Fumo
Tu lo sai, Fitz, che dopo la morte di mio fratello mi sono sentito più solo che mai. Sagace era il mio re, certo, e l'uomo che comandava la mia mano, ma nelle ore in cui il castello sprofondava nel sonno, quando lui e io restavamo svegli a chiacchierare davanti al caminetto della sua stanza, era anche mio amico.
Ho avuto pochissimi amici in vita mia. Quando vivevo dietro i muri, c'erano un paio di spie con cui m'incontravo, spesso celato sotto uno dei miei travestimenti. Forse ho cominciato a dipendere troppo dalla tua compagnia per colpa di quella solitudine. Ero geloso delle tue amicizie e delle tue storie d'amore? No. Credo che la parola più adatta sia invidioso. Anche dopo essere uscito dal labirinto e aver ricominciato a muovermi liberamente per Castelcervo come messer Umbra, mi era difficile stringere vere amicizie, perché la mia storia e il mio mestiere dovevano per sempre restare segreti.
Pensa ai tuoi amici di quei tempi. Quanti di loro sapevano realmente chi eri, che cos'avevi fatto e che cosa eri capace di fare?
Lettera di Umbra a FitzChevalier Lungavista
"MATTO", sussurrai. La parola a stento lasciò le mie labbra mentre scrutavo la cella buia. Vidi il suo volto cereo, gli occhi chiusi, il pallore della mano tesa e capii con assoluta certezza che aveva scelto la fuga misericordiosa che gli avevo preparato. Mi si annebbiò la vista. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, né a parlare. Gli avevo offerto la morte. Lui l'aveva presa. Eravamo arrivati, avremmo potuto salvarlo. Perché l'avevo fatto?
Udii un sommesso stridio metallico. "Mi serve una luce!" bofonchiò Fiamma. Girai la testa e la vidi al mio fianco che armeggiava con la vecchia serratura. Giunse Lante con una grossa lampada in mano e la depositò con un tonfo accanto a lei. La fiamma non era sufficiente a illuminare la serratura, ma lei continuò imperterrita. Guardai il Matto nella luce tremolante. Sangue sul volto. Era morto da solo in una cella. Forse era meglio così, almeno non aveva subito le torture che tanto aveva temuto, ma quel pensiero non mi diede alcun sollievo.
"Andiamocene. È troppo tardi. Dobbiamo cercare Ape", sussurrai a Fiamma. Ape, mi dissi. Pensa soltanto ad Ape. Ma con un ultimo sforzo, la ragazza fece leva con due grimaldelli e la serratura scattò. E io non potei fare a meno di spingere l'inferriata ed entrare. Dovevo lasciare lì il suo corpo? Potevo fare altrimenti? Gli altri si ammassarono sulla soglia, mentre io mi chinavo allungando una mano per togliere il sangue dal volto del Matto.
Il vaso da notte scagliato mi mancò la testa per un soffio; lo sentii sfiorarmi la guancia e fracassarsi contro la parete della cella. Saltai indietro mentre il Matto si avventava su di me, le mani ad artiglio che cercavano i miei occhi. Lo abbracciai e lo strinsi a me. "Matto, Matto, sono io! Fitz! Smettila, sono io!"
Lo sentii tendere i muscoli ancora un istante, poi si afflosciò tra le mie braccia. "Capra." Faticava a parlare con le labbra gonfie. "E mi aspettavo Coltro con le tenaglie arroventate. Mentre lei osservava."
"No. Siamo tutti qui, siamo venuti a cercare te e Ape per riportarvi a casa. Matto, perché ti sei allontanato senza di noi?" Quella domanda mi aveva corroso le viscere per tutto il giorno.
"Andate da Ape. Le celle sul tetto. Lei si trova lassù. E anche Prilkop."
"Ce l'ha detto Mimica. La troveremo."
Provò ad alzarsi. Lo aiutai, pur lasciando che sostenesse il peso da solo, e lo accompagnai verso la porta. La voce gli usciva in rantoli spezzati. "Per salvare Ape. Colpa mia se l'hanno presa. Li ho portati io da lei. E per ucciderli. Per fare il lavoro sporco. Per rimediare al disastro che avevo causato. Per essere io stavolta il Catalizzatore. Tu hai detto che potevo esserlo."
"Ti aiuto", disse Lante, prendendolo per un braccio. Fiamma si chinò per guardarlo in faccia. "È grave?" mi chiese.
"Non lo so. Matto, temevo che avessi ingerito il veleno che ti ho dato. Non l'hai fatto, vero?" Era orribile pensare che l'avesse preso un attimo prima che noi arrivassimo.
"Non ce l'ho fatta. Volevo, ma non ho potuto. Non mentre Ape è ancora nelle loro grinfie. Non posso morire finché non avrò sistemato tutto, Fitz." Un nuovo rivolo di sangue gli colò dal naso. Lui tirò su e dichiarò orgoglioso: "Ne ho eliminati due. Penso. Sono salito nella camera di Tinto. Mi ero nascosto sulle scale della sua torre, poi ho pensato che tanto valeva arrivare fino in cima e lasciargli qualche ricordino. Lui non c'era. Credo di essere stato bravo. Gli ho messo il veleno sul bordo della tazza. Nel vino, per essere sicuro, e poi l'ho strofinato sul cuscino e sulle lenzuola. E infine sulla maniglia della porta". Ansimava, mentre lo facevamo uscire dalla cella.
"Dovrebbe essere più che sufficiente", mormorai. Per eliminare una decina di persone almeno. "Ben fatto", aggiunsi. "Come hai ammazzato Symphe?"
"Non Symphe. Capra. Urlava di dolore mentre la portavano via. Credo di averla uccisa. L'ho pugnalata al ventre due volte." Barcollò, si appoggiò a me per un istante, poi drizzò la schiena risoluto. "Ho perso il coltello. E il mantello di farfalla."
"Un prezzo accettabile", lo rassicurai.
"Ho trovato un barile d'acqua. Non so se è pulita", ci comunicò Per preoccupato.
"Acqua? Pulita o sporca, fatemi bere!"
Lo accompagnammo al barile. C'era un mestolo agganciato al bordo. Per lo riempì per lui e il Matto bevve avidamente. Il secondo se lo rovesciò sulla testa e si strofinò il viso. Nella penombra, con i capelli incollati al cranio, sembrava molto vecchio. "Ancora", mormorò. Aspettammo senza dire una parola. Quando ebbe finito, Fiamma gli chiese: "A parte i lividi e il taglio sulla fronte, avete altre ferite?"
Lui sogghignò, mostrando i denti insanguinati, e sputò. "Mi hanno preso a bastonate. Tante. E a calci. Brutali, ma non precisi. Credo volessero riservare il piacere di torturarmi a Capra. Però spero che sia morta. Fitz, le mie ferite non contano. Dobbiamo salvare Ape. L'ultima volta che l'ho vista era in una cella sul tetto della fortezza. E c'è anche Prilkop, da qualche parte. Pensavo che l'avrebbero rinchiuso qui con me, ma non l'hanno fatto." Si fermò per respirare, premendosi le costole. Tossì e io feci una smorfia per lui.
"Te l'ho detto, Mimica l'ha trovata." Mi chiesi quante botte in testa avesse preso.
Lui tacque per un lungo momento, poi: "Ma certo. Avrebbe dovuto essere la nostra prima spia".
"È stato Per ad avere l'idea", spiegai, e il ragazzo si schermì quando lo guardai. Aveva trascinato via il cadavere della guardia dal tavolo e spostò la sedia per far accomodare il Matto. Lo ringraziai con un cenno compiaciuto e aiutai il Matto a sedersi. Per tornò al barile per lavarsi le mani e bere un mestolo d'acqua. "Andremo a cercarla subito", dissi al Matto. "Non possiamo farla uscire dal cancello principale. Dopo la morte di Symphe, i Servi hanno chiuso l'accesso dalla strada rialzata. Siamo bloccati qui, a meno che tu non riesca a trovare la galleria che corre sotto il passaggio."
Lui si girò verso di me, strizzando gli occhi. "Allora come avete fatto a entrare?"
"Siamo risaliti dal condotto che scarica i liquami in mare, ma non possiamo uscire da quella parte. L'alta marea lo inonderà. A meno che non recuperiamo Ape e ci nascondiamo fino alla prossima bassa marea."
"Ancora mezza giornata?" Scosse la testa. "Torneranno a prendermi molto prima di allora. E ci troveranno qui."
"Qual era il tuo piano di fuga?"
"Il mantello di farfalla e la strada rialzata."
"Uno è andato e l'altra è chiusa. Quindi dobbiamo per forza scovare la galleria sotterranea."
Lui sbottò in una risata rauca. "Preferivo il mio. Come fai a sapere che Symphe è morta?"
"L'hanno annunciato ufficialmente e hanno appeso degli stendardi neri alle finestre della sua torre."
Scosse la testa, incredulo e perplesso. "Non sono stato io."
"Tra poco sarà l'alba", intervenne Fiamma. "Dobbiamo andare a prendere Ape. Adesso. Prima che il castello si svegli."
"E anche Prilkop. Per favore." Il Matto cercò di sedersi dritto, ma non ci riuscì.
"Se possiamo." Non me la sentivo di fare promesse. Una volta recuperata Ape, avrei concentrato tutti i miei sforzi sul compito di portarla sana e salva fuori dal castello. "Matto. Quanto riesci a vedere?"
"Con questa luce? Molto poco."
"Ho ucciso la guardia che sorvegliava le celle. Sai se o quando ne manderanno altre?"
"Non lo so. Lei era l'unica che ho visto. Fitz, in centinaia di anni, nessuno si è mai azzardato ad attaccare i Servi. Con la morte di Symphe e la mia aggressione a Capra, si saranno tutti messi in allarme. Facile che incontreremo decine di soldati."
Io annuii. "Vado su a cercare Ape."
"Potrebbero averla spostata. So che intendevano trasferire Prilkop subito dopo essersi occupati di me."
"Be', intanto comincerò dal tetto. Voialtri restate qui. Cercate l'ingresso della vecchia galleria, quella che usarono per far ‘evadere' il Matto la prima volta. Ora devo andare."
"Non da solo!" protestò Lante. Senza dire una parola, Per si schierò al mio fianco.
"Fatemi pensare", ansimò il Matto. "Dovremo salire tutti di un piano. Ci sono molte altre celle, almeno una decina, e alcune saranno di certo occupate. È il loro… il loro luogo deputato alle torture. Io e Prilkop siamo stati tenuti prigionieri a lungo in quel livello. Forse lui è lì." E a malincuore aggiunse: "E forse anche Ape".
Non ero sicuro di voler trovare Prilkop. Se fosse stato gravemente ferito come il Matto, saremmo riusciti a portarlo via da Clerres? Una domanda inutile. Non avremmo potuto di certo lasciarlo lì. "Le scale dietro il barile d'acqua. Sono quelle che cerchiamo?"
"Sì. Ma la porta sarà chiusa a chiave."
"Nessun problema", si vantò Fiamma. Fulminea come una lepre, scattò verso i gradini. La vidi chinarsi per esaminare la toppa, poi frugò nella sacca in cerca dei suoi attrezzi da scasso. Mentre armeggiava con la serratura, io setacciai quel livello in lungo e in largo, quindi tornai dai miei compagni.
"Se c'è una porta che conduce alla galleria sotto la strada, io non la vedo."
"La porta di un passaggio segreto sarà ben nascosta", osservò il Matto. "E forse non si trova nemmeno su questo piano. Quando mi hanno liberato, alternavo sprazzi d'incoscienza a momenti di lucidità. Fitz, lo so che pensi che ti rallenterò. So che temi per Fiamma e Per, ma dietro quella porta ci saranno molte altre guardie. Più di quante potresti affrontarne da solo."
"Sarebbe già sufficiente arrivare a quella porta", ribattei, ignorando il resto delle sue parole.
Per aveva l'aria pensierosa. "È probabile che si trovi sul lato del castello che affaccia sulla strada rialzata."
"Va' a vedere, allora. Magari mi è sfuggito qualcosa." Andai ad aiutare Fiamma con la serratura.
Quando mi protesi alle sue spalle, lei si girò a scoccarmi un'occhiata infastidita. "Ce la faccio benissimo", sbuffò, e io la lasciai in pace. Lante mi aveva seguito su per i gradini. Mi sentii in colpa quando incontrai il suo sguardo dietro la testa china di Fiamma. Non avrei sprecato il fiato per dirgli di proteggerla, di proteggerli tutti a ogni costo. Lui lo sapeva. Gli lessi negli occhi la mia stessa paura di cosa avremmo potuto trovarci ad affrontare. Il Matto aveva stuzzicato il nido di vespe, ma la morte di Symphe non era stata opera sua. Incidente, malattia oppure omicidio?
"Fatto!" sussurrò Fiamma, quasi nello stesso momento in cui Per tornò indicando che la sua ricerca era stata infruttuosa. Lo scatto della serratura mi parve lo schiocco secco di un tuono. Trattenni il fiato e tesi le orecchie. Niente. Potevo andare.
Guardai Lante. Lui serrò le labbra e scosse la testa. Non mi avrebbe lasciato da solo. Per abbassò gli occhi, ma aveva già il coltello sguainato. Toccai la mano di Fiamma e le indicai il Matto. "Proteggilo", mimai con le labbra. Con mio grande sollievo, la vidi scendere le scale in silenzio per mettersi al suo fianco. Lui alzò lo sguardo verso di noi, il volto pallido una macchia indistinta nell'oscurità.
Aprii la porta e feci cenno agli altri di aspettare mentre varcavo la soglia. C'erano diverse lampade a olio che illuminavano l'area centrale di una stanza molto più grande di quella dabbasso. I terrificanti racconti del Matto presero corpo. Vidi i tavoli con i ceppi e le catene, e la superficie intaccata dalle lame. Su tre lati erano disposte le tribune con comodi seggi per gli spettatori che assistevano alle torture. Una buca per il fuoco. Accanto, una rastrelliera con una serie di attrezzi allineati con cura: tenaglie, attizzatoi, coltelli, seghe e altri strumenti che non conoscevo. Non avevo mai capito che razza di cuore avessero quelle persone. Chi poteva divertirsi o eccitarsi davanti alle sofferenze di un altro individuo? A quanto pareva, da quelle parti era uno spettacolo che attirava un folto pubblico.
Lungo una parete notai una fila di celle chiuse da un'inferriata. Poi un'altra scala che saliva al piano superiore. Una terribile speranza mi attanagliò il petto: se Ape era in una di quelle celle, l'avremmo liberata e fatta uscire prima che l'alta marea inondasse il condotto di scarico. Sarebbe stato difficile, ma non impossibile.
Mi mossi rapido e silenzioso. Non c'erano sentinelle e, sebbene con lo Spirito avvertissi barlumi di vita nelle celle, non percepii altre presenze nella grande sala. Avrei tanto voluto avere udito e fiuto da lupo. L'ansia era spasmodica, mentre mi avvicinavo alle inferriate. La fievole luce delle lampade mi mostrò in totale cinque prigionieri, tutti adulti. Dormivano o se ne stavano rannicchiati sulla paglia. Sbirciai tra le sbarre di una cella e vidi Prilkop. Addormentato o svenuto?
Tornai alla porta. Il Matto e Fiamma avevano raggiunto gli altri sulle scale. Con un filo di voce annunciai: "Nessuna traccia di Ape. Prilkop è in una delle celle. Sembra che non ci siano guardie, però fate piano. Dobbiamo…"
Si udì l'inconfondibile scatto di una serratura. Mi spinsi in mezzo agli altri e mi richiusi la porta alle spalle, lasciando appena uno spiraglio. "Che co…" disse il Matto, ma io gli misi due dita sulle labbra per farlo tacere. Restammo tutti immobili come statue.
Potevo sentire, ma non vedere. Una porta si aprì, passi pesanti, più di tre persone. Borbottii e invettive di soldati chiamati a svolgere un compito ingrato. Un tonfo, un'imprecazione. "Odio questo posto! Puzza da vomitare. Chi scenderebbe mai quaggiù a nascondersi? Non c'è nessuno; la porta era chiusa a chiave. Ve l'ho detto che da lì non si passa. Adesso possiamo tornare alla postazione? Stavo mangiando."
"No." La replica del capo fu chiara e secca. "Tu vieni con noi. Dobbiamo perlustrare ogni stanza di questo livello per trovare il fuggitivo. Rewtor e i suoi stanno setacciando le casette e i giardini. La squadra di Kilp sta battendo la zona tra la fortezza e le mura esterne. E Coltro ha sguinzagliato i suoi ragazzi speciali."
"Si è scatenato il finimondo da quando Symphe è stata uccisa. Avrebbero dovuto lavorarsi meglio Vindeliar." La guardia scoppiò in una risata. "Io e Ferb abbiamo avuto l'onore di gettare Dwalia nella cloaca. Ferb ci ha pisciato sopra. Quella vecchia stronza era molto meglio da morta."
Il capo non condivise la sua ilarità. "Andiamo. Bisogna controllare ogni stanza di questo livello e poi chiudere tutte le porte a chiave. Se non troviamo niente, risaliamo di sopra. Nessuno potrà passare."
"Scommetto che è stato uno dei Bianchi a fare secca Dwalia. Quelle piccole serpi non avevano alcuna ragione per amarla. E Symphe? Credo sia stato un incidente. Ho sentito dire che stanno lisciando Vindeliar per farsi dire la verità. Lui era incatenato nella cella, deve aver visto per forza che cos'è successo. Dovrebbero usare altri metodi per farlo parlare! E non mi dispiacerebbe assistere."
"Muoviamoci!" Il capo era chiaramente seccato da quelle chiacchiere. I passi si allontanarono. Aspettai finché non sentii chiudersi una porta.
Il Matto pronunciò tre parole nel silenzio. "Dwalia è morta." Non riuscii a capire che cosa provasse. Era contento, o meno spaventato, o rammaricato di non essere stato lui a darle la morte? Forse tutte e tre le cose, o forse nessuna.
"Prilkop è là dentro. Ci sono altri prigionieri."
"Lui potrebbe sapere che cosa ne è stato di Ape. Era rinchiuso nella cella accanto alla sua."
Quelle, forse, erano le uniche parole che mi avrebbero indotto a perdere tempo per lui. "Lante, Per, andate a sorvegliare la porta. So che l'hanno chiusa a chiave, ma potrebbero sempre tornare. Fiamma, Matto, con me." Spinsi l'uscio e come ombre sgusciammo fuori, diretti verso il nostro obiettivo. Indicai la cella di Prilkop e, mentre Fiamma e il Matto correvano, io mi fermai a prendere una lampada di terracotta. Non volevo che gli altri prigionieri si svegliassero, né avevo intenzione di liberarli. Erano fattori che trascendevano il mio controllo, e già ne contavo fin troppi.
Mentre Fiamma si occupava della serratura, il Matto sussurrò: "Prilkop, svegliati".
L'uomo nero era raggomitolato sulla branda, con le braccia e le mani a coprirsi la testa. Quando il Matto lo chiamò una seconda volta, abbassò le mani e alzò il viso. Aveva un occhio gonfio e il labbro inferiore grosso come una salsiccia. Esitò incredulo, poi, a fatica, distese le membra e appoggiò i piedi sul pavimento. Si avvicinò alle sbarre trascinando i piedi. Udii uno sferragliare di catene.
"Dov'è Ape?" gli chiesi senza tanti preamboli.
L'occhio sano mi trovò e mi studiò per qualche istante, poi Prilkop annuì soddisfatto. "Il Figlio Inaspettato. Però io ti aspettavo." Fece una debole risatina che si trasformò in un colpo di tosse. "L'ultima volta l'ho vista nella sua cella sul tetto. Questa è un'altra missione di salvataggio?"
"Sì." Mi voltai.
Alle mie spalle lo sentii commentare: "Spero sia migliore dell'ultima". Mentre mi allontanavo, la sua voce risuonò più forte di quanto avrei voluto. "Ci sono altri prigionieri in quelle celle. Liberateli."
"Fitz?" m'interpellò Fiamma.
"Liberalo. Poi cercate la galleria segreta. Io tornerò con Ape." Non aspettai le loro obiezioni. Attraversai la sala di corsa. "Fatemi spazio", sibilai a Per e Lante, e tirai fuori i miei strumenti da scasso. C'era buio, ma Umbra mi aveva sottoposto a infiniti esercizi con l'uso esclusivo del tatto. Ringraziai il vecchio mentore in silenzio, mentre giravo, spingevo, tiravo i grimaldelli finché non udii lo scatto della serratura che cedeva. "State indietro", ordinai agli altri. Aprii adagio la porta e mi affacciai. Era la stanza delle guardie: un tavolino, quattro sedie, una partita a dadi lasciata a metà, una pesca mangiucchiata e tre tazze. Scivolai silenzioso all'interno. Toccai una sedia. Era ancora tiepida. La pesca era stata addentata da poco. Tornai dagli altri. "Venite, ma fate piano. Le guardie sono state richiamate. Temo che tutto il castello sia in allerta. Stanno cercando un evaso."
Un'altra porta, un'altra serratura che neutralizzai rapidamente. Come prima, dissi agli altri di aspettare e spinsi il pesante battente di legno. Sbirciai in entrambe le direzioni lungo un corridoio curvo fiancheggiato da numerose porte. Nessuno in giro. Sulle mensole poste a intervalli sulle pareti bruciavano grosse lampade a olio che spandevano una piacevole fragranza. Tutto calmo.
Fu un brusco passaggio lasciare un luogo di sbarre e torture e guardie annoiate ed entrare nella morbida luce di un corridoio rivestito di pannelli di un legno bianco che non conoscevo, con il pavimento pulito e quadri alle pareti. Quasi come scivolare da un incubo a un sogno.
Valutai le mie opzioni. Non era confortante sapere che le guardie, dopo aver setacciato ogni stanza di quel piano, avevano chiuso a chiave le porte. Se fossimo stati costretti a battere in ritirata, non avremmo avuto un posto dove nasconderci. Uno dopo l'altro, uscimmo nel corridoio, io in testa, Per dietro di me con il suo pugnale e Lante per ultimo con la spada sguainata. Io impugnavo il coltello con la sinistra e l'accetta presa in prestito sulla nave con la destra. Una patetica forza d'invasione contro un'intera fortezza in allarme, ma non c'era altra scelta. Il corridoio curvava in entrambe le direzioni, intervallato da alte porte a doppio battente decorate d'intarsi. Tutto tranquillo. Rammentai quello che mi aveva detto il Matto quando avevamo ricreato la pianta del castello: il pianterreno era riservato alle sale delle udienze e ai salotti privati per accogliere gli ospiti facoltosi. C'erano parecchie scale che portavano al piano di sopra. Scelsi di andare a destra.
Provai le maniglie delle prime due porte. Sprangate. Mi augurai che significasse che stavamo seguendo la pattuglia di quel piano, ma se fossero tornati indietro da quella parte, non avremmo saputo dove infilarci.
"Che cos'è questo rumore?" sussurrò Per.
"Non lo so." Era una specie di brontolio, un ruggito cupo, intermittente. Lante controllò alle nostre spalle, Per alzò gli occhi al soffitto. Io non avevo tempo di pensarci. "Dobbiamo trovare Ape", li incitai.
Ci mettemmo a correre rasentando la parete come ratti.
Una volta svoltata la curva, avvistai le scale. Una nebbiolina grigiastra si spandeva in lente volute verso di noi. Rallentai perplesso, poi fiutai l'odore. Fumo. Ecco che cos'era quel rumore. Il ruggito di un incendio ai piani superiori. Udii lontane grida di terrore. "Lei è lassù!" Mi slanciai verso le scale e cominciai a salire i gradini a due a due. Sul primo pianerottolo, Per mi sorpassò. Lo persi di vista. Rinfoderai il coltello, m'infilai l'accetta nella cintura e lo seguii.
Passi affrettati, colpi di tosse, una donna che piangeva. Incrociai quattro persone che scendevano a rotta di collo. "Al fuoco!" mi gridò un uomo nel superarmi. Dietro di me sentii Lante che imprecava e immaginai che si fossero scontrati.
La nebbiolina si era trasformata in fumo nero e denso. Un'altra decina di gradini e il fumo cominciò a soffocarmi. Gli occhi mi bruciavano. Inciampai, caddi in ginocchio e in basso trovai una piccola sacca d'aria pulita. Mi premetti la manica sul naso e sulla bocca e salii altri tre gradini. Era soltanto fumo. Non poteva fermarmi! Sarei arrivato in cima. Un altro pianerottolo, altri scalini. Non vedevo Per. Ape era sul tetto. Continuai a salire carponi. Dov'era Per?
Mi bloccai, il petto premuto sull'ultimo gradino prima del pianerottolo. A sinistra c'era un corridoio pieno di fumo che oscurava i bagliori arancioni dell'incendio. Mi coprii la bocca con il braccio e respirai attraverso il tessuto della camicia. Strizzai gli occhi e vidi lingue di fuoco lambire il rivestimento di legno delle pareti. Udii uno scoppio, seguito dal rumore di terracotta infranta. Il fuoco sfrecciò verso di me scivolando su una scia d'olio come se fosse ghiaccio.
Indietreggiai di scatto e sentii un corpo sotto la mia mano. "Per?"
Sopra di me echeggiavano grida di terrore, richieste disperate di aiuto. Qualcuno mi calpestò nel precipitarsi giù per le scale, seguito da altri due che tossivano e correvano alla cieca. Soffocati dal fumo, in preda al panico, non badarono a me o al ragazzo riverso sui gradini.
Gli occhi mi lacrimavano talmente che non ci vedevo e l'aria era troppo bollente per respirare. Scrollai Per. "Aiuto", gracchiò a fatica.
"Ape", gemetti. Se era di sopra, con ogni probabilità era morta. Avrei voluto alzarmi in piedi e correre su da lei. Era intrappolata in una cella, tra il fumo asfissiante e il ruggito delle fiamme? Era già morta? Mi sarei gettato nel fuoco pur di raggiungerla.
Se lo avessi abbandonato, Per sarebbe morto.
Lo afferrai per un braccio e strisciai all'indietro lungo le scale, il suo corpo che sobbalzava a ogni gradino. Mi costò più fatica di quanto pensassi. Quando il fumo si diradò, vidi che Per stringeva qualcosa che ci appesantiva. Un bambino, un piccolo Bianco con la sua camiciola. Boccheggiai sorpreso, ma il fumo m'invase i polmoni e fui colto da un accesso di tosse. Una sagoma emerse dalla nebbia e afferrò l'altro braccio di Per. Lante. "Giù!" ansimò.
Insieme trascinammo Per e il bambino svenuto per il resto delle scale. Quando arrivammo al pianterreno, mi accasciai sul pavimento, espellendo violente boccate di fumo. Rotolai sul dorso e mi asciugai gli occhi con la manica. Il fumo non era sparito; strisciava inesorabile lungo il soffitto del corridoio curvo come una leggera foschia grigia. Lante s'inginocchiò accanto a me; inspirava con un sibilo ed espirava con un colpo di tosse. Altre due persone barcollarono giù per le scale. Una donna gridò nel vederci, ma l'uomo che si appoggiava a lei esclamò: "Dobbiamo uscire!" E si allontanarono tossendo e ansimando.
Per e il bambino erano ancora un groviglio di membra tra me e Lante. "Idiota!" gracchiai a Per e mi strozzai. "Muoviti! Striscia! Dobbiamo raggiungere gli altri e andare fuori!"
Per tossì, aprì gli occhi e li richiuse. Visto che non reagiva, io e Lante ci alzammo in piedi e trascinammo i due lontano dalle scale.
Soltanto quando il ruggito e l'odore acre dell'incendio si affievolirono alle nostre spalle, ci fermammo. Io e Lante ci sedemmo sul pavimento, prendendo lunghe boccate d'aria pulita. Ormai i piani superiori dovevano essere avvolti dalle fiamme. La fortezza ci sarebbe crollata addosso? "Dobbiamo tornare dagli altri", ripetei inebetito. Il nostro tentativo di salvare Ape era fallito. Dovevamo uscire. Mi rimisi in piedi barcollante e mi chinai per afferrare la camicia di Per. "Alzati!" gli ordinai.
Per tossì e cercò di obbedire. "Ape", boccheggiò.
"È finita." Non gli nascosi l'orrenda verità. "Non possiamo restare qui. Dubito che sia ancora viva." Lacrime di dolore si mescolarono a quelle provocate dal fumo. Mi sembrava una crudeltà inaudita che fossi arrivato a tanto così dal salvarla e avessi fallito.
"Ape!" esclamò Per, e si liberò dalla mia stretta. Il gesto improvviso mi sbilanciò e caddi. Non avrei mai immaginato che il fumo potesse avere effetti tanto devastanti su un uomo. Mi sollevai carponi, sibilando. Per tirò il braccio del bambino che aveva portato con noi. "Ape, sono venuto a salvarti", mormorò, poi fu colto da un attacco di tosse.
I vestiti del bambino erano bruciacchiati e anneriti di fuliggine, e aveva il volto deturpato dalle cicatrici. La pelle intorno agli occhi era ispessita come quella di un pugile veterano. Aveva uno sfregio sul sopracciglio sinistro e un taglio recente al lato della bocca. I segni parlavano di una breve vita infelice.
Poi il bambino aprì gli occhi e Ape mi guardò. Ci fissammo per un lungo momento. La sua bocca formulò una parola che non ebbe il fiato di pronunciare. "Papà?"
Così piccola. Così sfigurata. Quando tese le mani verso di me, mi sentii rianimare da una nuova vita. "Oh, Ape", dissi, senza trovare altre parole. La presi tra le braccia e me la strinsi al petto. Lei mi cinse il collo. "Non ti lascerò mai più!" le promisi, e lei rafforzò la stretta.
Mi sollevai in ginocchio, con Ape ancora tra le braccia. Per si alzò barcollante. Stava piangendo. "L'abbiamo trovata. L'abbiamo salvata!" esclamò.
"Tu l'hai fatto", dichiarai, poi, con la mano libera, gli afferrai il braccio. "Lante! Andiamo!" Mi alzai e iniziai a correre, trascinandomi dietro il povero Per ancora stordito, mentre il viso di Ape mi rimbalzava sulla clavicola. Lante ci raggiunse e afferrò l'altro braccio del ragazzo. Urtandoci l'uno con l'altro, caracollando come cavalli imbizzarriti, sfuggimmo al fumo che cominciava a invadere il corridoio, finché a un tratto mi girò la testa e caddi in ginocchio. Riuscii a non mollare Ape, ma Per ruzzolò sul pavimento e Lante atterrò su una rotula. "Oh, Ape", balbettai. La posai a terra. Lei inspirava a scatti, a bocca aperta, quasi fosse scampata a un annegamento. Aveva gli occhi chiusi. Ma era viva. Viva. Le sfiorai il viso, mentre Per gattonava verso di noi.
"Ape, ti prego", mormorò. Alzò lo sguardo su di me e mi supplicò con una vocina infantile: "Salvatela! Guaritela!"
"È viva", lo rassicurò Lante. Si appoggiò alla parete per alzarsi. Poi sguainò la spada e si piazzò davanti a noi. Ci avrebbe protetti.
Ape mi fissò in silenzio. Io scossi la testa, troppo emozionato e sconvolto per trovare le parole. Con un dito tracciai il profilo della mascella di Molly, toccai le labbra di sua madre. Lei tossì e io ritrassi la mano. No, quella non era la bambina che ero venuto a salvare. Quella creatura malconcia e sfigurata non era più la mia Ape. Non sapevo chi fosse. Ancora piccola per la sua età, più o meno la stessa di quando io avevo cominciato a mettere in pratica quello che Umbra mi aveva insegnato. Ape Lungavista. Chi era adesso?
Lei girò la testa per guardare Per, il respiro che le usciva sibilando. "Sei venuto. La cornacchia ha detto…" La sua voce si spense.
"Siamo venuti a salvarti", le rispose lui, poi s'interruppe per un altro attacco di tosse. Le prese la mano. "Ape. Sei al sicuro adesso! Sei con noi!"
"Nessuno di noi è al sicuro, Per. Dobbiamo uscire di qui." Non c'era tempo per gioire, per scusarsi, per confortarsi. Alzai lo sguardo per studiare il soffitto decorato e le travi che lo sostenevano. Il legno sarebbe bruciato, ma la pietra no. Gli incendi salivano sempre. Saremmo stati al sicuro al pianterreno, purché i massicci tronchi di legno che sorreggevano la pietra non prendessero fuoco.
Dov'eravamo? Avevamo già oltrepassato la porta con le scale che scendevano al livello inferiore? Dovevamo individuarla. Forse Fiamma e il Matto avevano scoperto la galleria. Altrimenti, avremmo dovuto trovare a tutti i costi un modo per uscire prima che la fortezza ci crollasse addosso.
Tossii di nuovo e mi asciugai gli occhi con la manica. Dovevamo sbrigarci. "Andiamo", dissi a Per. "Ce la fai a camminare?"
"Certo, signore." Si alzò sulle gambe malferme, poi si piegò in due e ricominciò a tossire. Lo guardai e, lentamente, capii dove dovevamo dirigerci. Sapevo dove trovare aiuto. Avvertii quel sublime momento di sollievo che si prova quando la soluzione ovvia di un problema si manifesta in tutta la sua chiarezza. Mi parve quasi ridicolo che non ci avessi pensato prima. Mi piegai su un ginocchio e sollevai Ape tra le braccia. Non pesava molto. Sotto la leggera camiciola che indossava, le sentivo le costole e i rilievi delle vertebre. Mi alzai e ripresi a camminare, con Per barcollante al mio fianco. Lante rinfoderò la spada. Lo guardai e notai che anche lui sembrava provare lo stesso sollievo. Sorrisi nel vedere che Per aveva ancora in mano il coltello. Sapevo che non ci sarebbe servito.
Fratello mio. Dove andiamo?
Più gradito di una boccata d'aria fresca o di un sorso d'acqua pura, Occhi-di-notte prese contatto con la mia mente. Il cuore mi si riempì di gioia e capii che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Dove sei stato? gli chiesi. Perché mi hai abbandonato?
Sono stato con la cucciola. Lei aveva molto più bisogno di me. Ma una volta che ha imparato a innalzare le sue barriere mentali, non sono stato più capace di uscirne. Fratello mio, dove stiamo andando? Perché non stai correndo? Dov'è il Senza Odore?
Conosco un posto sicuro. C'è della gente che ci aiuterà.
E d'un tratto li vidi, mentre svoltavano la curva dolce del corridoio. Un drappello di dodici soldati, con le armi sguainate. Fiamma e Prilkop erano con loro, sorvegliati da ogni lato. Il Matto penzolava esanime tra le braccia di altre due guardie. In testa al gruppo c'era un ometto tarchiato con la faccia da rospo e gli occhi iniettati di sangue. Una donna alta e anziana arrancava zoppicando alle sue spalle, stringendosi un fianco; ai suoi lati c'erano due uomini, uno vestito di verde, l'altro di giallo. Gli sorrisi, e l'ometto sogghignò. Fece cenno alle guardie di fermarsi e quelle eseguirono. Ci aspettavano.
"Vindeliar, sono davvero sbalordita", disse la vecchia. "Sei un vero portento."
"Non avresti mai dovuto dubitare di me", rispose lui.
Fratello mio, questo è sbagliato. La gioia che provi è falsa.
"Mi dispiace", disse la donna all'ometto in testa al piccolo corteo. "Da adesso in poi sarai onorato come meriti."
I due uomini ai suoi lati annuirono, i volti illuminati da un sorriso adorante.
"Fitz? Che cosa stiamo facendo? Ci uccideranno!" gridò Per.
Ape sollevò la testa dalla mia spalla. "Papà!" strillò terrorizzata.
"Ssh. Andrà tutto bene", la rassicurai.
"Tutto bene", mi fece eco Lante.
"No!" ruggì Perseverante. "Non va bene niente! Che cosa vi prende? Che cosa vi succede a tutti quanti?"
"Papà, su le barriere! Su!"
Fratello mio, ti hanno ingannato!
Scoppiai a ridere. Erano così stupidi. "Va tutto bene. Siamo al sicuro adesso", proclamai e mi avviai con Ape verso i nostri benefattori.