Partenza

 La prima volta che la montagna bruciò era d'estate. Alcuni dissero che fu il terremoto a far esplodere la montagna lontana; altri che fu il suo risveglio a scuotere la terra.

 Non era la prima volta che si verificava un evento sismico. Avevamo sempre avvertito qualche scossa sotto i piedi. Per questo avevamo costruito con pietre ricche di vene d'argento da impregnare di magia, per consolidarle e rammentare loro qual era lo scopo cui erano destinate. Quella volta, però, sebbene la maggior parte degli edifici rimase in piedi, nella terra stessa si aprì una fenditura dal fiume fino al Distretto dei Lattonieri. In seguito si riempì d'acqua proveniente dal fiume stesso e finimmo per accettarla come parte della città.

 Cadde la pioggia, ma non era composta soltanto da gocce d'acqua, bensì anche da sabbia nera. Ricoprì strade e palazzi; alcuni abitanti e tre draghi soffrirono di violenti attacchi di tosse. Nuvole scure si addensarono sopra Kelsingra e per quasi due settimane i giorni furono uguali alle notti. Gli uccelli piombarono senza vita sul terreno e i pesci boccheggiavano arenati sulle rive del fiume.

 Nel frattempo, in lontananza, quella che era stata la vetta innevata di Sisefalk rosseggiava come un crogiolo di ferro fuso.

 Cubo di memoria 941, rinvenuto in un corridoio di Aslevjal,

 trascritto da Umbra Stella d'Autunno

 ALL'ALBA dell'indomani, i draghi partirono.

 Etta aveva tenuto fede alla promessa. Avevamo lavorato tutta la notte per imbarcare le provviste ed essere pronti a sfruttare la prima marea. Non credo che i draghi avessero avvertito o salutato qualcuno. Si levarono in volo e la nostra cornacchia li seguì per un po', gracchiando di frustrazione quando risalirono in lente spirali verso il cielo di Borgo Baratto per poi virare verso sudest. Abbassai gli occhi e vidi Vivacia procedere a vele spiegate sotto di loro. Brashen mi passò accanto e io gli indicai la nave.

 "Si è sparsa la voce stanotte. Vivacia ha deciso di andare con i draghi all'Isola degli Altri per scoprire che cosa succede. E dopo, forse, li seguirà fino a Clerres."

 Mi soffermai a riflettere su che cos'avrebbe significato per la nostra missione, finché Brashen non mi diede una pacca sulla spalla. "Quei barili di birra non si stivano da soli", commentò. Io mi riscossi e raggiunsi Clef, che stava manovrando una carrucola.

 Poco dopo scorsi il principe delle Isole dei Pirati arrivare su una piccola lancia. Sorcor remava con lena, nonostante l'età. A bordo c'erano due bauli dai raffinati intagli e un sacca di tela da marinaio. Kennitsson era in piedi a prua, le piume del cappello che svolazzavano nella brezza. Una ragazza, vestita di tutto punto, sedeva su uno dei bauli.

 Clef li scorse e si diresse a grandi passi verso la cabina dei comandanti. Un istante dopo comparvero Althea e Brashen. Lei aveva le labbra serrate e gli occhi ridotti a due fessure come una gatta infuriata; lui era rilassato e padrone di sé.

 Kennitsson salì la biscaglina per primo, seguito dalla giovinetta. Sorcor si arrampicò per ultimo; due dei marinai di Etta si occuparono di portare a bordo i bauli. Mentre Kennitsson si guardava intorno, Sorcor parlò affannato: "Bene. Ci siamo".

 "Paragon LaSuerte! A me, giovanotto, a me!" esclamò la nave. Senza rivolgere né uno sguardo né una parola ai due comandanti, Kennitsson si avviò verso la polena, gridando: "Barla, pensa ai miei bagagli! Preparami la cabina come piace a me. E spicciati!"

 Sorcor lo guardò allontanarsi e le guance del vecchio pirata arrossirono d'imbarazzo. "Vorrei poter venire con voi", mormorò a occhi bassi.

 "Abbiamo già abbastanza comandanti su questa nave", rispose Brashen, cercando di stemperare la crudezza della sua decisione con un pizzico di umorismo. "Se venissi anche tu, non soltanto Kennitsson, ma ogni marinaio che ci avete mandato si rivolgerebbe a te prima di obbedire a un ordine mio o di Althea."

 "È vero", ammise Sorcor a malincuore. Il primo pesante baule di Kennitsson venne issato dalla barca per essere depositato sul ponte. Gli occhi di Sorcor seguirono pensierosi la manovra. Sospirò. "Vuoi mano libera con il ragazzo, vero? Non vuoi che m'intrometta se per caso pensassi che sei troppo rude con il nostro giovane principe."

 "Hai ragione", disse Brashen. "Non riesco a considerarlo un ragazzo, e meno che mai un principe. La nave ha preteso di averlo a bordo. Tu desideri che impari qualcosa del nostro mestiere." Rise sprezzante. "E io voglio un po' di pace. Che otterrò soltanto se lo tratto come qualsiasi altro marinaio."

 "Così gli ho detto ieri notte, quando sua madre gli stava allacciando la catena con il ciondolo al collo. Non credo abbia ascoltato una sola parola di quanto gli abbiamo raccomandato. Lo affidiamo a te." Un breve silenzio seguì la resa di Sorcor. Il vecchio pirata si rivolse a Barla, che stava seguendo il trasporto del pesante baule sul ponte. "Ragazza, di' loro di riportarlo indietro. La sacca di tela sarà più che sufficiente." Poi drizzò le spalle. "Kennitsson e Trellvestrit vanno molto d'accordo. Ogni volta che Vivacia entrava in porto, Wintrow li invitava a stare insieme il più possibile. Voleva che vostro figlio si facesse un'idea della nostra politica e che ricevesse una… lucidatina. Chiedo scusa, parole di Wintrow, non mie!"

 Brashen storse la bocca. "Lucidatina, dici? Credevo che per Bimb-O bastasse il lucido dei Mercanti. Non temere, non sono offeso."

 "Adesso apprezzerei molto se vostro figlio lo aiutasse. Potrebbe insegnargli le vostre maniere, come Trellvestrit ha imparato le nostre da Kennitsson. Dovrà imparare tutto quello che c'è da sapere sopra e sotto coperta. So che al principio sarà difficile. Non ha mai vissuto su un veliero vivente. Non è mai…" Scosse la testa. "Colpa mia", concluse amareggiato.

 "Gli insegnerò io", lo rassicurò Brashen. "Dovrà piegarsi un po', ma non lo spezzerò di proposito. La prima cosa che gli toccherà imparare sarà obbedire agli ordini." Si schiarì la voce e scoccò al vecchio un'occhiata mortificata. "Stringi i denti e sta' in disparte, Sorcor." Trasse un lungo respiro e gridò: "Kennitsson! La tua roba è a bordo. Vieni a portarla giù. Bimb-O, mostragli la sua amaca e aiutalo a sistemarsi".

 Bimb-O giunse di corsa con un ampio sorriso stampato sul volto, che si spense non appena vide che stavano calando il baule dalla murata. Barla si strinse nelle spalle e scese la biscaglina. Un istante dopo comparve una delle nuove leve con la sacca di tela su una spalla. La posò sul ponte proprio mentre arrivava Kennitsson. Non si era attardato, ma non aveva nemmeno accelerato il passo. Guardò Brashen con un sopracciglio inarcato.

 "La mia ‘amaca'?" ripeté divertito, come se fosse sicuro che il comandante avesse detto male.

 "Accanto alla mia!" trillò Bimb-O. "Prendi la sacca e scendiamo di sotto." Mi chiesi se Kennitsson si fosse accorto della nota di ammonimento nella sua voce.

 "Di sotto?" chiese Kennitsson sempre più incredulo. I suoi occhi guizzarono verso Sorcor, in attesa del suo intervento.

 Brashen incrociò lentamente le braccia sul petto.

 Il vecchio pirata tenne fede alla parola data di non intromettersi e, a malincuore, disse: "Buon viaggio, capitano Trell. Che il vento e le correnti vi siano propizi".

 "Dubito che accadrà, facendo rotta verso sudest in questa stagione dell'anno, ma grazie per l'augurio. Ti prego di portare i miei saluti alla regina Etta. Vorrei ringraziarla ancora di tutto quello che ha fatto per rifornirci e di averci aiutati a non perdere la faccia con i nostri clienti."

 "Non mancherò." La riluttanza di Sorcor ad andarsene era evidente. Alle sue spalle, Kennitsson era al colmo dell'indignazione. Bimb-O raccolse la sua sacca.

 "Dove sono i miei bauli?" chiese Kennitsson imperioso. "Dov'è la mia cameriera?"

 "Trellvestrit ha la tua sacca, l'ho preparata io stesso. Dentro troverai tutto ciò che ti occorre." Sorcor si girò lentamente per avviarsi alla scaletta. Sotto, aspettava la barca. Barla fece capolino dal parapetto, ma Sorcor le fece cenno di scendere di nuovo. Stupita, la ragazza obbedì. Il vecchio pirata si fermò davanti alla biscaglina. "Onora la memoria di tuo padre. Diventa un uomo."

 Kennitsson sgranò gli occhi, con le guance in fiamme. "Io sono un uomo!" gridò, mentre Sorcor lasciava la nave.

 Brashen parlò in tono asciutto. "Bimb-O, posa la sacca." Non appena il figlio eseguì, il comandante si rivolse al principe dei pirati. "Ce la fai a portare la sacca da solo, marinaio? Altrimenti, posso chiedere al principe FitzChevalier Lungavista di darti una mano." La sua voce non tradiva alcuna emozione; era un comandante che saggiava i limiti di una nuova recluta.

 Io avevo assistito alla scena, come se fosse uno spettacolo di burattini, da una certa distanza, appoggiato al parapetto. Tuttavia, alle parole di Trell, drizzai la schiena e mi feci avanti pronto a raccogliere la sacca, anche se la sua richiesta mi aveva sconcertato: non era certo così pesante da richiedere chissà quale sforzo. D'altro canto gli avevo dato la mia parola che mi sarei reso utile in ogni occasione e intendevo mantenerla.

 "Levatevi di mezzo! Posso farcela!" dichiarò Kennitsson.

 Il capitano Trell mi fece un cenno secco con il mento e io mi spostai. Kennitsson aveva forza più che sufficiente per sollevare la sacca, ma se la trascinò dietro con il broncio di un ragazzino viziato. A quel punto mi dissi che non era un problema mio e mi recai nella cabina di Ambra.

 Trovai il Matto seduto a gambe incrociate sulla cuccetta bassa, con uno dei diari di Ape aperto in grembo.

 "Mi chiedevo se avessi cambiato idea e fossi andato a Borgo Baratto con gli altri."

 "Per ammirare il panorama?" ribatté, indicandosi gli occhi ciechi.

 Mi sistemai accanto a lui, piegando la testa per evitare di urtare la cuccetta superiore. "Speravo che avessi cominciato a recuperare la vista. Stai leggendo un quaderno."

 "Sto toccando un quaderno, Fitz." Sospirò e me lo porse. Rimasi di stucco. Era il diario personale di Ape, non quello dei sogni. Aperto su una pagina che non gli avevo letto. Lo sapeva? Lo chiusi con delicatezza, scovai la camicia che usavo per avvolgerlo e lo rimisi a posto nello zaino. Temevo che per sbaglio avesse trovato i flaconi d'Argento, ma mi limitai a osservare: "Bisogna stare attenti con questo zaino. C'è il mattone di fuoco che ci ha dato Reyn. Dev'essere sempre tenuto dritto".

 Mentre infilavo con cautela la sacca sotto la cuccetta, gli dissi: "Kennitsson è salito a bordo. Salperemo non appena cambia la marea".

 "Lante, Per e Fiamma sono già tornati?"

 "Non tarderanno. Lante aveva dei messaggi da inviare con i piccioni viaggiatori. Per voleva contattare la madre e Fiamma desiderava mandare un messaggio a Umbra."

 "Così finalmente oggi riprendiamo il viaggio." Esalò un lungo respiro spezzato. "Eppure abbiamo ancora tanta strada da fare e ogni secondo che passa è un secondo di troppo in cui Ape è prigioniera. Ogni secondo potrebbe essere quello in cui muore."

 Un groppo di panico mi attanagliò la gola. Deglutii e lo ricacciai indietro. Indurii il cuore e gettai acqua sulla fiammella della speranza. Provai a spiegare le mie ragioni. "Matto, malgrado ciò che credi, malgrado quello che hai sognato… se immagino che si tratti di un salvataggio e non di un assassinio, allora perderò la concentrazione. E non mi resta altro."

 Spalancò gli occhi ciechi allarmato. "Ma lei è viva, Fitz. Sono i sogni a confermarlo. Quanto vorrei poterli condividere con te!"

 "Vuoi dire che hai sognato più di una volta che Ape è viva?" m'informai esitante. Ero proprio sicuro di voler ascoltare altre assurde prove dettate dalle sue pie illusioni?

 "Sì", rispose, poi, piegando la testa da un lato, aggiunse sommesso: "Anche se probabilmente soltanto io posso interpretarli in questo modo. Non sono tanto le immagini, quanto le sensazioni che mi trasmettono i sogni a darmi la sicurezza che appartengono ad Ape". Fece una pausa per riflettere. "Non potrei provare a mostrarteli? Se mi toccassi con la mente, senza pensare alla guarigione, ma soltanto a condividere, forse…"

 "No!" Mi sforzai di addolcire il mio rifiuto. "Quando entriamo in contatto, quello che succede non ha niente a che vedere con le mie intenzioni. Come se fosse qualcosa d'inevitabile. Come la corrente di un fiume che ci trascina."

 "Come il fiume d'Arte di cui parli, una corrente di magia?"

 "No. È diverso."

 "Ossia?"

 Sospirai. "Come faccio a spiegarti qualcosa che io per primo non capisco?"

 "Bah. Quando sono io a risponderti così, tu ti arrabbi."

 Ripresi il filo del discorso. "Hai detto di aver fatto più sogni su Ape."

 "Sì."

 Una risposta secca e un segreto celato. Lo incalzai. "Che genere di sogni, Matto? Quando la sogni, dove si trova, che cosa fa?"

 "Lo sai che non è come spiare la sua vita dalla finestra. Sono accenni, allusioni, metafore. Tipo il sogno delle candele." Si girò verso di me. "Ricordi come l'ha descritto nel diario? Be', ti dico una cosa. Si tratta di un vecchio sogno frequente, che in molti hanno avuto. Può avere diversi significati, eppure credo che con noi si sia manifestato appieno. Ape l'ha sognato con dettagli che non avevo mai sentito nominare, parlando di noi come il Lupo e il Giullare."

 "Com'è possibile che tante persone facciano lo stesso sogno?" Le sue parole mi confondevano e, senza volerlo, la mia voce si era ridotta al cupo ringhio di un lupo. Lui trasalì.

 "Ci succede e basta. È una misura con cui i Servi calcolano le probabilità che qualcosa si verifichi. È un sogno molto comune tra coloro che hanno sangue Bianco. Ciascuno è leggermente diverso dall'altro, ma le analogie sono evidenti. Una volta ho sognato una biforcazione su un sentiero. Da una parte, la strada era intervallata da quattro candele e terminava davanti a una casetta di pietra, senza finestre e con una porticina bassa. Un luogo di sepoltura. L'altra era illuminata da tre candele e alla fine c'era un falò e gente che gridava." Trasse un breve respiro. "Io restavo impalato a guardare. Poi, dal buio, arrivava un'ape che mi ronzava intorno alla testa."

 "E questo ti fa ritenere che il sogno riguardi la mia Ape?"

 Lui annuì. "Non soltanto perché nel sogno compare un'ape. È la sensazione che mi trasmette. E non è stato l'unico sogno che ho fatto."

 "Che cosa vogliono dire i sogni?" gli domandai, nonostante fossi convinto che i suoi sogni recenti non fossero molto più significativi dei miei. Quando lo avevo riportato indietro dalla morte, mi aveva detto di non essere più capace di prevedere il nuovo futuro che avevamo determinato. Era la sua mente a tirargli brutti scherzi, evocando quello che lui voleva disperatamente fosse vero?

 "Potrei risponderti: ‘Non vorresti saperlo', ma ti mentirei. La verità è che non voglio dirtelo. Però so che devo farlo!" si affrettò ad aggiungere prima che avessi il tempo di protestare. Diede un colpo di tosse e abbassò la testa. Si massaggiò le mani come se rammentasse il supplizio. Quella nuda adesso aveva due unghie, e le altre stavano ricrescendo. Distolsi lo sguardo, non volendo ricordare quello che aveva passato. Il corpo può guarire, ma le ferite che una tortura minuziosa lascia sulla mente spurgano sempre pus infetto. Allungai una mano e gli presi quella guantata.

 "Raccontami."

 "Non la trattano bene."

 Me l'ero aspettato. Se era ancora viva, era improbabile che i suoi carcerieri fossero gentili con lei. Tuttavia, sentirlo dire ad alta voce fu come ricevere un pugno allo stomaco che mi mozzò il fiato.

 "Come?" riuscii a chiedere. Sogni, mi dissi, niente di reale.

 "Non lo so." La sua voce si ridusse a un sussurro rauco. "Ho sognato una lupacchiotta che si leccava le ferite, raggomitolata e infreddolita. Ho sognato anche un alberello bianco cui avevano strappato i fiori e piegato i rami più teneri."

 Mi mancò il respiro. Lui emise un piccolo lamento e io mi accorsi che gli stavo strizzando la mano. Allentai la stretta e respirai a fondo.

 "Però ho anche sognato una mano che impugnava una fiaccola spenta. È stato un sogno sconcertante. La fiaccola cadeva a terra e un piede la calpestava. Sentivo una voce: ‘Meglio brancolare nel buio che seguire una falsa luce'." Fece una pausa. "La parte sconcertante è che era già buio, ma si è levato un bagliore accecante proprio quando la fiaccola è stata schiacciata."

 "Come fai a sapere che il sogno riguardava Ape?"

 Lui scosse la testa avvilito. "Non ne sono sicuro. Potrebbe essere. E la sensazione era… confortante. Come se preannunciasse qualcosa di buono. Volevo semplicemente dirtelo."

 Qualcuno bussò e un attimo dopo Fiamma spalancò la porta. "Ops!" esclamò nel vederci mano nella mano. Io lasciai andare quella del Matto e la ragazza si ricompose per annunciare: "Il capitano Trell vuole tutti in coperta. È ora di levare l'ancora e salpare. Clef mi ha mandato a chiamarvi. Ha bloccato Per e Lante come siamo tornati a bordo".

 Fu un sollievo per me abbandonare quella discussione sui sogni, ma le parole del Matto mi perseguitarono per tutto il giorno. Ero contento quando l'impegno per imparare i nodi e le manovre della nave mi distraeva dall'ansia per mia figlia; tuttavia, per quanto mi sforzassi di non pensarci, ero in trappola. Ape era morta, ridotta in brandelli nella corrente d'Arte. Ape era viva e maltrattata.

 Lavorai senza mai fermarmi, cercando di sfinire il mio corpo, poi andai a sdraiarmi su un'amaca sotto coperta insieme all'equipaggio, dove le chiacchiere, le risate e le imprecazioni mi concessero un sonno senza sogni.

 Eravamo a un giorno di navigazione da Borgo Baratto, quando Per venne a cercarmi. "Avete visto Mimica?" s'informò rattristato.

 Non avevo notato l'assenza della cornacchia finché il ragazzo non ne aveva accennato. "No, mi dispiace", ammisi, e a malincuore aggiunsi: "Le cornacchie sono uccelli terrestri, Per. C'è abbondanza di cibo per lei a Borgo Baratto, al contrario che in mare aperto. So che avresti spartito le tue razioni con lei qualora avessero cominciato a scarseggiare, ma forse lei preferisce cavarsela da sola, adesso".

 "Le avevo appena ridipinto di nero le penne. Che cosa ne sarà di lei quando il nero sbiadirà?"

 "Non lo so", risposi esitante. Mimica era una creatura selvatica e lo sarebbe sempre stata. Mi aveva manifestato chiaramente che non voleva un legame di Spirito. Cercai di non pensarci più.

 Eppure mi sentii traboccare di sollievo quando, il secondo giorno, udimmo un gracchio distante. Io e Per eravamo saliti a riva, appoggiati al pennone con i piedi saldi sul cavo di sicurezza. Al principio fu soltanto un puntolino in lontananza; a poco a poco riuscimmo a scorgere il battito costante delle sue ali, finché non discese su di noi con un saluto gracchiante e atterrò sul braccio di Per. "Stanca", disse. "Molto stanca." Zampettò fino alla spalla del ragazzo e gli si appollaiò sotto il mento.

 "Giuro, a volte sono sicuro che conosca ogni parola che diciamo", commentai.

 "Ogni parola", ripeté lei e mi scrutò con un occhietto luccicante.

 La fissai e mi accorsi che aveva la punta del becco argentata. "Per", lo ammonii cercando di usare un tono calmo. "Tienila lontana dal viso. Ha dell'Argento sul becco."

 Il ragazzo s'impietrì. Poi, con voce tremante, disse: "Io non percepisco mai la magia. Forse sono immune anche all'Argento".

 "O forse no. Ti prego, spostala dalla gola."

 Lui sollevò il polso e la cornacchia si trasferì sulla sua mano.

 "Che cos'hai fatto?" le chiesi. "Come ti è finito l'Argento sul becco, carina? Tutto bene? Come ti senti?"

 In risposta, Mimica girò la testa e si lisciò le penne di volo. Non si macchiarono d'Argento, ma splendettero più nere che mai. "Heeby", gracchiò. "Heeby me l'ha dato. Heeby me l'ha insegnato."

 Già. Il corroborante di cui aveva parlato Rapskal a Borgo Baratto. Avrei dovuto intuirlo. Ed era stata la frequentazione con i draghi ad aver migliorato il suo eloquio? "Attenta con quel becco", la rimproverai.

 Lei mi scrutò con un occhietto scintillante. "Io sono attenta, stupido Fitz. Ma stanca. Portami da Paragon."

 Zampettò di nuovo fino alla spalla di Per e mi scoccò un'occhiataccia prima di abbassare le palpebre.

 Dal ponte, il capitano Trell ci gridò di darci una mossa e di smetterla di restare lì impalati come gabbiani.

 Per mi guardò, ignorando il comandante. "La porto da Paragon?"

 "Dubito che riusciresti a tenerla lontana. A ogni modo, anche se lei dice di stare attenta, tu fa' ancora più attenzione. E avverti tutti gli altri."

 Brashen ruggì di nuovo e Per cominciò a scendere in fretta, strillando che Mimica era tornata. Mentre il ragazzo scivolava dalle sartie lesto come un ragno, Fiamma gli andò incontro di corsa. Io iniziai la mia lenta discesa.

 "Sei davvero un principe?" m'interrogò Kennitsson quando mi fermai accanto a lui per riprendere fiato.

 Esitai un momento. Bastardo o principe? Devoto mi aveva ufficialmente dichiarato principe. "Sì", risposi, "ma nato illegittimo e quindi fuori dalla successione dinastica."

 Il giovane ignorò il dettaglio. "Quel ragazzo, Per, era il tuo garzone di stalla, giusto?"

 "Sì."

 "Ci lavori insieme e lui non si mostra deferente."

 "Invece lo fa, ma non in maniera palese, suppongo. Mi rispetta, anche se gli altri non lo vedono."

 "Mmm."

 Il verso fu più pensieroso che sdegnato. Nonostante il brevissimo tempo trascorso a bordo come semplice marinaio, Kennitsson era cambiato. Era abbastanza intelligente da capire che se doveva alloggiare con gli altri membri dell'equipaggio, come Pulce o Per, avrebbe fatto meglio a rinunciare ai suoi modi altezzosi. Aveva smesso gli abiti eleganti per indossare gli stessi pantaloni di tela e le camicie di cotone che portavamo tutti quanti. Si era legato i capelli in una treccia dopo che Pulce lo aveva avvisato che le ciocche libere potevano impigliarsi in un cavo, che gliele avrebbe strappate dallo scalpo. Si era anche protetto le mani con delle strisce di cuoio: sospettavo che avesse delle vesciche sui palmi. Le funi di canapa non sono mai gentili con la pelle.

 Non mi disse altro, per cui mi allontanai in fretta per ricevere ordini.

 Erano passate decine di anni da quando avevo lavorato su una nave, e mai su una come Paragon. La natura vivente del veliero significava che era parte attiva della navigazione. Non era in grado di issare o ammainare le vele, ma poteva gridare suggerimenti al timoniere, percepire dove le correnti erano più veloci o avvertirci di una cima che si era allentata. Aveva un acuto senso della profondità e dei canali, qualcosa che aveva dimostrato con orgoglio quando aveva guidato l'equipaggio fuori dalla baia di Borgo Baratto, e anche adesso che stavamo zigzagando con cautela tra le Isole dei Pirati per raggiungere il mare aperto. Quando affrontò le prime onde alte, l'equipaggio faticò per tenere il passo con le sue direttive.

 Non ero il solo a stupirmi dei metodi di una nave vivente. I marinai che avevamo imbarcato a Borgo Baratto non nascondevano la loro meraviglia davanti all'energica presenza di Paragon. L'ufficiale di rotta arrivò al punto di chiedere il permesso di conferire con la polena per poter correggere le proprie carte nautiche in base alle sue conoscenze. Lasciato libero di fare a modo suo, Paragon divenne più affabile, in particolare con Bimb-O e Kennitsson.

 Malgrado tutto, la transizione da passeggero a marinaio non fu facile per me. In cuor mio ero sempre stato fiero di come portavo i miei sessant'anni suonati. Gran parte del vigore fisico era dovuto alla vecchia guarigione d'Arte che ancora mi pervadeva il corpo e continuava a riparare i danni. Tuttavia, godere di buona salute non sempre significa essere forti e resistenti. I primi giorni a bordo furono i più penosi per me. I calli procurati dal maneggiare una spada o un'ascia sono diversi dai palmi di un marinaio, irritati dalla canapa ruvida. Mi facevano male le gambe, le braccia, la schiena, ma lentamente ricominciai ad avere i muscoli e anche il ventre piatto. Il mio corpo si guariva da solo, tuttavia il processo di guarigione può essere doloroso quanto una ferita.

 Nonostante i marinai che si erano aggiunti a Borgo Baratto, il nostro equipaggio era ancora sottodimensionato, e ancora meno erano quelli abituati a navigare su un veliero vivente. La fine dei miei turni di lavoro non sempre era garanzia di riposo. Il grido "Tutti gli uomini in coperta!" poteva echeggiare da un momento all'altro. Come aveva previsto Brashen, la corrente non ci favoriva nel nostro viaggio verso sudest. La terra divenne una macchia indistinta alle nostre spalle. Un giorno mi svegliai ed era scomparsa.

 Fiamma e Per se la cavavano alla grande, salendo volentieri a riva insieme a Pulce. Clef era un buon maestro e adesso c'era anche Bimb-O come marinaio esperto. Lante lavorava con me, sforzandosi d'insegnare al suo corpo adulto le qualità che sarebbe stato più felice di acquisire da ragazzo. Lo compativo, ma lui non si lamentò mai. Tutti noi mangiavamo in abbondanza e dormivamo ogni volta che ne avevamo l'opportunità.

 Ben presto si stabilì un'atmosfera cameratesca. Fossi stato più giovane e senza altro scopo nella vita che guadagnarmi il pane, sarei stato contento. L'ostilità dell'equipaggio della nave vivente per come gli avevamo distrutto la vita così come la conoscevano fu cancellata dalla necessità quotidiana di lavorare fianco a fianco. Dal canto mio, evitavo scrupolosamente ogni argomento che ricordasse loro che, alla fine del viaggio, Paragon aveva intenzione di trasformarsi in draghi.

 La pazienza di Brashen con Kennitsson mi stupiva. In più di un'occasione il comandante lo aveva messo in coppia con me. "Principe FitzChevalier", mi chiamava sempre Trell, e alla fine capii che voleva far presente al giovane che persino un principe reale non esitava di fronte ai compiti più umili. A ripensarci, credo che Kennitsson s'impegnasse a imparare le arti marinaresche non tanto perché costretto dagli ordini del comandante, quanto per il desiderio personale di eguagliare o superare gli altri marinai. Era una pena osservarlo. Si metteva a confronto con un marinaio più esperto e proclamava a gran voce: "Ce la faccio anch'io!" A volte rifiutava le offerte di aiuto o le correzioni ai suoi metodi. Non era uno stupido, ma era vittima dell'orgoglio e della smania di primeggiare. Ancora più pena mi faceva Bimb-O, combattuto tra i suoi genitori e l'uomo di cui voleva essere amico. Kennitsson lo trattava come un cucciolo socievole, spesso criticando le capacità marinaresche del giovane. Più di una volta mi capitò di vedere Bimb-O sistemare meglio una cima di nascosto dopo che Kennitsson l'aveva abbisciata o allentare un nodo e rifarlo. Non dissi niente, ma se me n'ero accorto io, figuriamoci il padre. E se Brashen lasciava correre, non spettava a me intervenire. Eppure era affascinante osservare Kennitsson destreggiarsi tra l'uomo desideroso d'imparare e il principe che non riusciva ad ammettere di non saper fare qualcosa. Speravo che non succedesse niente di brutto.

 Clef, il primo ufficiale, aveva visto crescere Bimb-O fin dalla più tenera età, ed era naturale che i due fossero molto affiatati; così rimasi sorpreso quando strinse amicizia con Kennitsson. Clef era stato poco più di un ragazzino su Paragon quando Kennit aveva stuprato Althea e cercato di far colare a picco la nave, eppure sembrava considerare Kennitsson soltanto per i suoi meriti. Quando correggeva il principe, notai che il giovane accettava più volentieri le sue critiche rispetto a quando interveniva Brashen. Temevo anche che Per s'ingelosisse per le attenzioni che Clef riservava a Kennitsson, invece si unì al gruppetto e spesso sedevano insieme duranti i pasti. Una sera che lo vidi giocare a dadi con gli altri tre, capii che era stato accettato e smisi di preoccuparmi. I ragazzi trovano da soli ciò di cui hanno bisogno.

 Nel giro di un paio di serate, osservai Kennitsson passare dall'indifferenza nei confronti di Per alle canzonature e alle battute che preludono a una vera amicizia. Vidi Kennitsson e Per cospirare per imbrogliare Bimb-O a carte finché non perse anche l'ultimo fagiolo secco che usavano al posto dei soldi. Il finto sdegno di Bimb-O quando scoprì il complotto completò l'iniziazione di Per. Clef cominciò ad affidare ai due incarichi da svolgere insieme e più di una volta notai che Per mostrava al principe come eseguire un compito nella maniera più corretta. Divennero amici e la giudicai una buona cosa per entrambi.

 Tuttavia non mancarono i passi falsi. Non obiettai quando Bimb-O e Kennitsson decisero di far ubriacare Per. Una sonora sbornia è un passaggio obbligato per qualsiasi giovane uomo, e pensai che per quanto il giorno dopo ne avrebbe risentito, male non poteva fargli. Quello che non avevo previsto, però, era che in preda ai fumi dell'alcol, Per li avrebbe invitati nella nostra cabina ad ammirare gli splendidi manufatti Antichi che ci avevano donato nelle Giungle della Pioggia. Aprii la porta e li trovai tutti e tre ubriachi, con Per che maneggiava una delle sfere esplosive di Umbra e tentava di spiegare che cosa fosse. Il mattone di fuoco giaceva capovolto sulla mia cuccetta, che aveva già cominciato a fumare. Non fu quello a farmi arrabbiare, quanto la vista dei diari di Ape abbandonati accanto alla coperta bruciacchiata.

 Li scacciai dalla cabina con qualche colorito insulto e assestai un potente calcio nel sedere a Per. Il giorno dopo si profuse in mille scuse, tra un getto di vomito e l'altro dal parapetto, mentre più tardi Bimb-O e Kennitsson si dimostrarono sinceramente pentiti. L'episodio consolidò il legame di amicizia fra i tre; avevo la sensazione che adesso Per fosse più al sicuro di chiunque altro sul Paragon.

 Una sera Fiamma venne a svegliarmi dall'agognato riposo per convocarmi nella cabina di Ambra. La seguii con gli occhi ancora mezzo chiusi. Il duro lavoro del marinaio mi stremava. "È importante!" mi sibilò, prima di farsi strada come un gatto tra le amache occupate dagli altri.

 Quando arrivai, scoprii che Per era già lì, morto di sonno come me. La cosa che mi risollevò il morale fu che avremmo parlato con il Matto e non con Ambra.

 "Bisogna discutere del piano per salvare Ape", esordì.

 "Sicuro che sia viva?" chiese Per. La sua sete di conferma mi fece accapponare la pelle.

 "Sicuro", asserì il Matto con dolcezza. "Lo so che è difficile da credere, dato che il nostro primo obiettivo era la vendetta, ma adesso che sono certo che è viva, questo cambia tutti i nostri piani."

 Per lanciò un'occhiata perplessa, che fui lieto che il Matto non potesse vedere. Mantenni un'espressione impassibile. "Avete studiato la mappa che ha realizzato il Matto? È essenziale che abbiate memorizzato la pianta di Castel Clerres."

 I due annuirono e Fiamma dichiarò ad alta voce: "Fatto".

 "Vi ho detto che l'unico modo per accedere al castello è con la bassa marea, quando ci uniremo alla folla che sborsa un mucchio di soldi per avere il privilegio di entrare. Io sarò travestito perché nessuno mi riconosca. Penseremo a qualcosa per voi."

 Sospirai. Ero ancora convinto che un'incursione solitaria per avvelenare o tagliare qualche gola fosse la soluzione migliore.

 "Una volta entrati, ci separeremo dal flusso di postulanti e ci nasconderemo. Forse saremo costretti a dividerci. Bisogna tenere a mente che Ape non conosce né me né Fiamma. Perciò, al calare della notte, ci incontreremo nel chiostro del bucato, che a quell'ora è deserto, e formeremo due gruppi. Uno composto da Fitz e Per, l'altro da Lante, Fiamma e me, in modo che ciascuno abbia un guerriero esperto. E qualcuno in grado di aprire qualunque serratura." Sorrise verso il punto in cui riteneva fosse Fiamma.

 Di male in peggio. Non dissi niente. Lante si guardava le mani. Per ascoltava attento. Fiamma sembrava già al corrente del piano, perché non aveva l'espressione sorpresa.

 "I posti dov'è più probabile che si trovi Ape sono quattro. Sul tetto della fortezza, dove le stanze del vecchio harem sono state riconvertite in celle per i prigionieri preziosi che devono essere puniti, ma senza subire danni permanenti. Oppure nelle casette dove alloggiano i Bianchi." Sapevo quali sarebbero state le sue prossime parole e le temevo. "Poi ci sono i due livelli sotterranei. Il primo ospita le celle con il pavimento di pietra e le sbarre di ferro. Poca luce, condizioni estreme. Ho paura che potrebbe essere lì." Trasse un respiro tremante. "Nel livello più basso ci sono le celle peggiori e la sala dove le torture sono prolungate e minuziose. Là si raccolgono gli scarichi del castello, che confluiscono in una cisterna aperta per poi sfociare in mare. Non c'è luce e l'aria puzza di morte e di escrementi. Il peggior luogo possibile per lei. E per questo sarà il primo da cui inizierò le ricerche. Il mio gruppo partirà dal livello più basso, mentre Fitz e Per cominceranno dalle celle sul tetto. Se la trovate, scendete nel chiostro del bucato. Altrimenti cercatela nelle casette."

 Per aprì la bocca per parlare, ma con un cenno della mano lo misi a tacere.

 "In un caso o nell'altro, raggiungete il chiostro. Quanto a noi, dopo aver battuto i sotterranei, cercheremo anche l'ingresso della galleria che i miei salvatori hanno usato per farmi evadere. Se avremo successo, due di noi accompagneranno subito Ape fuori, mentre il terzo verrà ad avvertirvi e vi guiderà fino al passaggio."

 "E se non troviamo questa galleria?"

 "Porteremo qualche indumento in più per Ape, o magari basterà il mantello di farfalla. Ci nasconderemo di nuovo e il giorno dopo usciremo allo scoperto per mescolarci alla folla che lascia il castello." Si torse le mani, una nuda e l'altra guantata. Si rendeva conto dell'inadeguatezza del piano, non c'era bisogno che glielo dicessi io. Era la disperazione di un uomo che voleva che le cose andassero per il verso giusto.

 "E se non troviamo Ape?" chiese Per con un filo di voce.

 "Ci nasconderemo ancora e ce ne andremo con i postulanti del giorno dopo. Potrebbe succedere, dato che i miei sogni non mi dicono se si trovi già a Clerres o sia ancora in viaggio. Forse saremo costretti ad aspettare."

 "E i draghi?" domandò Lante. "Tintaglia e Heeby hanno tutte le intenzioni di vendicarsi. E se arrivano a Clerres prima di noi?"

 Il Matto si allentò il colletto con le mani tremanti e si leccò le labbra. "Confido che i miei sogni mi mostrerebbero un evento tanto disastroso. E finora non è successo. Perciò nutro forti speranze." Scosse la testa come a scacciare dalla mente la terribile ipotesi di Lante. "Avete capito tutti che cosa fare? Siamo d'accordo?"

 Io non dissi niente, ma nessuno parve notarlo. Fu Fiamma a rispondere a nome di tutti. "Sì. Però adesso dovete dormire."

 Il Matto si strofinò le guance e soltanto allora mi accorsi di un particolare che mi era sfuggito. Era divorato dall'ansia. Dovetti ricorrere a tutto l'addestramento di Umbra per infondere calore e sicurezza nella voce.

 "Va' a dormire, amico mio. Io e Per dobbiamo tornare alle amache, perché il nostro turno di guardia comincia presto. Dobbiamo tutti riposare finché possiamo."

 "Finché possiamo", assentì lui, e Fiamma mi fece un cenno con il capo mentre io, Lante, Per uscivamo.

 Una volta lontani dalla cabina del Matto, Lante mi afferrò una manica per fermarmi. "Credi che Ape sia ancora viva?" mi chiese sotto voce. Per si avvicinò per ascoltare la mia risposta.

 Scelsi le parole con cura. "Il Matto lo pensa. Ha elaborato un piano che ha il suo salvataggio come obiettivo primario. Sarò ben felice di seguirlo", mentii, poi aggiunsi: "A ogni modo, non interferisce con il mio progetto di uccidere i suoi rapitori".

 Detto questo, ci salutammo. Io tornai a sdraiarmi sull'amaca, ma non riuscii più a prendere sonno.

 Le giornate passavano senza che l'orizzonte cambiasse. Acqua vedevo quando mi coricavo alla fine del turno e acqua vedevo quando mi alzavo. Il tempo era bello e sempre più caldo. Ci abbronzammo tutti, tranne dama Ambra che continuò ad avere la pelle di una delicata sfumatura dorata, più scura del pallore niveo del Matto, ma più chiara della carnagione ambrata di messer Dorato. Una volta il Matto mi aveva raccontato che, secondo una credenza diffusa, quando un Profeta Bianco portava a termine la sua missione, mutava pelle e diventava più scuro. Lui invece si era schiarito e quindi mi domandai se i Servi non lo avessero ostacolato. Dama Ambra si rendeva utile come poteva, dal pelare patate e rape all'intrecciare il cordame. Si sfilava il guanto, e i trefoli sembravano obbedire docili al lieve contatto delle sue dita argentate. Mi ricordava in maniera inquietante Veritas quando levigava la pietra del suo drago e così evitavo di osservarla quando era impegnata in quel compito.

 Ambra trascorreva più tempo con Paragon di quanto i nostri due comandanti avrebbero desiderato. Paragon era sempre contento di riceverla e quando lei suonava per la polena spesso si univano a loro Kennitsson e Bimb-O. Anche Mimica andava sovente a fare compagnia a Paragon. Tra i miei turni di lavoro e il tempo che Ambra passava con la polena, avevo poche occasioni d'incontrare il Matto e di preoccuparmi della distanza che lei stava mettendo tra noi.

 Il viaggio procedeva a rilento. Le correnti oceaniche non erano favorevoli. Malgrado il clima mite, i venti erano incostanti. Certi giorni sonnecchiavano e le nostre vele pendevano flosce. A volte, nel guardare l'immensa distesa azzurra, mi chiedevo se ci stessimo muovendo. Più a sud scendevamo, più caldo faceva. Ormai era estate e la luce del giorno indugiava fino a tarda sera.

 Una volta andai a coricarmi presto e chiusi gli occhi. Ero stanco e annoiato, ma non riuscivo a prendere sonno. Cercai di fare come il mio lupo mi aveva insegnato: mi concentrai sul presente senza preoccuparmi del futuro o rivangare il passato. Non era mai stato facile per me, e quel pomeriggio non faceva eccezione. Mentre ero sdraiato in attesa del sonno che non ne voleva sapere di venire, percepii un sussurro d'Arte. Papà?

 Mi alzai a sedere, però persi il contatto. No, no, dovevo restare disteso, immobile, respirare lentamente e aspettare. Aspettare. Era come osservare la selvaggina dall'alto di un ramo. Aspettare.

 Papà, mi senti? Sono Urtica. Ho ricevuto il tuo piccione e ho delle notizie per te. Papà?

 Trassi qualche respiro lento e profondo, sforzandomi di restare in bilico sul confine sottile tra il sonno e la veglia. Mi avventurai nella corrente d'Arte. Sembrava più debole, quasi sfuggente. Urtica, sono qui. Tutto bene? Il bambino? Rabbrividii. Il figlio di Urtica, mio nipote. Bandito dalla mia mente per tutte quelle settimane.

 Non ancora, ma presto. La sua risposta fu un sussurro nel vento, tuttavia pervasa dal piacere che il mio primo pensiero fosse stato per lei e per il bambino. Leggere come soffioni, le sue parole veleggiarono verso di me. Il tuo messaggio ci è arrivato, però non ho capito bene. Abbiamo mandato dama Mentuccia come emissaria. Perché volevi che i guaritori d'Arte andassero a Kelsingra?

 Perché penso che tutti ne trarremo vantaggio. Espansi la mente per trasmetterle la mia compassione per le persone toccate dai draghi e aggiunsi anche l'aspetto pratico: avremmo potuto stabilire una salda alleanza con quel popolo e avere la possibilità di saperne di più sull'Arte, avendo accesso a Kelsingra e ai suoi manufatti. Mitigai l'entusiasmo con un avvertimento sull'Argento dei draghi e la mia convinzione che fosse la stessa sostanza che Veritas si era spalmato sulle mani per poter ultimare il suo drago di pietra. Una sostanza incredibilmente potente e pericolosa. Non farne parola con Umbra, altrimenti vorrà sperimentarla! Come sta Umbra? Mi manca tanto e anche a Lante.

 Ssh! Non nominarlo!

 Ma era troppo tardi. Avvertii un lieve refolo, come la brezza leggera che smuove le vele prima che si gonfino al vento, poi Umbra m'invase la mente come un uragano. Era esaltato, trionfante, ebbro d'Arte. Fitz! Ululò il mio nome nella corrente d'Arte, che mi travolse e m'inzuppò come se avesse rimestato un pentolone d'acqua. Eccoti qui, ragazzo mio! Quanto mi sei mancato! Vieni con me, ho tante cose da mostrarti!

 Devoto! Confratelli, a me, presto! Contenete messer Umbra! Fermatelo!

 Mi sentii trascinare via dal corpo, la mente ridotta a un velo sottile come una macchia di vino su un tavolo. Ero una manciata di fiocchi di neve che turbinavano nel vento, una nuvoletta di condensa formata dal respiro in una notte gelida. Udivo grida lontane, qualcuno lottava chissà dove. Poi, distinto come una goccia d'acqua gelata sul collo, percepii il tocco insicuro di un'altra mente.

 Papà? Sei un sogno? Pa'?

 Non avevo mai scambiato un contatto d'Arte con Ape. Non avevo sentito la sua voce, né visto il suo volto, ma il tocco della sua mente era così inconfondibile che non dubitai nemmeno per un istante che fosse lei.

 Era lieve, impercettibile, la voce di una bambina che gridava nella tempesta. Tentai di raggiungerla. Ape! Sei tu, sei viva?

 Papà? Dove sei? Perché non sei venuto a prendermi? Papà?

 Ape, dove sei? le chiesi disperato.

 Su una nave. Diretta a Clerres. Pa'? Sono cattivi con me. Ti prego, aiutami. Perché non vieni?

 Poi, come un vento impetuoso, Umbra irruppe nella mia mente. Ape? Sa usare l'Arte, allora? Mia figlia sì, Scintilla ne è capace. È forte con l'Arte, ma la tengono lontana da me!

 Papà? PA'?

 Umbra era un ciclone impazzito che travolgeva qualunque entità d'Arte al suo tumultuoso passaggio. Temevo che Ape venisse spazzata via, fatta a brandelli. La spinsi via.

 Ape, fuggi! Svegliati, vattene, liberati! Non toccarmi la mente!

 Papà? Si aggrappò a me, disperata e impaurita.

 Non avevo tempo di rassicurarla. Le diedi una violenta spinta, come a volerla togliere dalla traiettoria di un cavallo imbizzarrito. Avvertii il suo dolore e il suo rammarico, ma mi allontanai da lei e mi parai davanti a Umbra per impedirgli di bruciarla. Umbra, fermati! Sei troppo forte! Ci distruggerai tutti come Veritas bruciò la mente del povero Augusto! Controlla la tua Arte, Umbra, ti scongiuro!

 Anche tu, Fitz? Anche tu vuoi ostacolarmi? Traditore! Sei senza cuore. Questa è la mia magia, mi appartiene di diritto, è la mia gloria!

 Allora ficcategliela in gola a forza se necessario! Presto! Tre apprendisti hanno le convulsioni!

 Questa era Urtica che gridava a pieni polmoni con la voce e con l'Arte. Percepii la rabbia e il risentimento di Umbra, convinto che stessimo complottando contro di lui. Lo volevamo fermare, ne era sicuro, perché gelosi della sua magia, e volevamo impadronirci dei suoi segreti. Nessuno di noi gli aveva mai voluto bene davvero, nessuno, tranne Scintilla.

 All'improvviso, come un sipario che cala al termine di uno spettacolo, tutto finì. Nessun ruggito d'Arte da parte di Umbra, nessun sussurro di Urtica e, peggio ancora, quando brancolai in cerca dell'Arte sottile di Ape, non percepii nulla. Niente di niente.

 Mi ritrovai sul pavimento. Lacrime copiose mi rigavano le guance.

 Lei era là fuori da qualche parte, la mia Ape, sballottata in una tempesta d'Arte, prigioniera e maltrattata. Il Matto aveva sempre avuto ragione. Non potevo arrendermi. Mi rituffai nella corrente d'Arte per cercarla, finché le forze mi abbandonarono. Quando tornai in me, ero raggomitolato sul pagliolato. Mi doleva ogni muscolo e la testa mi pulsava. Vecchio. Mi sembrava di avere cent'anni. Avevo fallito e avevo abbandonato non soltanto mia figlia, ma anche il mio mentore.

 Ripensai a lui. Povero vecchio Umbra, smarrito nella magia che aveva desiderato per tanti anni. Ora che la possedeva, la cavalcava come uno stallone selvaggio. Quella notte lo avevamo ferito e sapevo che non era la prima volta che si sentiva abbandonato e perseguitato. Avrei voluto essere al suo capezzale per prendergli la mano e rassicurarlo, dirgli che sì, gli volevamo bene, tutti quanti. La sua brama d'affetto mi aveva distrutto quasi quanto la sua Arte incontrollata.

 Tuttavia, l'ansia per Ape mi consumava quanto il desiderio di stare con Umbra. Su una nave, aveva detto, diretta a Clerres. Viva. Indubitabilmente viva! In una situazione terribile. Ma viva. Mi aveva chiesto perché non andassi a salvarla. I suoi rapitori erano cattivi con lei. Ma era viva. Il pensiero mi echeggiava nella mente come un rintocco di campane. La gioia che fosse sopravvissuta si scontrava con la paura per quello che stava subendo. Come aveva affrontato tutti quei mesi da sola con i suoi rapitori? Mi odiavo per averla respinta proprio quando era riuscita a raggiungermi.

 Ma era viva! Quella consapevolezza fu come una boccata d'aria dopo una lunga apnea, come pioggia dopo una siccità. Mi alzai in piedi. Era viva! Dovevo avvertire il Matto. Il nostro obiettivo primario adesso era salvarla!

 E poi la vendetta sanguinosa contro coloro che me l'avevano portata via.

 "Te l'avevo detto che era viva."

 Tremavo e avevo il fiato corto per aver attraversato la nave di corsa in cerca del Matto. Il tono distaccato di dama Ambra mi fece andare su tutte le furie. "Adesso è diverso!" esclamai. "Tu hai fatto un sogno che poteva o non poteva significare che Ape era viva. Io l'ho percepita con l'Arte. Mi ha parlato! Lo so che è viva. Su una nave per Clerres. Maltrattata da chi la tiene prigioniera."

 Ambra si lisciò le sottane. L'avevo trovata affacciata al parapetto, che fissava il mare con gli occhi ciechi. Udivo il pigro sciabordio delle onde contro la fiancata, ma non ci stavamo muovendo. L'urgenza di dirigerci verso Clerres, di sentire la nave che solcava le onde, era un dolore fisico che mi opprimeva il petto. Ambra si girò verso di me con quel suo sguardo vacuo, poi tornò ad affacciarsi al parapetto. "Te l'avevo detto. Settimane fa. Mesi fa! Ancora prima di partire da Castelcervo, ti avevo implorato di affrettarci a raggiungere Clerres! Se mi avessi dato retta, adesso saremmo già là ad aspettare il suo arrivo. Sarebbe stato tutto diverso. Tutto!" Impossibile ignorare l'aspro rimprovero sottinteso. Aveva parlato come il Matto, ma in quel momento non lo era.

 La guardai in silenzio per qualche istante, poi, proprio mentre mi accingevo ad andarmene, riprese a parlare in tono sommesso. "Mi stanca. E mi snerva. È tutta la vita che la gente dubita che io sia il vero Profeta Bianco. Ma tu, tu sei il mio Catalizzatore. Hai visto quello che siamo riusciti a realizzare. Mi hai condotto alle soglie della morte e riportato indietro. Non nego che i miei poteri si siano molto affievoliti; persino la mia vista è fatta soltanto di luci e ombre. Però quando dico che le mie visioni sono tornate, quando dico che ho sognato una determinata cosa, Fitz, proprio tu più di chiunque altro non dovresti dubitare di me. Se io mettessi in discussione la verità della tua Arte, se affermassi che hai soltanto sognato, non ti arrabbieresti?"

 "Suppongo di sì", ammisi. Fu un duro colpo che Ambra non condividesse la mia gioia, ma mi stesse rinfacciando i miei dubbi. Mi pentii di essere corso da lei, avrei dovuto tenere per me quella notizia. Possibile che non capisse quant'era pericoloso per me credere che mia figlia fosse viva? Che temevo di cadere dalla vetta della speranza nel baratro della disperazione? Come faceva a non rendersi conto che la mia esaltazione era minata dal terrore per la sua situazione? Il Matto lo avrebbe capito! Quello strano pensiero mi colse alla sprovvista. Il Matto e Ambra erano così diversi nella mia mente?

 Sì.

 Ambra non aveva mai salvato Kettricken, né mi aveva portato sulle spalle in una tormenta di neve. Non aveva mai conosciuto Occhi-di-notte. Non era mai stata torturata e mutilata. Non aveva mai servito re Sagace negli intrighi e nei giochi di potere di palazzo. Strinsi i denti. Che cosa, esattamente, condividevo con Ambra? Molto poco, decisi.

 Lei proseguì spietata. "Se avessi creduto in me, saremmo già là, a spiare e aspettare. Avremmo potuto salvarla ancora prima che la portassero nella fortezza. Invece adesso non sappiamo nemmeno se sono davanti o dietro di noi."

 Cercai un argomento per controbattere, ma non lo trovai. Il suo rimprovero era stato un attacco troppo violento. Non le avevo ancora raccontato della furia devastante di Umbra e di come Urtica e le sue confraternite erano riuscite a stento a contenere il vecchio, ma decisi che non l'avrei fatto. Drizzai la schiena e mi staccai dal parapetto. "Vado a dormire", annunciai. Più tardi, forse, quando fosse tornato il Matto, gli avrei parlato della mia paura dell'Arte e dell'apprensione per la sorte di Ape. Più tardi, forse, gli avrei detto come l'avevo respinta per allontanarla da Umbra, ma anche da me. Mi ero rivolto ad Ambra traboccante di gioia per il contatto avuto con Ape e di angoscia per non essere riuscito a rassicurarla né a trovarla, ma adesso non avevo nessuno con cui condividere quella tempesta di emozioni. Non potevo parlarne con Lante per non affliggerlo con le condizioni di suo padre. E nemmeno con Fiamma, che si sarebbe preoccupata per Umbra. E in quel momento non avevo alcuna voglia di fornire ad Ambra altri strumenti per colpirmi.

 "Già, vai pure", mormorò Ambra in tono gelido. "Vattene, Fitz. Dai le spalle alle cose che non vuoi ascoltare. Alle cose che non vuoi sentire. Alle cose che non vuoi sapere."

 Alle prime parole mi ero fermato, ma quando continuò, colsi il suo suggerimento e mi allontanai. Lei alzò la voce, fremente di collera. "Potessi io voltare le spalle a quello che so! Magari potessi scegliere di non credere ai miei sogni!"

 Continuai a camminare.

 Una nave non dorme mai davvero. Ci sono sempre dei marinai di guardia e tutti devono essere sempre pronti a correre in coperta in qualsiasi momento. Io però dormivo della grossa quando qualcuno mi scrollò la spalla e mi alzai di scatto pronto a combattere. Nella fievole luce della lanterna vidi che Fiamma mi scrutava con un misto di sorpresa e d'ironia. "Che cosa c'è?" le chiesi, ma lei scosse la testa e mi indicò di seguirla. Rotolai giù dall'amaca e mi feci strada tra gli altri marinai addormentati.

 Salimmo sul ponte. Soffiava una brezza leggera, il mare era calmo. Il cielo era trapunto di stelle brillanti, la luna una falce sottile. Non mi ero infilato la camicia né le scarpe, ma l'aria era così piacevole che non ne avevo bisogno.

 "Qualcosa non va?" domandai a Fiamma.

 "Sì."

 Aspettai.

 "So che ce l'avete con me per aver consegnato quel diario ad Ambra. Per avervi spiato per scoprire dove lo tenevate. E avete tutti i diritti di non fidarvi di me. Quando ho provato a parlarvene la prima volta, mi avete fatto capire chiaro e tondo che non volevate conoscere alcun segreto. Be', adesso sono qui per tradire ancora la vostra fiducia e mi aspetto di sprofondare ulteriormente nella vostra considerazione. Tuttavia è un segreto che non posso più mantenere."

 Provai un tuffo al cuore. I pensieri corsero subito a lei e Lante e temevo quanto avrebbe potuto confessarmi.

 "Si tratta di Ambra", mormorò.

 Trassi un respiro per dirle che non volevo conoscere i segreti di Ambra. La sua collera era un muro che non avevo intenzione di abbattere. Mi sentivo avvilito e irritato al tempo stesso. Se Ambra aveva un segreto che non voleva condividere con me, ma che aveva rivelato a Fiamma, be', che se lo tenessero pure per loro.

 Tuttavia a Fiamma non importava come la pensassi, perché si affrettò a dire: "Sogna la vostra morte. Quando eravamo in navigazione sul fiume, è capitato una, al massimo due volte. Ma adesso succede quasi ogni notte. Si agita e grida nel sonno, e si sveglia in lacrime tutta tremante. Non mi dice che cos'ha sognato, ma io lo so perché parla nel sonno. ‘Il Figlio morirà? Come può morire il Figlio? Non è possibile, dev'esserci un altro sentiero, un altro modo.' Però non credo che riesca a trovarlo. Questa cosa la sta distruggendo. Non so perché non vi parli dei suoi incubi".

 "Dov'è adesso? Lo sa che sei venuta da me?"

 Fiamma scosse la testa. "Stanotte sembra dormire tranquilla. Anche quando si sveglia in lacrime, io fingo di dormire. L'unica volta che ho provato ad aiutarla, mi ha detto di non toccarla e di lasciarla in pace." Abbassò lo sguardo. "Non voglio che le diciate che vi ho raccontato queste cose."

 "Non lo saprà", le promisi. Mi chiesi se o come lo avrei rivelato al Matto. Lui mi aveva confessato che più sognava un evento, più era probabile che si verificasse. Nel corso degli anni passati insieme, più di una volta mi aveva aiutato a evitare la morte. Come quando aveva richiamato Burrich in cima alla torre la notte che Galen mi aveva picchiato. Insieme mi avevano trascinato indietro dall'orlo del precipizio dov'ero strisciato, suggestionato da Galen a gettarmi di sotto. O quando mi aveva avvertito del pericolo di un avvelenamento nel Regno delle Montagne. Mi aveva trasportato sulla schiena quando ero stato trafitto da una freccia. Mi aveva detto spesso che nei suoi sogni la mia sopravvivenza era così improbabile da essere quasi impossibile, ma mi aveva aiutato a restare in vita, a tutti i costi, affinché a mia volta potessi aiutarlo a cambiare il mondo.

 E ci eravamo riusciti. Lui aveva sognato la propria morte certa, e insieme l'avevamo sconfitta.

 Adesso invece sognava la mia morte. Di nuovo. Ma ero ancora io il Figlio Inaspettato delle sue visioni, o era Ape? Eravamo diretti verso una missione di soccorso che lui riteneva impossibile? La mia morte non mi faceva né caldo né freddo. Se fosse stata il prezzo per salvare Ape, lo avrei pagato più che volentieri. E all'improvviso fui lieto che Lante e il Matto ci sarebbero stati per riportarla sana e salva a Castelcervo. Sapevo che Rompicapo e Urtica l'avrebbero accolta a braccia aperte, e probabilmente sarebbero stati molto più bravi di me a crescerla.

 Ma se aveva sognato di raggiungere Clerres soltanto per vederla morire… no. Non volevo, non potevo crederci. Lo avrei impedito.

 Era per questo che Ambra si era mostrata così fredda quando le avevo dato la notizia che Ape era viva? Perché adesso era convinta che sì, era viva, ma che non avremmo fatto in tempo a salvarla?

 No! Dovevo essere io. Ero io il Figlio Inaspettato, non Ape. Per favore, Eda ed El, non Ape.

 Fiamma mi stava ancora fissando, il volto pallido alla luce delle stelle. "Non è la prima volta che sogna che muoio", la rassicurai abbozzando un sorriso. "Ricorda, laddove lui è il profeta, io sono il Catalizzatore. Sono Cambiamento. Non ho intenzione di morire, né di permettere che qualcun altro muoia. Torna a letto, Fiamma. Riposa finché puoi. Quello che deve essere, sarà. Oppure no!"

 Lei rimase in silenzio. Mi accorsi che era combattuta. Alzò la testa per guardarmi negli occhi e dichiarò risoluta: "Riesce a vedere più di quanto vi dica".

 Io annuii. "Come sempre", le dissi, e mi voltai.

 Lasciai vagare lo sguardo sul mare. Dopo un po' sentii i suoi passi leggeri che si allontanavano. Esalai il sospiro che avevo trattenuto. Avrei tanto voluto che fosse tutto finito. I dubbi e le incertezze… mi fiaccavano più di un duello con l'ascia. Non ne potevo più di aspettare e pianificare. Eppure l'oceano si estendeva all'infinito davanti a me, come un immenso foglio di carta crespa sotto il fievole chiaro di luna.

 Da qualche parte, su quella stessa acqua, un altro vascello stava navigando verso Clerres, con mia figlia a bordo. Davanti a noi? Dietro di noi? Non avevo modo di saperlo.