10

Il dottor Green si protese verso di lei per sfilarle la mascherina dell’ossigeno. Poi la guardò e sorrise. «Come va adesso?»

Faticava ancora a respirare da sola.

«Lascia che i tuoi polmoni si abituino.» Le mimò anche come fare, portandosi le mani sul torace.

In effetti, la respirazione migliorava a ogni boccata d’aria. «Grazie» disse, poi si voltò verso il comodino.

Il telefono giallo era sempre lì, non era frutto della sua fantasia.

«Vuoi chiamare qualcuno?» domandò Green, che si era accorto del gesto.

«Posso?» domandò, incredula.

L’altro rise. «Certo che puoi, Samantha.»

Allora provò a tirarsi un po’ più su.

«Aspetta, ti aiuto.» La afferrò per le braccia e le sistemò un cuscino dietro la schiena. Quindi le porse l’apparecchio, posandoglielo in grembo.

Lei sollevò la cornetta e se la portò all’orecchio. Ma non sentiva nulla.

«Per le chiamate esterne devi premere il nove» le spiegò.

Lo fece e la linea risultò libera. Quel suono era piacevole, le trasmise il brivido gioioso della libertà. Poi osservò la tastiera coi numeri, e si incupì.

«Che succede?» chiese Green, che si era accorto che qualcosa non andava.

«Non ricordo nessun numero di telefono.»

«È comprensibile» provò a consolarla. «È passato troppo tempo. E magari i numeri saranno anche cambiati, non credi?»

Il pensiero la sollevò.

«Sono accadute tante cose nel mondo mentre tu eri via, Samantha.»

«Per esempio?»

«Avrai molto tempo per scoprirlo, credimi.» Prese l’apparecchio e lo rimise a posto. «È a portata di mano. Appena ti verrà in mente un numero, non dovrai fare altro che comporlo.»

Annuì, gli era grata per come le spiegava le cose – con garbo, tranquillizzandola. «Anche loro si sono dimenticati di me, non è vero?» Si riferiva ai familiari e agli amici, di cui però non ricordava nulla.

«Be’, non è stato facile per nessuno» affermò Green tornando a sedersi al proprio posto. «Con la morte si patteggia: dopo un po’, il ricordo prende il posto del dolore. Ma quando non sai che fine ha fatto una persona a cui vuoi bene, ti resta solo il dubbio. E non ti abbandona finché non ottieni qualche risposta.»

«Perché allora i miei genitori non sono qui adesso?»

«Tuo padre arriverà presto. Si è trasferito ma lo stanno cercando per dargli la bella notizia. Quanto a tua madre...» Green si rabbuiò. «Mi dispiace Sam, ma tua madre è venuta a mancare sei anni fa.»

Avrebbe dovuto provare dispiacere. Perché è così che fa una figlia quando le comunicano che sua madre non c’è più, no? Invece non provava niente. «D’accordo» si sentì dire con lucida freddezza, come a lasciar intendere che il suo cuore non aveva bisogno di «patteggiare con la morte» della donna che l’aveva messa al mondo, avendo già accettato la cosa come un fatto.

«Quando riacquisterai la memoria, troverai anche il dolore ad attenderti insieme ai ricordi» la rassicurò il dottore.

«Non sarebbe meglio di no? Lo dice come se una cosa del genere dovesse farmi addirittura bene.»

«Nessuno di noi può sfuggire alla sofferenza, Sam. Non sarebbe sano.»

«Ma lei non pensa che abbia sofferto abbastanza?» All’improvviso, s’infuriò. «E poi lei che ne sa? Che cosa ne sa, eh? Avrà la sua bella famiglia, dei figli e una moglie. E io, invece? Mi hanno rubato quindici anni. Anzi, peggio: qualcuno si è preso una parte di me.»

«Ti dice niente il nome di Tony Baretta?»

Chi è? E cosa c’entra adesso?

«Sicuramente no.» Green si rispose da sé. «Quando sei scomparsa, la tua amica Tina – la compagna di banco di cui probabilmente non rammenti nulla – riferì alla polizia che quel giorno di febbraio avevi un appuntamento con Tony: andavate a scuola assieme e ti aveva fatto sapere che aveva qualcosa da dirti.»

Temette che il resto della storia non le sarebbe piaciuto.

«Solo per questo, il ragazzo è finito in cima alla lista dei sospettati» proseguì Green. «I poliziotti sono arrivati perfino a ipotizzare che ti avesse uccisa e poi si fosse sbarazzato del cadavere.» La fissò, serio. «Io penso che invece Tony Baretta si fosse preso una cotta e volesse semplicemente dichiararsi... E come te, Tony aveva solo tredici anni.»

Trascorsero alcuni secondi di silenzio.

«Non volevo turbarti, scusami. Non sto dicendo che è stata colpa tua. Ma ciò che ti è successo si è riverberato su un sacco di persone. Sono vittime innocenti, esattamente come lo sei tu. E meritano il nostro dolore. Anche il tuo, credimi.»

Una fitta di rimorso le strinse lo stomaco. «E cosa posso fare per loro ormai?»

«Aiutami a prendere quel mostro.» Green sostituì il nastro nel registratore. «Devi sforzarti di più, Sam» le disse con inaspettata severità. «Non abbiamo molto tempo e tu devi darmi almeno qualcosa... Lo capisci questo, vero?»

«Io non so...» la frase si perse nell’incertezza.

«Magari è ancora presto per ricordare tutto, ma almeno un dettaglio: quanto era alto, che voce aveva...»

Lo fissò. «Lui non parla mai con me.»

Green non replicò subito. Prima, riavviò la registrazione. «In quindici anni, neanche una parola?»

«Pensa che sono pazza, è così?»

«Affatto» si affrettò ad affermare il dottore. «È una questione di fede.» Poi la guardò negli occhi: «Vedi Sam, molte persone sono convinte che la loro esistenza sia vegliata costantemente da un’entità superiore. Lo chiamano Dio e gli attribuiscono un potere sulle cose terrene. Anche se non possono vederlo, loro sanno che c’è. E sono anche convinti che Dio abbia a che fare con la loro presenza nel mondo e con lo scopo della loro vita. Senza di lui, si sentirebbero persi e abbandonati. Dio è un bisogno».

«Sta dicendo che ho bisogno di quel mostro? Che lo sto proteggendo?»

«No. Mi stai chiedendo di aver fede nell’esistenza di qualcuno che non hai mai visto né sentito, e io ci sto: sono con te. Ma alcune cose necessitano di una spiegazione razionale. Per esempio, come hai fatto a scappare dopo tanto tempo?»

Non riusciva a capire cosa volesse da lei il dottor Green. Cosa cercava di fare? In quel momento, qualcosa vibrò piano in sottofondo.

L’uomo estrasse il cellulare dalla giacca appesa allo schienale della sedia. Aveva ricevuto un sms. «Fra poco l’antidoto agli psicotici che ti stiamo somministrando ti aiuterà a ricordare» le disse, mentre leggeva il messaggio sul telefonino. «Ora, però, devi scusarmi un istante.»

L’uomo si alzò, diede un’occhiata alla flebo collegata al braccio di Samantha, poi si diresse verso l’uscita.

«Dottor Green...» lo richiamò lei. «Potrebbe lasciare la porta aperta?»

Le sorrise. «La accosto, può andar bene?»

Gli fece cenno di sì. Il dottore le lasciò un sottile spiraglio da cui poteva scorgere il corridoio del reparto. Non si capiva se era notte oppure giorno. Però il poliziotto di guardia era sempre lì, di spalle al lato della porta. C’era un piacevole silenzio – i suoni dell’ospedale erano presenti ma lontani. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, ma aveva anche paura di addormentarsi. Perché era sicura che nei sogni lui sarebbe tornato.

Fu allora che il telefono giallo squillò.

Una scossa di paura le attraversò il corpo, inchiodandola al letto come se sotto di lei ci fosse un’enorme calamita. Lentamente, girò il capo verso il comodino.

L’apparecchio strillava imperterrito. Pretendeva la sua attenzione.

Con la coda dell’occhio, controllò la reazione del poliziotto fuori dalla porta. Non si era nemmeno mosso. Avrebbe voluto chiamarlo, supplicare il suo aiuto. Ma l’ansia le stringeva la gola, impedendole di parlare.

Intanto gli squilli continuavano a stillare uno a uno nel silenzio ovattato. Come un richiamo, o una minaccia.

Una parte di lei negava l’evidenza. L’altra, invece, le sussurrava qualcosa che non voleva ammettere. Cioè che all’altro capo della linea c’era una vecchia conoscenza – un vecchio amico che la stava chiamando per farle sapere che presto sarebbe venuto a trovarla.

Per riportarla a casa, nel labirinto.

Avrebbe voluto alzarsi, allontanarsi dal telefono. Ma la gamba ingessata le impediva ogni movimento. Allora si voltò verso la parete con lo specchio. Green aveva detto che là dietro c’erano i poliziotti, che ascoltavano ogni loro parola. Possibile che ora non ci fosse nessuno? Sollevò la mano per attirare la loro attenzione. Contemporaneamente si voltò verso la porta e finalmente, con un filo di voce, iniziò a chiamare il poliziotto. «Scusi... Mi scusi...» disse con terrore ma anche con timidezza – consapevole che la paura rende stupidi.

Ma gli squilli se ne andarono così come erano apparsi.

Ora sentiva solo il proprio respiro ansimante. E un fischio nelle orecchie, fastidioso residuo di quel suono diabolico. Si voltò ancora verso il telefono, per assicurarsi che avesse davvero smesso. E, in effetti, era di nuovo muto.

Per fortuna, le venne in soccorso un suono familiare: riconobbe il tintinnio delle chiavi che il dottor Green portava nel moschettone attaccato alla cintura. Di lì a poco, la porta si aprì e l’uomo rientrò nella stanza. «Sam, va tutto bene?»

«Il telefono» disse lei, e lo indicò. «Stava squillando.»

Green andò verso il letto. «Tranquilla, si sarà trattato di uno sbaglio. Qualcuno avrà composto il numero per errore.»

Lei però non badò a ciò che le diceva l’uomo. Anzi, non lo ascoltò neanche. Adesso nella sua mente si era formato un pensiero nebuloso. Lo squillo del telefono aveva aperto un varco nella memoria, da cui fuoriusciva qualcosa – una reminiscenza impalpabile. Un ricordo sonoro.

«Scusi... Mi scusi...»

Era la sua voce, erano le stesse parole che aveva pronunciato poco prima cercando di richiamare l’attenzione del poliziotto di guardia. Ma ora le udiva di nuovo solo nella sua mente, perché lei stessa le aveva pronunciate in un altro tempo, in un altro luogo...

Cammina nel labirinto. Il lungo corridoio grigio termina con una porta di ferro. La porta è chiusa. È sempre stata chiusa – lei lo rammenta con assoluta certezza. Ma adesso dall’altra parte proviene un suono.

Come se stessero grattando la superficie del metallo.

È un suono insignificante, somiglia al rosicchiare di un topolino o a un insetto che mastica. Ma nel silenzio del labirinto anche il rumore più piccolo diventa enorme. E lei l’ha sentito dalla sua stanza. Ed è venuta subito a cercarne la provenienza.

Mentre si avvicina lentamente alla porta di ferro, si domanda anche cosa possa essere. Ha paura di scoprirlo, ma capisce pure che non può sottrarsi. La sua non è semplice curiosità. Ha imparato a verificare ogni dettaglio, ad approfondire qualunque cambiamento nella routine della prigione.

Perché non sa mai quando e come può iniziare un nuovo gioco.

E il suo istinto le dice che dietro quella soglia c’è qualcosa che l’aspetta.

«Scusi... Mi scusi...» continua a chiamare con assurda gentilezza, sperando di ricevere una risposta.

«Ha ragione lei» disse allora, fissando il dottor Green. «Non ero sola.»

L'uomo del labirinto
9788830450615-cov01.xhtml
9788830450615-presentazione.xhtml
9788830450615-tp01.xhtml
9788830450615-cop01.xhtml
9788830450615-occhiello-libro.xhtml
9788830450615-ded01.xhtml
9788830450615-p-0-c-1.xhtml
9788830450615-p-0-c-2.xhtml
9788830450615-p-0-c-3.xhtml
9788830450615-p-0-c-4.xhtml
9788830450615-p-0-c-5.xhtml
9788830450615-p-0-c-6.xhtml
9788830450615-p-0-c-7.xhtml
9788830450615-p-0-c-8.xhtml
9788830450615-p-0-c-9.xhtml
9788830450615-p-0-c-10.xhtml
9788830450615-p-0-c-11.xhtml
9788830450615-p-0-c-12.xhtml
9788830450615-p-0-c-13.xhtml
9788830450615-p-0-c-14.xhtml
9788830450615-p-0-c-15.xhtml
9788830450615-p-0-c-16.xhtml
9788830450615-p-0-c-17.xhtml
9788830450615-p-0-c-18.xhtml
9788830450615-p-0-c-19.xhtml
9788830450615-p-0-c-20.xhtml
9788830450615-p-0-c-21.xhtml
9788830450615-p-0-c-22.xhtml
9788830450615-p-0-c-23.xhtml
9788830450615-p-0-c-24.xhtml
9788830450615-p-0-c-25.xhtml
9788830450615-p-0-c-26.xhtml
9788830450615-p-0-c-27.xhtml
9788830450615-p-0-c-28.xhtml
9788830450615-p-0-c-29.xhtml
9788830450615-p-0-c-30.xhtml
9788830450615-p-0-c-31.xhtml
9788830450615-p-0-c-32.xhtml
9788830450615-p-0-c-33.xhtml
9788830450615-p-0-c-34.xhtml
9788830450615-p-0-c-35.xhtml
9788830450615-p-0-c-36.xhtml
9788830450615-p-0-c-37.xhtml
9788830450615-p-0-c-38.xhtml
9788830450615-p-0-c-39.xhtml
9788830450615-p-0-c-40.xhtml
9788830450615-p-0-c-41.xhtml
9788830450615-p-0-c-42.xhtml
9788830450615-p-0-c-43.xhtml
9788830450615-p-0-c-44.xhtml
9788830450615-ind01.xhtml
Il_libraio.xhtml