La cosa un po’ lo preoccupava, perché Tamitria Wilson non aveva voluto fornirgli spiegazioni: doveva vedere con i suoi occhi, altrimenti non avrebbe capito – così si era giustificata. Chi era Bunny? La vecchia non aveva appena detto di essere sola in quella casa? Era possibile che il prolungato isolamento non le avesse giovato, considerò. Forse ora non ci stava più tanto con la testa. Genko avrebbe voluto soltanto raccogliere informazioni sul destino di Robin Sullivan e andare via, ma adesso non aveva altra scelta che seguirla nel sottosuolo.
Quando finalmente giunsero ai piedi della scala, Tamitria spaziò col fascio di luce nell’ambiente.
Era un magazzino in cui erano stati accantonati letti di ferro arrugginiti, materassi, mobili, scatole e cianfrusaglie varie. C’era talmente tanta roba che era impossibile stabilire quanto fosse ampio il locale.
«Dopo la morte di mio marito sono andata avanti ancora un po’» spiegò la donna mentre si addentrava claudicante fra armadi traboccanti e cataste di oggetti. «Poi, però, il governo ha smesso di aiutarci, non ho potuto assumere altro personale e ho dovuto arrendermi.»
«Quando è successo?» domandò Genko.
«L’ultimo ragazzo speciale ha lasciato il nido più o meno nove anni fa.»
«E Robin?»
Tamitria si appoggiò al braccio di Genko per scavalcare un mucchio di scatole che erano cadute da una pila. «Se n’è andato quando ha compiuto diciotto anni, come gli altri del resto. Almeno l’ho aiutato a prendere il diploma» aggiunse con fierezza.
Bruno aveva paura che la donna potesse inciampare in mezzo a tutto quel ciarpame. «Non ha più avuto sue notizie? Non ha un indirizzo o un numero di telefono?»
«Una volta mi ha spedito una cartolina da una località turistica a sud della baia» rispose la donna mentre aggiravano una montagna di vecchie riviste ingiallite. «Ma poi più niente.»
I due bastardini non li avevano seguiti là sotto, e ogni tanto abbaiavano in cima alla scala. I guaiti diventavano sempre più distanti e Bruno non biasimava la loro codardia. Bunny, si ripeté. Sperava che ne valesse la pena.
Giunsero nei pressi di un muro di mattoni annerito dall’umidità. Tamitria si bloccò e puntò la torcia ai piedi della parete. Bruno fece un passo avanti e vide che sul pavimento c’era un grande baule verde con le finiture in ottone, come quelli di una volta. Il coperchio era chiuso con un lucchetto.
«Ecco» annunciò la vecchia signora. «Lì dentro c’è Bunny.»
Genko ebbe la sgradevole impressione di trovarsi al cospetto di una bara. La donna non aggiunse altro: gli passò la torcia, posò il bastone per terra e si inginocchiò con fatica davanti alla cassa.
La vide trafficare con una collanina. Se la tolse e Bruno intuì che vi fosse appesa una chiave perché, subito dopo, Tamitria si dedicò al lucchetto. Quando ebbe finito di sfilarlo dagli anelli di ferro, sollevò il coperchio. Genko non si mosse.
«Mi faccia luce, per piacere.»
L’investigatore si avvicinò e illuminò il contenuto del baule.
Dentro c’erano solo lenzuola candide e asciugamani ricamati. Un antico corredo.
«Ho pensato di custodire Bunny qui in mezzo, perché non sapevo dove metterlo» disse la Wilson mentre rovistava fra la biancheria. «Forse avrei dovuto gettarlo via, ma una parte di me mi diceva di non farlo.»
Di che stava parlando? Cosa c’era nella cassa?
Tamitria smise improvvisamente di cercare. Bruno capì che aveva trovato qualcosa, ma la schiena della donna gli ostruiva ancora la visuale. La vecchia osservava l’oggetto tenendolo fra le mani. «Bunny» le sentì dire a bassa voce, come se avesse appena incontrato un amico che non vedeva da tempo.
Finalmente, si voltò verso di lui. Stringeva al petto un libriccino.
«Bunny è arrivato qui con Robin. Controllavamo sempre il bagaglio dei ragazzi nuovi, non volevamo che introducessero in casa oggetti pericolosi per sé e per gli altri, come una fionda o un taglierino... Quando aprii la valigia di Robin Sullivan e vidi questo, capii subito che qualcosa non andava.» Lo porse a Genko.
«Ha mai provato una brutta sensazione senza riuscire a spiegarsela, signor Muster?» disse la Wilson.
Bruno si stupì a esitare per un breve momento, qualcosa frenava la sua curiosità – un presentimento. Ma poi prese il libriccino dalle mani della donna e lo osservò.
Era solo un vecchio fumetto.
I colori della copertina erano sbiaditi, vi era raffigurato un grande coniglio azzurro con gli occhi a forma di cuore. L’animale aveva un’aria giocosa e tenerissima. Sorrideva. Fra le lunghe orecchie campeggiava il titolo dell’albo. Un’unica parola.
BUNNY.
«Posso sfogliarlo?» chiese alla donna.
«Certo, faccia pure.»
Genko si guardò intorno e individuò una pila di valigie. Vi appoggiò sopra la torcia, in modo da avere le mani libere. Aprì il fumetto e iniziò a esplorarne le pagine. I disegni, in bianco e nero, erano di fattura modesta. La storia narrata era alquanto infantile. Bunny lasciava il bosco per trasferirsi nel parco di una grande città. Qui incontrava un gruppo di bambini che diventavano suoi amici. Con loro giocava, si divertiva.
Il racconto e le illustrazioni non rivelavano nulla di anomalo. Però, invece di infondere gioia o serenità, trasmettevano qualcosa di disturbante. Più sfogliava le pagine, più Bruno si sentiva a disagio.
La vecchia aveva ragione, c’era qualcosa che non andava in quel fumetto.
Una cosa in particolare lo inquietò: gli adulti presenti nella storia non erano consapevoli dell’esistenza di Bunny.
Potevano vederlo soltanto i bambini.
Genko si impose di approfondire la lettura. Era cosciente di essere arrivato in prossimità di un confine sottile. E, anche se non riusciva a vedere oltre, sapeva che dall’altra parte c’era ad aspettarlo qualcosa di malvagio.
Era così concentrato da non accorgersi che già da un po’ la vecchia signora non diceva una parola. Genko non si rese conto nemmeno della lunga ombra che si sollevava sulla sua testa, né del rapido spostamento d’aria mentre il bastone di Tamitria Wilson gli calava pesantemente sulla nuca.
L’ultima immagine che vide fu Bunny che gli sorrideva.