Le Isole dei Pirati

 Ho sognato il rapimento di un bambino. No, non sognato. Per sei mesi quest'incubo mi ha tormentato il sonno come un oscuro monito. Il sequestro avviene a volte mentre si trova in una culla, a volte mentre partecipa a un banchetto, a volte mentre sta giocando nella neve fresca; ma, in ogni circostanza, lo vedo sollevare in alto e poi cadere. Quando atterra, il Bambino Rapito è diventato un mostro squamoso dagli occhi scintillati e il cuore gonfio di odio. "Sono venuto a distruggere il futuro."

 Questa frase è l'unica parte del sogno che resta invariata. So di essere soltanto un Comparatore, con appena una goccia di Bianco nelle vene. Ho tentato spesso di raccontare questo sogno, ma sono stato sempre respinto con la scusa che si trattava di un semplice incubo. Bella Symphe, siete la mia ultima speranza di essere ascoltato. Questo sogno merita di essere annotato negli Archivi. Ve lo dico non per acquisire gloria personale o il riconoscimento di essere un Bianco capace di sognare, ma soltanto perché… [testo bruciacchiato]

 Lettera rinvenuta tra i documenti di Symphe

 LE lunghe, pigre giornate su Paragon mi davano l'impressione di una lisca conficcata in gola. Erano talmente uguali l'una all'altra da sembrare un unico, interminabile giorno che mi soffocava.

 L'ostilità dell'equipaggio si concentrava principalmente su me e Ambra, e la collera latente trasformava i nostri brevi pasti frugali in un processo di fronte a un tribunale silenzioso. Ambra non aveva soltanto minato i mezzi di sostentamento di Althea e Brashen, ma anche quelli degli altri. Assicurarsi un posto a bordo di un veliero vivente era considerato un lavoro prestigioso, dato che l'equipaggio era ben pagato, le condizioni di vita erano migliori rispetto a qualsiasi altra nave normale e si diventava una famiglia. Adesso sarebbe finito tutto. Dal più giovane, ingaggiato appena sei mesi prima, al più anziano, che navigava sul Paragon da decine di anni, tutti avevano perso il lavoro. O almeno lo avrebbero perso una volta che Ambra avesse dato alla nave abbastanza Argento da trasformarsi. Per il momento erano tutti ostaggio delle ambizioni di Paragon, e noi con loro.

 Fiamma e Per erano compatiti più che disprezzati. Clef aveva tutta l'aria di voler concludere l'addestramento di Per come marinaio e mi consolava il fatto che il ragazzo non avesse tempo di accorgersi del diverso atteggiamento dell'equipaggio nei nostri confronti. Lante continuava a condividere la cabina con Clef, e quest'ultimo aveva fatto trasferire Per da loro. Avrei voluto ringraziarlo di tenere il ragazzo sotto la sua ala protettiva, al sicuro dal risentimento degli altri, ma temevo che qualsiasi discorso avrebbe soltanto aggravato la mia posizione. Per evitare d'inasprire gli animi, passavo la maggior parte del tempo nella cabina che spartivo con Ambra e Fiamma. La ragazza si era fatta taciturna e pensierosa. Adesso trascorreva più tempo a passeggiare con Lante in coperta piuttosto che con Perseverante a imparare i nodi o salire a riva. La primavera stava lasciando il posto ai primi caldi dell'estate, e l'aria della piccola cabina era spesso umida e afosa. Quando poi Lante e Per si univano a noi per le lezioni di lingua, il sudore mi colava lungo la schiena e m'incollava i capelli alla testa. A ogni modo, era un gradito diversivo dalla forzata inattività.

 Quando restavamo soli, io e il Matto esaminavamo senza posa i quaderni di Ape. Lui cercava ulteriori indizi nei suoi sogni. Io volevo disperatamente credere che fosse ancora viva da qualche parte, anche se il pensiero della mia piccola prigioniera nelle grinfie di quella gente spietata mi toglieva il sonno. Lui mi chiese di leggergli anche qualche pagina del suo diario quotidiano, e io acconsentii. Più o meno. Non sapevo se il Matto riuscisse a capire quando saltavo paragrafi o sorvolavo su certi passaggi troppo dolorosi da condividere. Se lo intuì, comunque non disse niente. Immagino che si fosse accorto di avermi spinto al limite.

 Eppure lui godeva di molta più libertà di movimento rispetto a me. Nei panni di Ambra, passeggiava tranquilla sul ponte, incurante degli sguardi accigliati dell'equipaggio e dei comandanti, perché era la beniamina della nave. Paragon richiedeva spesso la sua presenza per conversare o ascoltare musica. Era una libertà che invidiavo, pur sforzandomi di non provare rancore. Tuttavia rendeva le mie serate lunghe e solitarie.

 Una sera, dopo che Ambra era uscita per fare compagnia alla polena, non riuscii più a sopportare l'angusto ambiente surriscaldato. Con appena un fugace rimorso di coscienza, frugai nelle strabordanti sacche da viaggio che Fiamma e Ambra si erano portate dietro. Alla fine trovai il prodigioso mantello degli Antichi ripiegato in un quadratino minuscolo, con la parte ad ali di farfalla rivolta all'esterno, e lo aprii. La maggior parte degli Antichi erano molto alti, e il mantello era sovrabbondante. Esitai. No. Era stato il tesoro di Ape, e lei lo aveva donato a Perseverante per salvarlo. A sua volta, il ragazzo lo aveva dato al Matto senza fiatare. Adesso era il mio turno.

 Lo indossai. Mi si drappeggiò sul corpo con la magica capacità degli indumenti Antichi di adattarsi a chi li portava. Il davanti si allacciava con una serie di bottoni che andavano dal mento ai piedi. Trovai le fessure per le braccia e mi calai il cappuccio sul capo. Mi scivolò sul viso. Credevo che non avrei più visto niente, invece ci vedevo benissimo. Osservai la mia mano, unica parte visibile del mio corpo, afferrare il pomolo della porta. L'aprii, ritirai il braccio nelle pieghe di stoffa e uscii. Rimasi immobile qualche istante per dare tempo al mantello di assumere il colore spento dei corridoi.

 Ben presto mi resi conto di quale fardello fosse un indumento lungo fino ai piedi. Mi muovevo con cautela, eppure più di una volta mi capitò d'inciampare nell'orlo. Mentre esploravo la nave, inosservato, davanti a ogni scaletta ero costretto ad aspettare che non ci fosse nessuno nei paraggi perché dovevo sollevare il mantello per salire. Mi domandai se la nave fosse consapevole di me, ma non avevo alcuna intenzione di darmi una risposta se questo significava avvicinarmi alla polena.

 Mi aggiravo come uno spettro, attento a evitare i marinai e scegliendo con cura i luoghi dove fermarmi. Con il calare delle tenebre, mi feci più audace. Trovai Per seduto sul ponte accanto a Clef, nel cono di luce giallastra di una lanterna. Mi tenni in disparte. "Si chiama rostro di marlin o caviglia da impiombatura", stava spiegando Clef al ragazzo. "Perché alcuni usano il becco osseo del marlin, anche se io preferisco un cavicchio di legno. Si prende una vecchia cima inservibile e si sciolgono i filacci, per poi fabbricare stuoini o quello che ti pare. Vedi? Questo è uno dei primi che ho fatto. Utile e caruccio, a modo suo."

 In silenzio guardai Clef insegnare al ragazzo il nodo centrale. Mi tornò in mente Trina, sempre indaffarata con aghi e uncinetti con cui realizzava lavori raffinati, polsini, colletti, centrini. Pochi erano a conoscenza del fatto che le punte aguzze dei suoi strumenti di lavoro fossero anche le sue armi letali come guardia del corpo di dama Pazienza. Mi allontanai augurandomi che Per rinunciasse alla sua ostinata lealtà nei riguardi di Ape per diventare marinaio. Di sicuro era meglio che restare invischiato nella missione di un assassino.

 Andai in cerca di Lante. Da quando l'equipaggio aveva cominciato a covare rabbia nei nostri confronti, ero sempre preoccupato per lui, più di quanto fossi disposto ad ammettere. Se un marinaio avesse voluto sfogare la sua collera contro uno di noi, con ogni probabilità il bersaglio sarebbe stato Lante. Era giovane e aitante: non sarebbe stato considerato un atto di vigliaccheria prendersela con lui. Lo avevo avvertito più volte di stare in guardia e lui mi aveva promesso che sarebbe stato prudente, ma con un sospiro rassegnato che diceva che sarebbe stato capacissimo di cavarsela da solo.

 Lo trovai affacciato al parapetto, nell'oscurità, intento a contemplare l'acqua. Il vento era favorevole e Paragon fendeva le onde senza sforzo. Il ponte era semideserto. Al suo fianco c'era Fiamma e i due conversavano sotto voce. Mi avvicinai di qualche passo.

 "Ti prego, no", lo sentii dire.

 Ma lei gli staccò una mano dal parapetto e s'infilò sotto il suo braccio, appoggiandogli la testa sulla spalla. "È perché sono di umili origini?" gli chiese.

 "No!" Notai con quale fatica il giovane spostava il braccio e si scostava. "Lo sai che non è per questo."

 "La mia età?"

 Lui tornò ad affacciarsi all'impavesata con le spalle curve. "Non sei molto più piccola di me. Fiamma, ti scongiuro, te l'ho già detto. Ho un dovere verso mio padre. Non sono libero di…"

 Lei si protese verso di lui e lo baciò su una guancia. Lui spostò il viso per incontrare le sue labbra. Emise un flebile gemito implorante, poi di colpo la strinse tra le braccia, la premette contro il parapetto e la baciò appassionatamente. Lei gli cinse la schiena con le mani pallide per attirarlo a sé, quindi prese fiato e sussurrò: "Non m'importa. Voglio quello che posso avere adesso".

 Io rimasi impietrito dallo choc.

 Lui la baciò di nuovo. Qualche istante dopo, con un autocontrollo invidiabile, la prese per le spalle e l'allontanò, parlando con voce ansimante. "Ci sono già abbastanza bastardi nella mia famiglia, Fiamma. Non voglio farne nascere un altro. Né voglio tradire la fiducia di mio padre. Gli ho fatto una promessa, e temo che quelle parole siano state le ultime che abbia sentito dalla mia bocca. Devo mantenere la promessa, fino in fondo. E non intendo lasciarmi alle spalle un figlio orfano."

 "Conosco dei metodi per impedire…"

 Lui scosse la testa. "Come sei stata ‘impedita' tu? O io? No. Mi hai detto che cosa ti ha confessato Ambra… che è molto probabile che lei e Fitz muoiano. E siccome ho promesso di proteggerlo, significa che morirò prima di lui. È già abbastanza penoso pensare di lasciarti senza qualcuno che ti difenda, anche se spero che Per si occupi di te. Ma non rischierò di abbandonarti con anche un figlio."

 "Più probabile che finisca io a occuparmi di Per!" Fiamma tentò di prendergli la mano, invece lui strinse le dita sul legno. Allora lei si accontentò di appoggiare il palmo sul dorso della sua. "Forse morirò proteggendo te prima che tu muoia proteggendo Fitz", mormorò ridendo, ma la sua risata non conteneva tracce di ilarità.

 Mi allontanai di soppiatto, quasi incapace di respirare per le lacrime. Non mi ero reso conto di stare piangendo finché non le sentii serrarmi la gola. Quante vite sconvolte perché mio padre aveva ceduto alla lussuria. O all'amore? Se Umbra non fosse nato, se io non fossi nato, qualcun altro avrebbe interpretato i nostri ruoli? Quante volte il Matto mi aveva detto che la vita era una ruota immensa che procedeva lungo un solco tracciato, e che il suo compito era quello di sbalzarla dal sentiero per avviarla su uno migliore? Era questo che avevo visto accadere quella notte? Lante che si rifiutava di proseguire la stirpe Lungavista di sfortunati bastardi?

 Tornai nella solitudine della cabina, mi chiusi la porta alle spalle, mi tolsi il mantello di farfalla e lo ripiegai esattamente come prima. Mi pentii di averlo indossato. Avrei voluto non sapere quello che invece adesso sapevo. Lo rimisi dove l'avevo trovato, giurando che non l'avrei più usato, pur sapendo che stavo mentendo a me stesso.

 Paragon aveva deciso la rotta, incurante di quello che desideravano Althea e Brashen. Ci eravamo lasciati alle spalle Borgomago senza fermarci, né per sbarcare il carico né per fare rifornimento di viveri e acqua. Avevamo navigato lungo le paludi insidiose delle Rive Maledette ed eravamo entrati nelle acque delle Isole dei Pirati. Alcune erano abitate, altre erano selvagge e inospitali. Per Paragon non faceva alcuna differenza. Anche se di notte noi guardavamo avidi le luci delle città portuali dove avremmo potuto imbarcare cibo e acqua, lui non si fermava e proseguiva imperterrito, mentre le nostre razioni diminuivano giorno dopo giorno.

 "Siamo prigionieri."

 Nella cabina afosa, il Matto si alzò a sedere sulla cuccetta dov'era sdraiato e mi guardò. "Parli di Brashen e Althea? Sai bene perché si sono raccomandati di restare il più possibile qui dentro."

 "Non mi riferisco a loro. Anzi, date le circostanze, mi pare che siano stati molto indulgenti con noi. È Paragon che ci tiene prigionieri." Abbassai la voce nell'atroce dubbio di che cosa la nave vivente fosse capace di percepire all'interno del suo scafo di legno. "Non gl'importa niente dei contratti e delle consegne di Althea e Brashen. Non si preoccupa delle scarse razioni che ci restano per il viaggio, dopo che non si è fermato a fare rifornimento a Borgomago. Per lui le nostre difficoltà non hanno alcun significato. Continua a navigare anche di notte, anche nella tempesta. Quando Althea ha ordinato di ridurre le vele, lui ha rollato con una tale violenza che è stata costretta a richiamare gli uomini saliti a riva."

 "Segue la corrente", disse il Matto. "Anche senza vele saremmo in grado di navigare tra le Isole dei Pirati, superare Jamaillia e oltrepassare le Isole delle Spezie. Lui lo sa, e l'equipaggio lo sa."

 "E l'equipaggio ci incolpa della situazione." Anch'io mi alzai a sedere sulla cuccetta superiore, attento a non sbattere la testa contro il soffitto basso. "Scendo", avvertii il Matto, e scivolai sul pavimento. Avevo il corpo anchilosato per la prolungata inattività. "Non mi piace quando Lante e i ragazzi stanno via per troppo tempo. Vado a dare un'occhiata."

 "Prudenza", disse lui, come se avessi bisogno di ammonimenti.

 "Quando mai non sono prudente?" gli chiesi, e lui inarcò un sopracciglio sarcastico.

 "Aspetta. Vengo con te", mi disse e allungò una mano in cerca delle sottane di Ambra ammucchiate sul pagliolato. Il tessuto frusciò mentre se le infilava.

 "Devi proprio?"

 Lui si accigliò. "Conosco Althea e Brashen molto meglio di te. Se sorge qualche problema, credo di poterlo gestire nella maniera più opportuna."

 "Intendevo le sottane. Devi proprio continuare a essere Ambra?"

 Lui irrigidì la mascella e parlò in tono sommesso, stringendo la stoffa. "Ritengo che aggiungere altre verità complicate al fardello che l'equipaggio e i comandanti sono già costretti a sopportare ci complicherebbe ulteriormente la vita. Loro mi conoscevano come Ambra, e quindi Ambra devo restare."

 "Non mi sta simpatica", osservai in tono brusco.

 Il Matto scoppiò a ridere. "Sul serio?"

 Io risposi sincero. "Sul serio. Non mi piace chi sei quando sei Ambra. Lei è… non è una persona che sceglierei per amica. È disonesta. Bugiarda."

 Un lieve sorriso gli increspò le labbra. "E invece da Matto non ho mai mentito?"

 "Non in questo modo", replicai, ma mi chiesi se fosse vero. Si era preso gioco di me in pubblico quando lo aveva ritenuto politicamente vantaggioso; mi aveva manovrato affinché facessi quello che gli serviva. A ogni modo, non cambiai espressione.

 Lui piegò la testa da un lato. "Credevo avessimo superato queste incomprensioni", mormorò.

 Io non dissi niente. Lui abbassò lo sguardo quasi potesse vedere le mani che si allacciavano le sottane. "Sono del parere che sia meglio che io resti Ambra per loro. E se vuoi uscire in cerca degli altri, voglio venire con te."

 "Fa' come ti pare", ribattei aspro. Poi, quasi per ripicca infantile, aggiunsi: "Però non ti aspetto". Uscii dalla cabina e mi richiusi la porta alle spalle, senza sbatterla, ma con decisione. La collera mi ribolliva nel petto e nella gola. Rimasi qualche istante nell'angusto corridoio, ripetendomi che era la forzata vicinanza e non vera rabbia che mi aveva fatto reagire così con il mio amico. Trassi un lungo respiro e salii in coperta.

 Spirava un vento fresco e il sole splendeva, riflettendo schegge d'argento sull'acqua. Sostai il tempo necessario ad abituare gli occhi all'improvviso bagliore e mi lasciai accarezzare il viso dal vento. Dopo il senso d'oppressione delle quattro pareti della cabina, mi sembrava di avere tutto il mondo intorno. La distesa d'acqua era punteggiata di isole verdi in lontananza, che sorgevano dal mare come tanti funghi dal sottobosco. Inspirai a fondo, ignorando lo sguardo corrucciato di Corda, che aveva smesso di lavorare per fissarmi, e andai in cerca dei miei pupilli.

 Trovai Fiamma e Per affacciati all'impavesata insieme a Lante. La mano della ragazza era a un soffio da quella di Lante. Sospirai tra me e me. Tutti e tre contemplavano assorti l'acqua, ma quando mi avvicinai, Lante si girò nella mia direzione.

 "Tutto bene?" gli chiesi.

 Lui sollevò un sopracciglio. "Ho fame. Nessuno mi rivolge la parola. La notte dormo poco e male. E tu come stai?"

 "Più o meno uguale", ammisi. I comandanti avevano ridotto le razioni per tutti.

 Il giorno che Paragon aveva oltrepassato il canale che ci avrebbe portati nella Baia dei Mercanti e quindi a Borgomago, i comandanti e l'equipaggio lo avevano affrontato. "Non mi farò legare a un molo", aveva dichiarato lui. "Non vi permetterò di usare le gomene per rimorchiarmi e trascinarmi su una spiaggia."

 "Nessuno ha intenzione di ostacolarti", aveva ribattuto Brashen. "Qui si tratta semplicemente d'imbarcare acqua e viveri. Di consegnare il carico e d'inviare qualche messaggio a Borgomago, Trehaug e Kelsingra. Paragon, per gli altri siamo scomparsi dalla faccia della terra! Penseranno che ci è capitato qualcosa di brutto."

 "Oh, di brutto?" La voce della polena si era fatta tagliente. "Vuoi dire che penseranno che la nave maledetta si è capovolta e ha fatto annegare un altro equipaggio?" Gli occhi da drago vorticarono rabbiosi.

 Brashen aveva stretto i denti. "Può darsi. O forse i Mercanti di Borgomago e i nostri clienti delle Giungle della Pioggia penseranno che siamo diventati dei ladri, che ci siamo impadroniti delle loro merci e siamo scappati per rivenderle da qualche altra parte. Forse io e Althea perderemo l'unica cosa che ci resta, la nostra reputazione."

 "L'unica cosa?" aveva ripetuto il veliero. "Avete già speso ogni centesimo del tesoro di Igrot? Una vera manna dal cielo quando ve l'ho fatto ritrovare!"

 "Ne resta abbastanza, forse, per commissionare una nave impervia che prenda il tuo posto. Una di legno che ci permetta di condurre una vita semplice. Se mai qualcuno vorrà ancora fare affari con noi, dopo che ci hai fatti diventare ladri e bugiardi!"

 "Il mio posto? Ah! Impossibile! Io sono l'unica ragione per cui ti è andata bene, marmocchio viziato con le mani bucate, figlio di…"

 "Ora basta!" era intervenuta Althea e, per niente intimorita, si era avvicinata alla polena. "Paragon, cerca di essere ragionevole. Lo sai che abbiamo bisogno di acqua dolce da bere. Non eravamo preparati per un lungo viaggio. Avevamo viveri a sufficienza per raggiungere Borgomago, più qualcosina di scorta. Tutto qui. E sono passati giorni ormai. Se continui a navigare, ci farai morire di sete. O di fame. Proseguirai da solo con i ponti pieni di cadaveri… compreso quello di Ambra. E allora come farai a ottenere l'Argento e a diventare due draghi?"

 Nessuna ragionevolezza aveva brillato in quegli occhi azzurri vorticanti. La polena si era girata verso il mare. "Potete pescare, c'è tanto pesce."

 E così avevamo proseguito, e i comandanti avevano tagliato le razioni. Certo, quelle acque abbondavano di pesce e la carne cotta tratteneva un po' di umidità. L'equipaggio ne pescava ogni giorno, sufficiente a rimpinguare le esigue scorte di gallette e strisce di carne salata. Quando ci eravamo imbattuti in due tempeste primaverili, Althea aveva ordinato di tirare fuori le vele di ricambio e di raccogliere l'acqua piovana per reintegrare le nostre scarse riserve. Ed eravamo andati avanti, attraversando la regione nota come le Rive Maledette con le sue secche insidiose e le acque tossiche, finché non avevamo scorto gli scogli e infine le Isole dei Pirati.

 Mimica si tuffò in picchiata e mi sorprese atterrando sulla mia spalla. "Guarda chi si vede! Dove sei stata?" la salutai.

 "Nave", gracchiò con una certa urgenza. "Nave, nave, nave."

 "Sì, siamo su una nave", le confermai.

 "Nave! Nave, nave, nave!"

 "Un'altra nave?" le chiese Perseverante, e la cornacchia assentì con foga. "Nave, nave."

 "Dove?" le domandai tanto con la voce quanto con lo Spirito, ma come al solito mi parve di aver parlato in un pozzo.

 "Nave!" insistette lei e si levò dalla mia spalla. Colse una corrente ascensionale che la sollevò e io alzai lo sguardo per seguirne il volo. Oltrepassò l'albero della nave e si librò sospesa, contro vento. "Nave!" strillò, però la sua voce ci raggiunse a malapena.

 Pulce, che si trovava a metà albero, udì il richiamo della cornacchia e scrutò l'orizzonte a trecentosessanta gradi, poi si arrampicò più in alto. Una volta in coffa, si schermò gli occhi con una mano per guardare meglio. "Vele!" gridò.

 In un batter d'occhio Brashen raggiunse Althea sul ponte. I due alzarono lo sguardo per seguire il dito di Pulce. Il volto di Brashen si oscurò.

 "Che cosa succede?" sussurrai ad Ambra.

 "Probabile che non sia niente", mi rispose. "Ma un tempo, passare tra le Isole dei Pirati poteva costarti la vita. O la libertà, o il carico. Kennit si costruì un impero con le sue scorribande fra gli stretti e passò da capitano dei pirati a re. Non chiedeva un riscatto per le navi che catturava. Anzi, nominava comandante uno dei suoi fedelissimi e lo mandava a razziare, prendendo una quota del bottino. Gli equipaggi delle nuove navi erano schiavi fuggitivi o a volte gli stessi uomini che aveva sconfitto. Da una sola nave, passò a due, poi a una mezza dozzina, fino a formare una vera e propria flotta. Divenne un capo e infine un re." Fece una pausa. "Un buon re, a quanto si dice."

 "Ma pur sempre un bastardo schifoso." Althea era sopraggiunta alle nostre spalle mentre Ambra parlava.

 Ambra si voltò senza mostrarsi sorpresa. "Anche questo è vero. Secondo alcuni."

 "Almeno secondo me", ribatté Althea brusca. "Ma adesso le Isole dei Pirati sono funestate a loro volta dalle incursioni piratesche. E se non è una nave pirata che ti abborda, allora sarà una di quelle della Flotta del Dazio, venuta a esigere il ‘pedaggio'. Tale e quale ai pirati, ma con l'aggiunta di una marea di scartoffie." Si rivolse a Per. "Quella tua cornacchia. Parla. È possibile farci dire che tipo di nave è quella che ha avvistato?"

 Per scosse la testa, stupito di essere stato interpellato. "Pronuncia qualche parola, ma non sono sicuro che sappia sempre quello che dice. O che sia capace di distinguere un vascello da un altro."

 "Capisco", mormorò Althea pensierosa.

 "Ti preoccupa quello che potrebbe accadere se fosse Vivacia o un altro veliero vivente?" Ambra buttò lì la domanda come se stesse gettando un sassolino in un placido stagno.

 La risposta della donna fu talmente calma che mi chiesi se avesse perdonato l'amica. "Il pensiero mi ha sfiorato, sì. E sono preoccupata. Non sappiamo ancora quale effetto l'Argento avrà su Paragon, e se lui riuscirà a trasformarsi completamente. Preferirei non creare false illusioni per le navi viventi e le loro famiglie finché non sapremo come andrà a finire questo esperimento."

 Sentii che Brashen si era avvicinato ancora prima di vederlo. Emanava un'aura da predatore che il mio senso dello Spirito percepiva venata di collera rossa. Mi sforzai di tenere braccia e spalle rilassate, ma non era facile.

 Althea mosse la bocca come per dire qualcosa, poi ci ripensò ed evidentemente scelse altre parole. "In questo momento, Ambra, tu hai con Paragon un legame più profondo di quello mio e di Brashen. Perciò devo chiederti di usare il tuo ascendente su di lui."

 "Che cosa dovrei fare?"

 "Se la vela avvistata è una nave vivente, riteniamo sia meglio tenerci alla larga. Tuttavia, se si tratta di un normale vascello di legno, sarebbe preferibile accostare e vedere se possiamo comprare provviste da loro. Andrà bene qualunque cosa, ma ci serve soprattutto acqua." Spostò lo sguardo su di me. "Nelle Giungle della Pioggia imbarchiamo acqua piovana dalle cisterne di legno collocate sulle cime degli alberi. È costosa e ne prendiamo soltanto lo stretto indispensabile. L'acqua del fiume e dei suoi affluenti in genere non è potabile." Sospirò. "È già abbastanza dura ridurre le razioni di viveri, ma presto dovremo risparmiare anche quelle di acqua, a meno che Paragon non ci consenta di fermarci su una delle Isole dei Pirati per fare rifornimento. O che incontriamo una nave che abbia sufficienti barili d'acqua da essere disposta a venderne qualcuno."

 Alzò e abbassò le spalle esalando un profondo sospiro. Poi le ruotò e le drizzò, con mia grande ammirazione per la sua determinazione. Aveva quel coraggio incrollabile che di rado avevo visto in un uomo o in una donna. Posta di fronte alla fine della sua vita come l'aveva sempre conosciuta, la fine di quello che aveva sperato fosse la sua vita, non soltanto pensava al futuro del proprio equipaggio, ma anche a quello di coloro che erano a bordo delle altre navi viventi di Borgomago. E del veliero che ancora amava, malgrado lui stesse per abbandonarla.

 Veritas. Che scolpiva il suo drago. Ecco chi mi ricordava.

 Ambra diede voce al mio dubbio inespresso. "Quindi mi hai perdonata?"

 Althea scosse la testa. "Non più di quanto abbia perdonato Kennit di avermi violentata. O Kyle per aver preso il mio posto su Vivacia. Per certe cose non esiste il perdono o la condanna. Sono semplici crocevia dove ho imboccato una direzione, volente o nolente. Qualcun altro ha deciso al posto mio. Io posso soltanto controllare i miei passi dopo che sono stata avviata su quella strada."

 "Mi dispiace", mormorò Ambra.

 "Ti dispiace?" esclamò Brashen incredulo. "Adesso dici che ti dispiace?"

 Ambra si strinse nelle spalle. "Lo so di non meritare il perdono per quello che ho fatto. Né voglio darvi l'impressione di pretenderlo in nome della nostra vecchia amicizia. Però ve lo dico lo stesso perché è la verità. Mi dispiace di esservi stata costretta. Althea ha ragione. Gli eventi mi hanno messa su un sentiero. Io posso soltanto decidere il passo successivo."

 "Ha la bandiera delle Isole dei Pirati!" gridò Pulce dalla coffa. "Ci sta tagliando la rotta, e anche in fretta."

 "Probabile allora che sia una nave del dazio", ipotizzò Brashen. Scrutò accigliato l'orizzonte. "In tal caso, ci intercetteranno, chiederanno d'ispezionare il carico e ci faranno pagare il pedaggio per l'attraversamento di queste acque."

 "E dacché trasportiamo manufatti Antichi di Trehaug e Kelsingra, merci originariamente destinate a Borgomago, il dazio calcolato in base al loro valore sarà di gran lunga superiore a quanto possiamo pagare. A quel punto ci tratterranno sulle Isole dei Pirati offrendo una scelta: mandare qualcuno a prendere la somma necessaria o cedere parte del nostro carico per pagare il dazio… carico che non ci appartiene, ovviamente, e che avremmo dovuto consegnare a Borgomago." Althea aveva parlato come se ogni parola fosse fatta di spine.

 Brashen proruppe in una risata senza umorismo. "Già, e se ci rifiutiamo di far salire a bordo gli agenti del dazio, o di seguirli in porto finché il debito non sarà saldato, allora ci sarà un arrembaggio e cercheranno di assumere il controllo di Paragon. Non abbiamo idea di come potrebbe reagire la nave."

 "In realtà, temo di avere un'idea più che chiara di come reagirebbe", disse Althea. "Credo che farà di tutto per far affondare l'altra nave, senza clemenza per l'equipaggio." Scosse la testa amareggiata e si rivolse ad Ambra. "Perciò ti chiedo di usare tutte le tue armi per convincerlo a ragionare. Deve permettere all'altro veliero di accostare per poter parlare. Ci saranno dei problemi riguardo al dazio, ma almeno se entriamo in porto avremo l'occasione di rifornirci di acqua e viveri. O di licenziare il nostro equipaggio."

 "Licenziare l'equipaggio?" chiese Ambra allarmata.

 Althea era decisa. "Tutti quelli che vorranno, potranno sbarcare. Qualunque cosa abbia in serbo il destino per noi o per Paragon, non vedo ragione di portarci dietro tutti. Prima scenderanno dal ponte di Paragon, e prima troveranno un altro ingaggio. E un'altra vita."

 "Come farà Paragon a raggiungere Clerres senza equipaggio?" osservò Ambra.

 "Personale ridotto all'osso", ribatté la donna, squadrando Ambra da capo a piedi. "Dovrai levarti quelle sottane e ricordare come si lavora su una nave." Fece un cenno verso di me. "Anche lui. Come pure Lante e i ragazzi."

 Aprii la bocca per rispondere, ma Ambra mi anticipò. "Sono cieca. Ma farò quello che posso. Tutti noi lo faremo. E cercherò in ogni modo di far ragionare Paragon. Non ho intenzione di peggiorare la situazione."

 "Peggiorare?" borbottò Brashen cupo. "Come potrebbe andare peggio di così?"

 Come in risposta alla sua domanda, un'onda invisibile m'investì, facendomi girare come una banderuola segnavento. Era qualcosa di solido come una raffica, eppure non era aria, bensì Spirito e Arte fusi insieme, che percorsero il legno magico della nave in un modo che conoscevo ma non capivo. Lo conoscevo perché mi era capitato di farlo senza pensarci e senza comprendere, ai tempi in cui cominciavo a destreggiarmi con le due magie. Lo avevo fatto perché non sapevo come separarle. Mi avevano detto che la mia Arte era contaminata dallo Spirito, e sapevo che il mio Spirito aveva tracce nascoste di Arte. Mi ero sforzato di dividerle, di usare l'Arte a dovere. E ci ero riuscito. Quasi.

 Adesso, però, l'avvertii propagarsi per la nave, e la sensazione non era sbagliata, ma pura. Come due metà di un intero che si ricongiungevano. Una sensazione potente e per qualche istante non riuscii a pensare ad altro che allo stupore incantato che mi suscitava.

 "Oh, no!" mormorò Althea, e fu allora che mi resi conto che anche gli altri l'avevano percepita. Erano rimasti tutti impietriti, i volti tesi, quasi stessero ascoltando gli ululati di un branco di lupi in lontananza. Tutti tranne Perseverante, che spostò lo sguardo da un viso all'altro e poi chiese: "Che succede?"

 "Qualcosa sta cambiando", sussurrò Fiamma. Per quanto soggiogato dal flusso di magia, notai comunque la sua mano afferrare l'avambraccio di Lante, e quella di lui coprirla per rassicurarla. Qualcosa stava cambiando davvero, e non soltanto la nave. Sentii che Ambra mi stringeva la manica.

 Althea e Brashen si mossero all'unisono, come guidati da una sola volontà, diretti a proravia. Mimica girava in circolo sopra di noi gracchiando: "Nave, nave!" Noi li seguimmo, e Clef ci sorpassò di corsa. Con la stessa rapidità con cui era sorta, l'ondata di magia si spense. Althea e Brashen avevano raggiunto il ponte di prua.

 Paragon si voltò adagio per guardarli. "Che c'è?" domandò, inarcando un sopracciglio.

 Provai un brevissimo istante di assoluto sconcerto, poi mi resi conto dell'accaduto. La polena ci guardava con il mio volto, fatta eccezione per gli occhi azzurri. "È tale e quale al principe FitzChevalier quand'è perplesso", commentò Perseverante, rispondendo a una domanda che non si era ancora formata nella mia testa. Lentamente, Paragon ruotò il busto, alzò un braccio e Mimica gli atterrò sul polso, mettendo il sigillo alla mia totale confusione.

 "Nave!" gli disse.

 "La vedo. È un vascello del dazio. Sarà meglio virare e poi comunicare a bordo che li seguiremo fino a Borgo Baratto per pagare il pedaggio." Si girò appena per rivolgere ai suoi comandanti un sogghigno fanciullesco. "Vivacia è ormeggiata a Borgo Baratto, vero? Scommetto di sì. Sarà bello rivedere Bimb-O. E la regina Etta ha lì la sua corte. Forse, alla fine, Paragon Kennitsson capirà che il suo posto è sul mio ponte. Issate altre vele e prendiamo velocità."

 "Paragon, a che gioco stai giocando?" domandò Brashen con un filo di voce.

 La polena non si voltò. "Gioco? Che cosa intendi?"

 "Perché hai riassunto la tua vecchia faccia?"

 "Perché sì. Non è quella che preferite? Quella che mi fa sembrare più umano?"

 "Tu sei umano", scandì Ambra a chiare lettere. "Umano e drago. Posseduto dai ricordi di entrambi. Impregnato del sangue e delle memorie di chi ha vissuto ed è morto sui tuoi ponti. Hai cominciato come bozzoli di due draghi, questo è vero. Ma sei diventato qualcosa che non è soltanto drago, bensì imbevuto anche di umanità."

 Paragon rimase in silenzio.

 "Eppure hai cambiato il tuo volto", proseguì Ambra, "affinché Bimb-O ti veda con le sembianze che gli sono familiari e non si spaventi." Mi chiesi se lo avesse intuito o lo sapesse per certo.

 "Ho cambiato faccia perché mi andava di farlo", ribatté Paragon in tono di sfida.

 Ambra non si scompose. "E ti andava di farlo perché ci tieni a Bimb-O. Paragon, non devi vergognarti di quello che sei e di quello che provi. Di far parte di due mondi, invece che di uno soltanto."

 La polena si girò a guardarla con gli occhi azzurri da drago. "Sarò di nuovo due draghi. Te l'assicuro."

 Ambra annuì. "Sì, ne sono sicura anch'io. Come accadrà anche a Vivacia e a tutte le altre navi viventi. Ma sarete draghi come non ne sono mai esistiti prima. Draghi segnati dall'umanità. Che ci capiscono. Forse addirittura che ci amano."

 "Non sai di cosa stai parlando! Draghi plasmati dal contatto umano? Sai come si chiamano quegli esseri? Abomini! Ecco che cosa sono, quelli che nascono e crescono sull'Isola degli Altri. Tanto umani quanto serpenti, e quindi nessuno dei due. E mai e poi mai saranno draghi. Io sarò draghi!"

 Non mi raccapezzavo in quel profluvio di parole, ma per Ambra sembrava tutto chiaro. "Sì, certo che sarai draghi. E la parte di te che ricorderà l'umanità non sarà nelle tue ali o nelle tue zanne o nei tuoi occhi. Sarà nella tua memoria. Come i serpenti marini riesumano i ricordi necessari di quelli che sono stati serpenti prima di loro, e come un drago possiede la sua memoria ancestrale. Tu avrai un'ulteriore fonte di ricordi cui attingere, quelli umani, che ti garantirà una saggezza superiore a quella degli altri draghi. Tu e i draghi che sono stati velieri viventi sarete straordinari. Una nuova stirpe di draghi."

 Lui si girò verso il mare. "Non hai idea di quello che stai profetizzando. Guarda. Presto saranno a portata di voce. Non è ora di tornare ai vostri doveri?"

 * * *

 Il comandante della nave del dazio era un giovanotto. La barbetta rossa che gli contornava il mento era ancora rada e, sebbene indossasse un cappello elegante dalle ricche piume, apparve sollevato quando Brashen gli gridò che eravamo diretti a Borgo Baratto per pagare il pedaggio. "Bene, allora vi seguirò", rispose quello, come se fosse stato sul punto di chiederci di arrenderci.

 "Provaci", ribatté Paragon affabile. E infatti, una volta ripresa la navigazione, dimostrò la differenza tra un veliero vivente e un vascello fatto di legno normale. Con lo stesso vento e la stessa corrente, filavamo molto più veloci. Se Paragon avesse voluto seminare la nave del dazio, ogni tentativo d'inseguirci sarebbe stato inutile.

 Nessuno ci chiese di lasciare il ponte, così rimasi affacciato al parapetto con il mio piccolo seguito, gustandomi la sensazione del vento sulla pelle. "Come ci riesce?" domandai ad Ambra, e Per si avvicinò per ascoltare la risposta.

 "Non lo so. Forse spiana lo scafo. Al contrario delle imbarcazioni normali, una nave vivente non viene mai attaccata dalle alghe o dai balani. Lo scafo non ha mai bisogno di essere scartavetrato o ridipinto, e le teredini non riescono a scavare cunicoli nel legno."

 Passammo il resto del pomeriggio a osservare le isole diventare sempre più grandi a mano a mano che ci avvicinavamo. Ben presto Paragon fu costretto a rallentare per farsi strada tra gli isolotti che un tempo erano stati una città nascosta, frequentata dai pirati che volevano barattare il malloppo rubato, bere, giocare d'azzardo e godere dei piaceri che il luogo aveva da offrire. Era lì che si rifugiavano gli schiavi fuggiti per rifarsi una vita da persone libere. Lo avevo sentito descrivere come un posto di acque stagnanti, misere catapecchie e pontili fatiscenti.

 Invece Paragon s'infilò in un canale ben delineato per raggiungere una piccola baia dove i velieri, ovviamente mercantili, dondolavano all'ancora, mentre le navi più piccole e i pescherecci erano ormeggiati lungo le banchine del porto. La prospera cittadina alle sue spalle era un reticolo di strade e vicoli, fiancheggiati da alberi sconosciuti, carichi di fiori gialli. Il viale principale conduceva a un edificio grande quanto la villa padronale di Giuncheto, ma le somiglianze finivano lì. Il palazzo della regina Etta era fatto di assi di legno dipinte di bianco, con un lungo porticato aperto sulla facciata. Era circondato da un prato che permetteva di scorgerlo dal porto, oltre i tetti delle altre case e dei magazzini. Mi resi conto che l'altezza degli edifici era stata limitata proprio per ottenere quell'effetto: la residenza reale dominava la città e, dalla torre e dalle terrazze, godeva di una visuale completa del porto.

 "Quella è la Vivacia?" chiese Lante.

 Voltai lo sguardo. "Non lo so, ma è decisamente una nave vivente." La polena dall'aria regale aveva le fattezze di una giovane donna con la testa alta e le braccia tornite incrociate all'altezza della cintola. I capelli erano una massa di riccioli neri che le coprivano le spalle nude e il seno. Ravvisai nei suoi lineamenti fieri un'eco di Althea, quasi fossero imparentate. Quando Fiamma la descrisse a bassa voce, Ambra annuì. "Vivacia", confermò. "La nave vivente della famiglia Vestrit. Althea ne fu privata per un atto di crudeltà e uno strano capriccio del destino. Adesso è suo nipote Wintrow a comandarla. Brashen servì a bordo per anni, come primo ufficiale del padre di Althea. Sarà un incontro dolce e amaro per entrambe."

 Vivacia galleggiava placida all'ancora nella baia. Le vele di Paragon furono ammainate e, quando una flottiglia di barchini a fondo piatto ci venne incontro, i marinai lanciarono le cime e Paragon si fece rimorchiare docilmente. Tuttavia la mia attenzione era catturata da Vivacia. Si girò lentamente verso di noi; lì per lì la sua espressione fu quella di una donna seccata di essere stata disturbata, ma quando riconobbe il veliero, un ampio sorriso le illuminò i lineamenti. Tese le braccia in segno di benvenuto, e Althea, nonostante tutto quello che le era capitato e il futuro nero che le si profilava, le gridò un saluto entusiasta.

 I barchini posizionarono Paragon di fronte a Vivacia; gettammo l'ancora. Una lancia si staccò dalla banchina e si accostò al veliero; una donna con un cappello stravagante e una giacca di taglio sartoriale su un paio di braghe nere ci urlò che sarebbe stata lieta di traghettare il comandante e il manifesto di carico al Dazio. Althea rispose che a breve l'avrebbe seguita volentieri, ma la invitò prima a bordo per controllare le merci, dato che aveva delle circostanze insolite da spiegarle.

 L'ufficiale accettò. Non seguii l'operazione, però, perché distratto da quello che stava accadendo sul ponte. L'equipaggio si stava radunando in coperta, i volti adombrati da varie sfumature di rabbia e riluttanza. Avevano con sé le sacche da viaggio di tela che contenevano gran parte, se non tutte, le loro cose. Pulce piangeva in silenzio, le lacrime che le rigavano le guance mentre salutava gli altri. Corda lanciò la sacca accanto alla ragazza e si accovacciò di fianco a lei, scoccando a noialtri un'occhiataccia ostile.

 Dal canto mio, presi una decisione che mi sorprese, perché non mi ero reso conto di averci riflettuto. "Lante, devo dirti una cosa", esordii, e lo tirai in disparte. Mi appoggiai al parapetto, lo sguardo rivolto a Borgo Baratto. Lui mi guardò accigliato; immaginavo supponesse qual era l'argomento del colloquio, ma non poteva sapere dove volevo andare a parare. Indicai la città. "Non è male. È pulita e, a quanto pare, centro di traffici onesti, ormai."

 Lui annuì, la fronte sempre più aggrottata.

 "Tu e Fiamma stareste bene qui. E ti sarei grato se portaste anche Perseverante con voi. Usate i doni che abbiamo ricevuto a Kelsingra, ma attenti a non svenderli. Pretendete un prezzo pieno. Dovreste ricavarci abbastanza soldi da restare qui per qualche tempo, e da rimandare Per a Castelcervo."

 Lui non rispose subito. Quando si girò a guardarmi, i suoi occhi erano ridotti a due fessure. "Hai dato per scontato qualcosa che a me non interessa."

 "Dici?" ribattei gelido. "Ho visto come ti segue, come ti prende la mano." Poi, quella che avrebbe dovuto essere legittima collera si trasformò in stanchezza. "Lante. Spero che tu ci tenga davvero a lei. Non è una sguattera da sedurre e abbandonare. Umbra l'ha scelta. Lei è venuta con noi, e io non immaginavo che accadesse tutto questo. Vorrei che fosse rimasta con lui. Tuttavia, dal momento che è qui, mi aspetto che tu…"

 "Mi stai offendendo! E stai offendendo lei!"

 Smisi di parlare. Era ora di ascoltare. Il silenzio lo divorò finché non ne poté più. "Sì, esiste una certa… attrazione reciproca. Non so come tu abbia potuto pensare che si sarebbe trasformata in qualcos'altro, su una nave affollata come questa. E non importa quello che Fiamma prova per me. La sua lealtà nei confronti di Ambra è più forte. Non la lascerà mai."

 Chinai il capo.

 "E dubito che crederai a quanto sto per dirti, ma ascolta. Mio padre mi ha affidato un compito e io gli ho promesso che lo avrei svolto al meglio delle mie capacità. Se non riesci ad accettare il fatto che ho un dovere di lealtà verso di te, sappi che sono figlio di Umbra. Potrò non essere alla sua altezza, ma resterò al tuo fianco finché questa storia non sarà finita. In un modo o nell'altro." D'un tratto il tono risoluto si fece mortificato. "Non mi sono comportato bene con Ape. Né da maestro, né quando me l'hai affidata. Era una bambina strana, difficile. No, non t'inalberare! Lo sai che è vero. Ma avrei dovuto fare di più per lei, anche se non immaginavo di doverla proteggere con una spada. Lei era mia cugina, una bambina affidata alle mie cure, e io ho fallito. Non pensi che anch'io sia straziato dal dolore? Vendicarla è una cosa che tocca personalmente anche me, a parte i miei doveri verso di te e mio padre."

 "Il Matto pensa che Ape potrebbe essere ancora viva."

 Mi guardò negli occhi, e nei suoi lessi una profonda compassione. "Lo so. Ma perché lo pensa?"

 Inspirai a fondo. "Ape teneva un diario dei sogni che faceva. Li ho letti al Matto e lui ritiene che abbiano un significato che va oltre la mia comprensione. Crede che Ape avesse il dono della preveggenza e che alcuni sogni rivelino che è sopravvissuta."

 Lui rimase impassibile per un istante, poi scosse la testa. "È una speranza crudele da offrirti come appiglio, Fitz. Per quanto, se dovessimo trovarla e riportarla a casa sana e salva, mi sentirei liberato dal fardello del rimorso." Fece una pausa, ma io non sapevo che cos'altro aggiungere. Fu lui a proseguire. "Te lo dico da amico, se mai lo sono stato per te. Concentrati sulla vendetta, non sul salvataggio. Non ci sono garanzie per il secondo; potremmo anche non avere successo con la prima, ma almeno sapranno che ci abbiamo provato."

 Un amico. La mia mente si soffermò su quella parola, e mi chiesi se lo avessi mai considerato tale. Sapevo di aver imparato a contare su di lui; mi vidi costretto ad ammettere che il risentimento che avevo provato per la sua presunta relazione con Fiamma era dovuto in parte alla consapevolezza che li avrei persi entrambi. E così gli feci la peggiore delle domande possibili: "Quindi tu e Fiamma non avete…?"

 Lui sgranò gli occhi. "Non credo tu abbia il diritto di farci questa domanda. Forse non l'hai notato, ma sono un uomo adulto e di nobili origini. Non un tuo pari, certo, ma nemmeno il tuo lacchè. Neppure Fiamma è una cameriera, né tua, né di chiunque altro. È libera di scegliere che cosa fare del suo futuro quanto me."

 "È sotto la mia protezione, ed è molto giovane."

 Lui scosse la testa. "È più grande di quanto sembri e più avvezza a come vanno le cose nel mondo rispetto a certe donne che hanno il doppio della sua età. Ti garantisco che ha conosciuto il lato duro della vita molto più di Sciò. Sarà lei a decidere per se stessa, Fitz. E se vuole la tua protezione, te la chiederà. Ma dubito che vorrà mai essere protetta da me."

 Sapevo che la nostra discussione non era finita, ma lui girò sui tacchi e se ne andò. Quando, dopo un po', lo seguii a malincuore, trovai soltanto Per in attesa insieme a lui. "Dove sono Ambra e Fiamma?"

 "Dama Ambra è andata a cambiarsi. Althea le ha chiesto di accompagnarli a terra. Fiamma è andata ad aiutarla. A quanto pare, Althea e Brashen pensano che Ambra debba essere presente quando incontreranno l'ammiraglio Wintrow Vestrit per parlare del nostro futuro. All'equipaggio è stata offerta una ‘licenza premio', che immagino significhi che possono sbarcare qui. Due terzi hanno accettato."

 Nel frattempo, un nugolo di barchette si era già avvicinato alla fiancata per offrirci di tutto, dagli ortaggi freschi a una visita gratis alla Casa di Zia Rose. Guardai gli uomini della ciurma con le sacche in spalla scavalcare la murata per calarsi sui barchini. Un paio si erano recati a proravia per salutare Paragon. La polena ricambiò cortese, ma inamovibile nella sua determinazione. Al di là dello stretto braccio di mare che ci separava, Vivacia ci osservava impaziente, adocchiando ogni imbarcazione che si staccava dal veliero. Pulce e Clef seguivano con lo sguardo i compagni che si allontanavano; Kit rimase; Corda se ne andò. Twan si avvicinò al parapetto trascinandosi dietro la sua misera borsa, poi si girò, lanciò un'imprecazione colorita e sferrò un calcio alla sacca, che scivolò sulle tavole del ponte. L'uomo tornò verso il boccaporto che conduceva sotto coperta, ma Cypros lo trattenne per un braccio e insieme andarono a schierarsi accanto a Pulce.

 "Va' con Ambra e Fiamma", ordinai a Lante.

 "Non sono stato invitato."

 "Ambra è cieca e Fiamma, come altri oltre a te noteranno, è una ragazza molto attraente. Borgo Baratto era una città di pirati e sono sicuro che da qualche parte c'è ancora qualcuno con il cuore da pirata. So che Althea e Brashen non le metterebbero deliberatamente in pericolo, ma se ci fosse un'emergenza, vorrei che ci fosse un uomo pronto a difenderle."

 "Perché non vai tu stesso?"

 "Perché voglio che ci vai tu", ribattei aspro. Scintille di rabbia gli sprizzarono dagli occhi e allora aggiunsi più conciliante: "Vorrei restare sulla nave a osservare che cosa succede. E vorrei affidarti anche un altro incarico. Trova qualcuno che abbia dei piccioni viaggiatori. Possibilmente un ricco mercante, di quelli che hanno agganci un po' dappertutto e ti diano la garanzia che la capsula con il messaggio verrà trasferita da uccello a uccello finché non raggiungerà Castelcervo. Vorrei avvertire che siamo vivi, stiamo bene e proseguiamo il viaggio".

 Lui rifletté qualche istante, poi mi chiese: "Dirai a Umbra, Devoto e Urtica che dama Ambra pensa che Ape sia ancora viva?"

 Feci di no con la testa. "Quando ne avrò l'assoluta certezza, allora glielo dirò. Fino a quel momento è inutile farli vivere nel dubbio."

 Lui annuì, poi all'improvviso mi disse: "Lo farò. Ma… per favore, tu scriveresti un messaggio per me? Se c'è ancora della carta su questa nave?"

 "Me n'è rimasta un po' di quella che mi ha dato Reyn. È un materiale prezioso. Non vuoi scriverlo tu stesso?"

 "No. Preferisco che lo faccia tu. Un messaggio a messer Umbra. Giusto per fargli sapere che… che sto mantenendo la promessa e che… me la sto cavando bene. Ammesso che tu ne sia convinto. A ogni modo, scrivi quello che ti pare. Non lo leggerò. Digli soltanto che sono ancora al tuo fianco e che ti servo bene." Abbassò lo sguardo. "Se non ti dispiace."

 "Lo farò", lo rassicurai.

 Tornai nella cabina di Ambra e, con una grafia minuscola, scrissi un messaggio a Umbra sulla raffinata pergamena quasi trasparente, pur tuttavia c'era poco spazio per aggiungere qualcos'altro, a parte che ero molto soddisfatto di FitzVigilante e che in più di un'occasione mi aveva salvato la vita. Ci soffiai sopra e la sventolai per farla asciugare, poi la arrotolai per infilarla nella piccola capsula d'osso che l'avrebbe protetta. Fuori scrissi il nome di Umbra e ROCCA DI CASTELCERVO, SEI DUCATI. Sarebbe stato un lungo viaggio. Mentre consegnavo la capsula a un Lante imbarazzato, mi chiesi se qualcuno dei messaggi che avevamo spedito a casa fosse già arrivato. Non l'avevo sigillata con la cera e Lante capì che era un invito a leggere quanto avevo scritto. A ogni modo, non c'era tempo per ulteriori discussioni, dacché gli altri aspettavano ansiosi di andare a Borgo Baratto. Decisi che avrei lasciato a Lante il compito di redigere un messaggio per spiegare dove ci trovavamo e la singolare natura della nave vivente su cui eravamo imbarcati.

 Althea salutò Vivacia con la mano prima di scendere la biscaglina per salire sul barchino in attesa. La nave vivente seguiva i movimenti del gruppo e li vide prendere posto sulle panche. Il suo sorriso si allargò, per poi trasformarsi in un'espressione delusa quando l'imbarcazione si avviò direttamente verso Borgo Baratto.

 Per passare il tempo io e Perseverante ci sedemmo al tavolo della cambusa a giocare, spostando le nostre pedine su un tabellone a seconda del punteggio dei dadi lanciati. Non m'importava di vincere o perdere, per cui prestavo poca attenzione e Per sbuffava irritato. Con lo Spirito sentivo la nave vuota, quasi cavernosa, dopo lo sbarco di gran parte dell'equipaggio. Clef e gli altri marinai anziani sedevano dalla parte opposta del lungo tavolo. Kit aveva cucinato ed era confortante sentire di nuovo il profumo della carne cotta. Quando ci avvertì che era pronto, gli uomini esultarono davanti ai piatti. Oltre al vassoio con succulente fette di carne arrosto, c'era una grande insalatiera di ortaggi freschi. Scalogni e taccole, steli croccanti di una verdura che non conoscevo, carote non più lunghe del mio pollice e certe radici viola piccanti. Ognuno di noi si servì da solo. La carne era stopposa, ma nessuno si lamentò. I marinai la condirono con una salsa bianca talmente speziata che mi fece lacrimare gli occhi e gocciolare il naso quando l'assaggiai. Però nessuno rise, né fece battute al riguardo.

 Io e Per cenammo dal nostro lato, separati dagli altri. Le occhiate di sfuggita che ci rivolgevano gli uomini non facevano che sottolineare che non avevano dimenticato chi era la causa dei loro problemi. Clef scosse la testa brontolando e si alzò per venire a sedersi accanto a noi.

 Dopo mangiato, Pulce sparecchiò e Clef si unì a noi per giocare. Io lanciavo i dadi e spostavo le mie pedine, ma i due erano consapevoli che la partita si svolgeva soltanto tra loro. Con un orecchio teso origliavo le chiacchiere sommesse dei marinai. I più anziani parlavano dei "vecchi tempi". Un paio erano stati presenti quando il Paragon era stato tirato in secco sulla spiaggia, dove aveva languito per anni prima del nuovo varo. Altri raccontarono di quando il veliero aveva affrontato un'intera flotta di navi normali e aiutato il Satrapo di Jamaillia a riconquistare il potere. Ricordarono i compagni morti sul ponte del veliero che avevano affidato i propri ricordi alle tavole di legno magico. Lop, che non era mai stato una cima, ma aveva sempre fatto la sua parte. Semoy, primo ufficiale per un certo periodo, finché non era arrivato l'anno in cui aveva perso le forze e si era ridotto pelle e ossa, morendo mentre abbisciava una cima. E parlarono del pirata Kennit. Paragon era stato il suo veliero di famiglia, ma era stato mantenuto il segreto mentre Kennit era in vita e compiva le sue razzie. Ancora meno persone sapevano che Igrot, il crudele pirata dall'oscura fama, aveva sottratto alla famiglia sia la nave sia il giovane Kennit e aveva abusato di entrambi. Anche dopo essersi riuniti, Kennit aveva tentato di appiccare il fuoco a Paragon per farlo affondare; alla fine, però, quando Kennit stava morendo, Paragon lo aveva riaccolto volentieri sul suo ponte. Era un mistero che ancora li turbava. Possibile che un veliero così irascibile e capriccioso fosse stato anche capace di affetto? Erano i ricordi di Kennit assorbiti nel suo legno ad averlo guidato a Borgo Baratto?

 Dal canto mio, avevo altre domande, che ovviamente tenni per me. I ricordi di chi avrebbero condotto Paragon a Clerres? Quelli di Igrot, mi risposi. Questo voleva dire che i pensieri e le gesta nefande di quel vecchio pirata sanguinario si annidavano ancora nel legno magico della nave? Quanto penetravano le memorie della sua famiglia umana e del suo equipaggio nel legno di drago?

 E mi chiesi anche che cosa provasse Althea a comandare un vascello che avrebbe sempre serbato i ricordi del suo stupratore. Quanto restava di Kennit nella nave che voleva diventare due draghi?

 Domande inutili.

 Per vinse la partita e Clef si alzò da tavola. Aveva l'aria stanca, triste, e sembrava molto più vecchio di quando ci eravamo imbarcati. Si guardò intorno, poi sollevò la tazza d'acqua dolce. "Compagni di bordo fino alla fine", dichiarò. Gli altri annuirono e bevvero con lui. Fu uno strano brindisi, che accentuò il mio senso di colpa. "Vado a fare il primo turno di guardia all'ancora", annunciò, ma io sapevo che non era uno dei suoi compiti. Sospettavo che volesse parlare con la polena, e la spia che era in me si chiese se sarei riuscito a cogliere qualche brano di conversazione.

 Quando Per mi propose una nuova partita, scossi la testa. "Ho bisogno di passeggiare un po' per smaltire la cena", risposi, e lo lasciai a mettere a posto il tabellone.

 Mi affacciai al parapetto a contemplare la città dei pirati mentre calava la notte estiva. Il cielo da violetto assunse quella sfumatura blu scuro che precede la tenebra, ma di Ambra e degli altri ancora nessuna traccia. Per si unì a me sul ponte per osservare le luci di Borgo Baratto che prendevano vita. Era un luogo animato: viaggiando sull'acqua ci raggiunsero le note di una musica allegra e poco dopo le grida infuriate di una rissa.

 "Probabilmente resteranno in città per la notte", dissi a Per, e lui si limitò ad annuire come se non gli importasse granché.

 Ci ritirammo nella cabina di Ambra. "Vi manca Giuncheto?" mi domandò all'improvviso.

 "Non ci penso spesso", risposi. Ma non era del tutto vero. Non pensavo alla casa, ma alla gente e alla vita che mi ero lasciato alle spalle. Una bella vita, disgraziatamente durata troppo poco.

 "Io sì", mormorò lui. "A volte. Mi manca la sicurezza di quello che sarebbe stata la mia vita. Sarei cresciuto fino a superare in altezza mio padre e allora mi avrebbero chiamato Altone, e avrei preso il suo posto come capostalliere quando fosse diventato troppo vecchio."

 "Potrebbe ancora accadere", gli dissi, ma lui scosse la testa. Per un po' rimase in silenzio, poi mi raccontò un lungo aneddoto sulla prima volta che aveva dovuto strigliare un cavallo molto più alto di lui. Notai che non riusciva a parlare del padre senza commuoversi. Quando tacque di nuovo, io mi girai a guardare fuori dall'oblò le stelle che brillavano sulla città. Mi appisolai. Mi svegliai in un'oscurità appena rischiarata dalla luna quasi piena. Per dormiva della grossa, mentre io ero perfettamente vigile. Senza un'idea precisa del perché mi fossi svegliato, ripescai gli stivali che mi ero sfilato, li rimisi e uscii dalla cabina.

 In coperta, la luna e le luci ancora accese di Borgo Baratto pennellavano la notte di ogni sfumatura di grigio. Udii delle voci e m'incamminai in silenzio verso la prua.

 "Stai facendo arare l'ancora." Quella di Clef non era tanto un'accusa quanto un dato di fatto.

 "La marea sta salendo e il fondale è sabbioso. Non è colpa mia se l'ancora non tiene", ribatté Paragon come un ragazzino petulante.

 "Allora bisogna che svegli ogni membro dell'equipaggio che è rimasto per tenerti fermo sul posto, sollevare l'ancora e ributtarla."

 "Forse non è necessario. Mi sembra che adesso tenga. È giusto scivolata un po'."

 Rimasi immobile, respirando piano. Guardai la città per capire se ci eravamo mossi, ma non riuscii a stabilirlo. Quando invece osservai la Vivacia, mi resi conto che in effetti la distanza tra le due navi si era ridotta.

 "Oh, scusa. Aro di nuovo." Le parole del veliero erano mortificate, ma il suo tono era beffardo. Continuavamo a muoverci verso l'altra nave. Vivacia sembrava ignara, con la testa ciondolante sul petto. Stava dormendo? Che bisogno aveva di dormire una nave fatta di legno magico?

 "Paragon!" lo ammonì Clef.

 "Sto arando", annunciò il veliero. Ormai era impossibile equivocare sulle sue intenzioni.

 "Tutti in coperta!" sbraitò Clef all'improvviso e il suo fischietto lacerò la quiete della notte. "Tutti gli uomini in coperta!"

 Udii delle grida e i tonfi dei piedi che colpivano il pagliolato sul ponte inferiore, mentre Paragon diceva: "Vivacia! Sto arando. Prendimi!" Vivacia si riscosse dal torpore, alzò la testa e sgranò gli occhi. Paragon tese le braccia nella sua direzione, implorante, e dopo un istante lei allungò le mani.

 "Attento al mio bompresso!" esclamò Vivacia e per un pelo evitarono la catastrofe. Paragon le afferrò una mano e con un impressionante sfoggio di forza muscolare le si avvicinò. I due velieri rollarono paurosamente e dall'equipaggio di Vivacia si levarono grida di allarme. Paragon la stringeva a sé con un braccio, malgrado gli sforzi di Vivacia di liberarsi.

 "Sta' ferma!" l'ammonì lui. "Altrimenti c'incastriamo. Voglio soltanto parlarti. E voglio toccarti."

 "Staccateci!" gridò Vivacia ai propri marinai, sopraggiunti di corsa mentre lei tentava invano di respingere quel torace possente.

 Clef urlava ordini ai propri uomini e qualcuno da Vivacia lo insultò dandogli dell'idiota. Clef provò a spiegare la situazione tra un comando e l'altro.

 La risata di Paragon echeggiò in quel baccano infernale e tutti tacquero di colpo. Tranne Vivacia. "Toglietemelo di dosso!" gridò. Invece, con una mossa fulminea, Paragon alzò la mano e le afferrò una ciocca di riccioli neri per piegarle la testa all'indietro. Lei inarcò il dorso, e il suo petto nudo si sollevò verso di lui. Sbalordito, lo vidi chinarsi su di lei e baciarle un seno. Vivacia strillò oltraggiata e gli artigliò la faccia con le unghie; lui si limitò a rafforzare la stretta sui capelli e con la mano libera agguantò la rete del bompresso, incurante dei colpi che lei gli sferrava.

 "Non vi azzardate a respingermi!" gridò all'equipaggio di Vivacia. "Allontanatevi dalla prua. Tutti quanti! Clef, ordina ai tuoi di farsi indietro. E voi di Vivacia, tornate in cuccetta. A meno che Bimb-O non sia tra voi. In tal caso, mandatelo da me, altrimenti lasciateci soli!" Chinò di nuovo la testa nel tentativo di baciare il volto della polena, ma lei gli afferrò una ciocca di capelli e tirò forte, quasi volesse strapparglieli dal cranio. Lui la lasciò fare, poi all'improvviso indurì il legno scolpito. "Credi che questo legno senta dolore?" sibilò. "No, a meno che io non voglia. E tu che cosa provi quando ti bacio? Senti l'indignazione di Althea quando Kennit la violentò? Conservi quel ricordo, oppure è soltanto mio, dacché assorbii la sua sofferenza per farla guarire? Come feci ancora prima con il dolore di Kennit, quando subì lo stesso trattamento per mano di Igrot. Ti restano soltanto memorie umane? Che cosa provi, nave di legno? C'è forse ancora qualche traccia di drago in te? Un tempo ti facevi chiamare Folgore. Te lo ricordi? Ricordi la furia di una dragonessa che si leva in volo e sfida tutti i maschi a dominarla? Che cosa sei, adesso, Vivacia? Una donna che lotta contro un uomo, o una regina che sfida il compagno a sottometterla?"

 Di colpo lei smise di combattere e il suo volto assunse un'espressione altezzosa di gelido sdegno. Incurante dei capelli ancora stretti nella morsa di lui, si girò di scatto a guardarlo con gli occhi che sprizzavano scintille di puro odio. "Pazzo!" lo insultò. "Paria! Che follia è questa? Vuoi affondare qui, nel porto di Borgo Baratto? Non sarai mai il mio compagno, che fossi una donna o una dragonessa!"

 Con la coda dell'occhio mi accorsi che qualcuno stava calando una scialuppa della Vivacia. Quattro uomini si misero a remare con foga verso Borgo Baratto, senza dubbio intenzionati a chiamare aiuto. Non sapevo se Paragon li avesse visti, a ogni modo non reagì.

 "Ne sei proprio sicura?" Mentre pronunciava quelle parole, avvertii il cambiamento propagarsi per la nave.

 "Più che sicura", ribatté lei sprezzante e distolse lo sguardo. "Che cosa vuoi da me?" gli chiese a voce bassa.

 "Voglio che ricordi di essere un drago. Non una nave, non una serva degli umani che ti comandano, non una creatura asessuata intrappolata in una forma di donna. Un drago. Come me." A poco a poco Paragon stava riassumendo le sue sembianze semi-dragonesche. Mi accorsi di essermi stretto le braccia al petto e di aver innalzato le barriere mentali. Cercavo di nascondermi, contenendo sia l'Arte sia lo Spirito, come fa una preda davanti alla minaccia di un predatore. Vidi i corti ricci scuri della sua testa diventare una cresta squamosa da drago e osservai il suo collo allungarsi sinuoso.

 La cosa più sorprendente di tutte, però, fu la reazione di Vivacia davanti a quella trasformazione. La sua espressione era granitica, il suo sguardo duro e scintillante. Non batté ciglio.

 Alla fine, quando avvertii che la magia si era acquietata, lei parlò. "Che cosa ti induce a credere che abbia dimenticato di essere un drago? Tanto, a che cosa serve? Vorresti che abbandonassi la vita che conosco per struggermi per qualcosa che ho perso? Che vita diventerebbe la mia? Quella di una nave impazzita, incatenata su una spiaggia, isolata ed evitata?" I suoi occhi scrutarono da capo a piedi la polena trasformata. "O dovrei giocare a fare il drago? Patetico."

 Lui non fece una piega. "Puoi essere un drago. Com'eri destinata a essere."

 Silenzio. Poi, con un tono di voce che avrebbe potuto essere tanto di odio quanto di compassione, Vivacia disse: "Tu sei pazzo".

 "No. Non lo sono. Isola i tuoi ricordi umani, il tempo passato a essere una nave. Torna indietro, prima della lunga prigionia nel bozzolo, prima di quando eri un serpente. Ricordi di essere stata una dragonessa?"

 Mi parve di percepire di nuovo la magia che fluiva, forse da nave a nave, da Paragon a Vivacia. Fui sfiorato dai contorni sfumati di lontani ricordi quasi stessi fiutando l'odore di un cibo straniero. Volavo ad ali spiegate sopra una foresta; il vento mi gonfiava le vele mentre fendevo le onde. Sorvolai una valle verde fitta di vegetazione, ma la mia vista era acuta e sentivo il calore emanato dalla carne vivente, carne che mi avrebbe sfamato. Nuotavo in un'acqua fredda e profonda, ma sotto di me avvertivo i palpiti di altre creature viventi, con le squame come le avevo avute un tempo, libere com'ero stato io un tempo. Mi ritrovai in bilico sull'orlo di quel mondo fatto di ali e di meraviglie. Sta' lontano da lui, pensai vagamente e mi chiesi se Occhi-di-notte si annidasse ancora da qualche parte dentro di me per ammonirmi. Però dovevo avvicinarmi per poter vedere il viso di Vivacia e il profilo di Paragon: volti così umani e così alieni!

 "No", disse Paragon. "Ancora più indietro. Finché riesci. Ecco. Questo. Ricorda questo!"

 Fui di nuovo pervaso dall'ondata di magia, Arte e Spirito fusi in uno strumento più aguzzo e tagliente di qualsiasi lama.

 Una volta, durante la battaglia di Isola Ramosa, un uomo mi aveva colpito alla tempia con l'elsa della spada. Non mi aveva fermato perché la mia ascia stava già calando nell'incavo del suo collo, tra la spalla e la testa. La botta non era stata forte, eppure mi ronzavano le orecchie e per un po' il mondo mi era ondeggiato davanti in un caleidoscopio di strani colori. Sapevo che era successo, eppure non l'avevo mai ricordato fino a quel momento. Invece, mentre sprofondavo nelle memorie di un drago, fu come se Urtica mi avesse trascinato in un sogno d'Arte. La sensazione era talmente simile da risvegliarmi quel vecchio ricordo. Fu come riprendermi da quel colpo. Vidi un lago d'argento scintillante con le sponde di sabbia nera e grigia, e alle spalle un campo d'erba nera e argentea, con alberi dal tronco bianco e le foglie nere. Battei i miei occhi umani nel tentativo di mettere a fuoco colori familiari, invece scorsi un drago, verde e brillante come soltanto uno smeraldo può esserlo.

 Volava dall'orizzonte, dapprima piccolo, poi sempre più enorme, fino a diventare la creatura più gigantesca che avessi mai visto, più grande di Tintaglia e persino di Ardighiaccio. Atterrò nel lago, sollevando un'onda argentea che innaffiò la sabbia e gli scogli neri, ricoprendoli per qualche istante di uno strato d'argento. Il drago tuffò la testa e il collo sinuoso nel liquido scintillante, bevendo a grandi sorsi e bagnandosi il corpo come un cigno. Le sue squame lo assorbirono e i bagliori smeraldini divennero accecanti. Si scrollò e poi riprese a bere.

 Quando uscì dal lago e si adagiò sulla riva erbosa per riposare, ebbi l'occasione di guardare per un breve istante nei suoi grandi occhi vorticanti. Vi lessi vecchiaia, e saggezza, e una sorta di gloria che non avevo mai visto in occhi umani. In quel breve istante riconobbi con umiltà di stare osservando una creatura migliore di quanto io avrei mai potuto essere.

 "Signore? Principe FitzChevalier?"

 Mi destai di soprassalto dal sogno, irritato. Era Per che mi stava tirando la manica, gli occhi spalancati e neri nella penombra. "Che succede, ragazzo?" Avrei voluto che sparisse. Avrei voluto ripiombare in quel mondo, conoscere quel drago e diventare migliore dopo averlo fatto.

 "Ho pensato che voleste saperlo. La barca sta tornando in fretta, con i comandanti Althea e Brashen, dama Ambra, Fiamma e Lante. E sta arrivando anche qualcuno dell'altra nave."

 "Va bene, grazie." Mi voltai di spalle e cercai un ingresso per tornare in quel sogno magico; tuttavia, o era finito o io avevo smarrito la strada. Percepivo ancora il flusso di magia tra i due velieri viventi, ma non potevo più condividerlo. Vedevo soltanto le due polene che, malgrado l'intralcio dei bompressi, si tenevano abbracciate come amanti rimasti separati troppo a lungo. Vivacia teneva la testa premuta sul torace squamoso di Paragon, gli occhi trasognati che fissavano nel nulla. Il collo sinuoso di lui la cingeva come una sciarpa, con la testa di drago appoggiata sulla sua spalla. Il volto di lei non tradiva alcun rancore né incertezza; le sue mani leggiadre erano posate sulle spalle dell'altro. Non riuscivo a decifrare che cosa provasse Paragon dalla sua espressione di drago, ma cominciò a cambiare sotto i miei occhi. Fu come guardare lo scioglimento del ghiaccio sulle rive di un fiume, a mano a mano che la corrente lo erode. Lentamente i suoi lineamenti ripresero le sembianze umane e allora notai con quale tenerezza abbracciava Althea. No, era Vivacia che stringeva con tanto affetto. E all'improvviso mi vidi abbracciare Molly, gustare un raro momento di pace e di amore, e fui travolto da una terribile ondata di struggimento.

 Rimasi impalato a osservare quello strano spettacolo finché non udii la voce di Brashen. "Che cos'è successo?" chiese. "Come ha fatto Paragon ad arrivare fin qui?"

 "Ha fatto arare l'ancora, signore", rispose Clef formale, da ufficiale a comandante.

 "Non è stata colpa della marea o di un ancoraggio sbagliato", intervenne Althea. "Paragon l'ha fatto di proposito. E per una ragione." Il suo tono diceva che dubitava fosse una buona ragione.

 Brashen e Althea si tennero lontani dalla portata della polena, pur continuando a fissare la scena. Fu Ambra a farsi avanti, liberandosi dalle braccia di Lante e di Fiamma come se anche lei fosse una nave che trascinava l'ancora.

 "Ambra, no. Ti prego", la implorò Althea, ma lei non si fermò se non quando arrivò alle spalle di Paragon e aspettò.

 Vivacia alzò la testa dal petto di Paragon e sospirò. "Che cosa eravamo. Che cosa avremmo potuto diventare. Tutto perduto, ormai. I giovani draghi, i serpenti che sono nati a Trehaug e adesso vivono a Kelsingra, loro possono tornare a essere quelli di un tempo, magari tra un secolo. Ma noi no. Noi mai."

 "Ti sbagli." La voce di Paragon risuonò come un rombo inumano. "Ambra può aiutarci a trovare l'Argento. E con quello riusciremo a tornare quello che eravamo destinati a essere."

 Le navi si separarono appena, sciogliendosi dall'abbraccio per guardare Ambra. "Non è sicuro", disse lei. "E non farò promesse che non sono certa di poter mantenere. L'Argento, sì, prometto che farò tutto il possibile per farvelo ottenere. Ma sarà sufficiente a farvi trasformare in draghi? Non lo so."

 "E?" chiese Vivacia in tono aspro.

 "E cosa?" domandò Ambra confusa.

 Il volto di Vivacia assunse un'espressione diffidente, molto umana. "E che cosa pretendi in cambio? I Mercanti mi hanno resa quella che sono. Il loro sangue e le loro memorie hanno impregnato i miei ponti e permeato ogni fibra di ciò che sono. Niente si offre per niente quando si tratta con gli umani. Che cosa vuoi da me?"

 "Nie…" La risposta di Ambra fu sommersa dal grido accorato di Paragon.

 "Bimb-O! Voglio Bimb-O sul mio ponte per l'ultimo viaggio." Aveva di nuovo il mio viso. Mi chiesi, turbato, se anch'io avessi la stessa espressione quando pensavo a salvare mia figlia. La polena parlò con cuore umano. "Ridatemi ciò che è mio. E Paragon Kennitsson! Voglio anche lui! Kennit me l'ha promesso fin da quando era ragazzo. Disse che se avesse avuto un figlio maschio gli avrebbe dato il mio nome! Ho sofferto tanto per la sua famiglia! Senza di me non sarebbe mai esistito! Lo voglio. Voglio che mi veda e mi riconosca come nave di famiglia. Prima che io diventi draghi e lo lasci per sempre."

 "Per sempre…" Il sussurro avvilito di Althea mi disse che fino a quel momento aveva osato sperare che Paragon cambiasse idea, o che almeno avesse intenzione di mantenere qualche sorta di legame con lei e Brashen dopo la trasformazione.

 "Paragon!" Qualcuno esultò dal ponte della Vivacia, una voce profonda da uomo.

 Vidi un giovane tra i venti e i trent'anni con una folta chioma di riccioli neri e un sorriso raggiante. Aveva la pelle scura come il mogano e la camicia gli tirava sulle spalle ampie. Chiunque conoscesse Althea e Brashen avrebbe capito che era loro figlio. Teneva in mano una lanterna ed era ovvio che non avesse la minima idea di che cosa stava succedendo. Guardò la nave di famiglia sprizzando gioia da tutti i pori.

 "Trellvestrit!" gridò qualcuno alle sue spalle, ma Bimb-O aveva già posato a terra la lanterna per arrampicarsi sul bompresso di Vivacia. Lo percorse lesto come uno scoiattolo e, senza esitazione, si slanciò verso Paragon, che si affrettò a lasciare Vivacia e lo prese al volo. Poi lo sollevò in alto, come un tempo facevo io con i figli di Devoto, e lo lanciò in aria prima di riprenderlo tra le mani salde. Agile come un acrobata, il giovane accettò di buon grado quel trattamento, ridendo di cuore. Si liberò dalla stretta, s'inerpicò sul dorso delle mani di Paragon e fece una capriola all'indietro, atterrando sui palmi tesi della polena. Doveva essere un gioco che risaliva alla sua infanzia ed era evidente che lo ricordavano entrambi con piacere. Raramente mi era capitato di assistere a una tale manifestazione di fiducia tra due creature. Paragon avrebbe potuto spezzare in due Bimb-O con le mani di legno, invece lo teneva a distanza di braccia, e i due si studiarono a vicenda, il giovane che sogghignava nel guardare il volto della nave.

 A mia insaputa, e probabilmente anche di Paragon, qualcuno aveva lanciato delle cime agli uomini sui barchini che si erano accostati. Cominciarono a rimorchiare adagio Paragon in una direzione, e Vivacia nell'altra, facendo girare entrambe le navi sulle ancore mentre le spostavano a distanza di sicurezza. Mi domandai se Bimb-O fosse al corrente del piano e poi se a Paragon importasse qualcosa. Aveva parlato con Vivacia e aveva ottenuto la metà di quello che aveva preteso. L'espressione di Bimb-O era di amore sconfinato per la sua nave. Non c'era da stupirsi se Paragon avesse tanto sofferto per la sua mancanza.

 "Principe Fitz…"

 "Ssh", intimai a Perseverante. Stavo osservando Althea e Brashen. Un terribile conflitto si stava consumando sui loro volti. Amore per il figlio, timore per la sua incolumità tra le mani della polena, ma anche la gioia di vederli insieme. Bimb-O disse qualcosa a Paragon e la polena gettò indietro la testa scoppiando a ridere. Possibile che quella fosse la stessa creatura che aveva mostrato una suprema indifferenza per il benessere del proprio equipaggio? Mi aspettavo quasi che Brashen o Althea chiamassero il figlio per avvertirlo di stare attento; invece rimasero in silenzio ad aspettare. Avevano fiducia nel giovane o nella nave? mi chiesi.

 Quando Paragon si girò per depositarlo sul ponte, sentii che Bimb-O diceva al veliero: "Mi sei mancato tanto! Vivacia è una gran bella nave, ma è sempre troppo seria. E il cugino Wintrow è un comandante eccellente, però a bordo i pasti sono così frugali! Mamma! Papà! Che bello rivedervi! Che cosa vi ha portati a Borgo Baratto senza nemmeno un piccione viaggiatore ad avvertirci del vostro arrivo? Ero dal velaio quando sono venuti a chiamarmi. L'avessimo saputo prima, avremmo organizzato un benvenuto!"

 "Ci basta vederti!" esclamò il padre, mentre Bimb-O scendeva dai palmi di Paragon. La polena stava sorridendo con un tale affetto verso i tre che non riuscivo a credere ai miei occhi.

 Ambra, ignorata da tutti, si era ritirata in disparte. Allungai una mano per sfiorarle il braccio e le dissi sotto voce: "Sono Fitz". Lei si avvicinò tirando un tremante sospiro di sollievo e mi si aggrappò al braccio come se fossi un relitto galleggiante in un mare in burrasca. "Sono tutti salvi?" ansimò preoccupata. "Qualcuno è rimasto ferito?"

 "Tutti salvi. Bimb-O è con i suoi genitori. E Clef. E alcuni membri dell'equipaggio."

 "Ero terrorizzata."

 La vidi tentare di calmarsi e le parlai in tono rassicurante. "Eppure Paragon sembra tranquillo adesso. Quasi affabile."

 "Sono due, Fitz. Due draghi. Credo sia questo che l'ha fatto impazzire; a volte sento come se avesse due nature. Una infantile, capricciosa, che pretende affetto e attenzioni. L'altra capace di quasi tutto."

 "Credo di averle viste entrambe stanotte."

 "Be', allora siamo stati tutti fortunati che Bimb-O abbia risvegliato la sua parte più gentile. Quando si infuria, non c'è modo di prevedere che cosa possa fare una nave vivente a un'altra."

 "Combattono? Si può uccidere una nave vivente?"

 "Si può distruggere con il fuoco, oppure sfigurare com'è accaduto a Paragon." Piegò la testa da un lato per riflettere. "Non ho mai sentito parlare di scontri fisici tra navi viventi. Gelosie, rivalità. Litigi. Mai a livello fisico, però."

 In quel mentre mi accorsi che Per accanto a noi stava ascoltando. Nell'ombra alle sue spalle, Fiamma aspettava accanto a Lante.

 "Vogliamo tornare in cabina?" suggerii. "Non vedo l'ora di sapere che cosa si dice a terra."

 "Sì, volentieri", rispose Ambra. Si appoggiò al mio braccio e c'incamminammo. Prima di arrivare in cabina, Clef ci intercettò.

 "I comandanti desiderano vedervi tutti nei loro alloggi. Se non vi dispiace", aggiunse per educazione, ma l'invito non ammetteva un rifiuto.

 "Grazie. Andiamo subito."

 Clef annuì e si dileguò nel buio. La notte era calata sulla baia. Le lanterne accese in cima agli alberi delle altre navi e le luci che brillavano dalle finestre lontane di Borgo Baratto erano fievoli scintille rispetto al firmamento stellato che ci sovrastava. Alzai lo sguardo al cielo notturno e all'improvviso mi colse una voglia incontenibile di terra sotto i piedi, di foresta intorno a me, di prede da poter uccidere e mangiare. Insomma, di quelle piccole cose che rendevano la vita piacevole.